venerdì 31 luglio 2020

Wrap-Up - Letture di luglio 2020

Wrap-Up - Letture di luglio 2020



Andiamo a riepilogare le letture di questo mese che, pur essendo abbastanza numerose e variegate, non mi hanno del tutto conquistata neppure nei titoli migliori. Ma tranquillizzatevi, perché le delusioni non sono comunque mancate!


Dopo parecchi mesi sono finalmente riuscita a continuare la trilogia The Young Elites di Marie Lu con il secondo volume "The Rose Society", che rispetto al primo capitolo ho trovato decisamente più lento e prevedibile, ad eccezione della parte finale in cui l'autrice si è dimostrata nuovamente capace di rimescolare le carte in tavola e lasciare noi lettori con molti dubbi su dove andrà a parare il terzo e ultimo libro della serie.

La struttura del romanzo rimane pressoché invariata, con il solo POV di Enzo che viene rimpiazzato da quello della regina del Beldain Maeve. Nella prima parte del volume le diverse storyline sono un po' troppo divise e bisogna aspettare diversi capitoli prima di cominciare a vedere il quadro generale: da un lato abbiamo Teren impegnato a schiavizzare ed uccidere i malfetto come un novello Hitler, e Raffaele che -portati i rimanenti Daggers al di là del mare- si prepara a muovere contro Giulietta e i suoi inquisitori, mentre nel POV principale vediamo Adelina e Violetta nell'isola di Merroutas alla ricerca di Elites pronti ad allearsi con loro.

Una volta superata questa prima parte, la trama acquisisce un ritmo gradevole, seppur i sogni, le illusioni e i sussurri nella testa della protagonista facciano a gara per allungare inutilmente il brodo. Sono presenti anche alcune scene molto telefonate (come il reclutamento dei mercenari del Night King) o fin troppo convenienti per portare la trama in una certa direzione.

Ho apprezzato i nuovi personaggi introdotti in questo capitolo, in particolare Magiano sembra un buon bilanciamento tra spigliatezza e cinismo; mi dispiace invece che Violetta sia stata quasi sempre ridotta ad un personaggio di contorno: l'autrice avrebbe potuto sfruttarla di più, invece di trasformarla in una mera shipper della sorella.

Nonostante questi -e parecchi altri- difetti, la serie si mantiene coerente con il messaggio di partenza. Speriamo solo in una degna conclusione, che confermi il coraggio narrativo dimostrato finora dall'autrice.

Il mio voto è di due stelline e mezza.



Seguendo la mia TBR -nonché l'elenco dei dieci autori che mi ero ripromessa di leggere quest'anno- ho affrontato poi "Le Gazze Ladre" di Ken Follett, la sua ennesima storia di spionaggio militare ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. La lettura è stata una serie di montagne russe tra aspetti molto gradevole ed altri decisamente negativi: nel complesso ho dato tre stelline al volume e ne ho scritto una recensione che potete trovare QUI.



Come terza lettura ho affrontato il classico di questo mese che, per una volta mi ha portato verso un genere letterario lontano dai miei gusto: le raccolte di racconti o di novelle. Per fortuna con J.D. Salinger non si può sbagliare, e devo ammettere di aver apprezzato quasi tutti i suoi "Nove racconti". Trovate QUI la mia recensione completa, senza spoiler nonostante la brevità delle storie, mentre il mio voto globale è quattro stelline e mezza.



Sono poi riuscita a terminare la serie Chocolat di Joanne Harris con il terzo capitolo "Il giardino delle pesche e delle rose", rose che non ho capito dove abbia visto chi ha scelto la traduzione del titolo, ma l'importante è aver finito una trilogia che ho trovato decisamente tediosa da leggere.

In realtà non sarebbe una trilogia perché nel frattempo l'autrice ha pubblicato un quarto libro, ma possono essere letti tutti come degli stand-alone: ognuno si concentra su una storia a parte e se ci sono riferimenti agli altri volumi la Harris fornisce comunque tutte le spiegazioni del caso.

In questo terzo romanzo vediamo il ritorno di Vianne con le sue figlie a Lansquenet, in teoria per una breve vacanza ma in realtà portata dal vento, per giungere come sempre a risolvere i problemi di tutti; su questo aspetto mi trovo inquietantemente d'accordo con Paul-Marie quando deride la tendenza della protagonista a voler fare l'eroina, a volte perfino non richiesta. La trama presenta una forte componente mistery, concentrandosi particolarmente su chi stia creando tensione tra gli abitanti del paese e i maghrébins che popolano Les Marauds, arrivando anche a compiere azioni criminali come incendi dolosi ed aggressioni fisiche.

Questa scelta ha permesso di dare più concretezza e logica alla storia, cosa che ho apprezzato, come pure -inaspettatamente- i capitoli dal punto di vista di Francis, che si alternano a quelli di Vianne. Il ritorno dei loro due POV non è l'unica somiglianza con "Chocolat" (ne parlo QUI) che nel testo viene citato di continuo, con tanto di personaggi pronti a rimpiazzare i defunti o chi è ormai cambiato, oppure assurdità alle quali l'autrice ci ha abituati, come l'assenza delle forze dell'ordine o i pettegolezzi prima criticati e poi sfruttati ipocriticamente da parte di Vianne.

Anche la tematica dell'accettazione di una cultura diversa viene ricalcata sul modello di quanto successo anni prima con i vagabondi del fiume, ma in questo caso il tutto ha un'aria molto pesante perché la diffidenza verso i musulmani non è data da problematiche sociali o economiche bensì dalla mera differenza religiosa; non dico sia una situazione surreale ma ai giorni nostri è un aspetto secondario rispetto agli altri, tanto che il libro sembra ambientato almeno un paio di decenni fa.

Nel complesso il romanzo non porta nulla di nuovo alla storia, se non nell'epilogo, ma per chi ha trovato piacevoli i volumi precedenti può essere una lettura gradevole, un altro capitolo nella vita di Vianne Rocher, novella Batman sempre pronta ad intervenire quando il Batsegnale ventoso si fa sentire.

Il mio voto è di tre stelline.



Per concludere la mia TBR del mese ho letto "The Female of the Species" di Mindy McGinnis, un thriller psicologico che trasmette tra le righe anche molti messaggi positivi per il target YA al quale si rivolge, tanto da essersi inaspettatamente meritato quattro stelline e mezza. Per saperne di più, trovare QUI il mio commento dettagliato per un romanzo che purtroppo non è ancora arrivato in Italia.



Dopo anni di paziente attesa sugli scaffali della mia libreria, ho finalmente deciso di dare spazio ad una serie di Joe Abercrombie, autore che avevo la quasi certezza di apprezzare perché viene spesso accostato a Mark Lawrence. Sto parlando della trilogia La prima legge (o meglio, la prima trilogia ambientata in questo vastissimo mondo fantastico), e più in particolare de "Il richiamo delle spade".

Il romanzo viene narrato in terza persona ma concentrando il focus sui tre personaggi principali, affiancati da altri tre secondari, a parte i capitoli più importanti che hanno dei paragrafi alternati al loro interno; ciò non crea alcuna confusione durante la lettura, aiuta anzi a capire meglio la caratterizzazione che è l'aspetto del libro sul quale l'autore ha dato maggiormente attenzione. Per contro, la trama viene un po' trascurata, limitata al solo riunirsi dei protagonisti nella città di Adua da dove partiranno alla fine del volume per la missione vera e propria. Questo non si traduce necessariamente in un ritmo lento perché i personaggi sono talmente carismatici e dinamici che non si trova tempo per annoiarsi.

Ho trovato estremamente coinvolgente la narrazione di Abercrombie, in particolare nelle molte scene di combattimenti che vengono descritti sempre in modo chiaro e semplice da seguire, cosa che non si può dire degli spostamenti tra le città e gli Stati perché questi non vengono quasi mai raccontati direttamente. Anche la scelta di adottare spesso un linguaggio scurrile è appropriata dal momento che l'ambientazione ed i personaggi stessi lo contestualizzano perfettamente alla storia.

Pur avendo trovato molto piacevole questo romanzo, devo segnalare qualche difetto che -seppur di poca importanza- non passa inosservato durante la lettura. Partiamo dai diversi info dump nei primi capitoli, che servono comunque poco a dare un quadro chiaro del mondo ideato da Abercrombie vista anche l'assenza di una mappa, e risultano così doppiamente irritanti. Gli amanti dell'epic fantasy noteranno poi parecchie somiglianze con la saga di George R.R. Martin: ci sono personaggi, termini e situazioni molto simili, anche se in alcuni casi la colpa è da imputare alla traduzione (ad esempio, Mastino in originale è chiamato Dogman e non The Hound, come Sandor Clegane).

Reputo fuori luogo l'inserimento dell'Inquisizione, perché pur adottando termini come Eminenza e impiegando la tortura negli interrogatori, non ha effettivamente nulla in comune con la sua omonima storica, quanto piuttosto con quella presente nella serie di Marie Lu: sembrano semplicemente dei poliziotti dai modi un po' bruschi, ma non certo dei ferventi religiosi. Mantengo invece delle riserve sulla sola coppia effettiva del romanzo, perché la loro relazione sembra inserita a forza dall'autore, senza dei sentimenti genuini alla base.

Il mio voto è di quattro stelline.



Infine ho rispolverato una delle mie grandi passioni: la mitologia greca; purtroppo non ho scelto il volume migliore per farlo, perché "Outrun the Wind" di Elizabeth Tammi ha dalla sua un titolo perfettamente azzeccato e un interessante spunto, mentre tutto il resto in questo romanzo chiede a gran voce vendetta alle Erinni.

Il libro si presenta come un retelling del mito di Atalanta, e questa sarebbe stata un'ottima idea se la storia si fosse ambientata ai giorni nostri: ne sarebbe uscito un eccellente romanzo di formazione, con qualche adattamento e togliendo l'elemento soprannaturale delle divinità. Invece la Tammi ha scelto una rivisitazione più tradizionale, con l'aggiunta in un secondo punto di vista ad affiancare quello della celebre eroina, ossia Kahina una Cacciatrice di Artemide che in precedenza era stata anche sacerdotessa veggente di Apollo.

La storia segue a grandi linee il mito originale, in alcuni casi anche forzando un po' gli eventi per rispettarlo (a cosa è servito trasformare Atalanta in un leone per due pagine?), ma si prende comunque delle enormi libertà sia nell'introdurre dei personaggi nuovi sia nel cambiare alcuni dettagli piccoli ma cruciali, come la persona che colpisce il Cinghiale calidonio o la divinità dalla quale Melanione (qui chiamato Ippomene) riceve le tre mele dorate da lasciar cadere durante la gara di corsa.

Come premesso, il romanzo è stato una vera delusione: dei personaggi, solo le due protagoniste sono approfondite un minimo, ma comunque non abbastanza da rendere naturale l'evoluzione della loro storia d'amore che si fa forza anche di cliché oramai stantii come il salvataggio dal tentato stupro, seguito dal momento di avvicinamento; gli altri personaggi sono poco più che comparse e le vere comparse mancano del tutto. Per chi conosce la storia mitologica, lo sviluppo della trama è incredibilmente banale, oltre a risultare parecchio confuso nelle scene di combattimento e ridicolo in quelle ambientate nel palazzo di Iaso (Kahina sbuca fuori dal nulla, mentendo, e viene nominata dama di compagnia!?). E neanche il finale si salva, pur essendoci un tentativo di trasmettere un messaggio positivo.

I due difetti maggiori sono però il preteso femminismo del libro e la snaturazione di alcune figure mitologiche.

Già dalla quarta di copertina, l'editore tiene a farci sapere che questo è un romanzo femminista, peccato che non basti avere delle protagoniste donne e degli antagonisti uomini! Inoltre, visto che il libro affronta il tema della violenza di genere, avrei preferito vedere Atalanta e Kahina rivolgersi a delle figure autoritarie (ad esempio il re, totalmente accantonato) per ottenere giustizia, invece di avvalorare il concetto di "occhio per occhio, dente per dente".

Per quanto riguarda i personaggi del mito, si possono soltanto fare delle grasse risate vedendo Cadmo -eroico fondatore di Tebe- ridotto ad allibratore durante le scene in cui Atalanta organizza un vero e proprio fight club a Delfi o il divino Apollo che deve comprare degli schiavi (trattando pure sul prezzo!) per avere degli oracoli nel suo tempio. Temo però che la risata non fosse l'intento dell'autrice.
Il mio voto è di due stelline.



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martedì 28 luglio 2020

Nessun limite (di genere) alla violenza - Recensione a "The Female of the Species" di Mindy McGinnis

«Who wants to be crushed when you can do the crushing?»

Nessun limite (di genere) alla violenza

Recensione a "The Female of the Species" di Mindy McGinnis


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: The Female of the Species
AUTORE: Mindy McGinnis
TITOLO ORIGINALE: -
TRADUTTORE: -
EDITORE: Harper Collins Publishers
COLLANA: Katherine Teger Books
PAGINE: 350
VOTO: 4 stelline e mezza

IL COMMENTO 


  "The Female of the Species" è un romanzo thriller che affronta tematiche decisamente pesanti, nonostante sia rivolto in modo netto ad un pubblico di ragazzi. Ritengo questa una scelta molto coraggiosa da parte dell'autrice perché spesso si cerca di indorare la pillola quando -negli young adult- si parla di dipendenze, di stupro, o più semplicemente delle difficoltà che si incontrano durante l'adolescenza, mentre lei riesce ad inserire questi temi in modo chiaro e usando un lessico accessibile a tutti.
  La trama è difficile da individuare, infatti il romanzo si concentra prevalentemente sui tre personaggi principali e la loro crescita durante l'ultimo anno di superiori; da un lato abbiamo quindi tutte le problematiche legati alla scelta del college da frequentare l'anno successivo, la ricerca dell'indipendenza dai genitori pur sentendoli ancora vicini, e le relazioni sentimentali che si fanno via via più importanti, dall'altro la storia porta il lettore negli angoli più bui della psiche umana, infatti quella che potremmo identificare come la protagonista, Alex, ha delle enormi difficoltà ad instaurare rapporti con gli altri dopo il rapimento ed il brutale omicidio della sorella maggiore, Anna.
  Ed è proprio di Alex il punto di vista più interessante, seppur sia quello che si concentra meno sugli eventi del presente: tramite lei riusciamo a scoprire cos'è successo dopo la tragedia che ha dato il colpo di grazia alla sua famiglia, ma anche a comprendere tutti i lati del suo carattere. In lei si alternano momenti di rabbia cieca, in cui ogni azione viene eseguita in base ad un contorto senso della giustizia ma senza tener conto delle conseguenze a lungo termine,

«[...] I have to focus stringing together the right words in order to seem normal.»

ed attimi di pace e quasi tenerezza, in particolare quando si occupa degli animali abbandonati del rifugio.

«"It's okay, girl," Alex says, her voice entirely different [...]. It's melodious and gentle, with an undercurrent of emotion I wouldn't have dreamed her capable of.»

  Anche il POV di Peekay è estremamente gradevole: si tratta di un personaggio capace di ispirare un'immediata tenerezza, che però durante il romanzo compie una grande maturazione venendo a patti con i suoi sbagli, oltre ad instaurare un rapporto di amicizia incredibilmente genuino e concreto con Alex, forse più solido di quanto non appaia la storia d'amore tra quest'ultima e Jack.
  Jack è stato invece il punto debole della narrazione, nonché l'unico motivo per cui questo libro non ha raggiunto una valutazione eccellente. Leggendo il suo POV ho avuto una sensazione di déjà vu, perché si tratta della stessa problematica di "In territorio nemico" di S.I.C. (ne parlo QUI), dove due punti di vista ben scritti devono dividere lo spazio con uno decisamente meno gradevole. Specialmente nella prima parte, Jack propina al lettore tutti gli stereotipi più fastidiosi della letteratura YA; ad esempio, nonostante conosca Alex da sempre, di punto in bianco si ritrova innamorato di lei con una sola occhiata,

«I don't think I've ever been this close to her, and when she turns her head, I see how green her eyes are.»

per non parlare di cliché come il-ragazzo-reso-migliore-dall'amore o la ragazza-diversa-dalle-altre, e con questo non voglio sminuire la protagonista ma trovo scorretto togliere la loro individualità a tutte le altre, soprattutto perché si fanno confronti sulla base dell'aspetto e dell'abbigliamento.

«Other girls push the dress code, showing a solid few inches of cleavage or leggings that hug so tight you don't need imagination. [...] But Alex is different, remarkable because her clothes are utterly nondescript.»

Cover cinese
  Fortunatamente, a fare da contraltare alle riflessioni spesso inopportune di Jack abbiamo moltissimi messaggi femministi positivi, che vanno a sdoganare alcuni pregiudizi molto diffusi tra gli adolescenti. Ed incredibilmente è proprio Alex, con la sua logica razionale a parlare liberamente del comportamento malato degli stupratori,

«"I'm telling you, Claire. It doesn't matter. What you were wearing. What you look like. Nothing. [...] Predators go for the easy prey."»

oppure di come non bisogni giudicare il comportamento di una ragazza solo perché vive in modo aperto e disinibito la propria vita sessuale.

«"[Branley]'s not different from you and me; she wants to have sex. So let her."»

  Il romanzo estende queste riflessioni, partendo dal delitto di Anna ed arrivano ad alcuni eventi più piccoli, ma capaci di influenzare in modo decisivo la vita del personaggi, come le scritte offensive nei bagni della scuola o la leggerezza con cui si lasciano correre le molestie,

«But boys will be boys, our favorite phrase that excuses so many things, while the only thing we have for the opposite gender is women, said with disdain and punctuated with an eye roll.»

che diventa vera e propria omertà nei casi più gravi, in un'atmosfera molto simile a quella descritta in "Moxie" di Jennifer Mathieu (ne parlo QUI).
  La narrazione ha un ritmo incalzante, merito anche dello stile scorrevole della McGinnis, che è stata capace al contempo di bilanciare con cura la parte più terrificante della storia, diluendola nel testo e riuscendo a trasmettere l'angoscia in modo sottile, senza dover ricorrere necessariamente ad un lessico scurrile.

«He took her and kept her for a while, put things inside of her. Of course the obvious thing, but also some others, like he was curious if they'd fit.»

Trovo anzi che le parti in cui i riferimenti alla violenza sono soltanto accennati siano quelle più forti emotivamente, assieme al finale che -pur non essendo facile- chiude in modo ciclico ed intelligente questa storia.

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