sabato 25 febbraio 2017

Sarai oscurità - Recensione a "Frankenstein" di Mary Shelley

Sarai oscurità

Recensione a "Frankenstein" di Mary Shelley


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Frankenstein
AUTORE: Mary Shelley 
TITOLO ORIGINALE: Frankenstein; or, The Modern Prometheus
TRADUTTORE: Giorgio Borroni
EDITORE: Barbera
COLLANA: Nuovi Classici
PAGINE: 250
 
IL COMMENTO

  Romanzo ricchissimo di tematiche tutt’oggi attuali, “Frankenstein” è certamente tra i più noti esempi della letteratura gotica, nonché capostipite del filone legato ai mostri rianimati e agli scienziati pazzi, sebbene negli anni la storia originale sia stata posta in ombra dalle sue versione cinematografiche; questo cambiamento si evidenzia soprattutto nella figura del mostro, che da essere senziente e pieno di passioni, è diventato nell’immaginario collettivo una sorta di zombie incapace perfino di emettere suoni articolati.
  Lo schema narrativo della vicenda ricorda quello di “Cime tempestose” (QUI la recensione), con un narratore di partenza che diviene in seguito spettatore al pari del lettore quando entra in scena un secondo narratore; in questo romanzo si opta però per una forma epistolare, che a tratti diventa quasi un diario personale.
  Ci troviamo quindi sulla nave dell’esploratore Walton che, nel mezzo dei ghiacci artici, trova uno stremato Victor Frankenstein all’inseguimento della sua Creatura. Gran parte della vicenda è quindi narrata dal punto di vista del lettore e risulta pertanto distorta dai suoi sentimenti e dai suoi desideri, tant’è che si empatizza pienamente con lui, finché non è la volta di udire la versione della Creatura: da quel momento Victor appare sotto tutt’altra luce, risultando nulla più di un bambino viziato che, dopo aver morbosamente desiderato un giocattolo, se ne stanca in fretta e lo getta via.
  Di riflesso, il mostro prima viene descritto come un freddo assassino, mentre con l’apprendere la sua commovente storia si comincia a rivalutarlo in quanto dimostra a più riprese di saper essere ragionevole e comprensivo, ben più del suo stesso creatore; in sostanza lo si può vedere come un Buon Selvaggio, nato puro e semplice per poi essere fuorviato dal contatto con la società umana, che ha letteralmente cancellato dal suo animo ogni traccia della primigenia bontà.
  Per quanto riguarda gli altri personaggi, viene dato loro ben poco risalto nella vicenda; da notare è certamente come tutti non possano fare a meno di trattare amorevolmente Victor. L’unico personaggio a far eccezione è uno degli insegnati di Victor a Ingolstadt, Monsier Krempe, che è così diventato il personaggio secondario da me più apprezzato.
  Uno dei maggiori pregi del romanzo, si ritrova nelle descrizioni paesaggistiche: le ambientazioni sono rese con maestria sia nei luoghi “civili”, come Ginevra o le altre città visitate da Victor, sia in quelli più remoti, come il mare ghiacciato affrontato da Walton.
  Tra i temi maggiormente analizzati troviamo l’influenza delle passioni sulle azioni umane (e non, nel caso della Creatura), al punto da stravolgere completamente l’esistenza di chi si lascia travolgere sa esse.
  Molto particolare è invece la percezione che i protagonisti hanno della felicità: se per il dottore si tratta solo di brevi momenti tra tanti dolori, il mostro sembra invece destinato a non provarla mai, ma pare poi ottenerla almeno per poco quando viene inseguito dal suo creatore, ed ha infine qualcuno che vive in funzione di lui. Vorrei infine spendere qualche parola su questa edizione. Benché le note a piè di pagina siano ben scritte e molto utili a comprendere meglio alcuni passaggi, l’introduzione mi è sembrata invece eccessivamente prolissa e ripetitiva, nonché piena di spoiler che hanno compromesso in parte la mia lettura.

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giovedì 16 febbraio 2017

Un crescendo - Recensione a "Molto forte, incredibilmente vicino" di Jonathan Safran Foer

Un crescendo

Recensione a "Molto forte, incredibilmente vicino" di Jonathan Safran Foer


SCHEDA TECNICA

TITOLO: Molto forte, incredibilmente vicino
AUTORE: Jonathan Safran Foer
TITOLO ORIGINALE: Extremely Loud & Incredibly Close
TRADUTTORE: Massimo Bocchiola
EDITORE: Guanda
COLLANA: Tascabili
PAGINE: 380

COMMENTO

  Devo ammettere di aver iniziato la lettura di questo romanzo con l’idea sbagliata: pensavo si sarebbe rivelato più o meno affine allo stile di John Green, che in genere fa leva su temi ad alto impatto emotivo per catturare i lettori; in questo volume invece il contesto sociale e storico ha molta meno rilevanza di quanto promesso nella sintesi introduttiva, dove forse si è calcata la mano per ragioni di marketing.
  In ogni caso, nella prima metà del romanzo mi sono davvero sentita combattuta, perché da un lato avevo letto delle recensioni a dir poco entusiaste, ma dall’altro trovavo lo sviluppo della trama parecchio confuso e le situazioni in cui si trovava ad essere il protagonista inverosimili. Soltanto nei capitoli finali si ottiene una spiegazione chiarificatrice, benché personalmente ritengo alcuni comportamenti ed azioni al limite dell’irrealtà, come ad esempio il fatto che la maggior parte dei Black di New York siano disposti ad assecondare un bambino (e sua madre): è mai possibile che non abbia incontrato nessuna persona violenta, o perlomeno non disponibile?
  Voglio elencare subito anche gli altri elementi a mio giudizio negativi, per poi passare a quelli che mi sono piaciuti. E tanto.
  Penso che Foer abbia un po’ esagerato nell’uso delle metafore, infatti se le sommiamo ai tanti comportamenti bizzarri di buona parte dei personaggi, si arriva al punto di non poter capire cosa accade veramente e cosa no; questo tipo di “confusione” può essere piacevole a piccole dosi, ma qui mi è sembrata eccessiva e poco naturale, come se l’autore studiasse le sue scelte a tavolino.
  Non mi è piaciuta neppure la risoluzione del mistero della chiave: l’ho trovata troppo semplice, e non capisco come si possa optare per una scappatoia del genere dopo aver curato tanto i dettagli nei capitoli precedenti. Questa scelta dell’autore è stata senza dubbio molto deludente.
  Il disappunto più grande è stato però causato dalla superficialità con cui Foer parla dell’autolesionismo in un bambino delle elementari! E anche questo è un elemento irreale, perché se può essere verosimile lasciare il proprio figlio libero di esplorare la città, non lo è di certo ignorare i lividi che si procura in svariate occasioni.
  Questi in linea di massima sono i motivi per cui non urlo al miracolo assieme agli altri fan di Foer. Riconosco comunque la maestria con cui si è creato un proprio stile distintivo, che dimostra di padroneggiare soprattutto quando fa ricorso più volte alle stesse parole e alle stesse frasi, per creare un’atmosfera particolare o per dare l’illusione che siano parte del lessico comune. Molto interessante anche quando accosta vari punti di vista dello stesso evento per colmare con le informazioni di uno i buchi narrativi dell’altro.
  Geniale la scelta di impaginare in modo diverso le lettere dei nonni di Oskar: se da un lato abbiamo Thomas Senior che scrive tutto il testo attaccato, abituato a non sprecare neanche un centimetro di carta nei suoi quaderni, dall’altro la nonna lascia degli spazi tra le parole e le frasi, trasposizione delle lunghe pause nel suo parlato.
  Infine, il maggior pregio dei questo romanzo si riscontra nella magistrale cura della parte grafica, con le fotografe che accompagnano piacevolmente la lettura e permettono di sentirsi un po’ più vicini ad Oskar.
  Sul “fronte delle lacrime”, spero di non essere considerata un mostro, ma mi sono commossa soltanto al racconto di William Black e, soprattutto, leggendo l’intervista alla donna di Hiroshima.


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mercoledì 8 febbraio 2017

Colpa delle Parche - Recensione a "Goddess" di Josephine Angelini

Colpa delle Parche

Recensione a "Goddess" di Josephine Angelini


SCHEDA TECNICA

TITOLO: Goddess
AUTORE: Josephine Angelini
TITOLO ORIGINALE: Goddess
TRADUTTORE: Marco Rossari
EDITORE: Giunti
COLLANA: Tascabili
PAGINE: 360

COMMENTO

  Ultimo volume di una trilogia che iniziai diversi anni fa, “Goddess” si è rivelato uno dei peggiori young-adult nati sulla falsa riga del successo di “Twilight” che abbia mai letto. In questo caso non ci troviamo di fronte ad una schiera di vampiri belli-belli-belli, nonché dotati di super poteri: la sconfinata fantasia della Angelini ha partorito una schiera di semi-dei belli-belli-belli. E dotati di super poteri, ovviamente.
  Di per sé non ci sarebbe nulla di grave; purtroppo per l’autrice, io sono una grande appassionata di mitologia e vedere come ci ha pasticciato mi ha irritato non poco.
  A rigor del vero, va precisato che alla base di questo romanzo non troviamo la mitologia greca in senso ampio, bensì le vicende collegate alla leggendaria guerra di Troia in particolare, con dei precisi riferimenti all’Iliade, all’Odissea, all’Eneide e -inserimento un po’ forzato e superfluo- ai racconti del Ciclo Arturiano.
  Sulla fedeltà ai miti c’è poi da stendere un velo (im)pietoso: l’unico dettaglio riportato fedelmente è il carattere capriccioso degli dei, avvezzi a considerare gli umani come delle creature di cui poter disporre a propria discrezione; per il resto, le informazioni sui miti sono confuse, perfino errate, o per essere precisi adattate alle necessità dell’autrice, il cui intento è far proseguire la trama, non importa cosa debba modificare o inventare.
  Altro stratagemma usato dalla Angelini a tal fine è introdurre continuamente nuovi poteri a casaccio. Questo influenza soprattutto il personaggio di Helen che risulta vittima di quello che io chiamo “Effetto Rumplestiltskin”: come il Signore Oscuro della serie TV “Once Upon a Time”, anche la nostra protagonista si ritrova con così tanti poteri e tanti ruoli da renderla per nulla credibile.
  Passiamo quindi ai personaggi, cominciando proprio da Helen: si è mai letto di una ragazza più ingenua e falsamente modesta? perché se da un lato abbiamo tutto il cast che la venera e la reputa tanto intelligente senza ragione, dall’altro c’è un’eroina pronta a lamentarsi in continuazione di quanto è bella e potente.
  Per gli altri personaggi non ho nulla da dire in positivo, quindi soprassederò: vorrei solo segnalare il modo assurdo con cui vengono accantonati gli adulti, mentre sono i ragazzini a pianificare gli attacchi e a combattere contro i mostri.
  Nonostante tutti gli aiuti ricevuti dall’autrice, la trama si dimostra zeppa di errori di logica e di mancata revisione. Ma per questo problema la Angelini trova un escamotage sempre valido: anziché fornire chiarimenti e spiegazioni sensati, ci si limita a dare la responsabilità di tutto alle Parche.
  Ciò è utile anche per giustificare situazioni strane o nuovi personaggi che spuntano dal nulla; purtroppo, alla base c’è soltanto la mancanza di una pianificazione ben fatta nei precedenti romanzi.
  Ciò che più mi rattrista è lo spreco di una così bella occasione, perché dalla sintesi il romanzo sembrava davvero interessante e sarebbe potuto una versione più adulta della saga di “Percy Jackson”.
  Sullo stile di scrittura ci aspettano altre lamentele: lo definirei acerbo e i cambi repentini ed immotivati di POV non aiutano certamente il lettore ad apprezzarlo. Nelle scene più adrenaliniche ci sono poi dei punti morti dati da pensieri o frasi inappropriate che fanno svanire la tensione, e in generale la parte degli scontri è troppo frettolosa, come se si volesse concludere il romanzo anzitempo.
  Ultima nota, il product placement dell’Ipad di Apple, che viene pubblicizzato in modo davvero sfacciato, ripetendone il nome senza motivo più volte. Non si legge un libro per decidere quale tablet comprare.

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venerdì 3 febbraio 2017

Cosa sto leggendo? - 2 febbraio 2017

Cosa sto leggendo?

2 febbraio 2017

Solitamente scelgo i libri basandomi soprattutto sulla trama, ma per questo mese ho "pescato" dalla libreria tre titoli dei quali so davvero poco, preferendo farmi guidare dalle recensioni positive lette in rete.
  1. "La casa per bambini speciali di Miss Peregrine" di Ransom Riggs, la mancata lettura di questo libro è il motivo per cui non ho ancora visto il film; si tratta di un romanzo per ragazzi molto divertente e ben scritto che finora mi ha tenuta incollata alle pagine.
  2. "Gli occhi gialli dei coccodrilli" di Katherine Pancol, un romanzo per cui non sono riuscita a trovare neppure la traccia di una sinossi (quindi non sapevo se valesse la pena), ma che finora mi sta intrigando per merito dei personaggi delineati magistralmente.
  3. "La lettera scarlatta" di Nathaniel Hawthorne, ottimo classico che a dispetto del tema tragico riesce a mantenere uno stile coinvolgente e, a tratti, ironico.