sabato 27 maggio 2017

Liberarsi dai lacci della felicità - Recensione a "Noi" di Evgenij Zamjatin

Liberarsi dai lacci della felicità

Recensione a "Noi" di Evgenij Zamjatin


LA SCHEDA TECNICA



TITOLO: Noi

AUTORE: Evgenij Ivanovič Zamjatin

TITOLO ORIGINALE: My
TRADUTTORE: Alessandro Niero
EDITORE: Voland
COLLANA: Sírin Classica
PAGINE: 280


IL COMMENTO


  Patriarca di molti romanzi distopici novecenteschi, “Noi” è al contempo feroce satira dell’utopia comunista e lucida anticipazione di quelle che solo anni dopo saranno le grandi dittature europee: Zamjatin delinea con chiarezza quasi profetica uno Stato Unico governato col pugno di ferro dal Benefattore, pronto a mettere a tacere con la forza chiunque osi opporsi a quella che i nostri occhi di lettori contemporanei appare come una vera e propria dittatura.
  Zamjatin si allontana però decisamente dai primi anni del ‘900 quando scegli come ambientazione per il suo romanzo un futuro lontano in cui la razza umana si è affacciata al baratro dell’estinzione per poi chinarsi docilmente al giogo dello Stato Unico, che imprigiona i suoi abitanti in una felicità illusoria, dopo averli resi liberi dalla libertà stessa.
  È questo lo scenario in cui si muove D-503, Costruttore della navicella spaziale denominata “Integrale”, prossima al suo primo viaggio su nuovi pianeti dove portare la vera civiltà. L’esistenza preordinata del protagonista, piccolo ingranaggio nel grande meccanismo statale, viene radicalmente stravolta dall’incontro con I-330, di cui si innamora e grazie alla quale riesce infine a vedere il vero volto del Benefattore.
  In D-503 la trasformazione è molto graduale, a volte pare quasi fare dei passi indietro; la rivoluzione è però già in atto e chi vuole sfidare il potere dello Stato Unico non attende ulteriormente per far sentire la propria voce. Gli eventi si fanno via via più adrenalinici, con l’approssimarsi del finale e della rivelazione circa il destino di questa Terra tanto distante della nostra, sia sul piano temporale sia su quello culturale.
  Se paragonato ai protagonisti di romanzi distopici più moderni, D-503 si dimostra a più riprese un uomo poco coraggioso, ed il solo motivo che lo spinge alla ribellione contro il regime è il sentimento d’amore per I-330, in assenza della quale si ritrova spesso preda del dubbio; per gran parte del romanzo si trova sospeso quasi tra due versioni di se stesso: l’ubbidiente unità, parte del Noi collettivo, e l’Io selvaggio, egoista e a tratti animalesco. Il suo comportamento può comunque trovare una comprensibile giustificazione nell’ottica di una vita interamente allietata dalla felicità effimera dello Stato Unico: non deve essere stato affatto facile comprendere un’alternativa a tutto ciò.
  Il ruolo dell’eroina ribelle viene quindi delegato a I-330, tratteggiata quasi come una femme fatale capace di persuadere ogni uomo ad aiutarla nei suoi piani. Benché il punto del protagonista porti il lettore lontano dall’azione, I-330 si dimostra comunque una donna decisa nei suoi propositi e pronta a tutto per essi, perfino a resistere ad una crudele tortura.
  Il Benefattore risulta invece un antagonista embrionale, primo di una caratterizzazione; la sua figura fa pensare ad un’ombra che incombe sui protagonisti, anziché ad una persona in carne ed ossa.
  In questo romanzo è inoltre la collettività stessa a diventare un personaggio. Le persone ci vengono presentate come del tutto dimentiche della loro individualità: tutti indossano gli stessi vestiti, compiono le stesse azioni nello stesso istante ed hanno perfino perduto il nome in favore di numeri e lettere.
  È curioso segnalare come il protagonista associ la lettera di ognuno alla sua fisicità e come inserisca nel suo “diario” molti riferimenti ai numeri, ai calcoli e alle forme, seppur ciò non stoni affatto in un mondo dove perfino attività artistiche quali la poesia sono schematizzate e dominate dalla matematica.
  Un plauso infine allo straordinario stile di Zamjatin, specialmente per le geniali metafore e per le riflessioni che ispira nel lettore, ma anche all’ottima traduzione italiana di questa edizione, resa più ricca dalle utili note a fondo volume.

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  Un autore russo che usa nomi semplici... Miracolo!

domenica 21 maggio 2017

Filler in abbondanza, revisione assente - Recensione a "Khantis l’egiziano" di Silvio Foini

Filler in abbondanza, revisione assente

Recensione a "Khantis l’egiziano" di Silvio Foini


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Khantis l’egiziano
AUTORE: Silvio Foini
TITOLO ORIGINALE: -
TRADUTTORE: -
EDITORE: Watson
COLLANA: Luci
PAGINE: 390

IL COMMENTO

  Mi dispiace sempre dover commentare in modo negativo un libro, ancor di più se è stato un regalo. In questo caso, devo ammettere di essermi approcciata al romanzo in questione senza alcuna informazione sull’autore o sulla trama, che va detto è praticamente irreperibile, anche online.
  Dopo aver completato la lettura, posso quindi dire con cognizione che è molto difficile riassumere le vicende narrate. La causa non è però un intreccio particolarmente elaborato, bensì un trama zeppa di avvenimenti, che si avvicendano con una fretta quasi allarmante; si pensi per esempio al pittore Anen diventato in breve generale, oppure allo schiavo Khanus che in pochi mesi viene nominato Visir della città di Tebe.
  Questo è solo il primo di innumerevoli problemi di questo romanzo, perché la narrazione non è solamente frettolosa, ma anche inconcludente: la missione affidata agli eroi occupa soltanto un minima parte del volume, mentre il resto dei capitoli è incentrato su fatti che non la riguardano affatto e sembrano quindi scritti solo per fare da riempitivo tra il momento in cui gli dei annunciano l’impresa e quello in cui questa viene finalmente compiuta.
  Il romanzo mi ha anche messa in difficoltà per valutarne il genere dal momento che, pur avendo pretesa di romanzo d’avventura, fantastico e a sfondo storico, i protagonisti non fronteggiano mai delle vere e proprie sfide tali da metterli in difficoltà o in pericolo, perché tutto viene risolto senza problemi con l’intervento degli dei.
  Passando quindi ai personaggi, essi dimostrano di essere estremamente bidimensionali, con i “buoni” che sono tali fino alla nausea e i “cattivi” primi della minima motivazione per le loro azioni, in particolare il villain principale (o che come tale viene presentato al lettore), Seth. La rapida narrazione inoltre non concede tempo per valutare i sentimenti dei personaggi, pertanto le reazioni tra queste si instaurano per ordine dell’autore, in modo istantaneo e solo al fine di far procedere la trama.
  In mezzo a tante (troppe?) critiche, vorrei segnalare l’unico aspetto da me apprezzato, seppur solo in parte. Risulta evidente che Foini è un grande conoscitore degli aspetti prettamente storici del romanzo; dai molti nomi delle divinità egizie ai vari faraoni e le rispettive consorti, dai luoghi come le Case della Vita e della Morte alle fasi dell’imbalsamazione. Anche in questo caso, l’autore commette tre grossolani errori: innanzitutto ripete i vari titoli in continuazione, come nel timore che il lettore li dimentichi dopo poche righe, secondariamente dimostra in più occasioni una grande ingenuità, associando i suoi personaggi a determinate azioni. A mio avviso, pare un po’ strano che il medico di corte impieghi la sua giornata per la cura di semplici cittadini o, addirittura, schiavi; il Faraone Amenofi sembra invece perfettamente a suo agio nell’avere al suo fianco l’uomo che sa essere l’amante della moglie, a dispetto della sua posizione e del ruolo che ricopre. Infine, credo sarebbe stata una scelta migliore inserire qualche nota chiarificatrice a fondo pagina, dal momento che molti nomi non vengono spiegati nel testo.
  Lo stile dell’autore da’ il colpo di grazia al romanzo, con la sua acerbezza quasi infantile, l’alternarsi senza logica di imperfetto e passato remoto e con la mancanza di punti e lettere. Le virgole sole si meriterebbero un commento a parte: sembra che siano state disposte alla rinfusa a opera completata. Temo che l’editore non abbia svolto nessun lavoro di revisione, dal momento che ogni capitolo contiene almeno una dozzina di errori.
  Per concludere, una considerazione sul titolo: perché Khantis, se è solo un comprimario? e perché l’egiziano, se lo sono quasi tutti?

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  La coerenza non è di questo mondo.

giovedì 11 maggio 2017

La bontà del mostro - Recensione a "La chimera di Praga" di Laini Taylor

La bontà del mostro

Recensione a "La chimera di Praga" di Laini Taylor


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: La chimera di Praga
AUTORE: Laini Taylor
TITOLO ORIGINALE: Daughter of Smoke and Bone
TRADUTTORE: Donatella Rizzati
EDITORE: Fazi
COLLANA: Lain ya
PAGINE: 380

IL COMMENTO

  È davvero insolito imbattersi in un romanzo young adult dallo stile tanto curato ed elegante. La Taylor dimostra l’abilità necessaria a coniugare una storia incredibilmente originale ad una ricca prosa che, una volta tanto, prende degnamente in considerazione i giovani lettori.
  In questo primo volume, di quella che sarà una trilogia, la trama è soprattutto finalizzata ad offrire al lettore un quadro generale dei personaggi principale, nonché del particolare mondo fantasy in cui questi si muovono. Uno dei maggiori pregi de “La chimera di Praga” sta proprio nelle sue ambientazioni: si rimane quasi stregati dalle descrizioni della capitale della Repubblica Ceca, del Marocco e dell’assurdo negozio di Sulphurus. Come accennato, la storia è abbastanza povera di eventi, per lo meno di quelli ambientati nel presente: Karou è una giovane artista che conduce una doppia vita, come assistente della chimera Sulphurus, finché l’incontro-scontro con l’angelo Akiva la aprirà gli occhi su un mondo nascosto, in cui imperversa una guerra secolare tra le chimere e gli angeli.
  Uno dei pochi punti a sfavore di questo romanzo è proprio questa guerra, che viene spiegata in modo confuso e un po’ frettoloso; spero che questo aspetto venga chiarito nei capitoli successivi, come pure le dinamiche del regno angelico che finora è rimasto parecchio marginale e nebuloso.
  Gli elementi più originali nella trama sono la particolare concezione della magia, sia quella dei denti raccolti da Karou in giro per il mondo, sia quella operata a mezzo dei desideri concessi ai suoi clienti di Sulphurus, che a tratti ricordano un meccanismo fiabesco o anche le promesse da tentatore di Mefistofele nel “Faust”; molto caratteristica è anche la concezione degli angeli come un popolo di guerrieri avezzi al dominio sulle chimere, che considerano esseri inferiori. Ad incuriosire il lettore, e a creare una buona suspense per il seguito della trilogia, contribuiscono poi in buona parte i bizzarri e misteriosi personaggi.
  A spiccare nel cast è giustamente la protagonista: Karou è coraggiosa, curiosa e tenace, si dimostra su tutta la linea ben più interessante dell’ “altra” protagonista, Madrigal. Questo rende purtroppo un po’ tediosa la seconda parte del romanzo, in cui la storia di Madrigal è al centro della narrazione, e con lei il suo carattere ben più debole e volubile rispetto a Karou, seppur rimanendo un personaggio positivo e votato al bene. Con Akiva è tutt’altra storia, perché il suo personaggio rimane sempre all’ombra delle due protagoniste e risulta pertanto totalmente dipendente da loro, inoltre per ben due volte abbandona la sua cosiddetta famiglia per un amore ingigantito dalla sua fantasia, senza curarsi del dolore che lascerà dietro di se.
  Le storie d’amore in questo romanzo sono un po’ sotto tono e se ne caso di Karou e Akiva ciò può essere giustificato dalla rapidità con cui procede, che pare più una sorta di predestinazione, per Madrigal e Akiva sembra invece che tutto sia basato solo su un’attrazione di tipo fisico, praticamente un colpo di fulmine senza alcuna motivazione più profonda alla base.
  Vorrei inoltre dare il giusto credito alla brillante caratterizzazione dei comprimari, in prmis Sulphurus e il suo gruppo di fedeli, che presentano un volto decisamente umano del mondo delle chimere, nonché la “coppia” formata da Izîl e Razgut, grottesco duo capace di mostrare le estreme conseguenze per quelli che cercano di ottenere troppo da un patto con il diavolo.

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  Karou è una vera artista!

venerdì 5 maggio 2017

Cosa sto leggendo? - 5 maggio 2017

Cosa sto leggendo?

5 maggio 2017


In questo mese meraviglioso (si capisce, c'è il mio compleanno), le letture ci fanno viaggiare nel passato, tra streghe, spie e caste fanciulle.
  1. "Cursed" di Jessica Spotswood, un bel mix tra romance, fantasy e romanzo storico, seppur il New England di cui si legge qui sia ben distante dalla realtà; avendo apprezzato il primo volume di questa trilogia, spero che questo sequel mi intrattenga e intrighi allo stesso modo.
  2. "La cruna dell'ago" di Ken Follett, un ottimo thriller storico ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, ma incentrato maggiormente sulle strategie militari e sull'importanza della rete spionistica; purtroppo, avendo letto in precedenza lavori più recenti di Follett, sono un po' delusa dallo stile.
  3. "Pamela" di Samuel Richardson, grande classico della letteratura inglese, che all'epoca fece molto parlare di se; nella penisola italica è noto soprattutto per aver ispirato la serie TV "Elisa di Rivombrosa".