martedì 28 marzo 2017

Gli ultimi saranno i primi - Recensione a "Delitto e castigo" di Fëdor M. Dostoevskij

Gli ultimi saranno i primi

Recensione a "Delitto e castigo" di Fëdor M. Dostoevskij


LA SCHEDA TECNICA


TITOLO: Delitto e castigo
AUTORE: Fëdor M. Dostoevskij
TITOLO ORIGINALE: Prestuplènie i nakazànie
TRADUTTORE: Vittoria C. Da Gavardo
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Minimammut
PAGINE: 480


IL COMMENTO

  Spesso mi è successo di parlare con persone che ritenevano gli autori russi incapaci di scrivere romanzi con l’amore come elemento centrale. Se c’è qualcosa che in “Delitto e castigo” manca non è di certo l’amore, in ogni forma e sfaccettatura: il tenero affetto di una madre, quello di un amico o di una sorella e soprattutto la passione e la devozione per la persona amata.
  Nel capolavoro di Dostoevskij c’è poi spazio per moltissime tematiche, che portano il lettore a riflettere su svariate questioni; sembra che ogni personaggio porti con sé uno o in alcuni casi più argomenti, come Katjerìna, con il suo orgoglio imperituro, a dispetto dell’umilissima condizione, e Andrèj che annuncia il prossimo avvento di un mondo senza differenze e barriere, ossia l’utopia del comunismo. La “teoria” più affascinante a mio avviso è però quella dell’arscin, il minuscolo spazio in cui ogni uomo sarebbe disposto a vivere pur di non dover andare incontro alla morte.
  La tematica sovrana, e ancor oggi attuale, è rappresentata dal quesito che tormenta il protagonista: fino a che limite ci si può spingere per il bene comune? La morte di un solo essere abbietto trova giustificazione nella salvezza di decine di innocenti? Il delitto che da inizio alle vicende non è infatti dettato da uno scopo meramente materiale, ne dalla semplice cattiveria; il protagonista Raskòlnikov possiede anzi un forte senso della giustizia, seppur non in senso canonico. Questo porterà non solo alla decisione finale di costituirsi, ma anche a moltissime riflessioni sulla legittimità, prima e dopo l’assassinio.
  Attorno a questo anti-eroe, si crea un cosmo di personaggi affascinanti e perfettamente delineati, tanto da poter notare il lavoro di caratterizzazione anche nelle comparse. In linea generale, Dostoevskij da’ vita a personaggi maschili viziosi, seppur consci dei propri difetti -in primis lussuria, gola ed ira-, mentre le figure femminili sono quasi sempre pie e devote, in special modo alla famiglia; esempi lampanti sono Dùnja e Sonja, per le quali si configurano delle storie quasi fiabesche, con le eroine vessate ed umiliate che trovano infine il riscatto e il vero amore.
  “Delitto e castigo” si dimostra anche tra i capostipiti del genere thriller, non solo per l’omicidio e l’indagine che ne consegue, ma soprattutto per le svolte inattese che sorprendono il lettore e per l’intelligente inserimento di piccoli indizi, destinati a tornare in mente nel momento in cui qualche mistero viene svelato, come nel caso del piano di Lùgin.
  La straordinaria abilità dell’autore permette inoltre al lettore di empatizzare con tutti i personaggi, perfino con gli antagonisti o con chi assume dei comportamenti deprecabili come Marmelàdov; d’altro canto, il lavoro d’introspezioni focalizzato in gran parte sul protagonista permette di provare le sue stesse ansie ed angosce, oltre a simpatizzare con la sua idea del bene comune che giustifica ogni azione. È interessante notare la presenza di moltissimi riferimenti alla fede cristiana e al valore delle cose, con tanto di cifre enunciate; ciò si può ricollegare all’esperienza diretta dell’autore, che spesso cita dettagli autobiografici.
  Per quanto riguarda quest’edizione Newton Compton, oltre agli errori di battitura a cui ormai sono rassegnata, il volume presenta un paio di difetti abbastanza rilevanti: per dialoghi e pensieri viene utilizzato il medesimo segno grafico, causando così inutile confusione nel lettore, e la traduzione in generale sembra un po’ datata, con molti termini a dir poco desueti.

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Se non ci fosse stata Sonja, la mia OTP era RodjonXPorfirij!

lunedì 20 marzo 2017

La verità difficile da trovare - Recensione a "La svastica sul sole" di Philip K. Dick

La verità difficile da trovare

Recensione a "La svastica sul sole" di Philip K. Dick


LA SCHEDA TECNICA
TITOLO: La svastica sul sole
AUTORE: Philip K. Dick
TITOLO ORIGINALE: The Man in the High Castle
TRADUTTORE: Maurizio Nati
EDITORE: Fanucci
COLLANA: Numeri Uno
PAGINE: 310

IL COMMENTO
  A chi come me si approccia a questo romanzo dopo la visione della serie TV sconsiglio di aspettarsi che quest’ultima sia una trasposizione fedele: gli sceneggiatori hanno preferito limitarsi all’idea di base e sviluppare una storia completamente diverso, e ben più adrenalinico. A confronto il romanzo preferisce all’azione i pensieri dei personaggi e l’introspezione dei loro sentimenti.
  Dick concede davvero molto spazio alle riflessioni, specialmente per i personaggi POV, e in diversi casi ne sfrutta i pensieri al fine di riportare le sue idee personali.
  La maggiore abilità dell’autore è saper ideare dei personaggi brillanti, tratteggiati con maestria, anche se in alcune situazioni non è facile capire il significato delle loro scelte ed empatizzare con loro.
  Sono rimasta delusa in particolar modo da Juliana, che nella serie TV è praticamente la protagonista e rivela un carattere quasi opposto a quello nel romanzo; è invece una vera sorpresa Childan, soprattutto nell’ottica dell’evoluzione da servile imbonitore dei giapponesi a fiero americano, che comprende infine il valore della propria nazione e cultura.
  Di base la trama -che si sviluppa con lentezza- presenta un iniziale “what if” storico: nel mondo del romanzo ci troviamo in un Nord America diviso tra Germania e Giappone che sono risultati i vincitori della Seconda Guerra Mondiali. Da questa premessa si genera un romanzo corale in cui molti personaggi non giungono mai a riunirsi, seppur influenzando gli uni le vite degli altri, come a divenire gli anelli in una lunga catena.
  A collegare i personaggi contribuiscono soprattutto due libri: l’I Ching, millenaria opera composta da due volumi che quasi tutti usano per tentare di far luce sul proprio avvenire, e “La cavalletta non si alzerà più”, romanzo che profila una terza variante della realtà, con gli Stati Uniti e l’Inghilterra vincitori del conflitto mondiale e protagonisti di una Guerra Fredda per la supremazia assoluta.
  Dick non si limita a cambiare l’esito della Guerra, ma riesce a creare un complesso mondo alternativo, nel quale inserisce anche dettagli e riferimenti alla Storia come noi la conosciamo, rendendo così ancor più arduo distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è.
  Altra qualità dell’autore che si può riscontrare chiaramente è la sua vasta conoscenza delle cultura orientare in generale e di quella giapponese in particolare: questo contribuisce a rendere interessanti e realistici gli scambi tra personaggi provenienti da Paesi diversi. Il quadro dipinto per i nazisti appare invece un po’ troppo stereotipato e privo di spunti originali.
  La presenza di diverse etnie genera inoltre la creazione di una piramide sociale, da tutti accettata tacitamente, che vede al vertice i tedeschi e poi a scendere i giapponesi, gli americani e infine che è emigrato dalla Cina e dall’Africa. Ciò genera un servilismo anche a livello mentale, ma d’altro canto non aiuta ad accrescere il senso di pietà per chi sta alla base, anzi lo azzera completamente.
  Il romanzo di Dick non è solo un’originale distopia degli anni ’60, ma anche una storia di fantascienza; fa però riflettere l’evidente contrasto tra i viaggi spaziali progettati dal Reich e la diffusione dei metodi divinatori orientali.
  Per quanto riguarda l’edizione italiana, ho trovato l’introduzione un po’ prolissa ma utile ad entrare nell’ottica di un romanzo che inizia in media res. Interessante anche la post fazione che ci dimostra come da sempre i vincitori possano scrivere la Storia a proprio favore.

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A morte gli spoileratori!


giovedì 16 marzo 2017

Con l’incanto di una fiaba - Recensione a "Paper Magician" di Charlie N. Holmberg

Con l'incanto di una fiaba

Recensione a "Paper Magician" di Charlie N. Holmberg


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Paper Magician
AUTORE: Charlie N. Holmberg
TITOLO ORIGINALE: The Paper Magician
TRADUTTORE: Marina Scarsella
EDITORE: Fanucci
COLLANA: Narrativa
PAGINE: 220
 
IL COMMENTO

  Ceony Twill è una giovane di talento che ha appena terminato gli studi in modo brillante; si trova purtroppo costretta ad accantonare i suoi sogni ed iniziare un apprendistato per intraprendere poi una carriere ben lontana da quella desiderata.
  Ceony non è però una ragazza italiana dei giorni nostri, bensì un’abile maga in una Londra novecentesca alternativa in cui la magia non solo esiste ma è nota a tutti ed essere maghi è una professione -seppur esclusiva- come le altre, tanto che la protagonista l’ha scelta come alternativa al diventare una cuoca.
  Nell’originale ambientazione si trova indubbiamente il maggior pregio di questo romanzo in cui la magia viene presentata in modo inedito: non più come qualcosa di oscuro e slegato dalla vita quotidiana, ma come elemento essenziale di questa, capace di evolversi di pari passo alla tecnologia (si parla per esempio di maghi che lavorano esclusivamente con la plastica) anziché opporsi ad essa come generalmente è percepito nell’immaginario comune.
  Per quanto riguarda la trama invece l’originalità viene un po’ a mancare, ho individuato infatti un paio di similitudini con altre opere. La prima è “Papà Gambalunga” di Jean Webster, in cui ritroviamo una giovane di umili natali ma dotata di grande vocazione (in quel caso, per la scrittura) che viene aiutata economicamente da un misterioso benefattore del quale infine si innamorerà. Abbiamo poi “Il castello errante di Howl”, e mi riferisco al film di Hayao Miyazaki non al romanzo di Diana W. Jones; in una scena presente per l’appunto solo nel lungometraggio, la protagonista compie un viaggio nei ricordi passati del mago Howl che somiglia molto all’avventura nel cuore di Mg Thane intrapresa da Ceony.
  Purtroppo la trama, oltre ad essere molto prevedibile, mi è sembrata anche troppo frettolosa nel rivelare al lettore le risposte ai pochi quesiti e misteri. Anche l’innamoramento della protagonista e l’inseguimento di Lira potevano essere descritti con più calma e magari con la presenza di ostacolo più ostici da superare; questa scelta ha però il merito di aver concentrato l’attenzione sull’analisi del passato e dei sentimenti di Thane e, in modo più delicato e quasi in ombra, di Ceony, che grazie ai momenti vissuti durante la missione di salvataggio trova il coraggio di dar voce anche ad alcuni aspetti più oscuri del suo animo.
  Ne deriva che i due protagonisti appaiono interessanti e ben strutturati; lo stesso non si può dire per l’antagonista: tutto in Lira risulta a malapena abbozzato e il suo fine e le sue azioni non vengono mai chiarite, sebbene i prossimi volumi della trilogia potrebbero far luce a riguardo. Gli altri personaggi sono poco più che comparse, pronte a cedere il passo affinché il focus si concentri sui protagonisti.
  Sullo stile dell’autrice preferisco non sbilanciarmi né in positivo né in negativo: è abbastanza semplice e scorrevole, per nulla pretenzioso, ma desidero leggere gli altri libri per controllare la presenza o meno di un miglioramento, di una maturazione soprattutto nella scelta delle sequenze a cui dare più spazio.
  Nell’intero romanzo, la Holmberg inserisce poi un gran numero di dettagli, riferimenti e perfino giochi di parole collegati alla carta, al cuore ed alla precisione -qualità fondamentale per ogni piegatore che si rispetti-; ritengo sia stata una scelta molto azzeccata per coinvolgere ancor più il lettore in questo magico mondo dotata di un particolare fascino in grado di farci tornare per un attimo bambini.

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Le priorità Ceony, le priorità.