mercoledì 28 giugno 2017

L’Italia spiegata ai francesi - Recensione a "La Certosa di Parma" di Stendhal

L'Italia spiegata ai francesi

Recensione a "La Certosa di Parma" di Stendhal


LA SCHEDA TECNICA 

TITOLO: La Certosa di Parma
AUTORE: Stendhal

TITOLO ORIGINALE: La Chartreuse de Parme
TRADUTTORE: Ferdinando Martini
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Minimammut
PAGINE: 350

IL COMMENTO


  L’ambientazione, la splendida penisola italiana. I temi trattati, storie d’amore, intrighi politici e noti casi giudiziari. Tra i personaggi fanno la loro comparsa Conti e Giletti, Grillo e Bossi. A dispetto delle apparenze, non parlo di qualche famoso talk show televisivo, ma de “La Certosa di Parma”, forse l’opera più nota di Stendhal.
  Incredibilmente scritto in meno di due mesi (e a tratti, il testo ne risente), il romanzo narra la storia del nobile Fabrizio del Dongo, partendo da alcuni anni prima della sua nascita, quando l’esercito di Napoleone calò sulla Lombardia, con immenso dolore per il marchese suo padre.
  Fabrizio è guidato invece da ben alti ideali, tanto da scappare di casa per unirsi alle truppe francesi; decisione che sarà poi la causa scatenante della maggior parte degli eventi più importanti della sua vita, come la spinta data ad una fila di tessere del domino.
  Le conseguenze di un gesto impulsivo compiuto in giovane età, porteranno Fabrizio a viaggiare un po’ in tutta Italia, divisa all’epoca in principati, regni e territori sotto il controllo di potenze straniere. Questo da un lato permette all’autore, almeno una volta per capitolo, di soffermarsi per chiarire ai suoi conterranei qualche “bizzarria” italica, ma dall’altro concede al lettore di ammirare le accurate descrizioni delle superbe ambientazioni che fanno da sfondo alle vicende, in primis i suggestivi laghi della Lombardia.
  Negli anni, Fabrizio verrà perseguitato dai suoi errori e anche da una buona dose di sfortuna, ma senza cambiare molto fino al fatale imprigionamento nella torre Farnese, luogo in cui il suo carattere muterà sensibilmente: da giovane impulsivo e focoso, a uomo adulto in grado di scindere tra veri desideri e frivoli capricci.
  Quello dei desideri è un punto focale in tutto il volume, perché la maggior parte dei personaggi è guidata da essi, spesso a discapito del prestigio materiale o del denaro.
  Ad attorniare il protagonista troviamo infatti una ricca schiera di altri personaggi, di cui solo i principali sono attentamente caratterizzati, mentre gli altri risultano per lo più macchiettistici. In confronto ai personaggi maschili, quelli femminili sono poi i più interessanti, nonché quelli analizzati in modo maggiormente accurato. Tra tutti, brillano la duchessa Sanseverina e Clelia Conti, sebbene Stendhal non tralasci di riservare spazio per un’intrigante antagonista come la marchesa Raversi.
  La Sanseverina è di certo una vera Drama Queen, sicura del suo potere, specie sul genere maschile, e sempre pronta a farne uso per il suo tornaconto. Nonostante la sua frivolezza e le tante azioni non proprio encomiabili, risulta a conti fatti il personaggio più divertente e, a mio avviso, la si potrebbe pensare la vera protagonista.
  Anche Clelia ricopre un ruolo fondamentale, sebbene la sua assenza per buona parte del romanzo renda arduo per il lettore affezionarsi a lei. Ho trovato abbastanza emozionante la sua relazione con Fabrizio, specie negli ultimi capitoli: inizialmente la loro storia mi ha portato alla mente alcuni moderni romance, con un lui bello, dannato e in genere donnaiolo incallito, che viene “redento” da una lei ingenua, pia e solitaria.
  A discapito dell’opera, oltre la solita edizione Newton Compton di bassa qualità (traduzione datata, errori di mancata revisione, assenza di note esplicative), vorrei segnalare soltanto come le parti descrittive risultino molto inferiori alle poche dialogate, fatto che rende un po’ ostica la lettura.
  Altra nota dolente, sebbene si tratti di un mio gusto personale, è il frettoloso finale in cui viene citato, a ragione, Shakespeare: dopo una lunga commedia, si termina con un vero dramma.

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  Dichiamo che un po' se l'è cercata!

mercoledì 21 giugno 2017

Una matrioska di emozioni - Recensione a "Non lasciarmi" di Kazuo Ishiguro

Una matrioska di emozioni

Recensione a "Non lasciarmi" di Kazuo Ishiguro


LA SCHEDA TECNICA 
TITOLO: Non lasciarmi

AUTORE: Kazuo Ishiguro

TITOLO ORIGINALE: Never Let Me Go
TRADUTTORE: Paola Novarese
EDITORE: Einaudi
COLLANA: Super ET
PAGINE: 290

 
IL COMMENTO

  Capita di rado di imbattersi in libri come questo: storie che spingono a riflettere sui sentimenti, sull’etica, sulla civiltà e su se stessi. Storie che ti entrano nel cuore, e lì rimangono sempre.
  “Non lasciarmi” è un romanzo in grado di canalizzare l’attenzione del lettore, senza una traccia di banalità. Lo stile è di certo ricercato, ma riesce nel contempo a mantenersi semplice e scorrevole.
  La maestria con cui si delinea l’intreccio narrativo è il maggior pregio del capolavoro di Ishiguro, senza dimenticare le descrizioni che permettono al lettore di essere davvero partecipe alla scena.
  Dopo tante e meritate lodi, vi stupirà sapere che non mi sento di consigliare questo volume. O meglio, non credo sia una lettura per tutti perché, sebbene la narrazione si tenga quasi sempre lontana da eventi tragici, il lettore scoprirà a poco a poco una realtà molto cruda e crudele: di certo inadatta a chi è troppo sensibile.
  Gli eventi vengono narrati direttamente dalla protagonista, in quello che a tratti sembra la trascrizione di un monologo; come se Kathy tentasse di farci pervenire la sua testimonianza, la sua memoria.
  Come accennato, l’ambientazione viene presentata come una realtà a noi familiare; l’autore svela la verità molto lentamente, e questa scelta permette al lettore di essere mentalmente pronto al momento della rivelazione.
  La decisione di centellinare le informazioni ha inoltre riscontro nella sequenzialità della narrazione: dal momento che il volume è suddiviso in tre parti, ossia nelle tre fasi di vita della protagonista (l’infanzia a Hailsham, la giovinezza nei Cottages e l’età adulta sempre in viaggio a causa del lavoro), il lettore si ritrova a crescere assieme a lei, e ad acquisire per gradi la consapevolezza del suo destino.
  Sebbene il romanzo affronti tutti i momenti più importanti nella vita di Kathy, esso mantiene una grande frammentarietà a livello cronologico, che comunque va attenuandosi mano a mano che la protagonista cresce.
  La vediamo quindi bambina nel collegio di Hailsham, dove stringe una forte amicizia con gli altri due protagonisti, Ruth e Tommy. Tra i ragazzi si crea un legame empatico in grado di resistere agli anni in cui saranno lontani, e di superare indenne sciocchi screzi e grandi litigi.
  Giunge poi il periodo di convivenza nei Cottages con altri ragazzi, ed è allora che i protagonisti iniziano a percepire i limiti importi alle loro vite. Va notato che l’atroce destino a cui andranno incontro, qualcosa quasi inconcepibile per la nostra mente, li porta a riflettere e confrontarsi, ma è ormai diventato un concetto troppo a fondo radicato nella loro psiche perché ne possano comprendere il vero significato.
  Questo si esplica con maggiore chiarezza quando Kathy intraprenderà la carriera di assistente: il lettore rimane a dir poco stupefatto che nessuno dei cosidetti “donatori” si ribelli a quanto gli viene imposto, che nessuno tenti di fuggire alla sua sorte, che nessuno provi davvero a crearsi un’alternativa di vita.
  A rendere ancor più peculiare questo romanzo è il suo stile, o meglio la “voce” che l’autore assegna alla narratrice; Kathy non si limita a raccontare, ma spesso si interrompe per rivolgersi direttamente al lettore e spiegargli qualcosa di cui non può essere al corrente.
  In alcuni casi, la narrazione di un determinato evento viene inframmezzata dal racconto di alcuni aneddoti, utili ad inquadrare il contesto E il lettore ha la sensazione di essere il tra pubblico, durante uno splendido monologo teatrale.

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  Norfolk's Got Talent!

martedì 13 giugno 2017

Se scappi ti sposo (zoppicando) - Recensione a "La resa di Piers" di Eloisa James

Se scappi ti sposo (zoppicando)

Recensione a "La resa di Piers" di Eloisa James


LA SCHEDA TECNICA 

TITOLO: La resa di Piers

AUTORE: Eloisa James

TITOLO ORIGINALE: When Beauty Tamed the Beast
TRADUTTORE: Bertha Smiths-Jacob
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar bestsellers - Emozioni
PAGINE: 350


IL COMMENTO

  Per questo scempio letterario che osa definirsi un romanzo, la mia ira (funesta, ma non troppo) si abbatterà per prima sull’edizione italiana della Mondadori. Si potrebbe partire dal titolo che non solo è del tutto scollegato da quello originale, ma anticipa il -prevedibile- finale; mi hanno ben più stupito gli errori a profusione nei primi capitoli, certo dovuti ad una mancata revisione che non posso perdonare ad un editore come la Mondadori.
  Altra pecca è stata la scelta di pubblicizzare in copertina la storia come una rilettura de “La Bella e la Bestia”, mentre è l’autrice stessa nelle note a chiarire che è stata solo un’ispirazione marginale. Pertanto, se come me leggerete il volume sperando di rivivere le emozioni della fiaba originale, preparateci ad un’amara delusione.
  La storia non è ambientata in Francia, bensì in Gran Bretagna, prima a Londra e poi nel selvaggio (?) Galles; la “Bella” Linnet, figlia unica di un nobiluomo, dà scandalo quando una serie di ridicoli equivoci fanno pensare ad una sua gravidanza, ad opera niente meno che di un principe. La trama ci porta poi rapidamente al fidanzamento riparatore con la “Bestia”, il conte Piers, e ai prevedibili siparietti tra i due atti a mostrare quanto siano incompatibili.
  Dopo averci presentato un gruppo di ammiratori-fantocci a cui Linnet dovrebbe preferire il conte, la James accelera di nuovo e arriva all’innamoramento dei due piccioncini, senza spendere due righe in un po’ di introspezione: tutto il preludio sulla supposta “bestialità” del conte si rivela un blando stratagemma per allungare la storia, dal momento che la “Bella” non sembra mai disgustata dal suo aspetto, e ben poco dai suoi modi. L’autrice tenta poi una svolta tragica per farci capire quanto è forte l’amore tra i protagonisti, ma l’intreccio narrativo è scontato al punto di poter indovinare al volo dopo si voglia andare a parare.
  I protagonisti non potrebbero essere più lontani dalle loro controparti fiabesche. Sebbene voglia apparire determinata, Linnet è una ragazza debole nelle sue scelte, e viene quasi sempre tiranneggiata dagli altri, che le impongono i loro desideri: non sfida mai apertamente chi la contrasta, ma preferisce nascondersi e delegare ad altri le incombenze. D’altro canto, Piers è un personaggio più riuscito ed sfaccettato, ma per nulla adatto nel ruolo della “Bestia”; sembra piuttosto un maleducato, iroso e pieno di rancore. Tra i comprimari un paio spiccano come potenzialmente interessanti, ad esempio Zenobia, Prufrock o Sébastien, ma vengono tutti accantonati in favore della relazione tra il duca di Windebank e lady Bernaise, se possibile ancor più melensa di quella dei due protagonisti.
  A favore della James posso annoverare soltanto lo stile scorrevole, che a tratti tenta qualche fiacco salto di qualità, e gli sparuti riferimenti al mondo delle fiabe sparsi un po’ in tutto il testo: un’idea carina seppur poco originale. L’autrice commette però un azzardo quando sceglie un’ambientazione storica che poi non è evidentemente in grado di gestire, e lo mettono in chiaro i dialoghi decisamente inadatti ai primi anni dell’ottocento.
  Il vero problema del romanzo è il suo non essere un vero romanzo: per tutta la lettura ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad una fan-fiction adattata per l’editoria, pratica comune oggigiorno, ma solo nelle note finali ho avuto conferma che l’autrice si è ispirata -non proprio velatamente- al personaggio di Gregory House, protagonista della serie TV “Dr. House”, per il suo Piers.
  Da ultimo mi sono riservata il peggio, ossia i messaggi sbagliati che il libro riserva al lettore: ad un romanzo d’intrattenimento si può perdonare la frivolezza, ma non certo la ripetizione continua di concetti quasi malati. Mi riferisco innanzitutto all’eccessiva possessività di Piers, specie quando lui rimarca ogni due per tre i suoi diritti su Linnet; questa è oggettificazione, non certo l’amore incondizionato a cui ammicca la James. L’altro concetto errato riguarda la nostra protagonista, che cade vittima della sua stessa “bellezza”, tanto da credere che la si ami solo in virtù di quest’ultima. L’imbeccata è de principio valida, ma si risolve in un nulla di fatto quando diventa chiaro che la “Bella” sarà per sempre tale.

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