lunedì 27 agosto 2018

I misteri dell’abbazia (fantasma) - Recensione a “L’abbazia di Northanger” di Jane Austen

I misteri dell'abbazia (fantasma)

Recensione a "L'abbazia di Northanger" di Jane Austen



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: L'abbazia di Northanger
AUTORE: Jane Austen
TITOLO ORIGINALE: Northanger Abbey
TRADUTTORE: Elena Grillo
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Minimammut
PAGINE: 190

IL COMMENTO

  Senza neppure riflettere, assegnerei il massimo della valutazione ad ogni opera di Jane Austen. Per fortuna, prima di commentare un libro ho la buona abitudine di leggerlo; nel caso specifico, andrò oltre la mia ammirazione incondizionata per l’autrice e metterò in luce da subito gli aspetti del romanzo che meno ho gradito.
  C’è poco da fare: “L’abbazia di Northanger” è invecchiato male! Mi riferisco in particolare alla pungente satira al romanzo gotico in generale e a “I misteri di Udolpho” di Ann Radcliffe in particolare, che all’epoca era l’equivalente contemporaneo di un best seller internazionale. Per meglio comprendere la mia osservazione, pensate ad un fenomeno letterario-trash dei nostri giorni, come “Cinquanta sfumature di grigio”; se oggi qualcuno lo deridesse in un romanzo o ci scrivesse un intera parodia, i lettori potrebbero trovarla divertente, mentre la stessa operazione tra un centinaio d’anni non riscuoterebbe il minimo successo, perché in pochi ricorderebbero l’”opera” in questione. Almeno spero.
  Un altro problema risiede nel titolo stesso del romanzo, perché l’abbazia compare solo nell’ultimo terzo del volume e non viene neppure nominata prima di una buona metà dello stesso. La storia è invece ambientata principalmente nella rinomata Bath, città notoriamente detestata dall’autrice ma che allora era fulcro della vita sociale nel periodo estivo. È dunque con viva gioia che la giovane Catherine Morland, quarta di ben dieci fratelli, accetta l’invito dei signori Allen, una coppia di benestanti vicini, ad accompagnarli nell’abituale soggiorno presso la località termale. Qui la protagonista conoscerà gli altri personaggi principali, fra i quali subito si distingue Henry Tinley, affascinante e sagace gentiluomo che in una sola serata conquista il cuore di lei.
  Per una buona parte del romanzo, la storia d’amore tra i due viene intralciata dall’interferenza dei fratelli Thorpe, famiglia di estrazione ancor più umile dei Morland, ma a differenza di questi disposti a tutto pur di farsi strada nel bel mondo: Isabella si proclama fin dai primi capitoli amica di Catherine e non tenta certo di celare le sue mire sul fratello di lei, James, che crede un buon partito; John si convince invece di poter ottenere senza alcuno sforzo la mano della protagonista, erroneamente ritenuta l’erede degli Allen.
  I personaggi sono certamente uno dei punti forti del romanzo. Catherine si può considerare il prototipo per altre protagoniste austeniane, come Marianne di “Ragione e sentimento” con cui ha in comune l’ingenuità a tratti eccessiva, ma nella seconda metà del volume la ragazza dimostra un carattere ben più deciso e, soprattutto, la capacità di imparare dai propri sbagli, un po’ come Emma, protagonista dell’omonimo romanzo (QUI la recensione). Uno dei temi centrali della narrazione è appunto la crescita emotiva della giovane, che dovrà capire a proprie spese quanto possano rivelarsi meschine alcune persone. Da lettori è poi impossibile provare empatia per la sua passione letteraria, perché capita a tutti di immergersi a tal punto in una storia da crederla reale.
  Henry ricorda invece Fitzwilliam Darcy per l’acume e la visione disincantata della vita, ma risulta ben più gradevole e alla mano del suo omologo in “Orgoglio e pregiudizio”; a mio avviso, il giovane è il più riuscito tra gli eroi tratteggiati dalla Austen, perché a dispetto delle frecciatine rivolte a Catherine si dimostra sempre gentile ed è evidente come il suo intento non sia quello di offenderla bensì di farla riflettere.
  Come negli altri suoi lavori, la Austen non lesina stoccate ai personaggi secondari, che sono tese a mostrare il vero volto della società, celato dietro ad una facciata di educazione e perbenismo. Unici ad essere risparmiati sono le famiglie Morland e la dolce Eleanor, personaggio in parte solo abbozzato sul quale verrà più tardi modellata Georgiana Darcy.
  A questo punto è d’obbligo far luce sulla genesi editoriale di questo romanzo. Benché sia stato pubblicato postumo, “L’abbazia di Northanger” è la prima opera completata da Jane Austen, e questo aiuta a capire perché lo stile sembri ancora acerbo. In quanto satira dell’”Udolpho”, l’editore non volle pubblicare il volume, in un bizzarro caso di auto-censura atta ad evitare uno scontro contro quello che era il caso editoriale del momento.
  La narrazione è molto evocativa, a tratti quasi poetica; inoltro l’autrice si rivolge più volte al lettore in modo diretto, definendosi la biografa di Catherine, e creando con lui una complicità naturale, come tra due amici che spettegolano dei loro conoscenti.


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giovedì 23 agosto 2018

BookTag Time - Tumblr BookTag

BookTag Time

Tumblr BookTag

Per questo mese ho trovato un BookTag con delle domande davvero curiose; dovrebbe essere ispirato al social Tumblr ma, sebbene io l’abbia frequentato parecchio alcuni anni fa, non ho sinceramente capito quale attinenza ci sia.
Ho visto questo BookTag sul canale YouTube di Matteo Fumagalli e QUI potete ascoltare le sue risposte.

1. Cosa fai se ti regalano un libro che sai non ti piacerà?
Di solito, per paura che mi chiedano se mi è piaciuto o meno, lo leggo comunque. Ma confesso di aspettare il più al lungo possibile prima di farlo.
2. Qual è la copertina più bella che ricordi?
Non riesco sinceramente a pensare ad una copertina migliore di tutte le altre, ma quelle disegnate da Paolo Barbieri mi hanno convinto per anni a comprare i libri di Licia Troisi. Tra tutte la più bella per me è quella de “Le spade dei ribelli”, secondo libro della tetralogia I regni di Nashira.
3. Rosso o Nero: preferisci i personaggi impulsivi o quelli che seguono la logica?
Decisamente i personaggi che seguono la logica, ragionando e pianificando le proprie azioni; quelli troppo avventati di solito mi irritano e risultano degli stupidi.
4. L’autore che vorresti incontrare?
Non capisco se la domanda mi permetta di riportare in vita degli autori defunti, nel caso credo che la mia scelta ricadrebbe su Charles Dickens, per la sua capacità di creare dei personaggi sempre nuovi e la sua genuina ironia. Se invece mi dovessi limitare agli autori in vita, penso che punterei su George R.R. Martin per ordinargli in modo alquanto brusco di darsi una mossa a concludere la sua saga!
5. Qual è il primo libro che hai letto?
Nessuno può ricordare il primo libro che abbia mai letto! Se valgono gli audiolibri (o meglio, i genitori che leggono i libri), credo che il mio primo vero romanzo sia “Pinocchio” di Carlo Collodi.
6. Se potessi portare via gratuitamente tre libri da una libreria, quali sceglieresti? (Non ci sono limiti, anche libri antichi o edizioni limitate)
Di preciso non mi viene in mente nulla di particolarmente prezioso, mentre punterei sicuramente a qualche libro anche economico ma fuori catalogo e quindi introvabile per altri canali.
7. Un classico per l’infanzia che rileggeresti sempre.
Come avrete capito da QUESTO BookTag, “Piccole Donne” di Louisa May Alcott è il classico per ragazzi che preferisco e rileggerei volentieri anche oggi.
8. Quale libro ti ha conquistato solo leggendo la trama?
La sinossi di “Vita dopo vita” di Kate Atkinson (QUI la recensione) prometteva una storia incredibile e mi ha subito convinto a comprare questo libro; purtroppo il romanzo non mi ha convinto per nulla, quindi è la prova che spesso le trame possono risultare ingannevoli.
9. Il personaggio che ti ha fatto pensare “Perché non sei reale?!”
Mi capita spesso di voler interagire con i personaggi dei quali leggo, dovendo scegliere una punterei su Karou, protagonista della trilogia di Laini Taylor iniziata con “La chimera di Praga” (QUI la recensione). È un personaggio coraggioso ed indipendente, ed ha anche dei poteri sovrannaturali che potrebbero tornare utili in diverse occasioni.
10. Qual è il libro che vorresti aver scritto?
In contrasto a quanto detto nella domanda numero 6., qui punterei parecchio sul guadagno quindi vorrei aver scritto un libro o una serie di successo, ma anche con minimo di qualità.
11. I tre generi letterari senza i quali non puoi sopravvivere.
Innanzitutto il fantasy, che amo dalla mia infanzia, poi il distopico e lo storico, generi che invece ho imparato ad apprezzare più tardi.

sabato 18 agosto 2018

Il Diavolo veste Prada sul Titanic - Recensione a “La ricamatrice di segreti” di Kate Alcott

Il Diavolo veste Prada sul Titanic

Recensione a "La ricamatrice di segreti" di Kate Alcott



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: La ricamatrice di segreti
AUTORE: Kate Alcott
TITOLO ORIGINALE: The Dressmaker
TRADUTTORE: Roberta Zuppet
EDITORE: TEA
COLLANA: Tre60
PAGINE: 380

IL COMMENTO

  Nel 2012, per celebrare il centenario del tragico affondamento del Titanic, diversi autori pubblicarono romanzi o saggi a tema; ricordo di aver letto all’epoca “Fateful” di Claudia Gray, un romance trash con protagonisti i licantropi. Anche la giornalista Kate Alcott decise di pubblicare il suo esordio narrativo in quest’occasione, commettendo però un errore comune tra gli esordienti: che è alle prese con il suo primo romanzo ha spesso parecchie idee che vorrebbe sviluppare, e per questo il consiglio più frequente è di concentrasi su un solo progetto, accantonando gli altri per futuri lavori.
  La Alcott non ha purtroppo seguito queste lezione, finendo col mescolare in questo volume due romanzi ben distinti: da un lato si segue l’inchiesta condotta dal Senato degli Stati Uniti per comprendere le responsabilità circa l’affondamento del famoso transatlantico, dall’altro viene sviluppata una sorta di rivisitazione in stile anni Dieci de “Il Diavolo veste Prada”.
  Ad unire -o meglio, a tentare di unire- due filoni con ben pochi elementi in comune ci sono la parte introduttiva del romanzo e la protagonista, la giovane Tess. La ragazza viene presentata come un’umile domestica con il sogno di diventare sarta a tempo pieno, e questo è il motivo che la porta a lasciare il suo posto di lavoro e cercare di imbarcarsi sulla “Nave dei sogni”.
  Purtroppo già da questo punto la protagonista comincia a starci a noia, per la ridicola sequela di colpi di fortuna che le capitano: sul molo incontra infatti Lucy Duff Gordon, la stilista che più ammira, la quale appena piantata dalla cameriera la assume nonostante la sua evidente imbranataggine. Tess si salva logicamente dal tragico affondamento del Titanic e, una volta arrivata a New York, comincia a lavorare nell’atelier di Lucy arrivando a gestire la sua sfilata. Ma questo non basta: la Alcott pare determinata a sommergere la giovane di buona sorte immeritata, eccola infatti fornita di un appartamento personale e di ben due uomini utopisticamente perfetti pronti a farle una corte spietata.
  Fortunatamente Tess capisce di non meritare davvero tanti regali dalla sua creatrice e molla sia il lavoro dei suoi sogni sia i due pretendenti. Peccato che queste scelte coraggiose vengano rovinate dal finale bucolico e pieno di liete speranze, nonché dal passato di Tess: non è realistico che una giovane donna abituata ad una vita di rinunce ed umiliazione molli tutto solo per orgoglio.
  Ma Tess non è il solo personaggio con dei problemi di caratterizzazione, perché l’autrice nel tentativo di tratteggiare dei personaggi sfaccettati finisce con esagerare e arrivare ai limiti del bipolarismo, come nel caso di Lucy.
  Salvo invece la giornalista Pinky ed il Senatore Smith, che ho apprezzato soprattutto per i ruoli da loro svolti nell’inchiesta, a mio parere la parte più interessante ed originale del romanzo.
  Gli interessi amorosi di Tess non mi hanno affatto colpito, sia per la già citata perfezione (della serie “ti amo alla follia, ma so che vuoi lui, quindi ciao”) sia per le ridicole proposte di matrimonio / convivenza, proposte ridicole in quanto la protagonista conosce entrambi da qualche settimana. Promuovono l’ottima preparazione storica di base, evidente soprattutto nelle scene collegate al mondo del giornalismo per le quali l’autrice è stata probabilmente aiutata dalla sua professione.
  In generale, lo stile è snello e diretto, ma a tratti si ha la sensazione che la narrazione sia carente in alcuni passaggi e si passa in modo troppo brusco da una scena all’altra. Quello che non manca è invece il sovrannumero di descrizioni parecchio dettagliate di abiti, ma questo trova giustificazione nel lavoro della protagonista. La narrazione è però in terza persona e segue un buon numero di POV, spesso passando repentinamente da uno all’altro, scelta che genera inevitabilmente confusione nel lettore.
  L’aspetto stilistico che mi ha fatto maggiormente sospirare -in senso negativo- è il continuo ricorrere alle interrogative dirette, come di recente avevo riscontrato in “Fated” (QUI la recensione). E la Alcott non si limita a rimpinzare i suoi lettori di domande retoriche, ma li delizia anche con immediate risposte.

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LA VIGNETTA

  Si sa che il successo può dare alla testa!