lunedì 28 agosto 2017

Prova d’inciviltà umana - Recensione a "Cecità" di José Saramago

Prova d'inciviltà umana

Recensione a "Cecità" di José Saramago



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Cecità
AUTORE: José Saramago
TITOLO ORIGINALE: Ensaio Sobre a Cagueira
TRADUTTORE: Rita Desti
EDITORE: Feltrinelli
COLLANA: Universale Economica
PAGINE: 280

IL COMMENTO

  È raro trovare una copertina capace di illustrare in pieno il contenuto di un romanzo, così da catturare già da lontano il potenziale lettore, farlo avvicinare allo scaffale per la curiosità ed infine accompagnarlo nella lettura. Molti romanzi presentano copertine anonime o per nulla pertinenti alla storia, soprattutto se si tratta di volumi tradotti, ma la Feltrinelli ha fatto centro con “Cecità”.
  Pur essendo molto semplice e delicata, la copertina rappresenta alla perfezione la storia che attende il lettore qualche foglio più in là; il bianco un po’ sporco di fondo per la vista annullata delle persone affette dal mal bianco, le figure nere in fila indiana a raffigurare gli anonimi protagonisti e la donna alla testa della fila altri non è se non la più sventurata tra tutti: l’unica dotata della vista in un mondo da incubo abitato da soli ciechi.
  Il capolavoro di Saramago presenta una trama quasi fantascientifica, non fosse che il raziocinio viene ben presto messo da parte, sia dall’autore sia dai suoi personaggi. In un paese senza nome, un uomo diventa improvvisamente cieco e, in poco tempo, questa “malattia” contagia tutti coloro che gli stanno vicini, diffondendosi ovunque con un effetto domino. Come detto, non viene dato molto spazio ai tentativi di studiare le origini di questa strana epidemia, se non le ricerche fatte da un oculista nei primi capitoli.
  Se da un lato la scienza sembra inerte, non lo è almeno in un primo momento il governo, che subito tenta di arginare il problema rinchiudendo in un manicomio tutti i contagiati ed i potenziali tali. Qui si (ri)trovano a convivere forzatamente i protagonisti, rimanendo comunque celati alla vista del lettore, che su questo aspetto è cieco quanto loro: di nessuno sappiamo infatti il nome né l’aspetto, se non per qualche dettaglio marginale, e abbiamo giusto un paio di informazioni riguardo il loro passato.
  Pur privato dei dati basici sui protagonisti, che è costretto ad identificare con appellativi come “la ragazza con gli occhiali scuri” o “il vecchio con la benda nera”, il lettore finisce per affezionarsi a loro e a preoccuparsi per la loro sorte.
  La decisione del governo ha conseguenze estreme: ormai abbandonati a se stessi, i ciechi danno vita ad una società primitiva in cui ognuno si preoccupa innanzitutto del proprio benessere, mentre si vanno perdendo prima la razionalità e poi le relazioni. In questo neonato stato nello stato, si evidenziano due estremi: da un lato chi tenta di imporre un dominio tirannico, dall’altro l’affettuoso rapporto tra una giovane ragazza ed un bambino rimasto orfano a causa della cecità.
  Proprio questa cecità permette di analizzare gli aspetti peggiori di un’umanità mutilata in una sua abilità imprescindibile: si perdono igiene e decoro, e neppure il lato “positivo”, ossia l’impossibilità di vedere direttamente fino a quali bassezze si può arrivare, riesce a dare un po’ di calore al bianco abbacinante. A mio avviso poi, la cecità è perfetta per l’ambientazione contemporanea, ma poteva essere rimpiazzata da un’antica peste o da una futuristica apocalisse zombie.
  Per quanto riguarda lo stile, devo confessare che questo è il mio primo approccio a questo autore e mi ci è voluto qualche capitolo per apprezzare la particolare narrazione; Saramago utilizza esclusivamente il discorso indiretto libero ed è spesso necessario rileggere le battute dei personaggi per comprenderle al meglio. Altra particolarità di questo romanzo è la presenza di moltissimi proverbi nel testo e la narrazione che ricorda una cronaca in diretta commentata.
  I temi trattati da Saramago sono vari e spaziano dalla riflessione sui sentimenti umani, ai limiti della civiltà contemporanea, a riferimenti religiosi: da un certo punto di vista, quanto accade ai protagonisti e agli altri ciechi potrebbe essere interpretato come una prova alla quale un Dio rapido all’ira ha scelto di sottoporre l’intera umanità, con il conseguente, irrimediabile fallimento di quest’ultima.
  Ovviamente, Dio è facile anche al perdono, ma questo non riesce a cancellare dalla nostra mente il messaggio di fondo: sono proprio gli elementi che ci definiscono come esseri civili a poter diventare il principio della nostra rovina.

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lunedì 21 agosto 2017

Cronaca di un’esecuzione annunciata - Recensione a "Il miglio verde" di Stephen King

Cronaca di un'esecuzione annunciata

Recensione a "Il miglio verde" di Stephen King



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Il miglio verde
AUTORE: Stephen King
TITOLO ORIGINALE: The Green Mile
TRADUTTORE: Tullio Dogner
EDITORE: Sperling & Kupfer
COLLANA: Pickwick
PAGINE: 560

IL COMMENTO

  Se questo fosse un fumetto di supereroi, il gigantesco John Coffey con i suoi misteriosi poteri sarebbe di certo il coraggioso eroe protagonista, pronto a salvare gli indifesi abitanti di una metropoli. “Il miglio verde” è invece un romanzo in grado di raccontare il lato peggiore dell’umanità, e di trasformare un potenziale eroe in un essere tormentato non solo da coloro che tenta di aiutare, ma anche dalle sue stesse abilità.
  L’ambientazione da sola conferisce alla storia un’atmosfera cupa e angosciante: siamo in un penitenziario statunitense negli anni ’30, per la precisione nell’ala destinata ai prigionieri in attesa della pena capitale. L’autore gioca sulla continua tensione dal momento che tra i protagonisti ci sono appunto alcuni condannati a morte, e per il loro destino non ci sono più garanzie che per quello delle guardie di sorveglianza. Tra queste troviamo la voce narrante degli eventi, il capocerbero Paul Edgecombe che, una volta anziano decide di raccontare la storia di uno straordinario detenuto, ossia proprio il gigante John Coffey.
  La vicenda si svolge quindi su due piani temporali: da un lato troviamo Paul nella casa di riposo, deciso dopo molti anni a mettere nero su bianco gli incredibili eventi avvenuti nel penitenziario nell’autunno 1932; dall’altro lato abbiamo un Paul decisamente più giovane che, affiancato da un affiatato gruppo di fedeli guardi (nonché fidati amici), si impegna ad accompagnare nel modo migliore i condannati verso Old Sparky, come viene affettuosamente chiamata la sedia elettrica.
  La trama si focalizza in special modo sulla detenzione di Del un vecchio cajun che riesce ad ammaestrare il topo noto come signor Jingles, Wharton un emule di Billy the Kid folle e privo di rimorsi, e il già menzionato Coffey. Sebbene tutti gli eventi siano narrati dal punto di vista di Paul, a mio avviso è John Coffey il vero protagonista, pur con la sua silenziosa presenza.
  Sebbene presentino in molti casi degli atteggiamenti peculiari, tutti i personaggi risultano credibili e ridimensionabili. King riesce a mantenere sempre la verosimiglianza dei personaggi, in particolare quando delinea la figura dell’anziano Paul e il suo caratteristico ripetersi creando un po’ di confusione nella time-line; nonostante ciò, l’ex guardia riesce a mantenersi lucido anche mentre racconta scene a dir poco sovrannaturali, capaci di far perdere il lume della ragione a chiunque.
  Nella commovente parte finale, King concede al lettore una rapida occhiata al destino dei personaggi, e da’ nuovamente prova della sua abilità nel genere thriller con alcuni colpi di scena da maestro.
  Tra i personaggi è però d’obbligo annoverare anche il signor Jingles e Old Sparky; seppur non siano delle persone in senso stretto, Paul parla di loro con tanto affetto e tanta umanità da creare l’illusione che possano esserlo, anche perché viene concesso ad entrambi molto spazio nella storia, a volte con capitoli interamente dedicati.
  La particolare struttura del romanzo ha una sua storia (ben illustrata dallo stesso King nell’introduzione) e deriva dai grandi classici ottocenteschi che venivano pubblicati in modo frammentario, su riviste od opuscoli; all’epoca della prima edizioni, “Il miglio verde” venne appunto diviso in sei parti, ognuna con un piccolo cliffhanger finale.
  Questa scelta, che ha le sue origini in particolare nei capolavori di Dickens (citato non a caso nel romanzo), compromette però la lettura una volta unificato il volume: il riepilogo di Paul all’inizio di ogni parte è utile per una lettura spezzettata, ma non per una continuata, dove risulta quasi pedante. Inoltre nella prima parte non è presente alcuna suspense sul finale e il tutto risulta essere quasi una lunga introduzione.
  Ottimi i brevi extra in cui King parla dell’ispirazione per il romanzo e di alcuni delle scelte narrative: da leggere assolutamente.

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venerdì 11 agosto 2017

Sulle tracce (indiane) di Mary - Recensione a "Se fossi una strega" di Celia Rees

Sulle tracce (indiane) di Mary

Recensione a "Se fossi una strega" di Celia Rees



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Se fossi una strega
AUTORE: Celia Rees
TITOLO ORIGINALE: Sorceress
TRADUTTORE: Beatrice Masini
EDITORE: Salani
COLLANA: Biblioteca Economica
PAGINE: 270

IL COMMENTO

  A soli due ani dalla pubblicazione de “Il viaggio della strega bambina” (QUI la recensione), Celia Rees decise di dare un seguito alle avventure di Mary, anche se sarebbe sbagliato parlare di un vero e proprio sequel. In “Se fossi una strega”, il primo volume si presenta infatti come un libro nel libro, con Alison -la curatrice delle Carte di Mary- alla ricerca di altre notizie su Beulah ed i suoi abitanti.
  La storia di Mary riprende da dove si era bruscamente interrotta: la ragazza è in fuga dal villaggio dei puritani che la reputano una strega e cerca rifugio nei boschi; a salvarla saranno Penna Azzurra e Aquila Bianca, gli indigeni che già l’avevano aiutata nel primo capitolo e che lei sceglierà di seguire, abbandonando i costumi europei per entrare a far parte della loro tribù. Per narrare questi eventi, l’autrice adotta una nuova tecnica, da me affatto apprezzata.
  Se le Carte di Mary ed il loro viaggio nella vecchia trapunta erano in grado di trasmettere un senso di Storicità, pur nella loro palese finzione, in questo seguito la Rees preferisce accantonare i (falsi) documenti storici e seguire la via del misticismo. Entra così in scena Agnes, una giovane indiana dei giorni nostri, connessa da un forte legame alla sua antenata Mary, tanto che la lettura de “Il viaggio della strega bambina” la porta a rivivere in trance tutta la vita della presunta strega.
  Sebbene la trama segua per intero le vicende di Mary, il lettore non incappa in nessun evento tanto sorprendente da non poter essere intuito già dal finale del primo volume, dove veniva appunto ventilata la possibilità che la giovane si unisse ai pellerossa, senza far più ritorno tra gli occidentali. Mi sarei inoltra aspettata maggiori collegamenti al tempo trascorso da Mary a Beulah: sotto questo aspetto, il seguito è davvero superfluo, anche per i lettori che hanno molto apprezzato il primo volume.
  Per quanto riguarda i personaggi, viene offerta al lettore un’ottima introspezione di Mary, mentre tutte le persone con le quali interagisce vengono presentate attraverso le sue percezioni ed emozioni, quindi non se ne ottiene un quadro molto dettagliato.
  Anche i personaggi della story-line ambientata nel presente sono abbastanza abbozzati, perfino Agnes che dovrebbe essere invece una sorta di coprotagonista; a spiccare per il suo carisma è soltanto zia M, sebbene i suoi “poteri” di preveggenza finiscano più volte per anticipare a tal punto gli eventi da far perdere dei frammenti narrativi al lettore.
  L’elemento magico è un altro aspetto del romanzo che non ho affatto gradito. Rispetto a “Il viaggio della strega bambina”, qui la magia viene presentata sotto una luce del tutto diversa: da mera percezione di una ragazzina suggestionata dalle storie ascoltate e dal particolare ambiente in cui vive, si trasforma in qualcosa di reale e tangibile. A dispetto del fuorviante titolo italiano, Mary è ben consapevole di essere dotata di poteri speciali e ad essi fa ricorso vari volte nel volume, sia per fini utili come nascondersi nella nebbia durante un fuga, sia per scopi meno nobili come nel caso di una maledizione scagliata contro il bersaglio della sua vendetta.
  Risulta quindi evidente che questo libro non può essere valutato senza affiancarvi e paragonarvi il precedente; da un’analisi generale, sia per i temi affrontati sia per il tono adottato, si evidenzia come questo romanzo sia pensato per un pubblico più maturo.
  A favore dell’autrice mi sento in dovere di citare l’abilità nel delineare scene ricche di emozione, seppur con un linguaggio semplice ed immediato, e l’eccellente conoscenza che dimostra di possedere: sulla storia del Nord America ai tempi dei primi coloni europei e sulla cultura delle varie tribù indiane, nel passato come ai giorni nostri.
  Desidero infine menzionare come la Rees, sempre per mezzo di Alison, abbia deciso di ricorrere al metodo dei “documenti ritrovati” per far conoscere al lettore il destino degli altri personaggi del primo capitolo, seppure in modo nettamente separato dalla narrazione.

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giovedì 3 agosto 2017

Cosa sto leggendo? - 3 agosto 2017

Cosa sto leggendo?

3 agosto 2017



Spesso mi capita di farmi un’idea su un libro ben prima di averlo terminato, disponendo pregi e difetti sui piatti di una bilancia immaginaria. Questo mese però i libri in lettura si stanno rivelando ricchi di pro e contro, cosa che mi rendere molto indecisa su come valutarmi.
  1. "Bellezza crudele" di Rosamund Hodge, un fantasy dalla trama straripante di riferimenti e dettagli perfettamente superflui, ma al contempo con quel pizzico di mistero che riesce ad incuriosirmi ed a tenere viva la suspense.
  2. "La sposa dell’inquisitore" di Jeanne Kalogridis, un ottimo romanzo storico, soprattutto per come sono resi attuali eventi tanto lontani nel tempo; ad appesantire la bilancia sul lato opposto è però la lentezza eccessiva con cui si sviluppano le vicende.
  3. "Il mondo nuovo - Ritorno al mondo nuovo" di Aldous Huxley, un grande classico della narrativa distopica che delinea uno scenario affascinante e terribile a tempo stesso; purtroppo il volume perde un po’ di vista il suo fine originario per dedicarsi alle storie personali dei personaggi.