A cena con l'assassino by Alexandra Benedict
My rating: 1 of 5 stars
"Si concentra invece sul modo in cui la neve dà battaglia alle pietre - la prima linea cade e si scioglie, ma poi i fiocchi della seconda prendono posizione, e i successivi fanno lo stesso. Ondata dopo ondata i soldati di neve trovano posto uno sulle spalle bianche dell'altro fino alla conquista finale"
SE AGATHA CHRISTIE AVESSE SCRITTO (MALE) "SHINING"
Dopo anni ed anni di traduzioni illeggibili e volumi tenuti insieme più dallo Spirito Santo che dalla colla della rilegatura, avevo deciso di non acquistare più nuovi titoli pubblicati da Newton Compton. Ho scelto di fare uno strappo alla regola per "A cena con l'assassino", che si presentava come un romanzo nelle mie corde dal punto di vista della trama, con l'aggiunta di una struttura del testo abbastanza peculiare da intrigarmi. Così in poco tempo è stato aggiunto alla wishlist, donato alla sottoscritta da qualche anima pia e finito in cima alla TBR, tanto ero curiosa e ben disposta verso questo titolo. Scommetto che sentite già l'invece in arrivo...
La narrazione presenta un'ambientazione che non mi stanca mai: nella campagna dello Yorkshire sorge Endgame House, da decenni la dimora della famiglia Armitage, una dimora austera e dalla fama sinistra, con tanto di labirinto annesso. Qui il cadavere della madre dell'aspirante stilista Lily Violet è stato ritrovato in circostanze poco chiare, e sempre qui la giovane donna torna vent'anni dopo per far luce su questo mistero, ma non solo perché nel frattempo anche la morte della zia Liliana sembra tutt'altro che naturale. Questi tragici eventi e molti altri indizi portano la protagonista a capire che qualcuno all'interno della famiglia è disposto a fare qualsiasi cosa per diventare proprietario della tenuta.
Dal momento che ritengo importante cercare qualche punto di forza anche nei libri (soggettivamente o meno) peggiori, partiamo dagli aspetti positivi di questo titolo. Nonostante l'esecuzione non mi abbia entusiasmato, continuo a pensare che l'idea di includere dei giochi enigmistici rivolti alla protagonista ma anche ai lettori sia brillante; allo stesso modo mi sento di promuovere con riserva la rappresentazione di personaggi queer fatta da Benedict -che ho trovato un po' ridondante e forzata in alcune scene- ma voglio premiare comunque l'intenzione propositiva.
In modo più personale e frivolo, penso meriti un plauso la copertina, che risulta stilosa ed al contempo riesce a presentare molto bene il contenuto effettivo del volume. Tra i pregi mi sento di annoverare anche il buon ritmo e la leggerezza che permea gran parte della narrazione, rendendola per lo meno divertente.
E ora passiamo purtroppo ai tanti difetti. Il primo e più palese è la scelta di affidare la storia ad un narratore esterno; non ha senso per una quantità di motivi: seguiamo sempre e solo Lily, i suoi pensieri permeano l'intero testo, i riferimenti agli abiti ed ai marchi rimandano al suo lavoro di stilista... quindi perché mai lei non è la voce narrante del romanzo?!? I problemi della prosa purtroppo non si esauriscono qui, perché troviamo un utilizzo bislacco delle virgole e delle battute di dialogo innaturali e prive di logica tra domanda e risposta. Si potrebbe pensare che la "colpa" sia dei giochi di parole presenti nel testo, invece non è così.
Nonostante abbia letto tutti i gialli della cara Agatha, Benedict non riesce poi ad intrecciare una trama mystery davvero sorprendente, e questo è causato anche dalla scarsa caratterizzazione dei personaggi, che sono al meglio irritanti nella loro prevedibilità ed al peggio monodimensionali. Anche la protagonista non brilla particolarmente: sarà anche un asso nel risolvere gli anagrammi, ma deve aver concentrato su quello il suo unico neurone perché per il resto dimostra un'idiozia abissale, nonché un totale disinteresse per la propria sicurezza. Confidavo che almeno il finale riuscisse a risollevare la situazione, e invece... Oltre alla volontà di shockare il lettore, l'epilogo non ha un briciolo di senso, e rende definitivamente ridicola una premessa già assurda di suo: a parte veder morire qualche personaggio e riuscire ad imbastire una mezza dichiarazione d'amore, cos'ha ottenuto la protagonista che non fosse già suo di diritto a pagina uno?
Come in altre occasioni, il colpo di grazia lo da l'edizione italiana; capisco comunque la difficoltà nel tradurre i tanti giochi di parole, e non mi lamenterò di questo. Mi sento però in diritto di evidenziare la scarsa qualità delle immagini stampate, i tanti refusi presenti nel testo (che spesso riguardano i nomi dei personaggi stessi) ed i numeri delle pagine sbagliati nelle soluzioni a fine volume. Una rilettura anche distratta avrebbe permesso di sistemare per lo meno questo errore, imbarazzante in un libro che vuole presentarsi come intelligente.
Voto effettivo: una stellina e mezza
View all my reviews
venerdì 26 gennaio 2024
mercoledì 24 gennaio 2024
"The Last Laugh" di Mindy McGinnis
The Last Laugh by Mindy McGinnis
My rating: 4 of 5 stars
"Three of the founding families, powerful names dwindled to nothing. The trailblazers and pathfinders have been distilled down to a drug dealer and a loser, one high and the other a national joke, standing by as the last ancestral home crumbles. And soon, there will only be one"
QUANDO IL FINALE SALVA IL ROMANZO
Dopo la conclusione decisamente cupa ma molto appassionante di "The Initial Insult", mi ero ripromessa di tornare nei pressi della cittadina di Amontillado in Ohio a breve, così da evitare di scordarmi del tutto la trama ed i nomi dei personaggi, o per lo meno di quelli principali. E per fortuna quattro mesi non sembrano essere stati sufficienti per farmi dimenticare una storia così insolita ed inquietante nella narrativa per ragazzi! "The Last Laugh" non si allontana da queste vibes, pur spingendo forse un po' troppo l'acceleratore sul lato weird e sui rimandi alla bibliografia poeiana.
La narrazione riprende il giorno successivo rispetto all'epilogo del primo romanzo, con la piccola comunità in subbuglio per la scomparsa della bella Felicity Turnardo, per il video virale che vede protagonista Kermit "Ribbit" Usher e per la presunta fuga del maschio di pantera dall'Amontillado Animal Attractions, il simil-zoo (mal)gestito da Cecil Allan. Mentre è impegnata a cercare una soluzione a questi e molti altri problemi, Tress Morton rimane ferma nella sua missione di far luce sulla misteriosa scomparsa dei genitori, avvenuta sette anni prima.
Come nel primo libro, fioccano le citazioni ai racconti di Edgar Allan Poe, sia nei nomi dati ai personaggi che nelle vicende raccontate. In questo caso, McGinnis si rifà soprattutto alla storia de "Il cuore rivelatore", che fa da filo conduttore tra diverse scene ed accompagna il lettore nella maggior parte del volume. "La caduta della casa degli Usher" ed "I delitti della Rue Morgue" danno vita a delle proprie sottotrame, anche se rispetto a quella principale non mi sono sembrate altrettanto ben amalgamate nella narrazione: specialmente la parentesi dedicata all'orangutango Rue risulta inserita a forza in un momento poco opportuno. Nel complesso, mi è comunque piaciuta l'idea di rielaborare in chiave moderna e giovanile questi classici del genere horror.
E proprio la componente horror è tra i punti di forza di questo romanzo, con delle scene spaventose che nulla avrebbero da invidiare ad un libro per adulti. Anche perché le tematiche più mature non mancano: che si tratti di analizzare la psicologia di personaggi complessi, di sviscerare relazioni sentimentali o familiari, di raccontare un'amicizia trasformatasi in disprezzo reciproco. Ho apprezzato molto anche la risoluzione data ai tanti misteri presentati nella serie: forse ci si arriva un po' troppo presto, ma questo non toglie nulla al modo intelligente con cui si collegano i vari indizi.
A dispetto del mio entusiasmo iniziale, per alcuni aspetti questa conclusione non mi ha saputo convincere; e neanche la tenerellosità di Hugh "Huge" Broward è riuscita a compensare. Ad esempio, già dalle prime pagine, mi ha fatto storcere il naso la quantità di spunti narrativi presenti: davvero troppi per una storia di questa portata! Come ho già accennato, tutti gli enigmi ottengono una risposta chiara e comprensibile, ma per buona parte del volume ci si sente davvero confusi e spiazzati davanti ad un intreccio così vasto e, in piccola parte, scollegato.
Ho fatto poi una gran fatica a digerire il POV di Ribbit, che sostituisce quello di Felicity, dimostrandosi però un personaggio molto meno interessante e a dir poco spiacevole, soprattutto per il modo ossessivo con cui oggettifica donne e ragazze, e per la convinzione di essere al centro di una storia di cui risulterà l'eroe indiscusso. Con il proseguire della lettura, sono riuscita quasi ad apprezzare il percorso che la cara Mindy ha creato per questo carattere, ma i suoi rimangono comunque dei capitoli non facili da affrontare.
Approdando a critiche più oggettive, devo almeno menzionare la convenienza di alcune svolte di trama (e penso in particolare ad un certo giro in macchina fatto da Tress e Huge per nessuna ragione al mondo) e l'utilizzo spropositato di volgarità nei dialoghi, molto spesso fine a se stessa. Ma nonostante questi difetti, credo che conserverò un ricordo positivo della duologia, specialmente per il modo intelligente con cui sono stati caratterizzati i personaggi e per l'originalità dello spunto, sempre più ostica da trovare nei libri per ragazzi.
View all my reviews
My rating: 4 of 5 stars
"Three of the founding families, powerful names dwindled to nothing. The trailblazers and pathfinders have been distilled down to a drug dealer and a loser, one high and the other a national joke, standing by as the last ancestral home crumbles. And soon, there will only be one"
QUANDO IL FINALE SALVA IL ROMANZO
Dopo la conclusione decisamente cupa ma molto appassionante di "The Initial Insult", mi ero ripromessa di tornare nei pressi della cittadina di Amontillado in Ohio a breve, così da evitare di scordarmi del tutto la trama ed i nomi dei personaggi, o per lo meno di quelli principali. E per fortuna quattro mesi non sembrano essere stati sufficienti per farmi dimenticare una storia così insolita ed inquietante nella narrativa per ragazzi! "The Last Laugh" non si allontana da queste vibes, pur spingendo forse un po' troppo l'acceleratore sul lato weird e sui rimandi alla bibliografia poeiana.
La narrazione riprende il giorno successivo rispetto all'epilogo del primo romanzo, con la piccola comunità in subbuglio per la scomparsa della bella Felicity Turnardo, per il video virale che vede protagonista Kermit "Ribbit" Usher e per la presunta fuga del maschio di pantera dall'Amontillado Animal Attractions, il simil-zoo (mal)gestito da Cecil Allan. Mentre è impegnata a cercare una soluzione a questi e molti altri problemi, Tress Morton rimane ferma nella sua missione di far luce sulla misteriosa scomparsa dei genitori, avvenuta sette anni prima.
Come nel primo libro, fioccano le citazioni ai racconti di Edgar Allan Poe, sia nei nomi dati ai personaggi che nelle vicende raccontate. In questo caso, McGinnis si rifà soprattutto alla storia de "Il cuore rivelatore", che fa da filo conduttore tra diverse scene ed accompagna il lettore nella maggior parte del volume. "La caduta della casa degli Usher" ed "I delitti della Rue Morgue" danno vita a delle proprie sottotrame, anche se rispetto a quella principale non mi sono sembrate altrettanto ben amalgamate nella narrazione: specialmente la parentesi dedicata all'orangutango Rue risulta inserita a forza in un momento poco opportuno. Nel complesso, mi è comunque piaciuta l'idea di rielaborare in chiave moderna e giovanile questi classici del genere horror.
E proprio la componente horror è tra i punti di forza di questo romanzo, con delle scene spaventose che nulla avrebbero da invidiare ad un libro per adulti. Anche perché le tematiche più mature non mancano: che si tratti di analizzare la psicologia di personaggi complessi, di sviscerare relazioni sentimentali o familiari, di raccontare un'amicizia trasformatasi in disprezzo reciproco. Ho apprezzato molto anche la risoluzione data ai tanti misteri presentati nella serie: forse ci si arriva un po' troppo presto, ma questo non toglie nulla al modo intelligente con cui si collegano i vari indizi.
A dispetto del mio entusiasmo iniziale, per alcuni aspetti questa conclusione non mi ha saputo convincere; e neanche la tenerellosità di Hugh "Huge" Broward è riuscita a compensare. Ad esempio, già dalle prime pagine, mi ha fatto storcere il naso la quantità di spunti narrativi presenti: davvero troppi per una storia di questa portata! Come ho già accennato, tutti gli enigmi ottengono una risposta chiara e comprensibile, ma per buona parte del volume ci si sente davvero confusi e spiazzati davanti ad un intreccio così vasto e, in piccola parte, scollegato.
Ho fatto poi una gran fatica a digerire il POV di Ribbit, che sostituisce quello di Felicity, dimostrandosi però un personaggio molto meno interessante e a dir poco spiacevole, soprattutto per il modo ossessivo con cui oggettifica donne e ragazze, e per la convinzione di essere al centro di una storia di cui risulterà l'eroe indiscusso. Con il proseguire della lettura, sono riuscita quasi ad apprezzare il percorso che la cara Mindy ha creato per questo carattere, ma i suoi rimangono comunque dei capitoli non facili da affrontare.
Approdando a critiche più oggettive, devo almeno menzionare la convenienza di alcune svolte di trama (e penso in particolare ad un certo giro in macchina fatto da Tress e Huge per nessuna ragione al mondo) e l'utilizzo spropositato di volgarità nei dialoghi, molto spesso fine a se stessa. Ma nonostante questi difetti, credo che conserverò un ricordo positivo della duologia, specialmente per il modo intelligente con cui sono stati caratterizzati i personaggi e per l'originalità dello spunto, sempre più ostica da trovare nei libri per ragazzi.
View all my reviews
lunedì 15 gennaio 2024
"La ragazza di prima" J.P. Delaney
La ragazza di prima by J.P. Delaney
My rating: 2 of 5 stars
"Sullo schermo c'è l'immagine di una ragazza tra i venti e i trenta. È piuttosto attraente, sottile e con i capelli scuri. Non so perché, ma ha l'aria familiare. «E allora?»
«Ma non vedi?»
Esamino di nuovo la foto. «Cosa dovrei vedere?»
«J, è identica a te. O piuttosto, sei tu a essere identica a lei»"
NED FLANDERS AVEVA PRESO MEGLIO LA MORTE DI MAUDE
Tempo fa mi lagnavo di quanto spesso mi deludessero le autrici britanniche di romanzi thriller, e per questo mi ripromettevo di riflettere molto attentamente prima di dare una possibilità a delle nuove penne in questa categoria. A quanto pare dovrò estendere il veto anche nei confronti dei loro colleghi uomini! tutto merito di Anthony Capella, scrittore inglese che ha scelto di scrivere un romanzo incentrato su protagoniste femminili, parlando di tematiche femminili e con un punto di vista esclusivamente femminile, e l'ha fatto adottando uno pseudonimo volutamente privo di genere. Bastano però poche pagine per capire come "La ragazza di prima" non possa che essere opera di un uomo. Un uomo con la sensibilità di un coltello a serramanico.
La narrazione è divisa tra due linee temporali e ruota attorno al il numero 1 di Folgate Street, nel sobborgo londinese di Hendon; qui sorge una residenza minimalista nell'estetica e ricca di dispositivi all'avanguardia, opera del noto architetto Edward Monkford. Nel passato vediamo Emma Matthews ed il fidanzato Simon fare carte false per poter affittare la casa, dopo il trauma di una rapina nella loro vecchia abitazione; tre anni più tardi troviamo Jane Cavendish in una situazione analoga, mentre cerca di voltare pagina a seguito del lutto per la figlia che stava per dare alla luce.
Questa ridondanza voluta è uno dei pochi aspetti che redimono in piccola parte il romanzo: ho trovato interessante leggere due versioni delle stesse situazioni, delle stesse dinamiche e delle stesse relazioni, inquadrate però da diverse prospettive. L'autore fa della ripetizione e della sensazione di déjà vu il nucleo centrale della sua storia, e credo che il risultato sia a suo modo interessante. In generale, promuovo anche la prosa semplice ed il ritmo incalzante, che rendono la lettura decisamente scorrevole.
L'altro pregio di questo titolo è il concetto della smart house come versione moderna delle case infestate nelle narrazioni horror classiche; trovo che questo spunto abbia un grosso potenziale, ed è anche il motivo per cui mi sono interessata inizialmente al libro. Purtroppo questo elemento viene evidenziato soprattutto nella prima parte, mentre verso metà libro è accantonato in favore di altri aspetti, e torna a palesarsi soltanto nel finale.
Già esaurite le lodi, passiamo alle mie critiche su questo romanzo. In primis abbiamo un intreccio che non risulta mai sorprendente: le svolte sono tutte molto prevedibili per chi bazzica un minimo il genere, e verso l'epilogo sembra che Delaney stesso abbia rinunciato a stupire. La trama è inoltre svilita dai comportamenti assurdi dei personaggi stessi, che servono solo a creare tensione fine a se stessa: due esempi sono la scena del mazzo di gigli e quella del tatuaggio, momenti che vorrebbero sembrare drammatici ma risultano quasi ridicoli.
Pur non essendo un'esperta, ho trovano poi assurdo il modo in cui viene raccontato il funzionamento del sistema giudiziario inglese, per tacere di quello sanitario: c'è da pregare di non avere mai bisogno di alcun tipo di assistenza di quel Paese! Ma se questo aspetto è alla fin fine accettabile per ragioni di trama, ho trovato per contro agghiacciante la superficialità con cui vengono trattate tematiche molto gravi -come l'aborto e gli abusi domestici- con il solo intento di sconvolgere chi legge, ma senza farne un briciolo di analisi critica; tutto questo rende a mio avviso la lettura anche incredibilmente triggerante.
Non sono riuscita ad apprezzare neanche la caratterizzazione delle due protagoniste, che ho trovato a dir poco fiacca; immagino che l'autore volesse descrivere dei personaggi facilmente manipolabili, ma il risultato è quello di renderle due mentecatte incapaci di intuire quali saranno le conseguenze delle loro azioni. L'omogeneità della prosa purtroppo non aiuta a rendere interessanti le voci di Emma e Jane che risultano anzi praticamente identiche, e si possono distinguere solo per l'assenza delle virgolette nei capitoli dal punto di vista della prima. Amarum in fundo, trovo quantomeno bizzarro che il solo personaggio per il quale Delaney si è sentito in dovere di specificare l'etnia sia il delinquente nero.
View all my reviews
My rating: 2 of 5 stars
"Sullo schermo c'è l'immagine di una ragazza tra i venti e i trenta. È piuttosto attraente, sottile e con i capelli scuri. Non so perché, ma ha l'aria familiare. «E allora?»
«Ma non vedi?»
Esamino di nuovo la foto. «Cosa dovrei vedere?»
«J, è identica a te. O piuttosto, sei tu a essere identica a lei»"
NED FLANDERS AVEVA PRESO MEGLIO LA MORTE DI MAUDE
Tempo fa mi lagnavo di quanto spesso mi deludessero le autrici britanniche di romanzi thriller, e per questo mi ripromettevo di riflettere molto attentamente prima di dare una possibilità a delle nuove penne in questa categoria. A quanto pare dovrò estendere il veto anche nei confronti dei loro colleghi uomini! tutto merito di Anthony Capella, scrittore inglese che ha scelto di scrivere un romanzo incentrato su protagoniste femminili, parlando di tematiche femminili e con un punto di vista esclusivamente femminile, e l'ha fatto adottando uno pseudonimo volutamente privo di genere. Bastano però poche pagine per capire come "La ragazza di prima" non possa che essere opera di un uomo. Un uomo con la sensibilità di un coltello a serramanico.
La narrazione è divisa tra due linee temporali e ruota attorno al il numero 1 di Folgate Street, nel sobborgo londinese di Hendon; qui sorge una residenza minimalista nell'estetica e ricca di dispositivi all'avanguardia, opera del noto architetto Edward Monkford. Nel passato vediamo Emma Matthews ed il fidanzato Simon fare carte false per poter affittare la casa, dopo il trauma di una rapina nella loro vecchia abitazione; tre anni più tardi troviamo Jane Cavendish in una situazione analoga, mentre cerca di voltare pagina a seguito del lutto per la figlia che stava per dare alla luce.
Questa ridondanza voluta è uno dei pochi aspetti che redimono in piccola parte il romanzo: ho trovato interessante leggere due versioni delle stesse situazioni, delle stesse dinamiche e delle stesse relazioni, inquadrate però da diverse prospettive. L'autore fa della ripetizione e della sensazione di déjà vu il nucleo centrale della sua storia, e credo che il risultato sia a suo modo interessante. In generale, promuovo anche la prosa semplice ed il ritmo incalzante, che rendono la lettura decisamente scorrevole.
L'altro pregio di questo titolo è il concetto della smart house come versione moderna delle case infestate nelle narrazioni horror classiche; trovo che questo spunto abbia un grosso potenziale, ed è anche il motivo per cui mi sono interessata inizialmente al libro. Purtroppo questo elemento viene evidenziato soprattutto nella prima parte, mentre verso metà libro è accantonato in favore di altri aspetti, e torna a palesarsi soltanto nel finale.
Già esaurite le lodi, passiamo alle mie critiche su questo romanzo. In primis abbiamo un intreccio che non risulta mai sorprendente: le svolte sono tutte molto prevedibili per chi bazzica un minimo il genere, e verso l'epilogo sembra che Delaney stesso abbia rinunciato a stupire. La trama è inoltre svilita dai comportamenti assurdi dei personaggi stessi, che servono solo a creare tensione fine a se stessa: due esempi sono la scena del mazzo di gigli e quella del tatuaggio, momenti che vorrebbero sembrare drammatici ma risultano quasi ridicoli.
Pur non essendo un'esperta, ho trovano poi assurdo il modo in cui viene raccontato il funzionamento del sistema giudiziario inglese, per tacere di quello sanitario: c'è da pregare di non avere mai bisogno di alcun tipo di assistenza di quel Paese! Ma se questo aspetto è alla fin fine accettabile per ragioni di trama, ho trovato per contro agghiacciante la superficialità con cui vengono trattate tematiche molto gravi -come l'aborto e gli abusi domestici- con il solo intento di sconvolgere chi legge, ma senza farne un briciolo di analisi critica; tutto questo rende a mio avviso la lettura anche incredibilmente triggerante.
Non sono riuscita ad apprezzare neanche la caratterizzazione delle due protagoniste, che ho trovato a dir poco fiacca; immagino che l'autore volesse descrivere dei personaggi facilmente manipolabili, ma il risultato è quello di renderle due mentecatte incapaci di intuire quali saranno le conseguenze delle loro azioni. L'omogeneità della prosa purtroppo non aiuta a rendere interessanti le voci di Emma e Jane che risultano anzi praticamente identiche, e si possono distinguere solo per l'assenza delle virgolette nei capitoli dal punto di vista della prima. Amarum in fundo, trovo quantomeno bizzarro che il solo personaggio per il quale Delaney si è sentito in dovere di specificare l'etnia sia il delinquente nero.
View all my reviews
mercoledì 10 gennaio 2024
"Cujo" di Stephen King
Cujo by Stephen King
My rating: 5 of 5 stars
"Una luce fredda e incurante che le aveva fatto capire fino a che punto si potesse avere paura, quanto la paura fosse simile a un mostro con le zanne gialle, mandato sulla Terra da un Dio collerico a divorare gli inconsapevoli e gli emarginati"
BEETHOVEN GONE WRONG
Ultimamente mi sono imbattuta in una serie di letture mediocri e non all'altezza delle aspettative che le sinossi stesse creavano. Per ritrovare un po' di piacere nella lettura, ho ripiegato quindi su uno dei miei autori preferiti, andando a pescare tra i suoi primi lavori "Cujo", un titolo che mi sembra rientri tra i più apprezzati dai fan del caro Stephen. E oltre a potermi felicemente accodare alla fila dei suoi estimatori, sono anche contenta sia riuscito a tenermi compagnia in un periodo parecchio impegnativo e stressante.
Il romanzo ci riporta a Castle Rock, località kinghiana già al centro di una delle sottotrame de "La zona morta" (il cui epilogo qui viene spoilerato, tra l'altro), nell'estate del 1980; il Cujo del titolo è il mastodontico San Bernardo del giovane Brett Camber, il figlio del meccanico locale. Mentre insegue un coniglio selvatico, il cane viene morso da un pipistrello e contrae una forma particolarmente violenta di rabbia, che lo trasformerà in una sorta di mostro idrofobo pronto ad attaccare chiunque abbia la sventura di trovarsi sul suo cammino. Questo evento unisce le vicende della famiglia Camber con quelle dei Trenton, da pochi anni trasferitisi nell'immaginaria cittadina del Maine.
Questo spunto di trama temo non renda al meglio il contenuto del romanzo, anche perché la vicenda al cuore della narrazione impiega parecchie pagine prima di acquisire concretezza: il primo terzo del volume risulta così un po' lento e macchinoso. Si tratta di un difetto sul quale però soprassiedo tranquillamente; per contro mi ha un po' infastidito non fosse presente una divisione in capitoli, ma questo è dato dal mio essere una pedante completista.
L'unico altro (serio!) punto debole del romanzo penso sia nella sottotrama legata alla Adworx -la società pubblicitaria avviata da Victor "Vic" Trenton con il suo amico Roger-, perché per quanto utile a dare il via alla trama, da un certo punto in poi perde gran parte della sua rilevanza e risulta perfino una fastidiosa aggiunta in alcuni momenti nei quali la tensione è al massimo.
Passando invece ai punti di forza, posso includere proprio la tensione che il caro Stephen riesce a creare, in particolare nel crescendo finale che porta il lettore a correre quasi da una pagina all'altra, in angoscia per la sorte dei personaggi. Ho trovato molto ben gestito anche l'elemento horror: dosato con giudizio e decisamente inquietante, con qualche accenno anche alla possibilità che ci sia di mezzo qualcosa di sovrannaturale nella furia del gigantesco San Bernardo.
Sul piano della prosa, ho apprezzato molto come siano stati descritti i pensieri di Cujo, mantenendoli abbastanza semplici da essere verosimili ma per nulla scontati o banali; li ho trovati particolarmente toccanti nella scena in cui vede Brett prima della sua partenza. Altro aspetto interessante è la sensazione di storie diverse che confluiscono in una narrazione più complessa: anche se in un primo momento potrebbe risultare poco chiaro leggere di tanti personaggi senza legami netti tra loro, pian piano ogni evento prende il suo posto nel disegno tragico e grottesco di King.
Ciò che ho personalmente apprezzato di più è però la buona rappresentazione fatta di problematiche ancora attualissime, come la violenza domestica e il revenge porn. Mi ha colpito scoprire come Cujo stesso diventi nel corso della storia l'allegoria di un uomo all'apparenza innocuo e amichevole che, posto in una condizione di difficoltà come l'umiliazione, reagisce con modo crudele nei confronti di una donna cercando di limitare la sua libertà e facendo leva sull'affetto che prova per i figli, con la conseguenza di innescare una catena di reazioni altrettanto brutali.
View all my reviews
My rating: 5 of 5 stars
"Una luce fredda e incurante che le aveva fatto capire fino a che punto si potesse avere paura, quanto la paura fosse simile a un mostro con le zanne gialle, mandato sulla Terra da un Dio collerico a divorare gli inconsapevoli e gli emarginati"
BEETHOVEN GONE WRONG
Ultimamente mi sono imbattuta in una serie di letture mediocri e non all'altezza delle aspettative che le sinossi stesse creavano. Per ritrovare un po' di piacere nella lettura, ho ripiegato quindi su uno dei miei autori preferiti, andando a pescare tra i suoi primi lavori "Cujo", un titolo che mi sembra rientri tra i più apprezzati dai fan del caro Stephen. E oltre a potermi felicemente accodare alla fila dei suoi estimatori, sono anche contenta sia riuscito a tenermi compagnia in un periodo parecchio impegnativo e stressante.
Il romanzo ci riporta a Castle Rock, località kinghiana già al centro di una delle sottotrame de "La zona morta" (il cui epilogo qui viene spoilerato, tra l'altro), nell'estate del 1980; il Cujo del titolo è il mastodontico San Bernardo del giovane Brett Camber, il figlio del meccanico locale. Mentre insegue un coniglio selvatico, il cane viene morso da un pipistrello e contrae una forma particolarmente violenta di rabbia, che lo trasformerà in una sorta di mostro idrofobo pronto ad attaccare chiunque abbia la sventura di trovarsi sul suo cammino. Questo evento unisce le vicende della famiglia Camber con quelle dei Trenton, da pochi anni trasferitisi nell'immaginaria cittadina del Maine.
Questo spunto di trama temo non renda al meglio il contenuto del romanzo, anche perché la vicenda al cuore della narrazione impiega parecchie pagine prima di acquisire concretezza: il primo terzo del volume risulta così un po' lento e macchinoso. Si tratta di un difetto sul quale però soprassiedo tranquillamente; per contro mi ha un po' infastidito non fosse presente una divisione in capitoli, ma questo è dato dal mio essere una pedante completista.
L'unico altro (serio!) punto debole del romanzo penso sia nella sottotrama legata alla Adworx -la società pubblicitaria avviata da Victor "Vic" Trenton con il suo amico Roger-, perché per quanto utile a dare il via alla trama, da un certo punto in poi perde gran parte della sua rilevanza e risulta perfino una fastidiosa aggiunta in alcuni momenti nei quali la tensione è al massimo.
Passando invece ai punti di forza, posso includere proprio la tensione che il caro Stephen riesce a creare, in particolare nel crescendo finale che porta il lettore a correre quasi da una pagina all'altra, in angoscia per la sorte dei personaggi. Ho trovato molto ben gestito anche l'elemento horror: dosato con giudizio e decisamente inquietante, con qualche accenno anche alla possibilità che ci sia di mezzo qualcosa di sovrannaturale nella furia del gigantesco San Bernardo.
Sul piano della prosa, ho apprezzato molto come siano stati descritti i pensieri di Cujo, mantenendoli abbastanza semplici da essere verosimili ma per nulla scontati o banali; li ho trovati particolarmente toccanti nella scena in cui vede Brett prima della sua partenza. Altro aspetto interessante è la sensazione di storie diverse che confluiscono in una narrazione più complessa: anche se in un primo momento potrebbe risultare poco chiaro leggere di tanti personaggi senza legami netti tra loro, pian piano ogni evento prende il suo posto nel disegno tragico e grottesco di King.
Ciò che ho personalmente apprezzato di più è però la buona rappresentazione fatta di problematiche ancora attualissime, come la violenza domestica e il revenge porn. Mi ha colpito scoprire come Cujo stesso diventi nel corso della storia l'allegoria di un uomo all'apparenza innocuo e amichevole che, posto in una condizione di difficoltà come l'umiliazione, reagisce con modo crudele nei confronti di una donna cercando di limitare la sua libertà e facendo leva sull'affetto che prova per i figli, con la conseguenza di innescare una catena di reazioni altrettanto brutali.
View all my reviews
venerdì 5 gennaio 2024
"Fatherland" di Robert Harris
Fatherland by Robert Harris
My rating: 3 of 5 stars
"Ma del resto i fanatici della razza erano raramente superuomini ariani con gli occhi azzurri [...] Le frontiere paludose della razza germanica erano invece difese dagli individui meno sicuri della purezza del loro sangue"
IN CUI STEPHEN KING NON AVREBBE SCRITTO "22.11.63"
Il lato positivo di pescare dei titoli in modo casuale dalla propria TBR è senza dubbio quello di dare finalmente una possibilità a delle storie che si ha un po' dimenticato; sull'altro piatto della bilancia, bisogna considerare il rischio di incappare in un romanzo diverso rispetto alla vaga impressione che se ne ha. Personalmente, ricordo di aver acquistato "Fatherland" all'usato diversi anni fa attirata soprattutto dalla particolare ambientazione ucronica; quando mi sono infine decisa ad iniziare la lettura ho realizzato che purtroppo quello non sarebbe stato l'elemento principale nella storia.
Qualche parola sul contesto fantastorico va comunque spesa: ci troviamo a Berlino in una versione alternativa del 1964, nella fattispecie una versione in cui Adolf Hitler è ancora al potere e l'intera Europa è sotto il controllo diretto o meno del Terzo Reich, mentre i suoi nemici storici si sono dovuti arrendere o accettare la pace. A dispetto dell'insolito setting la storia parte come il più classico dei noir, con il tipico investigatore -nel caso in questione, Xavier "Zavi" March della Kripo- divorziato e stacanovista impegnato a far luce su un decesso sospetto. Questi due elementi si scontrano quando il protagonista realizza che dietro la presunta morte accidentale ci potrebbero essere degli individui collegati al partito nazionalsocialista.
Nonostante non venga sfruttata quanto mi sarei aspettata, l'ambientazione rimane uno degli aspetti migliori di questa lettura: è stato un interessante esperimento mentale scoprire una situazione geopolitica da un lato molto diversa da quella reale (ad esempio, qui la Guerra Fredda vede la Germania contrapporsi agli Stati Uniti), dall'altro con degli elementi in comune, come l'Unione Europea che è presente ma si rivela un'istituzione fantoccio dei nazisti per controllare meglio gli altri Paesi europei.
Sento di poter promuovere poi tranquillamente la prosa di Harris -che non avrà particolari guizzi, ma ha una buona resa specie nei dialoghi- e l'intreccio del giallo, capace di catturare l'attenzione del lettore. Per quanto sia prevedibile, anche il finale contribuisce a portare questo romanzo alla sufficienza; l'ho apprezzato per la coerenza ed il coraggio di non scadere in un lieto fine forzato.
Purtroppo i pregi per me terminano qui: quando ho cominciato la lettura mi aspettavo davvero di individuare molti più elementi positivi, ma anche nei punti di forza ci sono lati meno riusciti. Prendo ad esempio il world building immaginato dal caro Robert, che viene appesantivo sia da una gran quantità di spiegazioni fin troppo prolisse e piazzate nei momenti meno opportuni, sia da una dubbia utilità ai fini della storia raccontata: la stessa vicenda avrebbe potuto tranquillamente avere come ambientazione la Germania reale dei primi anni Quaranta. Questo porta un senso di frustrazione, perché si ha investito parecchio tempo per conoscere un mondo quasi inedito senza che fosse in fin dei conti indispensabile.
La caratterizzazione è un altro punto debole a mio avviso, perché March si dimostra il tipico protagonista di una narrazione mystery noir nella storia personale e nel comportamento; vista la premessa, ero convinta si sarebbe rimostrato un personaggio grigio e sfaccettato invece non ha neanche mezzo tentennamento. Devo ammettere di non aver capito neppure cosa lo renda tanto speciale: dal mio punto di vista la storia della foto ritrovata non è sufficiente per stravolgere completamente la visione del mondo di un individuo cresciuto in una società così indottrinata, come viene dimostrato tra l'altro anche dei comportamenti degli altri personaggi più avanti nella storia.
Infine, con il rischio di sembrare una volta in più l'antiromantica per eccellenza, devo bocciare anche la parentesi romance. Non solo penso sia priva di basi concrete, ma anche nello sviluppo della relazione ho avuto l'impressione mancassero dei passaggi; cercando di evitare spoiler, menziono la scena dell'incubo che proprio non ho capito cosa dovesse trasmettere, o quali conseguenze abbia avuto per i personaggi. Quando poi l'interesse amoroso di March gli confida un certo dettaglio sulla sua precedente relazione diventa chiara (e preoccupante!) una sua debolezza verso le dinamiche di potere sbilanciate, che ovviamente il testo non individua come tale.
View all my reviews
My rating: 3 of 5 stars
"Ma del resto i fanatici della razza erano raramente superuomini ariani con gli occhi azzurri [...] Le frontiere paludose della razza germanica erano invece difese dagli individui meno sicuri della purezza del loro sangue"
IN CUI STEPHEN KING NON AVREBBE SCRITTO "22.11.63"
Il lato positivo di pescare dei titoli in modo casuale dalla propria TBR è senza dubbio quello di dare finalmente una possibilità a delle storie che si ha un po' dimenticato; sull'altro piatto della bilancia, bisogna considerare il rischio di incappare in un romanzo diverso rispetto alla vaga impressione che se ne ha. Personalmente, ricordo di aver acquistato "Fatherland" all'usato diversi anni fa attirata soprattutto dalla particolare ambientazione ucronica; quando mi sono infine decisa ad iniziare la lettura ho realizzato che purtroppo quello non sarebbe stato l'elemento principale nella storia.
Qualche parola sul contesto fantastorico va comunque spesa: ci troviamo a Berlino in una versione alternativa del 1964, nella fattispecie una versione in cui Adolf Hitler è ancora al potere e l'intera Europa è sotto il controllo diretto o meno del Terzo Reich, mentre i suoi nemici storici si sono dovuti arrendere o accettare la pace. A dispetto dell'insolito setting la storia parte come il più classico dei noir, con il tipico investigatore -nel caso in questione, Xavier "Zavi" March della Kripo- divorziato e stacanovista impegnato a far luce su un decesso sospetto. Questi due elementi si scontrano quando il protagonista realizza che dietro la presunta morte accidentale ci potrebbero essere degli individui collegati al partito nazionalsocialista.
Nonostante non venga sfruttata quanto mi sarei aspettata, l'ambientazione rimane uno degli aspetti migliori di questa lettura: è stato un interessante esperimento mentale scoprire una situazione geopolitica da un lato molto diversa da quella reale (ad esempio, qui la Guerra Fredda vede la Germania contrapporsi agli Stati Uniti), dall'altro con degli elementi in comune, come l'Unione Europea che è presente ma si rivela un'istituzione fantoccio dei nazisti per controllare meglio gli altri Paesi europei.
Sento di poter promuovere poi tranquillamente la prosa di Harris -che non avrà particolari guizzi, ma ha una buona resa specie nei dialoghi- e l'intreccio del giallo, capace di catturare l'attenzione del lettore. Per quanto sia prevedibile, anche il finale contribuisce a portare questo romanzo alla sufficienza; l'ho apprezzato per la coerenza ed il coraggio di non scadere in un lieto fine forzato.
Purtroppo i pregi per me terminano qui: quando ho cominciato la lettura mi aspettavo davvero di individuare molti più elementi positivi, ma anche nei punti di forza ci sono lati meno riusciti. Prendo ad esempio il world building immaginato dal caro Robert, che viene appesantivo sia da una gran quantità di spiegazioni fin troppo prolisse e piazzate nei momenti meno opportuni, sia da una dubbia utilità ai fini della storia raccontata: la stessa vicenda avrebbe potuto tranquillamente avere come ambientazione la Germania reale dei primi anni Quaranta. Questo porta un senso di frustrazione, perché si ha investito parecchio tempo per conoscere un mondo quasi inedito senza che fosse in fin dei conti indispensabile.
La caratterizzazione è un altro punto debole a mio avviso, perché March si dimostra il tipico protagonista di una narrazione mystery noir nella storia personale e nel comportamento; vista la premessa, ero convinta si sarebbe rimostrato un personaggio grigio e sfaccettato invece non ha neanche mezzo tentennamento. Devo ammettere di non aver capito neppure cosa lo renda tanto speciale: dal mio punto di vista la storia della foto ritrovata non è sufficiente per stravolgere completamente la visione del mondo di un individuo cresciuto in una società così indottrinata, come viene dimostrato tra l'altro anche dei comportamenti degli altri personaggi più avanti nella storia.
Infine, con il rischio di sembrare una volta in più l'antiromantica per eccellenza, devo bocciare anche la parentesi romance. Non solo penso sia priva di basi concrete, ma anche nello sviluppo della relazione ho avuto l'impressione mancassero dei passaggi; cercando di evitare spoiler, menziono la scena dell'incubo che proprio non ho capito cosa dovesse trasmettere, o quali conseguenze abbia avuto per i personaggi. Quando poi l'interesse amoroso di March gli confida un certo dettaglio sulla sua precedente relazione diventa chiara (e preoccupante!) una sua debolezza verso le dinamiche di potere sbilanciate, che ovviamente il testo non individua come tale.
View all my reviews
Iscriviti a:
Post (Atom)