giovedì 28 febbraio 2019

Wrap-Up - Letture di febbraio 2019

Wrap-Up - Letture di febbraio 2019


Nel mese di San Valentino non potevano mancare delle storie romantiche (non romance, attenzione!) che a più riprese virano verso i toni della fiaba. Purtroppo i lieto fine sono sempre centellinati.

La prima lettura del mese è stata una scelta estranea ai miei gusti, ossia "Cinder" di Marissa Meyer, primo capitolo nella serie delle Cronache Lunari. Non sono per l'appunto una grande lettrice di romanzi fantascientifici ma per questo ho deciso di fare un'eccezione trattandosi in primis del retelling di Cenerentola.
La vicenda si ambienta in un futuro lontano e tecnologicamente molto avanzato dove troviamo androidi domestici, umani trasformati in cyborg e una nuova razza ad abitare la Luna. La trama riprende moltissimi elementi dalla fiaba da cui è tratta e ritengo che l'autrice sia stata molto abile nel contestualizzarli al mondo da lei creato, come la robottina Iko a rimpiazzare i topini e una vecchia auto al posto della carrozza.
Sono rimasta affascinata dalla protagonista, che si dimostra forte e decisa ma ben lontana dalla perfezione di tante sue "colleghe", mentre ho bocciato fin da subito il Principe Kai per i suoi comportamenti irrazionali, come flirtare con una sconosciuta poco dopo la morte dell'amato padre. Interessanti alcuni dei personaggi secondari, ma aspetterò i prossimi libri per valutarli al meglio.
Lo stile è estremamente scorrevole nonostante la presenza di molti termini specifici relativi alla meccanica; l'autrice ha però abusato -sia nei dialoghi, sia nella narrazione- dei punti di sospensione (ne ho contati più di 240!) e del corsivo inglese per sottolineare determinate parole. Grande difetto sono inoltre le falle nella logica interna della storia: l’intera capitale invitata al ballo, la banalità del piano di Levana e ancora il plot twist finale citofonatissimo.
Il mio voto è di tre stelline e mezza.

Successivamente ho terminato una lettura già iniziata lo scorso mese, ossia “The Witches” di Roald Dahl. Per quest’anno ho infatti deciso di intraprendere un percorso di lettura in lingua inglese per migliorare il mio lessico; dovendo partire con dei libri semplici, ho optato per quelli di Dahl che sono rivolti ad un pubblico di bambini e ragazzi.
Per chi fosse interessato, segnalo soltanto che ci sono alcune parole di fantasia, inventate dall’autore, e uno dei personaggi parla un inglese dall’accento particolare che potrebbe rendere un po’ difficoltosa la lettura.
Non intendo dare una valutazione, perché la mia conoscenza dell’inglese non mi permette di comprende appieno lo stile di scrittura, ma è sicuramente un volume che consiglio per la divertente storia.

Ho poi letto il mio terzo titolo di Kazuo Ishiguro, "Quel che resta del giorno", e come per i precedenti sono rimasta stregata dal suo stile e dalla storia inaspettatamente toccante. QUI trovate la recensione per questo romanzo che ho valutato con cinque stelline.

La lettura successiva è stata il classico del mese, ossia “Jane Eyre” di Charlotte Brontë; di sicuro l’opera per la quale questa autrice è maggiormente conosciuta e che io ho potuto gustarmi in un’edizione fantastica. Ne parlo più nel dettaglio QUI con la recensione completa per un romanzo valutato cinque stelline meritatissime.

È giunto anche il momento di concludere la trilogia di The Paper Magician di Charlie N. Holmberg, almeno per quanto riguarda la pubblicazione italiana. A conti fatti, “Master Magician” si è rivelato un finale in linea con la serie, mantenendone sia i pregi (sistema magico ben studiato, ottima caratterizzazione del protagonisti) che i difetti (pretesto della trama debole, risoluzione degli intrecci troppo facile).
La trama ha inizio a due anni dalla conclusione de “Glass Magician” (QUI la recensione) e segue principalmente la preparazione di Ceony per l’esame finale che la abiliterà come Maga, nonché il confronto con l’ultimo escissionista ancor a piede libero, aggiungendo poi alcune sottotrame trascurabili.
Il problema fondamentale con la Holmberg è la sensazione che le abbiano imposto un limite massimo di pagine, privandola così della possibilità di inserire altri personaggi e di sviluppare la storia con il giusto ritmo. Per questi aspetti, il volume risulta più debole del secondo capitolo, che a serie conclusa rimane il mio preferito.
A dispetto dei suoi difetti, questa trilogia è riuscita a conquistarmi, specialmente con una dolcezza che in altri titoli avrei definito nauseante: qui invece lo stile dell’autrice rende tutto più leggero e naturale, dando vita ad un mondo magico unico e ad una delle migliori coppie di cui abbia letto negli ultimi anni.
Il mio voto è di quattro stelline.

Per completare la mia TBR mi sono approcciata a “Ritratto di famiglia con superpoteri” di Steven Amsterdam, un romanzo familiare con una peculiarità che si evince facilmente dal titolo: tutti i membri di questa famiglia sono dotati di poteri speciali, molto simili a quelli dei supereroi fumettistici.
I protagonisti del romanzo non sfruttano però le proprie abilità per arrestare i criminali in tutina aderente e mantello, perché i loro poteri sembrano destinati apposta per risolvere problemi ben più quotidiani ed aiutarli nei momenti di scoraggiamento emotivo.
Il romanzo non segue una trama ben delineata, ma nel finale si ottengono comunque delle risposte chiarificatrici sull'origine e la natura dei superpoteri. Il punto di forza dell'opera è indubbiamente nei suoi personaggi con i quali è facile empatizzare in poche pagine, mentre lo stile non mi ha del tutto convito perché spesso scivola nell'informalità rivolgendosi al lettore e ricorre pigramente a degli elenchi per fornire informazioni che potrebbe invece amalgamare alla narrazione.
Il volume ha una struttura particolare, infatti non presenta dei normali capitoli ma delle parti distinte che seguono il POV di uno specifico personaggio, pur mantenendo la narrazione in terza persona al passato. Attenzione però all'edizione italiana targata ISBN: se volete evitare spoiler indesiderati limitatevi a leggere l'introduzione sulla parte bassa della cover, perché la quarta di copertina vi rovinerà completamente la lettura con anticipazioni indesiderate.
Il mio voto è di quattro stelline e mezza.

Terminata la TBR, ho scelto di leggere “Storia parziale delle cause perse” di Jennifer duBois, un romanzo dallo stile magistrale e con un cast ricco di personaggi indimenticabili. QUI trovate la recensione completa, mentre vi anticipo che il voto non poteva essere che di cinque stelline.

Tono e genere diametralmente opposti per il romanzo successivo; dopo una lettura impegnativa è giusto passare a qualcosa di più leggero, in particolare con “Incantesimo” di Rachel Hawkins ci ritroviamo in una storia dai toni frivoli che mescola con poca fantasia l'ambientazione della saga potteriana con la trama di “Mean Girls”.
La nostra Cady si chiama Sophie ed è una strega un po' imbranata che, dopo un incantesimo d'amore andato particolarmente male, viene spedita alla Hecate “Hex” Hall, una sorta di collegio per creature magiche incapaci di mantenere l'anonimato nel mondo umano. Qui la protagonista si imbatte ben presto in un terzetto di streghe oscure noto come la Trinità (aka le Barbie) ed nell'affascinante stregone Aar... Archer di cui si invaghisce in tempo zero.
Le similitudini con i due franchisee sopra citati non finiscono qui, ma credo di aver reso bene l'idea della totale mancanza di originalità della storia. A questo si aggiunga la prevedibilità dei colpi di scena, l'ottusità della protagonista, un finale anticlimatico, parecchi buchi di trama ed incongruenze, ed uno stile che mescola senza criterio narrazione, pensieri e commenti rivolti al lettore.
Di questo romanzo posso salvare solo il tono ironico ed i simpatici riferimenti alla cultura pop. Continuerò la serie? Ovvio, ho acquistato il volume unico!
Il mio voto è di due stelline.

L’ultima lettura di febbraio è stata “Piccola osteria senza parole” di Massimo Cuomo, un divertente mix di commedia e mistero che per molti aspetti mi ha ricordato il “Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti” di Andrea Vitali (QUI la recensione).
La vicenda è ambientata in un paesino fittizio al confine tra le regioni del Veneto e Friuli, dove l’arrivo inatteso di un meridionale sconvolgerà le vite di diversi cittadini, portando le parole dove prima c’erano solo gesti e imparando a sua volta l’importanza di un semplice gesto, che spesso può sostituire interi dialoghi.
Il romanzo segue parecchie story line, saldato rapidamente dall’una all’altra, e questo porta ad una lettura rapida, quasi vorace del volume che ho trovato a tratti molto divertente. Peccato per i personaggi, che sono in buona parte il risultato di un lavoro di copia-incolla e, di conseguenza, anche le relazioni tra loro risultano tutte uguali; gli unici a risaltare un po’, ossia Tempesta e Malattia, vengono poi penalizzati dall’inspiegabile virata noir sul finale, che li snatura.
Lo stile è però il vero scoglio di questo romanzo (assieme allo squilibrio imbarazzante tra personaggi maschili e femminili), caratterizzato da virgole dimenticate e cambi continui di tempo verbale: il tutto dovrebbe trovare giustificazione nella premessa del volume, ma questa non spiega la descrizione di scene alle quale il narratore non è partecipe.
Il mio voto è di tre stelline.

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domenica 24 febbraio 2019

BookTag Time - Gli Oscar dei Libri BookTag

BookTag Time

  Gli Oscar dei Libri BookTag


Questa sera verranno assegnati gli Oscar 2019, quindi vi propongo un BookTag le cui domande sono ispirate proprio a questi premi cinematografici. Ci sono davvero parecchi quesiti, quindi tenterò di essere coincisa nelle mie risposte.
Il BookTag ci chiede vi valutare i titoli letti durante l'ultimo anno, ed è stato avvistato sul blog Book Addicted: potete leggere QUI il post originale.


1.BEST ACTOR - Miglior protagonista maschile
Sarà forse un'opinione impopolare, ma io sono rimasta decisamente colpita da Howard W. Campbell Jr., protagonista e narratore in “Madre notte” di Kurt Vonnegut (QUI la recensione). La placida gentilezza che mantiene anche nei momenti più critici lo rendono un personaggio sicuramente originale.
2. BEST ACTRESS - Miglior protagonista femmile
In questo caso vi nomino un personaggio già conosciuto lo scorso anno, ma che solo ne “La città di sabbia” di Laini Taylor (QUI la recensione) ho potuto apprezzare appieno. Karou è una donna da ammirare: dimostra un coraggio senza pari ed una determinazione che la spinge a raggiungere sempre i suoi obiettivi.
3. BEST CINEMATOGRAPHY - Miglior colpo di scena
Le scene finali de “Il principe dei fulmini” di Mark Lawrence (QUI la recensione) sono caratterizzate da un colpo di scena davvero imprevedibile, che mi ha permesso di rivalutare interamente il romanzo. Ovviamente nessuno spoiler, e se siete curiosi correte a recuperare questo titolo!
4. BEST COSTUME DESIGN - Miglior copertina
Per non ripetere quanto io adori la cover de “La fattoria degli animali”, voglio indicare una altrettanto inquietante e graficamente impeccabile: “Tinder” di Sally Gardner (QUI la recensione) ha una copertina splendida, che richiama le illustrazioni presenti nell'intero volume.
5. BEST SUPPORTING ACTOR AND ACTRESS - Migliori personaggi secondari
Un libro del quale non ho parlato in modo troppo lusinghiero, ma che presenta diversi personaggi secondari validi è “The Queen of the Tearling” di Erika Johansen (QUI la recensione). Mazza Chiodata e Mhurn -giusto per citarne un paio- rubano a mani basse la scena alla protagonista e ai dimenticabili antagonisti.
6. BEST ORIGINAL SCREENPLAY - Trama o ambientazione più originale
Già vincitore del Premio Rivelazione, “Solo per sempre tua” di Louise O'Neill (QUI la recensione) è dalla sua anche un'ambientazione -ovviamente, distopica!- molto interessante e ben strutturata.
7. BEST ADAPTED SCREENPLAY - Miglior adattamento da libro a film
Generalmente non guardo film tratti dai romanzi, anche per evitare continui paragoni, ma da un libro meraviglioso non può che nascere un adattamento degno: “The Help” di Kathryn Stockett (QUI la recensione).
8. BEST ANIMATED FEATURE - Un libro che sarebbe perfetto per un film d'animazione
“Il bacio della strega” di Emma Donoghue (QUI la recensione) è una raccolta di fiabe riscritte, quindi quale miglior scelta per un lungometraggio o una serie d'animazione?
9. BEST VISUAL EFECTS - Miglior scena d'azione in un libro
“Hollow City” di Ransom Riggs (QUI la recensione) è un romanzo rivolto ad un target tra il middle grade e lo young adult, quindi non ci sono contenuti troppo violenti, ma non mancano sicuramente delle scene d'azione degne di nota con il gruppo protagonista sempre impegnato a difendersi da Vacui e Spettri.
10. BEST SHORT FILM - Miglior novella o racconto
Non leggo quasi mai novelle, quindi la mia scelta è quasi obbligata. “Alzate l'architrave, carpentieri” di J.D. Salinger (QUI la recensione-combo con “Seymour. Introduzione”) è comunque un'ottima lettura, che consiglio a prescindere.
11. BEST DIRECTOR - Un autore che hai scoperto per il prima volta
Con “Omicidio a Road Hill House” (QUI la recensione) ho scoperto la penna di Kate Summerscale e ne sono rimasta decisamente colpita: non pensavo che una cronaca investigativa di metà Ottocento potesse risultare appassionante e puntuale allo stesso tempo.
12. BEST PICTURE - Miglior romanzo autoconclusivo
Leggendo in prevalenza stand alone, la scelta non è stata facile, ma “Eleanor & Park. Per una volta nella vita” di Rainbow Rowell (QUI la recensione) è un romanzo molto valido, con una conclusione che mi ha convinta.

mercoledì 20 febbraio 2019

Il coraggio di perdere - Recensione a “Storia parziale della cause perse” di Jennifer buBois

Il coraggio di perdere

Recensione a "Storia parziale delle cause perse" di Jennifer duBois


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Storia parziale delle cause perse
AUTORE: Jennifer duBois
TITOLO ORIGINALE: A Partial History of Lost Causes
TRADUTTORE: Silvia Pareschi
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar contemporanea
PAGINE: 400
VOTO: 5 stelline

IL COMMENTO

  “Storia parziale delle cause perse” è un romanzo di narrativa generale che unisce le storie dei due protagonisti, quella del genio degli scacchi Aleksandr e quella della studiosa Irina, mantenendo i capitoli alternati; storie che troveranno però un punto d’incontro nella Russia teoricamente democratica sotto il rigido giogo di Putin.
  Irina è una trentenne americana affetta dalla corea di Huntington, una patologia ereditata dal padre; nel romanzo ci sono frequenti riferimenti alla malattia

«[...]ti prego, fammi ammalare di Aids così posso morire di polmonite, così il mio cervello sarà l’ultima cosa ad andarsene, così quando morirò sarò io a morire,e non qualcun altro.»

ma ciò non rendere affatto la narrazione ridondante, perché la duBois riesce a trovare sempre dei modi diversi per illustrare i sintomi e le conseguenze, sia per il corpo del malato sia per chi gli sta vicino. In questo aspetto, il volume mi ha ricordato con prepotenza “Io prima di te” di Jojo Moyes (QUI la recensione), benché si parli di situazioni diametralmente opposte: infatti, dal un lato abbiamo Will incapace di muoversi eppure del tutto lucido, mentre dall’altro il padre di Irina con un corpo in buone condizioni ma una mente sempre più debole e incapace di trattenere i ricordi.
  L’interesse del padre per gli scacchisti russi convincerà Irina a lasciare una vita placida e sostanzialmente vuota a Boston e partire per Mosca, dove spera di incontrare l’ex campione Aleksandr e trovare risposta ad domanda decisiva per chi è affetto da una malattia terminale, ossia come affrontare una partita impossibile da vincere.
  Anche Aleksandr è protagonista di una vita difficile, trascorsa a barcamenarsi tra la dissidenza e il desiderio ad un’esistenza normale, e in parte simile a quella del protagonista de “Il meteorologo” di Olivier Rolin (QUI la recensione). Dotato di una fervida immaginazione,

«Aleksandr spiegava e spiegava, ma Ivan, a quanto pareva, non lo ascoltava. Di certo non gli rispose mai.»

giunge a Leningrado alla fine degli anni Settanta, dove si fa ben presto conoscere per la sua abilità di scacchista senza per questo cedere alle lusinghe del partito, aiutando invece un gruppo di giovani ribelli nella diffusione di una rivista contraria alle direttive del Partito. Lo seguiamo per tutta la sua vita, fino ai primi anni 2000 con il tentativo di candidarsi alla guida del Paese e, soprattutto, all’incontro con Irina.
  La trama di questo romanzo è ben più ampia e va esplorata dal lettore senza ulteriori informazioni. Mi sembra comunque utile sottolineare l’importanza di questa lettura per il suo lato storico; può sembrare strano parlare di storia vista l’ambientazione, ma sono convinta che la seconda metà del ventesimo secolo sia purtroppo uno dei periodi meno studiati nelle scuole italiane proprio perché così vicino a noi.
Cover canadese
  Al fianco di due protagonisti tanto complessi ed affascinanti, troviamo dei personaggi descritti con altrettanta cura e tridimensionalità; in questo cast eterogeneo spiccano Lars, vecchio scacchista e millantatore seriale, e l’antica fiamma di Aleksandr, Elizaveta. La duBois si spende con energia anche nella descrizione delle ambientazioni, in particolare delle città russe,

«A Leningrado - nei lunghi viali, nei sinuosi canali - si poteva trovare speranza del passato per il futuro. A Mosca il futuro era stato catturato, demolito e piegato al volere del presente.»

dove si esprimono al meglio le splendide metafore che riempiono l’intero volume, rendendolo un susseguirsi di citazioni memorabili.
  All’autrice va riconosciuto anche un apprezzamento per l’enorme lavoro di ricerca che ha sicuramente preceduto la stesura del romanzo, sia per gli aspetti storici sia per quelli geopolitici. Particolare anche la scelta di ricorrere a frequenti ripetizioni delle stesse espressioni o delle singole parole, come “polvere” usata in contesti molto diversi:

«[...] di quanti mesi avrebbe impiegato l’esercito sovietico a sottomettere un territorio e un popolo così incolti e polverosi.»

  A dispetto dell’asprezza dei temi trattati, ho apprezzato moltissimo questa lettura, ma questo non mi ha impedito di individuare con oggettività un paio di problemi: la decisione di adottare la narrazione in prima persona nei capitoli di Irina (troppo emotivi) e della terza persona in quelli di Alexsandr (troppo asettici) è un po’ azzardata e avrei trovato più adatta una scelta omogenea. L’altro problema riguarda invece l’edizione italiana, perché le molte parole e frasi russe presenti nel testo, seppur in gran parte comprensibili, non sono state tradotte e questo può rallentare a tratti la lettura.

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