lunedì 7 aprile 2025

"Il re malvagio" di Holly Black

Il re malvagio (Il Popolo dell'Aria, #2)Il re malvagio by Holly Black
My rating: 2 of 5 stars

"Detesto che lui sappia cosa sta facendo e io no. Detesto essere vulnerabile. Detesto inclinare la testa all'indietro, arrendermi ... di tutto ciò che mi ha fatto, farmi innamorare così di lui è in assoluto la peggiore"


...ANCHE SE QUESTA SERIE UN SENSO NON CE L'HA

Sembra proprio che quest'anno io sia destinata ad incasellare una lettura spiacevole dopo l'altra. E molto spesso questa situazione riguarda i libri che fanno parte di una serie, perché se il primo non mi è andato a genio come posso aspettarmi che con i seguiti vada meglio? Quindi ecco un altro secondo volume deludente, soprattutto considerato quanto venga elogiato dai fan della trilogia. Eppure "Il re malvagio" è riuscito a collocarsi un mezzo gradino sopra "Le tombe di Atuan", e questo per la totale assenza di noia che ha caratterizzato la mia esperienza di lettura! La cara Holly getta in faccia al lettore una serie apparentemente infinita di scene tra l'ottuso e l'incomprensibile, con le quali annoiarsi non è un'opzione considerabile.

Dopo un rapido flashback, il libro ci porta cinque mesi dopo la conclusione de"Il principe crudele". L'umana Jude Duarte è ora impegnata come siniscalco per il Sommo Re Cardan, ed in quanto tale si trova a dover gestire una quantità di problematiche più o meno gravi: da una minaccia di tradimento interna al pericolo rappresentato dalla regina degli Abissi Orlagh, passando per le mire alla corona del fratello di Cardan Balekin e per l'imminente matrimonio di sua sorella gemella Taryn. Sullo sfondo rimane la missione della ragazza per predisporre l'ascesa al trono del fratellino adottivo Farnia, come anche la sua ambigua storia d'amore con lo stesso Cardan.

In modo devo dire sorprendente, quest'ultimo si piazza tra gli scarsi punti a favore del romanzo: lo reputo un personaggio ben scritto e con un grande potenziale, soprattutto quando l'autrice non si sforza in maniera tanto evidente di renderlo una mera vittima. Jude ovviamente è ben lontana da questa categoria (come gran parte del cast, del resto!), ma devo ammettere di essere contenta che entrambi si siano lasciati alle spalle l'inutile parentesi scolastica. Tra gli aspetti che ho apprezzato rientrano l'ampliamento del world building ed il buon ritmo, che potrebbe ambire ad essere perfino ottimo non fosse per i troppi refusi, a causa dei quali la lettura subisce un inevitabile rallentamento.

A rendere tanto apprezzata e distintiva questa trilogia è ovviamente la componente psicologica dei personaggi, dei quali la cara Holly racconta i traumi per farci capire cosa li spinga ad agire spesso sconsideratamente nel presente. Anche a mio avviso è uno dei pregi maggiori -specie per la presenta di reazioni differenti ad un'analoga situazione problematica- e l'ho trovato interessante soprattutto nel finale. Peccato che, al netto dei vari traumi subiti, i personaggi palesino una stupidità innata e non giustificabile (solo) con le loro passate disgrazie, comunque inserite nel testo con ben poca sottigliezza e buon gusto. Ad aggiudicarsi l'ambito primo premio per l'imbecillità è senza dubbio la nostra Jude, della quale siamo condannati ad ascoltare gli insensati ragionamenti ed i continui ripensamenti.

Per quanto riguarda l'intreccio, avrei poi gradito la presenza di qualche elemento magico in più (sui chiarimenti invece ho alzato bandiera bianca) perché a volte ci si dimentica quasi che i personaggi sono dotati di poteri paranormali. Sarebbe inoltre carino se gli sviluppi di trama non fossero tanto fortuiti: si potrebbe far procedere la storia senza personaggi ed informazioni che cadono tra le braccia della protagonista, soprattutto se quest'ultima attivasse i suoi neuroni. Come già accennato, a rendere questa narrazione ancor più respingente contribuisce l'abominevole traduzione! onestamente non saprei dire cosa risulti più fastidioso tra i tempi verbali sbagliati ed i refusi di digitazione.

Tutto questo finisce per distrarre notevolmente il lettore, già impegnato in una narrazione parecchio contorta per il gusto di esserlo. Io ormai mi sono messa il cuore in pace: tra me e Black non sboccerà mai l'amore. E a tal proposito chiamo in causa le sue scene descritte in modo tanto aulico da risultare incomprensibili, la mancanza di logica tra un'azione e la sua reazione, nonché le descrizioni di abiti ed accessori inserite in modo casuale ed inopportuno durante i dialoghi. In un volume relativamente breve, la protagonista -sulla carta poco o niente interessata alla moda- è impegnata in più cambi d'abito di Solange Kardinaly!

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venerdì 4 aprile 2025

"Le tombe di Atuan" di Ursula K. Le Guin

Le tombe di AtuanLe tombe di Atuan by Ursula K. Le Guin
My rating: 1 of 5 stars

"Si diceva che si trovassero lì fin dal tempo dei primi uomini, fin da quando il Terramare era stato creato ... Erano le tombe di coloro che regnavano prima che nascesse il mondo degli uomini, coloro che non avevano nome, e per questo colei che veniva a loro consacrata, colei che era al loro servizio non aveva nome"


TANTE MAIUSCOLE DA FAR INVIDIA AD UN TEDESCO

A gennaio, mentre in piena influenza arrancavo tra le pagine de "Il mago", percependo come ostico ed interminabile un libretto per bambini, mi sono sentita un mezzo fallimento come lettrice. Ad oggi, più o meno in buona forma fisica, devo dire che la me stessa del passato era una vera eroina senza neppure saperlo; questo perché "Le tombe di Atuan" mi ha confermato che il problema non ero (solo) io, bensì la prosa soporifera della cara Ursula.

C'è da dire che almeno nelle prime pagine la mia attenzione l'ha saputa catturare, introducendo una protagonista ed un contesto del tutto nuovi. Siamo sull'isola desertica di Atuan, dove si erge il Posto delle Tombe, ossia nove monoliti mistici custoditi dalla Prima Sacerdotessa; appena nata la piccola Tenar viene individuata proprio come la reincarnazione di questa figura, e per questo allontanata dalla sua famiglia e costretta ad adottare il non-nome di Arha. La prima parte del libro è interamente dedicata al suo addestramento religioso -ed in particolare all'esplorazione dei tunnel che si snodano sotto i templi-, mentre nella seconda il ritorno di una nostra vecchia conoscenza porta una parvenza di trama in una narrazione fino a quel punto poco corposa.

L'intenzione di Le Guin non era chiaramente quella di strutturare un'avventura fantasy simile a quella del primo capitolo, quanto piuttosto di raccontare l'emancipazione di Tenar, da burattino delle Sacerdotesse più anziane a persona capace di autodeterminarsi. Personalmente non credo che questo concetto sia stato sviscerato al meglio, ma rimane comunque uno spunto positivo sul quale lavorare magari nei seguiti. Tra gli aspetti che sono riuscita ad apprezzare, troviamo le relazioni interpersonali (più credibili e meglio sviluppate), le nuove ambientazioni ed i nuovi elementi di world building, legati soprattutto alle isole dei Kargad ed al loro approccio nei confronti del sovrannaturale.

Terminati i modesti elogi, passiamo agli elementi che meno funzionano in questa narrazione, a partire dai personaggi. Per quanto riguarda i comprimari, si tratta di caratteri fin troppo stereotipati (Manan è il servitore fedele, Kossil l'insegnante carogna, Penthe l'amica gentile, e così via), ma la situazione peggiora quando si arriva ai protagonisti: la caratterizzazione di Tenar è a dir poco banale, mentre quella del suo coprotagonista risulta del tutto stravolta rispetto al libro precedente. Non ho ben capito inoltre la scelta di puntare in modo tanto netto l'attenzione su personaggi -come Penthe, la madre di Tenar o Thar- che alla fine dei conti risultano davvero marginali.

Come accennato, il volume pecca di una solida e chiara strutturazione: la trama risulta quasi inesistente e, quando finalmente sembrano comparire degli spunti validi, questi sono motivati da informazioni del tutto estranee non solo a questo libro ma perfino al primo! Il tutto viene poi veicolato al lettore attraverso un ritmo fin troppo lento ed una tensione praticamente non pervenuta. Sul finale ci sono dei tentativi di smuovere gli eventi, ma anche qui il risultato è ben poco emozionante sia perché non c'è stato il tempo di conoscere davvero i personaggi sia per l'apparente mancanza di conseguenze (in positivo o in negativo) per le loro azioni.

Per concludere, qualche pet peeve che ha contribuito a rendere più tediosa la mia esperienza di lettura. Ad esempio abbiamo un fastidioso ricorso al name dropping per tutto il volume; sono anche presenti parecchi spiegoni di lunghezza terrificante, che non sempre risultano essere indispensabili e si presentano al lettore nel modo più forzato e respingente possibile. Volendo poi sorvolare sul fatto che quel poco di trama presente è concentrato sul ritrovamento di un chiarissimo MacGuffin, non ho potuto fare a meno di notare alcune contraddizioni all'interno del sistema magico: a differenza di quanto detto in precedenza, qui abbiamo un nome vero assegnato dai genitori e delle entità senza nome che sono influenzabili dalla magia. Potrei citare altre incoerenze, ma non voglio demolire del tutto uno dei pochi punti di forza della serie. Per ora.

Voto effettivo: una stellina e mezza

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venerdì 28 marzo 2025

"Un piccolo odio" di Joe Abercrombie

Un piccolo odio (The Age of Madness, #1)Un piccolo odio by Joe Abercrombie
My rating: 4 of 5 stars

"Valbeck restava nascosta dietro le colline a nord mentre lei saltò giù, nel fango segnato dai solchi, tuttavia poteva vedere il fumo dei suoi mille camini che si allargava al vento disegnando una grande chiazza scura nel cielo. Forse riusciva perfino a fiutarlo"


AVESSI VOLUTO UN ROMANCE, MI SAREI LETTA UN ROMANCE

Più di un mese. Ecco quanto mi ci è voluto per venire a capo di "Un piccolo odio", con mia somma vergogna. Non tanto per l'incredibile lentezza con cui ho affrontato la lettura, quanto perché ho desiderato per anni recuperare questa serie (che sembrava scomparsa in Italia) della quale ho sempre sentito parlare in modo molto positivo; e quanto finalmente la posso iniziare, mi passa la voglia!?! Potremmo definirla crudele ironia, ma ci sono anche delle ragioni concrete, che andrò ad analizzare in questa recensione.

La narrazione si colloca vent'otto anni dopo la conclusione della trilogia originale e quindici dopo gli eventi di "Red Country" -l'ultimo dei sequel autoconclusivi-, infatti il cast è composto per una buona fetta dai figli dei personaggi protagonisti nei volumi precedenti. Oltre ai soliti POV occasionali, seguiamo ben sette prospettive divise tra due continenti. Al nord è scoppiata una nuova guerra tra gli alleati dell'Unione ed i Nordici che, sotto il vessillo del futuro sovrano Crepuscolo il Possente, hanno invaso il protettorato di Mastino. Nel frattempo il Midderland è scosso dalle rivolte degli Spezzatori e degli Incendiari, sobillati dal misterioso Tessitore contro lo strapotere di nobili ed imprenditori, che sfruttano le nuove tecnologie per aumentare i profitti a discapito delle classi più umili.

Quello dell'ingiustizia sociale è uno dei temi centrali del romanzo, e devo dire di averlo apprezzato parecchio: posso immaginarlo più rilevante nei seguiti, ma già qui ci sono delle solide basi di malcontento sulle quali costruire i conflitti futuri. Al fianco delle tematiche di maggiore attualità, l'autore continua a dare spazio alle sfaccettature dell'animo umano, parlando di dipendenze (emotive e da sostanze), conflitti familiari e generazionali, elaborazione dei propri traumi e relazioni tossiche. Ovviamente questo viene trattato in modo più o meno approfondito in base alla rilevanza del POV di turno, alcuni dei quali hanno un enorme potenziale (e penso in particolare all'ambigua Teufel) in parte mortificato dal poco spazio a loro disposizione.

Come sempre, la prosa del caro Joe mi ha convinto per merito del suo piglio caustico e pungente, che riesce sempre a mettere a nudo le contraddizioni dei personaggi. Ciò viene reso in modo particolarmente brillante nelle frasi e nelle scene speculari, adottando delle anafore oppure mostrando la medesima interazione attraverso due diverse prospettive. Ritornano anche le scene in multi-POV, tra le quali la mia preferita: il racconto della sommossa a Valbeck, con un intreccio magistrale di caratteri ed esperienze, spesso in netto contrasto a discapito di quanto appare.

Ma allora cosa mi ha reso tanto ostico proseguire in questa storia? a parte il peso fisico del volume, da non sottovalutazione comunque! Per l'ennesima volta mi devo lamentare dell'edizione italiana, che sarà anche impeccabile dal punto di vista estetico ma lascia parecchio a desiderare nei contenuti: tra refusi di battitura, calchi dall'inglese e sviste grammaticali, la traduzione frena inevitabilmente la lettura perché risulta impossibile ignorate tutti questi errori. Sono poi presenti alcuni termini decisamente fuori posto nel contesto in cui è ambientato il libro, come il carnevale o il sabba, che non saprei onestamente se siano da imputare all'eccessiva creatività dell'autore o alla sciatteria del traduttore.

In ogni caso, Abercrombie deve sicuramente rispondere per la propensione a copiare i suoi stessi caratteri (Grosso è un novello Logen tanto quanto Leo ricorda Jezal, giusto per citarne un paio) e per la prevedibilità dei colpi di scena -specialmente dal punto di vista di una lettrice affezionata come la sottoscritta- che si possono azzeccare con capitoli e capitoli di anticipo senza troppa difficoltà. Passando ai difetti più soggettivi, seppur li abbia apprezzati tutti i qualche modo avrei preferito un numero più limitato di POV, mi sarebbe inoltre piaciuto capire meglio come le modernità introdotte abbiano cambiato il modo di vivere dei personaggi, e ho mal tollerato tutte le parentesi romantiche, che in più momenti mi hanno ricordato delle soap opera, sconfinando nel cringe. Dopo il risultato discutibile di "Mezzo mondo", sul lato romance il caro Joe dimostra di avere ancora molto su cui lavorare.

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martedì 25 marzo 2025

"Final Girls. Le sopravvissute" di Riley Sager

Final girls. Le sopravvissuteFinal girls. Le sopravvissute by Riley Sager
My rating: 2 of 5 stars

"Insieme al dolore arriva un ricordo. No, non un ricordo, una certezza. Ed è così terribile che deve per forza essere reale. È rimasta solo lei. Gli altri sono tutti morti. Lei è l'unica sopravvissuta"


DUE PAGINE E QUINCY È DIVENTATA KING C (GILLETTE)

Nella mia constante lotta contro la stupidità dei personaggi, ho fatto appena in tempo a gioire dell'acume e della risolutezza dimostrati da Agatha Raisin, che già la lettura successiva mi ha fatto ripiombare mio malgrado nel baratro delle protagoniste sceme. Nel caso di "Final Girls. Le sopravvissute", il problema non è tanto la dabbenaggine dell'eroina di turno, quanto il fatto che la trama venga mossa quasi esclusivamente dalle sue decisioni idiote: se lei avesse attivato i neuroni giusto due o tre volte in tutto il libro, nulla di tutto questo sarebbe stato scritto.

La mentecatta in questione risponde all'impronunciabile nome di Quincy "Quinn" Carpenter, a vent'anni è sopravvissuta alla strage nota come il massacro di Pine Cottage (non certo per la sua prontezza di pensiero!) e da allora convive con questo trauma e con la dipendenza dallo Xanax. Il romanzo alterna dei flashback in terza persona -nei quali si cerca principalmente di ricostruire gli eventi che Quinn ha dimenticato- alla narrazione al presente, affidata al POV della protagonista, ahinoi! A dare il via alla narrazione sono il misterioso suicidio di Lisa Milner e l'imprevista ricomparsa di Samantha "Sam" Boyd, sopravvissute ad altri due eccidi che i media avevano accostato a Quinn sotto l'etichetta di Final Girls, appunto.

Una premessa che onestamente reputo interessante, specie perché punta l'attenzione sull'elemento della sopravvivenza, da me molto apprezzato in tante storie. Purtroppo questo spunto rimane ai margini perché, quando l'autore deve raccontare come le varie personagge siano riuscite a scappare o addirittura a reagire contro i loro carnefici, lo fa in modo frettoloso ed approssimativo, riassumendo a grandi linee quanto accaduto. Questa superficialità investe anche la caratterizzazione dell'intero cast, con dei personaggi poco più che abbozzati e tragicamente dimenticabili. Con ogni probabilità ricorderò soltanto la protagonista, non per il carisma bensì per la sua impressionante imbecillità.

In modo analogo, la prosa elementare e semplicistica di Sager non è riuscita ad entusiasmarmi, con una quantità di dialoghi macchinosi e metafore insensate. Inspiegabilmente neppure il ritmo si salva, con una narrazione abbastanza lenta soprattutto nella prima metà; e dire che un intreccio incalzante dovrebbe essere il marchio di fabbrica di questo genere letterario. A tenere il lettore incollato alle pagine dovrebbero poi contribuire i colpi di scena, peccato che questa trama sia fin troppo prevedibile, e quando vuole stupire a tutti i costi ricorre a forzature parecchio evidenti, come il già citato comportamento bizzarro della protagonista.

Devo ammettere che questa è una di quelle recensioni difficili, perché al netto dei momenti più tediosi il romanzo ha svolto il suo lavoro, intrattenendomi e regalandomi alcune scene divertenti, seppur involontarie. Ho apprezzato anche i chiari tentativi di andare oltre il mero thriller, trattando argomenti più impegnativi, eppure a lettura ultimata riesco a concentrarmi unicamente sugli aspetti negativi. Ciò non esclude che io possa dare un'occasione ad altri titoli del caro Riley, specie considerando quanto sono diverse le valutazioni dei suoi romanzi: magari il prossimo potrebbe diventare un nuovo preferito, chissà...

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venerdì 14 marzo 2025

"La quiche letale" di M.C. Beaton

Agatha Raisin e la quiche letale (Agatha Raisin, #1)Agatha Raisin e la quiche letale by M.C. Beaton
My rating: 4 of 5 stars

"Ho bisogno di uno scopo nella vita, pensò - di un obiettivo. Non sarebbe stato magnifico se si fosse scoperto che dopotutto quello di Cummings-Browne era stato un assassinio? E se lei, Agatha Raisin, avesse risolto il caso?"


COZY MYSTERY ANTE LITTERAM

A quanto pare il mio proposito di dare spazio alle serie è sopravvissuto giusto un filino in più delle diete iniziate il 2 gennaio. Infatti, dopo aver letto solo titoli autoconclusivi in febbraio, al momento di scegliere con che libro iniziare marzo ho ignorato la mia tanto agognata copia di "Un piccolo odio" (in lettura da settimane!) per il più rilassante "La quiche letale", primo capitolo nella lunga serie di avventure della detective dilettante Agatha Raisin.

L'ambientazione principale del romanzo è il villaggio fittizio di Carsely, nel Gloucestershire. Dopo aver venduto la sua ditta di PR, la neo pensionata Agatha "Aggie" Raisin decide di trasferirsi qui per coronare un sogno d'infanzia dopo anni trascorsi nel caos della metropoli londinese. La donna fatica però ad integrarsi, in parte per la freddezza dei compaesani ed in parte per la sua indole prepotente; un concorso culinario le sembra quindi una buona idea per aumentare la propria popolarità. Peccato che il giudice muoia dopo aver mangiato la quiche presentata da Agatha alla competizione, portando alla sua porta le forze dell'ordine anziché l'affetto dei vicini.

Potrete facilmente intuire come i rimandi al classico giallo deduttivo non manchino ed in alcuni casi siano incredibilmente palesi, ad esempio la protagonista stessa legge con passione i romanzi della sua omonima Christie. Beaton dà però un tocco di novità al solito murder mystery, grazie ad una prosa fresca ed irriverente -a tratti quasi informale-, che risulta efficacie nelle scene comiche in cui si sfocia in una specie di commedia degli equivoci, senza per questo scadere nel ridicolo: ho trovato l'umorismo valido e ben amalgamato alla storia.

La cara Marion ci regala poi una protagonista che, pur dimostrandosi intraprendente e dotata di intuito, è molto lontana dallo stilema del detective inglese vecchia scuola. Agatha è una donna risoluta e con ben pochi scrupoli quando ha un obiettivo in mente, ma non manca di mostrare anche il suo lato più sensibile e generoso verso gli amici. Nel complesso sono contenta di essermi imbattuta in una personaggia sveglia dopo aver sopportato non pochi protagonisti rintronati nelle mie ultime letture, ed il resto del cast non si dimostra da meno: in particolare, ho apprezzato l'ambiguità di diversi comprimari che rendono più affascinante l'intreccio.

Tra i punti a favore non può che rientrare anche l'ambientazione, perché l'autrice infonde un grande impregno nel descrivere le cittadine, i paesaggi e le abitazioni stesse delle Cotswolds. Un luogo che trasmette serenità, ed influenza così anche il ritmo narrativo, rendendolo allo stesso modo placido. Decisamente un libro da evitare se si cerca una storia maggiormente indirizzata verso il brivido del thriller, ma del tutto adeguato alla sottoscritta che desiderava invece una lettura rilassante sotto ogni punto di vista.

Qualche critica però la devo fare, per correttezza. Innanzitutto, il testo è macchiato qui e là da alcuni stereotipi un po' datati, probabilmente perché negli anni Novanta era normale dipingere i personaggi gay nel modo più effeminato possibile per poi trasformarli in seriosi uomini d'affari non appena trovavano una fidanzata compiacente. Un altro aspetto che avrei cambiato è la risoluzione finale, per i miei gusti fin troppo semplice e priva di complicazioni sul piano pratico: l'arresto e la confessione dell'assassino si risolvono come per magia fuori pagina.

Mi rendo poi conto che questo è solo il primo capitolo in una serie, nel corso della quale immagino una crescita ed un approfondimento per i vari personaggi, ma ho trovato a dir poco inutili alcuni caratteri e linee di trama. Perché mai l'autrice dà tanta importanza a Sheila Barr, scontrosa vicina di Agatha, ed al suo trasferimento? perché introdurre un potenziale interesse amoroso ad oltre metà volume solo per rubare spazio all'intreccio vero e proprio? perché non chiarire mai la sottotrama delle premiazioni ai concorsi? Ma soprattutto perché mettere la parola fine facendoci sapere quale sarà il nome del cottage, ma non quello del gatto? Da brava gattofila ci sono rimasta malissimo!

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