domenica 29 ottobre 2017

L’utopia del consumismo - Recensione a “Il mondo nuovo” e “Ritorno al mondo nuovo” di Aldous Huxley

L'utopia del consumismo

Recensione a "Il mondo nuovo" e "Ritorno al mondo nuovo di Aldous Huxley



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Il mondo nuovo - Ritorno al mondo nuovo
AUTORE: Aldous Huxley
TITOLO ORIGINALE: Brave New World - Brave New World Revisited
TRADUTTORE: Lorenzo Gigli e Luciano Bianciardi
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar Moderni
PAGINE: 340

IL COMMENTO

  Tra i maestri della distopia novecentesca, Huxley è stato di certo uno dei più visionari e lungimiranti: romanzi come “1984” nascono dall’esperienza drammatica della Seconda Guerra Mondiale e ne sono quasi una trasposizione su carta, mentre “Il mondo nuovo” già agli inizi degli anni ’30 delineava un governo totalitario in grado di plagiare le menti delle masse per mutarle in un mero strumento da utilizzare per i propri fini.
  Di base, la realtà creata da Huxley ha tutti i presupporti per essere un’utopia anziché una distopia; infatti l’intero pianeta è unito in un solo Stato sovrano e ciò ha portato alla fine di ogni conflitto. La perfezione di questo mondo non si limita all’assenza della guerra, ma si basa soprattutto sul benessere personale dei singoli individui, che qui vivono seguendo con rigore il dogma del “carpe diem” e, senza pensare con rimorso al passato o con aspettativa al futuro, si godono al massimo un presente in cui lo Stato da un lato incoraggia la promiscuità sessuale e dall’altro fornisce gratuitamente una droga innocua che permette di sopportare la vita quotidiana.
  Partendo da siffatte premesse, il mondo nuovo sembra in fondo perfettamente vivibile, ma subito al lettore viene presentato l’altro lato di questa società idilliaca: gli individui non vengono più partoriti e cresciuti nelle famiglie, bensì creati nei laboratori governativi (addirittura clonati, al fine di ottenere un domani gruppi di lavoratori perfettamente sincronizzati) e poi condizionati per tutta l’infanzia per farne adulti pronti a svolgere il loro ruolo nel mondo, sia come manodopera già predisposta ad una certa attività sia come consumatori. Lo Stato si trova così a governare degli individui dei quali, sulla carta, soddisfa ogni desiderio, ma che in realtà desiderano soltanto ciò che possono ottenere o a cui sono destinati.
  Oltre agli evidenti intenti di critica e riflessione, il romanzo possiede anche una trama strutturata, seppur messa in secondo piano; si tratta di una vicenda narrata in modo corale, scelta che rende quasi tutti i personaggi dei (potenziali) protagonisti. Il filone principale riguarda il Selvaggio John che, dalla riserva in cui lo Stato permette la sopravvivenza di alcune persone che ancora vivono “alla vecchia maniera”, giunge nella futuristica Inghilterra; forse è proprio nel confronto con i selvaggi che la meccanicità dei nuovi mondani si evidenzia in modo più accentuato, specie quanto questi ultimi ripetono in modo robotico delle frasi apprese grazie all’ipnopedia.
  Tra i personaggi, Linda è di certo quella che più colpisce il lettore per la sua storia tragica e per il modo in cui ne parla, tanto da provare il suo stesso senso di angoscia al pensiero di trovarsi soli e completamente isolati dalla sola e confortante realtà conosciuta. Decisamente più arduo è empatizzare con Bernard: se da un lato è inevitabile provare pena per chi è vittima della sfortuna, dall’altro il suo carattere strafottente e al contempo pavido lo rende odioso.
  Uno degli aspetti più peculiari del mondo nuovo è sicuramente il ribaltamento riguardo al senso del pudore: ad esempio, i bambini sono spinti alla pratica del cosiddetti giochi eroticim mentre è considerato molto imbarazzante parlare delle figure dei genitori.
  Lo stile dell’autore è scorrevole e dinamico, e tale si mantiene anche nei saggi che compongono “Ritorno al mondo nuovo”.
  Ad alcuni anni di distanza infatti, Huxley riprende quanto narrato nel suo romanzo e lo confronta con la sua realtà contemporanea, trovandovi ben più somiglianze di quante se ne attendesse all’epoca della stesura. Da questo paragone nasce una serie di saggi brevi e semplificati, ma non per questo incapaci di far riflettere e validi ancor oggi, specie quando toccano il tema del condizionamento causato dai mass-media, capaci come e meglio dell’ipnopedia di persuadere l’individuo ad un determinato acquisto.
  Essendo stati scritti dopo il conflitto mondiale, i saggi risultano in gran parte pessimistici sul futuro dell’umanità, e non mancano parecchie stoccate all’indirizzo di Orwell e del suo “1984”, a detta di Huxley meno vicino alla realtà della sua opera.
  A mio avviso, con i suoi saggi, lo scrittore intendeva comunicare un forte appello affinché la libertà di pensiero venga concessa a tutti.

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  Lungimirante e sbruffone: lo adoro!

giovedì 19 ottobre 2017

Chi va piano, annoia il lettore - Recensione a "La sposa dell’inquisitore" di Jeanne Kalogridis

Chi va piano, annoia il lettore

Recensione a "La sposa dell'inquisitore" di Jeanne Kalogridis



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: La sposa dell'inquisitore
AUTORE: Jeanne Kalogridis
TITOLO ORIGINALE: The Inquisitor's Wife
TRADUTTORE: Adria Tissoni
EDITORE: TEA
COLLANA: teadue
PAGINE: 310

IL COMMENTO

  La storia dell’umanità è destinata a ripetersi in un interminabile ciclo. In questo continuo ritorno di eventi e figure, alcuni temi sembrano ripresentasi più spesso di altri: tra questi c’è senz’altro l’intolleranza tra le diverse religioni che, portata agli estremi dalla collimazione di più fattori, sfocia quasi inevitabilmente nella peggiore violenza. E ne abbiamo prove dall’antichità fino ai giorni nostri.
  Questo romanzo non ha però come sfondo l’insensato olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale e neppure l’infinita battaglia che persiste da anni negli Stati del Medioriente. L’ambientazione scelta dalla Kalogridis è invece la Siviglia negli ultimi anni del Medioevo: una città da sempre multietnica, e proprio per questo spesso scossa da tumulti interni derivati proprio dalla coesistenza di cristiani, ebrei e mussulmani, senza contare i moltissimi conversos costretti a mantenere segreta la loro vera fede.
  In questo precario scenario si muove la giovane Marisol, figlia di un cristiano e di una conversa, e per questo sempre incerta nella propria fede, in special modo quando è abbastanza grande da capire che il suo aspetto la segnerà per sempre come diversa rispetto ai suoi vicini, cristiani vecchi.
  Per molti anni Marisol e la sua famiglia riescono a vivere in modo relativamente sereno, ma il ritorno della feroce Inquisizione accenderà i sospetti prima sulla madre e poi su di lei e il padre, tanto che quest’ultimo arriverà a stringere un misterioso accordo con il vicino Gabriel Hojeda, che porterà al matrimonio di questi con una riluttante Marisol.
  Lavorando con il fratello proprio alle dipendenze della Santa Inquisizione, Gabriel dovrebbe poter tenere al sicuro da ogni sospetto la giovane, sebbene il cuore di lei sia ancora legato ad una vecchia proposta di matrimonio fatta da Antonio Vargas. In questa storia c’è però ben poco spazio per l’amore, perché l’autrice preferisce dar voce ai misteri intorno alla vita, e all’improvvisa scomparsa, della madre di Marisol.
  Ad appesantire una trama altrimenti abbastanza lineare contribuiscono i molti comprimari, che anziché far procedere la storyline principale giungono a crearne di nuove, con i loro obiettivi o i loro desideri, creando così dell’inutile confusione dal momento che spesso si arriva ad una loro rapida uscita di scena.
  Tra questi personaggi secondari è d’obbligo segnalare la presenza di diverse figure storiche, tra le quali spiccano la Regina Isabella e l’inquisitore Torquemada, che mettono così in campo un nuovo elemento nella persecuzione attuata dalla Chiesa: il desiderio di impossessarsi delle ricchezze nascoste degli ebrei e dei conversos, prima che questi riescano a portarle all’estero.
  Lo stile della Kalogridis è piacevole e scorrevole, seppur la tendenza ad utilizzare molti flashback faccia procedere la trama con un’eccessiva lentezza nella prima parte del volume. A rallentare la trama sono inoltre le lunghe descrizioni degli ambienti. Anche se l’autrice possiede un innegabile talento per delineare delle descrizioni dettagliate, queste dovrebbero comunque essere funzionali alla storia, anche solo per fornire al lettore degli indizi sul proseguo degli eventi; in questo caso ci troviamo invece di fronte ad interminabili descrizioni che fanno quasi pensare ad una guida turistica alle bellezze di Siviglia.
  D’altro canto, l’ambientazione storica è resa più realistica da alcuni piccoli dettagli legati alla vita quotidiana, come le pietanze consumate ai pasti o i diversi arredi degli interni; in questo caso si nota chiaramente l’eccellente preparazione storica dell’autrice.
  Già dal prologo, la Kalogridis sceglie di mettere in chiaro il suo obiettivo: grazie ad un’accurata seppur rapida scorta sul passato della città spagnola, il lettore capisce subito che la storia di Marisol è stata scelta tra tante altre, ricche di sofferenze patite in nome della vera fede, del vero Dio. Scordando che nessun vero Dio comanderebbe lo sterminio di persone innocenti.

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  Chi meglio di un barbiere per salvare un moribondo?

giovedì 12 ottobre 2017

C’era una volta… la confusione - Recensione a "Bellezza crudele" di Rosamund Hodge

C'era una volta... la confusione

Recensione a "Bellezza crudele" di Rosamund Hodge



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Bellezza crudele
AUTORE: Rosamund Hodge
TITOLO ORIGINALE: Cruel Beauty
TRADUTTORE: Francesca Noto
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: Vertigo
PAGINE: 280

IL COMMENTO


  Sarò sincera: non mi sono per nulla informata prima di acquistare questo libro, e solo dopo ho scoperto che quasi tutti l’hanno trovato pessimo; ma ormai i soldi erano spesi, quindi mi sono auto-convinta che gli altri si sbagliavano e io sola avrei capito il vero messaggio del romanzo.
  Ed ecco la cruda verità: non c’è nessun vero messaggio da capire. In breve, si tratta di un romance con ambientazione fantasy, senza alcuna pretesa di essere originale o innovativo, neppure in confronto ad altri dello stesso genere. Ah, è anche retelling de “La bella e la bestia”.
  Ma cerchiamo innanzitutto di capire cosa intenda la Hodge per ambientazione fantasy. Il Mondo in cui si muovono i personaggi ha il merito di avere una backstory, a differenza di altri romanzi in cui questa rimane un abbozzo o uno sparuto insieme di dettagli che l’autore non si prende la briga di spiegare ai lettori; purtroppo si tratta in gran parte di un’accozzaglia di elementi tra lo storico e il mitologico, che comunque hanno ben poca influenza sulla storia al presente, quindi potevano essere notevolmente semplificati, risparmiando spiegoni inutili e anticlimatici.
  Ci troviamo nella terra di Arcadia, un’isola separata dal resto del mondo a causa di un antico sortilegio; qui i demoni fuggiti dal Tartaro (e già si comincia con i riferimenti mitologici inseriti a pieni mani ma con poca cognizione) sono liberi di perseguitare gli umani, facendoli impazzire o perfino uccidendoli. A governarli troviamo invece il Signore Gentile, ossia un demone che da un lato pretende in pagamento un’offerta per tenere a bada queste creature d’ombra, e dall’altro si diletta a stringere con gli umani dei patti che tornano immancabilmente a suo vantaggio.
  Nyx è nata proprio grazie ad uno di questi patti e la sua intera esistenza ne risulta marchiata: dal momento che il prezzo del patto è la sua mano, promessa dal padre allo stesso Signore Gentile. Nyx viene addestrata per tutta la vita perché acquisisca le capacità necessarie ad uccidere il demone una volta diventata sua sposa e quindi avvicinatolo a sufficienza.
  Nel castello del Signore Gentile, la nostra protagonista, dimenticati nell’arco di poche pagine gli insegnamenti di una vita, scoprirà ben presto che le cose sono molto diverse da come appaiono a chi vive all’esterno, perché anche il mostro peggiore ha dei patti da mantenere e dei padroni ai quali obbedire.
  Mi dispiace constatate come l’autrice abbia davvero sprecato delle ottime premesse, dilungandosi in inutili aneddoti mitologici che rubano pagine su pagine alla narrazione o anche inserendo dei dettagli poi dimenticati o poco sfruttati; terminata la lettura, il lettore rimane pieno di dubbi e di interrogativi non chiariti.
  Anche tra i personaggi c’è del buon potenziale sprecato: Nyx presenta un carattere insolito e curioso, ed il modo in cui mostra apertamente astio nel confronti di una famiglia tutt’altro che perfetta la rende abbastanza originale; purtroppo, come tante altre prima di lei, viene sminuita dall’evolversi della sua storia (storie?) d’amore e la sua impresa eroica procede più per merito della fortuna e degli aiuti ricevuti che per la sua effettiva abilità.
  Dall’altro lato, il protagonista maschile -sebbene sia improprio parlarne al singolare- non ricorda la classica “Bestia”, o meglio non ricorda solo quella: il suo personaggio è quello che più di tutti risente per la scelta della Hodge di mescolare tante fonti ispirative, finendo così per racchiudere (male) in se elementi di Barbablù, Eros e Tremotino.
  I comprimari sono in buona parte abbastanza interessanti e piacevoli, senza particolare tentativi di renderli qualcosa di più.
  In conclusione, da grande appassionata di mitologia e storia classica, oso dire che l’autrice avrebbe potuto eliminare questi aspetti e trasformare un romanzo maldestramente farcito in uno snello racconto, magari dedicando più tempo ai misteri irrisolti.
  In generale, lo stile risulta scorrevole, una volta inquadrata bene la storia di fondo, quindi spero in qualche miglioramento per i prossimi volumi.

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