martedì 31 dicembre 2019

Wrap-Up - Letture di dicembre 2019

Wrap-Up - Letture di dicembre 2019


L’anno si conclude con un mese ricco di sorprese, sia in senso positivo che negativo: diversi romanzi promettevano meraviglie e si sono rivelati mediocri, mentre altri suoi quali non avrei scommesso neanche una moneta da tre Euro mi hanno stupita.

Il primo romanzo del mese mi ha riportata da uno dei miei cliché SFF preferiti, ovvero la reincarnazione; spostamenti da un corpo all’altro, ripetizioni della propria vita o viaggi nel tempo che siano, con queste premesse potete essere certi di conquistare mia curiosità.
Seppur pubblicato negli anni Ottanta, purtroppo “Replay: una vita senza fine” di Ken Grimwood è praticamente misconosciuto qui in Italia... che sia colpa dell’abominevole copertina scelta da Fanucci? Temo dovremo tenerci questo assillante dubbio, ma posso dirvi per certo che il mio voto per questo libro è di tre stelline, e potete trovare QUI la mia recensione completa.

Con la seconda lettura ho (finalmente!) completato la tetralogia I Medici di Matteo Strukul con il volume incentrato sulla figura di Maria de' Medici, ovvero “Decadenza di una famiglia”; se siete masochisti al punto di voler conoscere in ogni dettaglio la mia opinione riguardo a questa serie, ho postato una Lettura d'Insieme ricca di SPOILER che potete trovare QUI, mentre ora andrò a parlare unicamente dell'ultimo volume.
Come al solito non seguiamo la vita di Maria in modo continuativo, bensì attraverso delle istantanee che propongono una serie limitata di eventi; ad esempio non sappiamo nulla della sua giovinezza, perché il romanzo comincia quando lei ha ormai trent’anni, e vediamo molto poco anche della sua vita adulta. Per contro ottengono molto spazio i coprotagonisti, in primis i coniugi Concini e il cardinale Richelieu, ma anche il personaggio fittizio di turno ossia Matteo Laforgia -o Mathieu Laforge, come si fa chiamare oltralpe- una spia al soldo del miglior offerente.
I problemi presenti nei capitoli precedenti ritornano più o meno tutti, sebbene questo libro sia stato pubblicato (e quindi scritto?) un anno dopo gli altri. In particolare qui mi hanno esasperato le innumerevoli scene dimenticate: in un capitolo si parla della peste che infesta Parigi e poi l’argomento non viene più ripreso, in un altro Henriette d’Entragues giura vendetta contro Laforge e poi non se ne fa più alcun accenno, in un altro ancora Maria annuncia al marito Enrico IV di essere incita e poi i lettori non vedono neppure il bambino (il futuro Luigi XIII) fino a quando ha ormai cinque anni... per tacere della nascita di Luigi XIV che, dopo tanti accenni ai problemi coniugali tra Luigi ed Anna d’Austria, non viene nemmeno nominato!
Poco azzeccata anche la scelta di inserire per la prima volta dei personaggi -più o meno apertamente- omosessuali tratteggiandoli come vigliacchi, pronti al tradimento per il proprio tornaconto. Sono invece contenta che le scene esplicite siano notevolmente diminuite; si confermano del tutto inutili e con una prosa da Harmony, ma apprezzo comunque lo sforzo.
Il mio voto è di una stellina e mezza.

Deviando brevemente dalla mia TBR iniziale ho poi letto un libro per ragazzi in inglese: “Ella Enchanted” di Gail Carson Levine, che come si può intuire dal titolo è uno dei (moltissimi) retelling della fiaba di Cenerentola.
Reso popolare dall’omonimo film del 2005, questo romanzo si cerca di dare una spiegazione a molti aspetti lacunosi del racconto popolare, come i piedi incredibilmente minuti della protagonista, la durata limitata dell'incantesimo che trasforma abito e carrozza, ma soprattutto il servilismo con il quale la povera Eleanor “Ella” si sottomette agli ordini di matrigna e sorellastre. L'autrice immagina che, da bambina, la protagonista riceva da una fata svanita il “dono” dell’obbedienza, e quindi sia costretta ad eseguire all’istante ogni comando ricevuto, da chiunque.
Per buona parte del volume, la storia non segue la nota trama della fiaba, offrendo invece molto spazio alla caratterizzazione dei personaggi principali ed all'evoluzione delle relazioni tra loro: si evita in questo modo il cliché dell'insta-love tra Ella ed il principe Charmont “Char”, ed anche il disprezzo della matrigna e delle sorellastre trova una valida motivazione.
Ho apprezzato molto il temperamento di Ella, specie in confronto con la Cenerentola originale, perché non si lascia piegare dalla maledizione e sfrutta con astuzia la sua abilità di linguista, tanto da riuscire a salvarsi da un branco di orchi ben prima dell'arrivo dei prodi cavalieri. Anche Char si dimostra un valido adattamento del anonimo principe della fiaba, ed il fatto che non si lasci fuorviare dalle menzogne della famiglia adottiva di Ella lo rende un coprotagonista decisamente più lodevole (ehm... non come... ehm... Kai...).
Infine, qualche parola sulle edizioni di questo romanzo. La mia è una copia creata per celebrare il ventennale dalla prima pubblicazione e, seppur carente in quanto a qualità dei materiale, si rifà puntando su una serie di contenuti bonus come un'intervista all'autrice o un estratto con i primi due capitoli di “The Lost Kingdom of Bamarre”. Per quanto riguarda il nostro Paese quest'opera, molto popolare in patria, è quasi sconosciuta, tanto da aver avuto una sola edizione nel 2000 con il titolo “Il dono della fata”.

È stata poi la volta del mio primo approccio a Francis Scott Fitzgerald con quella che è indubbiamente la sua opera più apprezzata, “Il grande Gatsby”. Per l'occasione ho recuperato un'eccellente edizione della Feltrinelli che mi ha permesso di apprezzare questa lettura come il Mammut della Newton Compton non avrebbe sicuramente potuto.
Il mio commento dettagliato su questo classico della letteratura americana del Novecento lo potete leggere QUI, ma già vi posso anticipare di averlo valutato con cinque stelline.

Continuando la mia TBR del mese ho letto un libro che potremmo a ragione definire una rarità per il genere fantasy: un volume per ragazzi, sul realismo magico ed anche autoconclusivo! “Bellezza selvaggia” di Anna-Marie McLemore è quanto di più lontano ci potrebbe essere dalla sinossi, dove viene presentato come un romance con una vaga ambientazione fantastica.
Ho assegnato quattro stelline e mezza a questo romanzo ispirato al folklore dell’America Latina, del quale parlo più nel dettaglio QUI.

Questo mese ho iniziato anche una nuova serie che prende il titolo proprio dal primo volume, ovvero “Chocolat” di Joanne Harris, libro con diverse somiglianze con la mia precedente lettura, in primis per l’appartenenza alla corrente del realismo magico. Ero convinta si trattasse di una trilogia (avevo anche recuperato tutti e tre i volumi in anticipo!) e solo dopo aver letto le prime pagine, mentre curiosavo su Goodreads, ho scoperto che qualche mese fa è stato pubblicato un quarto capitolo. Va da sé che adesso non ho alcuna intenzione di recuperarlo, ma passiamo al primo libro.
Il romanzo è ambientato nella provincia francese, in una cittadina tranquilla e un po’ bigotta; con un incipit che ricorda “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo (Monsieur le Curé è praticamente Frollo) da un lato e “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne (QUI la recensione) dall’altro, la placida vita campestre viene smossa dall’arrivo di Vianne Rocher, con la figlioletta Anouk; la donna si dimostra subito un’alternativa non frequentando la chiesa del paese, sfidando anzi l’autorità di padre Reynaud con l’apertura di una peccaminosa pasticceria di fronte all’edificio religioso, proprio nel periodo di digiuno e rinuncia della Quaresima.
Questo libro ha il merito di affrontare dei temi d’attualità -seppur pubblicato nella fine degli anni Novanta- molto sensibili, come la violenza domestica e l’accettazione della perdita. Promuovo lo stile dell’autrice, anche se non particolarmente incisivo, e lo sviluppo della trama nel suo insieme (l’arco narrativo di Vianne, per intenderci). E dopo queste belle parole, passiamo agli aspetti che non mi hanno per nulla convinta.
Innanzitutto la velocità con cui si svolge la storia è spiazzante, specialmente se ci si focalizza sul personaggio di Joséphine che (evito gli spoiler, tranquilli) impara a preparare dolci e pasticcini come una professionista in meno di una settimana. Ho trovato poi fastidiosa l’eccessiva polarizzazione tra personaggi positivi e negativi; soprattutto questi ultimi sono troppo malvagi per essere credibili: la cattiveria portata all’esasperazione non spaventa, fa ridere.
Il mio voto è di tre stelline.

Ed una volta conclusa la TBR mensile mi sono dedicata ad una nuova lettura in lingua inglese tornando dopo anni da Jennifer Mathieu, autrice che avevo già apprezzato in “Tutta la verità su Alice”, con il suo romanzo più recente “Moxie”. Va precisato che questo titolo è arrivato anche in Italia, edito da Mondadori come “Girl Power. La rivoluzione comincia a scuola”, ma personalmente non ho saputo resistere a questa stupenda copertina USA.
Il romanzo vede come protagonista Vivian “Viv” Carter, giovane studentessa texana che decide di ribellarsi al sistema sessista che impera nella sua scuola attraverso la pubblicazione di uno zine (una pubblicazione indipendente) di stampo femminista chiamato Moxie, grazie alla quale mette in evidenza i comportamenti maschilisti di alcuni suoi compagni -la battuta “make me a sandwich”, il gioco “bump-n-grab”, le magliette con frasi denigratorie- ma soprattutto la non-reazione del corpo docenti e dell'amministrazione a questa situazione.
Nato in sordina, Moxie diventa in pochi mesi un fenomeno di grande portata e, se da un lato sfugge al controllo di Viv, dall'altro arriva ad unire delle ragazze estremamente diverse tra loro per carattere, estrazione sociale ed etnia in un gruppo unito nell'intento di cambiare la situazione all'interno della scuola, andando contro atti di bullismo e minacce di espulsione. Si arriva a toccare altri temi molto delicati, come l'omertà sulla violenza e la difficoltà di fare coming out in una cittadina del Texas dalla mentalità alquanto retrograda.
A livello emotivo questo può essere un libro molto forte, che prima ti fa infuriare per quello che succede alle ragazze in questo liceo e poi ti commuove vedendo come loro si ingegnino per riuscire a farsi valere senza mai ricorrere alla violenza fisica. Soggettivamente lo ritengo quindi un ottimo titolo, ma devo ammettere che ci sono alcuni aspetti migliorabili, dettati soprattutto dal target di riferimento: c'è un abuso di espressioni “giovanili” nei dialoghi e nella narrazione (l'aggettivo super utilizzato ogni due per tre!) e alcune situazioni cliché fini a se stesse, come il contrasto tra figlia e madre sul nuovo compagno di quest'ultima.
Essendo l’ultimo libro in inglese per quest’anno, ho pensato di valutarlo come quelli in italiano, anche perché la mia capacità di comprensione è decisamente migliorata. In definitiva, il mio voto è di quattro stelline e mezza.

Infine la mia ultima lettura dell'anno è stata “La verità sul caso Harry Quebert” dello svizzero Joël Dicker, un thriller molto apprezzato dagli amanti del genere, tra i quali mi posso annoverare solo in parte.
L'opera si presenta come una sorta di meta romanzo, con l'autore che si nasconde dietro il suo protagonista Marcus Goldman, a sua volta romanziere di successo. Dopo un esordio eccellente, il nostro eroe è colpito però da un insormontabile blocco dello scrittore che lo porta a ritirarsi per qualche tempo ad Aurora, cittadina del New Hampshire, dove viene ospitato dal suo mentore Harry Quebert. Presto arrivano problemi ben più gravi della scrittura creativa perché nel giardino di Harry viene rinvenuto un cadavere e l'uomo diventa subito il primo sospettato di un omicidio vecchio di trent'anni; spetterà quindi a Marcus tentare di far luce sul delitto e riabilitare il nome dell'amico, approfittando al contempo per tradurre in romanzo le sue avventure.
Come giallo, questo libro svolge egregiamente il suo compito, trascinando il lettore in una spirale di eventi che si avvicendano a gran velocità soprattutto nella seconda parte del volume; la risoluzione è imprevedibile e riesce a chiarire tutti i misteri seminati nel corso della storia. Il coinvolgimento alla narrazione è merito anche dello stile molto diretto di Dicker, che predilige dei dialoghi senza pause, quasi fosse una pièce teatrale.
I personaggi sono invece il punto debole del romanzo: sono davvero un gran numero e in un primo momento è difficile ricordarli tutti, inoltre la quasi totalità è caratterizzata per stereotipi tanto da strappare più di una risata. Altro aspetto discutibile è la scelta dell'autore di anticipare alcuni eventi con dei salti temporali; in questo modo il lettore non potrà mai impensierirsi per la sorte dei personaggi.
Un ultimo appunto. Come detto, Dicker da risposta a tutti i quesiti di questo thriller, c'è però un aspetto che non ho capito per nulla: cosa dovrebbe rappresentare la foto in copertina? Qualcuno dirà, meglio questa della cover originale francese che fa spudoratamente pubblicità alla Esso; personalmente, attendo ancora delucidazioni.
Il mio voto è di quattro stelline.

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giovedì 26 dicembre 2019

Leggete oltre la sinossi - Recensione a “Bellezza selvaggia” di Anna-Marie McLemore

Leggete oltre la sinossi

Recensione a "Bellezza selvaggia" di Anna-Marie McLemore


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Bellezza selvaggia
AUTORE: Anna-Marie McLemore
TITOLO ORIGINALE: Wild Beauty
TRADUTTORE: Micol Cerato
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: Vertigo
PAGINE: 310
VOTO: 4 stelline e mezza

IL COMMENTO

  Bellezza selvaggia è un romanzo fantasy che rientra nel sotto-genere del realismo magico, solitamente associato ad un target più maturo e a nomi molto celebri come Isabel Allende e il mio adorato Gabriel García Márquez. Negli ultimi anni la McLemore è riuscita però a ritagliarsi lo spazio che le spetta, con romanzi rivolti ad un pubblico di giovani lettori che, tra piccole magie e qualche storia d'amore, affrontano tematiche decisamente importanti.
  La storia è ambientata in una cittadina non meglio identificata, ma che potremmo collocare in Messico, Paese d'origine dell'autrice. La vicenda si svolge ai giorni nostri, ma il potere del realismo magico fa si che il lettore dimentichi velocemente automobili, telefoni e asciugatrici in favore di un mondo dai contorni incantati dove il tempo sembra ha smesso di scorrere.
  Questo romanzo ha diversi protagonisti (Estrella? Fel? la Pradera?), ma al centro di tutti gli avvenimenti troviamo comunque le Nomeolvides, una famiglia composta da sole donne molto particolari,

«Le Nomeolvides portavano nomi di fiore, per guidare la forma che avrebbero assunto i loro doni.»

esse hanno infatti il potere di far crescere su ogni tipo di terreno dei meravigliosi fiori. Come ogni abilità soprannaturale, c'è uno scotto da pagare: da un lato le Nomeolvides vengono spesso additate dagli estranei come delle streghe, arrivando perfino a rischiare la vita, dall'altro l'unico luogo in cui sembrano aver trovato un rifugio sicuro -una tenuta chiamata Pradera- le tiene avvinte a sé, impedendo loro di lasciarla definitivamente e facendo scomparire tutte le persone da loro amate.

«Il mondo all’esterno di quei giardini serbava due generi di morte: la vendetta della Pradera e i coltelli di una società che non le voleva.»

  La storia prende l'avvio quando le cinque ragazze che rappresentano la generazione più giovane delle Nomeolvides capiscono di essere tutte innamorate della loro amica Bay. Con il timore che il loro affetto la faccia svanire, decidono di offrire un sacrificio alla Pradera ed invocare la sua protezione; in risposta, il giorno dopo compare un ragazzo privo di memoria, che viene ribattezzato Fel ed avrà un ruolo fondamentale per far comprendere alle giovani donne come liberarsi della loro maledizione.
  I personaggi sono la croce e la delizia di questo romanzo: abbiamo dei protagonisti molto ben caratterizzati come Estrella e Fel, ma anche le quattro cugine e Bay, mentre con le altre donne Nomeolvides non c'è stato altrettanto impegno e risultano quasi indistinguibili l'una dall'altra. Per assurdo, credo di conoscere meglio Marjorie Briar, la nonna di Bay -morta prima dell'inizio della storia- rispetto a quella di Estrella! Anche l'antagonista non mi ha entusiasmato troppo, specialmente nel finale dove mi aspettavo un suo contributo più incisivo.
  La Pradera può essere vista come un personaggio a parte, e senza dubbio la sua presenza è fondamentale sia come componente nello sviluppo della trama sia come parte più evocativa dell'ambientazione: un luogo di bellezza in superficie e di insidie nell'ombra.

«[...] la Pradera, quel mondo fiorito che possedeva le Nomeolvides tanto a fondo da ucciderle se tentavano di lasciarlo.»

Cover USA
  Come detto, il romanzo affronta tematiche rilevanti specie nel mondo contemporaneo, ma puntano evidentemente ad un pubblico di ragazzi da influenzare positivamente. Si parla quindi di intolleranza, sia verso le Nomeolvides etichettate dal mondo come fattucchiere,

«Quell’insulto era stato scagliato contro la loro famiglia mentre si spostava da un luogo all’altro, dopo che nuovi trattati avevano stabilito che la loro terra apparteneva ormai a un Paese diverso.»

sia verso le persone di etnia iberica o latinoamericana, che vediamo resi quasi schiavi e costretti a lavori massacranti.
  Viene affrontato anche il tema dell'orientamento sessuale, ed infatti abbiamo un cast formato in prevalenza da personaggi omosessuali, bisessuali o transgender che accettano le diversità -proprie o degli altri- in modo naturale e spontaneo,

«-Forse se mio fratello non avesse amato in quel modo la penserei diversamente [...] Ma non credo che spetti a nessun altro giudicare.»

Questo aspetto del libro viene spesso messo a confronto con l'estrema religiosità di alcuni personaggi, senza però che la fede cattolica sia necessariamente da contrapporre alla libertà di amare. Abbiamo anche un confronto tra le varie generazioni delle donne Nomeolvides, con le più giovani che credono di non poter essere capite dalle madri o dalle nonne quando si tratta di sentimenti,

«Estrella si riferiva a Bay. Al proprio cuore, e a come amava in un modo che sua madre avrebbe giudicato senza prima rigirarselo in mano e apprenderne le forme.»

  La narrazione è in terza persona al passato, ma viene divisa nei punti di vista alternati di Estrella e Fel; questa scelta stilistica da un lato permette una maggiore introspezione di questi personaggi, ma dall'altro rallenta notevolmente il ritmo della storia, perché l'autrice è costretta a ripete due volte gli stessi concetti e le stesse scoperte. Personalmente non trovo necessariamente fastidioso un libro lento, soprattutto se come questo riesce a tenere viva la mia attenzione, anche grazie alle splendide descrizioni dei fiori creati dalle Nomeolvides.

«Calla gli inondò il lavandino in marmo e la vasca smaltata di calle, con le loro volute di bianco a schermare i cuori gialli.»


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sabato 21 dicembre 2019

Un classico al mese - “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald

Un classico al mese

  "Il grande Gatsby" di Francis Scott Fitzgerald



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Il grande Gatsby
AUTORE: Francis Scott Fitzgerald
TITOLO ORIGINALE: The Great Gatsby
TRADUTTORE: Franca Cavagnoli
EDITORE: Feltrinelli
COLLANA: Universale Economica / Classici
PAGINE: 230
VOTO: 5 stelline

IL COMMENTO

  “Il grande Gatsby” è forse il romanzo che meglio incarna lo spirito degli Stati Uniti negli anni Venti. Sfruttando l’espediente dell’amore contrastato dal fato, Fitzgerald ci parla di come i sogni non siano necessariamente le piacevoli illusioni che accecavano l’anonimo protagonista de “Le notti bianche” di Fëdor M. Dostoevskij (QUI la recensione), e possano bensì tramutarsi in ossessioni pronte ad annientare la vita di un uomo se non trovano realizzazione.
  La storia di James Gatz -in arte, Jay Gatsby- ci viene narrata da Nick, suo vicino di casa che spesso si trova ad assistere, o perfino a partecipare, alle colossali feste che vengono organizzate nella sfarzosa villa di questo individuo per tutta l’estate. Pare però che nessuno delle decine di ospiti conosca bene Gatsby, e sul conto del facoltoso padrone di casa cominciano a circolare le voci più disparate,

«Le due ragazze si allungarono verso Jordan con aria confidenziale.
-Qualcuno mi ha detto che [Gatsby] ha ammazzato un uomo.»

  Attraverso lo stesso Gatsby o altri personaggi, Nick viene ben presto a sapere di come l’uomo abbia avuto con sua cugina Daisy una relazione, resa difficile dalla disparità economica tra i due; la vita sfrenata che ora conduce è un mero tentativo di dimostrare la sua ascesa sociale; infatti, come ci dice Jordan:

«-Forse si aspettava che lei arrivasse a una delle sue feste, prima o poi-, continuò Jordan. -Ma non è mai successo.»

Ovviamente, avendo come unico scopo quello di riavvicinarsi a Daisy, Gatsby non da alcun valore ai rapporti con gli altri personaggi del romanzo, tanto che tutti i suoi ospiti non bastano per cancellare la sua solitudine,

«Dalle finestre e dalle grandi porte pareva ora giungere un vuoto improvviso, che isolava del tutto la figura del padrone di casa, [...].»

e questa condizione mostra il suo peggio nelle scene finali, con Nick che non riesce a mettersi in contatto con nessuno interessato alla sorte di Gatsby.
  Fortunatamente questo protagonista soverchiante lascia sufficiente spazio per sviluppare i caratteri degli altri personaggi, anche per merito di un cast nient’affatto numeroso. Il mio preferito è senza dubbio Meyer Wolfshiem che, mentre Nick si affanna per mettere in mostra le sue emozioni, mi ha saputa conquistare con una singola battuta:

«-Impariamo a dimostrare la nostra amicizia a un uomo quando è vivo e non dopo che è morto-, propose [Wolfshiem]. -Dopo di che la mia regola è quella del quieto vivere.»

Per contro ho inevitabilmente detestato Tom, che è stato tratteggiato proprio con l’intento di renderlo antipatico a Nick e, di conseguenza, al lettore. In poche righe lo individuiamo come uno xenofobo (non credo dimenticherò facilmente il libro sulla minaccia alla razza bianca!) dalle maniere violente, dedito all’adulterio a senso unico.
  Il romanzo si concentra sull’importanza dello status individuale e familiare nella società statunitense dell’epoca, e sul ruolo centrale del denaro nelle relazioni interpersonali; non a caso il nostro narratore è un mediatore finanziario, e in più punti si fa riferimento alla sua professione. Analogamente, sia Myrtle che diversi personaggi secondari sembrano far gravitare tutte le loro azioni attorno alla possibilità di spendere soldi in modo a dir poco futile,

«-Siamo partite con più di milleduecento dollari, ma ci hanno ripulito nel giro di due giorni nelle sale private.»

rasentando un consumismo che ricorda stranamente quello de “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley (QUI la recensione), ma anche situazioni contemporanee: l’acquisto di oggetti sempre nuovi diventa compulsivo, ed buttare da parte ciò che invece ha ormai stancato è l’abitudine.
  Altro tema centrale è quello già citato del sogno, non come ambizione per migliorare il proprio futuro ma come continuo struggimento nei ricordi del passato, con la speranza che questi possano ripetersi; vediamo infatti Gatsby aspirare per anni ed anni all’affetto di Daisy, che arriva inevitabilmente ad idealizzare,

«Quasi cinque anni! Persino quel pomeriggio dovevano esserci stati dei momenti in cui Daisy era ruzzolata ai piedi dei suoi sogni, [...] l’illusione di Gatsby. Era andata oltre Daisy, oltre ogni cosa.»

così il suo sogno non può che naufragare dopo lo scontro con una realtà decisamente meno idilliaca.
  Personalmente ho trovato piacevole lo stile di questo romanzo, in primis per la presenza di un narratore molto affine a Buddy Glass, parimenti voce narrante nel racconto “Alzate l’architrave, carpentieri” (QUI la recensione) -non a caso Salinger ammirava l’opera di Fitzgerald. L’altro aspetto stilistico che ho maggiormente apprezzato è la presenza di dettagli poetici nelle descrizioni,

«[...] una torre su un lato, nuovissima sotto la barbetta di edera incolta, una piscina di marmo e più di quaranta acri di prati e giardini.»

  L’edizione della Feltrinelli si merita pure i miei elogi; la traduttrice si è occupata anche dell’introduzione che fornisce molti elementi non solo sulle tematiche del romanzo, ma anche sulla sua storia editoriale e sulla rivalutazione della critica nel corso degli anni. Ottime anche le note al testo, anche se le avrei preferite a fondo pagina anziché alla fine del volume.


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