martedì 28 novembre 2017

Il twist (comico) che non ti aspetti - Recensione a “Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti” di Andre Vitali

Il twist (comico) che non ti aspetti

Recensione a "Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti" di Andrea Vitali



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti
AUTORE: Andrea Vitali
TITOLO ORIGINALE: -
TRADUTTORE: -
EDITORE: Rizzoli
COLLANA: Vintage Gold
PAGINE: 450

IL COMMENTO

  Mentre su un ramo del Lago di Como Manzoni immaginava il coronarsi del sogno d’amore tra Renzo e Lucia, su quello accanto Vitali mette in scena una storia di tutt’altro genere, senza farsi però mancare intrecci romantici, prepotenti signorotti, perpetue impiccione e preti restii a celebrare matrimoni.
  Il romanzo è ambientato negli anni ’10 a Bellano, città natale dell’autore stesso, dove la tranquillità non viene turbata tanto dagli eventi mastodontici della Prima Guerra Mondiale, quanto da un fatto all’apparenza di poco conto: in paese giungono le Sorelle Ficcadenti ed aprono la loro merceria.
  L’arrivo della seducente Giovenca e della ripugnante Zemia crea problemi innanzitutto ai due bottegai del paese, che tentano di ogni modo di bloccare sul nascere questo pericoloso concorrente. I guai più grossi riguardano però il piano sentimentale, infatti Geremia -da tutti additato come un povero stolto- perde la testa per Giovenca, inconsapevole di essere diventato parte di un piano ben più grande di lui; e ben più grande di quanto il lettore possa inizialmente immaginale.
  A complicare ulteriormente la situazione si aggiungono un gran numero di personaggi più o meno importanti, come la madre di Geremia, Stampina, sempre in pena per il figlio, o il Notaro, Editto Giovio, emblema del rozzo arricchito che è certo di poter acquistare classe e fascino con il denaro.
  Dell’evento scatenante, la trama di espande, complessa eppur ben articolata, in due filoni principali: nel presente seguiamo le vicende delle sorelle Ficcadenti a Bellano, mentre nel passato l’autore ripercorre la bizzarra storia della Premiata Ditta, esponendo con cura ma anche in modo sorprendere tutti gli eventi che hanno portato Giovenca e Zemia ad avviare la merceria. Per mantenere il lettore sempre attento, i fatti sono riportati in tanti piccoli flashback, che si alternano alla narrazione al presente da un terzo del libro fino alla fine.
  L’aspetto più peculiare dell’intreccio narrativo sta nell’abilità dell’autore di spingere il lettore verso una soluzione per i molti misteri, per poi ribaltare completamente le carte in tavola all’ultimo, specialmente nell’imprevedibile finale.
  Così descritto, questo romanzo parrebbe quasi un thriller, ma in realtà è ostico assegnargli un solo genere; infatti il tono leggero e spesso comico, caratteristico soprattutto della prima metà del libro, cede a poco a poco il posto a delle atmosfere decisamente noir e a dei misteri tipici del giallo.
  I personaggi creati da Vitali, seppur vittime della sua comicità parodistica, sono perfetti per la storia senza risultare stereotipati. Va segnalato però che a tratti sembrano essere davvero troppi perché il lettore possa ricordarsene, anche a causa degli strani nomi, che l’autore assegna perfino alle comparse.
  Un altro elemento a mio avviso esagerato è l’ampio utilizzo di termini o intere frasi in dialetto che, mancando spesso una pronta traduzione, potrebbero rendere difficile la piena comprensione di alcune scene.
  A stupirmi in modo davvero positivo è stato in gran parte il realismo che impregna l’intero romanzo; in special modo nel finale, è chiaro che non basta essere tra i buoni per ottenere il proprio lieto fine. E proprio come accade nella realtà, individui dalla dubbia morale possono essere raggiunti dal giusto castigo, come pure scamparlo senza rischio alcuno.
  Degno della mia lode anche lo stile, che intreccia indiscriminatamente pensieri e dialoghi nella parte descrittiva; particolare anche la presenza di molti proverbi popolari e di frasi spezzate con i verbi quasi nascosti nel testo.
  Per quanto riguarda la struttura del romanzo, i capitoli sono senza eccezione brevi, a volte brevissimi, come dei paragrafi.
  Da segnalare l’evidente omaggio al “Don Camillo” di Guareschi, specie per la presenza di un prete tanto invischiato nelle vite dei suoi parrocchiani, ma anche per l’ironia sottile eppure abbondante che impregna l’intero volume e tutti i suoi personaggi.

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giovedì 23 novembre 2017

Il coraggio di ricordare - Recensione a “Il gigante sepolto” di Kazuo Ishiguro

Il coraggio di ricordare

Recensione a "Il gigante sepolto" di Kazuo Ishiguro



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Il gigante sepolto
AUTORE: Kazuo Ishiguro
TITOLO ORIGINALE: The Buried Giant
TRADUTTORE: Susanna Basso
EDITORE: Einaudi
COLLANA: Super ET
PAGINE: 320

IL COMMENTO

  È legittimo sacrificare verità e giustizia in nome della pace? Nella graphic novel capolavoro di Alan Moore “Watchmen”, il geniale Adrian Veidt -aka il supereroe Ozymandias- decide di tenere il mondo intero all’oscuro delle sue trame per evitare un conflitto nucleare, e al contempo il suo collega Rorschach viene messo a tacere perché incapace di rinunciare ai suoi valori.
  Ne “Il gigante sepolto”, è descritta invece una situazione completamente ribaltata, in cui chi tenta di proteggere la falsa pace tra britanni e sassoni va incontro alla morte, mentre a trionfare è una verità portatrice di guerra e violenza.
  A differenza di “Non lasciarmi” (QUI la recensione), per il quale Ishiguro aveva ideato un’ambientazione del tutto originale, in questo romanzo ci troviamo nella mitica Inghilterra del Ciclo Arturiano, tanto che fa la sua apparizione il cavaliere Galvano e vengono più volte nominati sia Artù che Merlino.
  In questo scenario fantastico si muovono i nostri protagonisti in due coppie distinte, seppur chiaramente destinate ad incontrarsi: da un lato abbiamo Axl e Beatrice, due anziani coniugi in marcia verso il villaggio dell’amato figlio, mentre dall’altro troviamo il guerriero Wistan ed il suo giovane apprendista Edwin, la cui missione è portare soccorso ai loro compatrioti sassoni oppressi dal malvagio Lord Brenno.
  A queste figure si aggiunge poi Ser Galvano, cavaliere e nipote del grande Artù, che erra pre quelle stesse terre assieme al fedele cavallo Orazio che il fine di adempiere alla sua antica missione, ossia uccidere la terribile draghessa Querrig.
  Tutti i personaggi sono però gravati da un crudele sortilegio chiamato “nebbia” che ruba i loro ricordi, facendo scordare eventi lontani e recenti. Se da un lato questo è certamente problematico, come nel caso dei soldati che scordano il compito affidatogli dal loro signore, da un altro Ishiguro vuole far riflettere il lettore sulle situazioni in cui dimenticare il passato può aiutare a vivere in modo più sereno il presente.
  Seppur procedendo con lentezza, appesantita da alcune scene superflue, la trama riserva degli eccellenti colpi di scena che riescono a tenere viva l’attenzione del lettore. La parte che soggettivamente ho trovato più debole nel romanzo è senza dubbio il finale, in cui l’autore accantona le rivelazioni sensazionalistiche attese (da me) in favore di riflessioni ben più profonde sulla memoria e sul perdono.
  Tra i personaggi spiccano per il loro carisma Axl e Wistan, mentre i loro rispettivi compagni di viaggio non riescono proprio ad accattivarsi il favore del lettore e risultano spesso i “pesi morti” della compagnia degli eroi; infatti, la maggior parte dei personaggi è chiaramente una riproposizione di figure classiche in miti e leggende.
  Lo schema strutturale del romanzo è abbastanza particolare: innanzitutto, l’autore opta per la narrazione in terza persona così da poter alternare più POV possibile, e solo nel finale rivela (forse) l’identità del vero narratore; la maggior parte dei capitoli inizia poi anticipando un evento per ripercorrere in un secondo momento la storia utilizzando dei brevi flashback. Infine un dettaglio che a tratti può risultare fastidioso è il continuo ripetersi di nomi o ruoli dei personaggi, seppur ciò renda più chiaro il collegamento alle figure leggendarie.
  È stato rassicurante ritrovare il tono pacato ed attento di Ishiguro, capace di coinvolgere ed incantare il lettore anche se non si ritrova direttamente nei personaggi. Il suo stile risulta inoltre molto affine all’ambientazione medioevale ed ai personaggi stessi -specialmente ai nobili cavalieri-, mentre stona nelle scene d’azione.
  Da nota come spesso l’autore interrompa una descrizione o tronchi un dialogo per rivolgersi in modo diretto ed un po’ informale al lettore e fornirgli dei chiarimenti.
  Infine, il misterioso maleficio che affligge i personaggi -e che assomiglia molto alla malattia dell’insonnia in “Cent’anni di solitudine” (QUI la recensione)- sembra colpire a tratti anche lo stesso Ishiguro, quando si interrompe poco prima di rivelare preziose informazioni, facendo sospirare i suoi lettori.

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  Povera Beatrice! Sarà l'età?

martedì 14 novembre 2017

Incredulità perfettamente sospesa - Recensione a “Il circo della notte” di Erin Morgenstern

Incredulità perfettamente sospesa

Recensione a "Il circo della notte" di Erin Morgenstern



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Il circo della notte
AUTORE: Erin Morgenstern
TITOLO ORIGINALE: The Night Circus
TRADUTTORE: Marinella Magri
EDITORE: Rizzoli
COLLANA: Rizzoli best
PAGINE: 460

IL COMMENTO

  Se è cosa nota che un libro non va giudicata dalla copertina, questa regola dovrebbe valere anche per la sinossi. Ma allora su quale base va scelto un romanzo?
  Personalmente do molto credito alle opinioni di altri lettori, specie se in linea di massima affini alle mie. E sono state proprio (o meglio, solo) le recensioni positive ad attirarmi verso “Il circo della notte”, perché se mi fossi limitata alla trama proposta dalla Rizzoli, di certo non avrei mai acquistato questo romanzo.
  Ora, non intendo inimicarmi un’altra casa editrice, ma resta il fatto che la sinossi scelta, seppur corretta, non esplica a sufficienza il contenuto al lettore, e così facendo lo allontana dall’acquistare un libro davvero unico.
La trama è composta da più filoni che, almeno nella prima parte del romanzo, sembra scollegati per poi confluire in una sola storyline grazie al Cirque des Rêves.
  La storia principale si focalizza su Celia e Marco, e in special modo sulla sfida a cui li hanno vincolati i loro maestri, Alexander e Prospero; costoro praticano due tipi molti diversi di magia -il primo crede che chiunque la possa apprendere se si applica a dovere nello studio, mentre il secondo è convinto sia un’abilità innata ed ereditaria- e da tempo immemore si impegnano a preparare degli allievi da far scontrare per decretare quale sia il metodo migliore. Con tali premesse, quando a Prospero viene affidata la figlioletta, subito convoca l’antico avversario per dare il via ad una nuova sfida.
  La seconda storia è incentrata su Bailey, un giovane pieno di dubbi sul proprio futuro che si sente inspiegabilmente attratto dal Cirque des Rêves. Questa storyline è inizialmente in ombra rispetto alla principale, ma con il proseguo del romanzo acquista sempre maggiore importanza: sembra quasi che le storie dei due sfidanti e di Bailey si rincorrono in un continuo crescendo, fino a convergere nello stesso tempo e luogo.
  Infine alcuni capitoli pongono come protagonista lo stesso lettore, permettendogli di visitare i vari tendoni del Cirque des Rêves, e dietro questa storia si cela abilmente un narratore del tutto inaspettato.
  In generale, tutti i personaggi risultano interessanti e ben sfaccettati, e l’ottimo lavoro nella caratterizzazione si può notare soprattutto con i personaggi secondari. L’unico difetto (del tutto soggettivo) lo si riscontra quando Celia e Marco si innamorano e diventano una coppia, seppur molto problematica, perché questa parte si svolge in modo un po’ frettoloso e pare quasi che l’autrice abbia scordato di descrivere alcune scene; ironicamente ho apprezzato molto di più le altre coppie, seppur messe in secondo piano.
  A rendere particolare la narrazione è il circo, che viene inteso come un’entità a sé, quasi come fosse esso stesso uno dei personaggi o meglio il risultato della somma di tutti coloro che vi si esibiscono, lo visitano e gli danno vita. Questo è reso possibile dalla straordinaria fantasia grazie alla quale la Morgenstern riesce ad ideare un’infinità di incredibili attrazioni.
  Gli altri elementi più significativi sono certamente gli inattesi colpi di scena, che caratterizzano soprattutto la seconda metà del romanzo; la continua tensione che grava sulla sfida tra Celia e Marco, capace di mantenere anche il lettore in uno stato d’ansia; la particolare importanza data ai colori, sempre scelti con l’intenzione di dare un determinato messaggio.
  I capitoli sono strutturati in modo da focalizzarsi su un solo POV, ma al contempo una stessa scena può essere descritta più volte da diversi POV, così da fornire nuovi elementi sulla vicenda.
  Infine, per una persona riflessiva e concreta come me, è molto raro imbattersi in un romanzo capace di intrigare al punto di far scordare eventuali domande su dettagli lasciati volutamente sospesi o senza spiegazione. Il maggior pregio de “Il circo della notte” è proprio fornire date e luoghi precisi, eppure incantare il lettore con l’idea che tutto si svolta in un altro mondo: il mondo dei sogni.

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  Happy now, Erin?