L'impero delle tempeste by Sarah J. Maas
My rating: 4 of 5 stars
"La mano ricoperta di fiamme che Aelin alzò sopra la propria testa rivolgendosi ai soldati che puntavano le balestre contro di loro ... una corona di fuoco apparve sulla testa di Aelin. Quando il tessuto che avvolgeva Goldryn si incenerì rivelando il rubino rosso sangue in tutto il suo splendore"
VOCINE NELLA TESTA, EH? MOLTO CONVENIENTE...
Procedere nei meandri di questa saga sembra sempre più un'impresa improba, eppure eccomi a parlare di quello che tecnicamente è il penultimo capitolo, ossia "L'impero delle tempeste". Dico tecnicamente perché da brava completista quale riconosco di essere mi sorbirò anche "La torre dell'alba" prima di approdare all'epilogo della serie. Non che Chaol mi stia antipatico come personaggio principale, ma l'idea di leggere un libro lungo quanto questo soltanto sul suo viaggio nel Continente Meridionale mi entusiasma pochissimo.
Per ora rimaniamo su questo volume, nel quale la narrazione si divide inizialmente tra tre prospettive. Ritroviamo Manon ancora agli ordini delle Matrone, ma decisa ad opporsi come può alle direttive crudeli impartite da queste ultime e dal duca Perrington, mentre Elide -da lei lasciata nella foresta di Oakwald- incrocia la strada di Lorcan nel corso della sua missione per raggiungere Celaena. Capitanato da Aelin, il gruppo più numeroso di POV lascia invece l'appena ritrovata Terrasen per cercare nuovi alleati con i quali combattere l'imminente guerra contro le creazioni demoniache di Erawan.
In precario equilibrio sul confine tra chiarezza e spoiler, non credo di poter dire di più, ma di certo la trama risulta meglio strutturata rispetto ai primi capitoli; inoltre sono presenti delle svolte narrative degne di questo nome per una buona parte dei personaggi. Da una prospettiva soggettiva, ho apprezzato specialmente come si è evoluta la storyline di Manon, non a caso lei, Elide e Lysandra sono i caratteri che reputo meglio scritti e con dei percorsi più significativi. Mi piacerebbe includere in questo elenco anche Aelin (così da fare l'en plein delle personagge!), non fosse che l'autrice si ostina a non voler riconoscere i suoi difetti come tali: di conseguenza lei vince sempre, oppure viene sconfitta solo in virtù della scorrettezza degli antagonisti.
Proprio gli antagonisti rappresentano per l'ennesima volta una delle più grosse debolezze della saga, perché le loro blande motivazioni e gli ancor più blandi piani li rendono al meglio dimenticabili. Non ho troppi elogi da fare neppure nei confronti dei vari coprotagonisti, dal momento che si adoperano ben poco per portare avanti la trama e spesso sembrano ridotti al ruolo di mero interesse romantico. E per quanto mi riguarda i continui ringhi animaleschi non aiutano la loro causa!
Questo porta inevitabilmente a parlare del lato romance che, devo ammettere, temevo avrebbe preso il sopravvento sull'intreccio principale in modo definitivo. Invece, la cara Sarah riesce ancora a mantenere un accettabile bilanciamento, relegando dichiarazione di amore eterno ed amplessi vari ai momenti di stasi della trama. Le mie riserve cominciano quando si arriva ad analizzare le singole coppie: Aelin e Rowan sono di una prevedibilità soporifera, Aedion e Lysandra andavano bene fino all'inspiegabile reazione di lui nel finale, Manon e Dorian mi sembrano un'accoppiata totalmente casuale. Temo che, nonostante finiscano assieme per colpa delle voci nella testa, Elide e Lorcan siano a conti fatti la mia coppia preferita del romanzo.
Per quanto riguarda il lato editoriale non ho purtroppo note positive, perché sul fronte statunitense ritengo ci sia stato un debolissimo lavoro per editare il testo -e lo provano le numerosissime ripetizioni di termini e dinamiche-, mentre su quello italiano ci troviamo davanti all'ennesima traduzione frettolosa e sprecisa. E concludo con un'osservazione circa le novità introdotte da Maas in questo volume; mi sembra chiaro che abbia tentato di correggere il tiro su certi temi per andare incontro alle critiche mosse dai lettori, e pur apprezzando sempre chi si impegna per migliorare, temo che questo sforzo non sia stato sufficiente. Non basta mettere un paio di slogan femministi in bocca ai personaggi maschili, non basta dire che qualche personaggio è molto abbronzato, non basta rendere randomicamente gay dei caratteri secondari! soprattutto quando si avrebbe dell'ottimo materiale per scrivere due coppie omosessuali, volendo. Purtroppo mi sembra chiaro che la cara Sarah è determinata pilotare i suoi personaggi principali unicamente verso relazioni etero.
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mercoledì 21 agosto 2024
mercoledì 14 agosto 2024
"Follia profonda" di Wulf Dorn
Follia profonda by Wulf Dorn
My rating: 3 of 5 stars
"La prima busta l'aveva trovata al parcheggio della clinica, anche i fiori erano stati consegnati alla clinica. Questa volta però si trovava sulla porta di casa sua. La sconosciuta era stata a casa sua. Si sta avvicinando, pensò in preda alla paura"
FORTUNA CHE FALETTI ORMAI È MORTO...
Pur non avendo amato particolarmente nessuno dei titoli letti finora, Dorn rimane un autore al quale ritorno volentieri perché i suoi thriller psicologici risultano ben bilanciati nei diversi elementi che li compongono. Il mio percorso nella sua bibliografia è stato però molto casuale: mi sono lasciata semplicemente attirare dalle sinossi più interessanti e dalle recensioni più positive. Ecco spiegata la lettura di "Follia profonda" senza aver prima recuperato il volume precedente di questa duologia -ossia "Il superstite"-, scelta che comunque non mi ha ostacolato seriamente nella comprensione delle vicende raccontate.
In realtà, questo romanzo è collegato anche ad altre opere dell'autore, tra le quali il suo celebre debutto "La psichiatra"; infatti ci troviamo nuovamente a Fahlenberg, località fittizia del Baden-Württemberg, in particolare nelle vicinanze della Waldklinik. Qui lavora lo psichiatra Jan Forstner, nostro punto di vista principale nonché vittima di un'inquietante stalker che gli fa recapitare fiori, per poi passare a disegni allegorici ed a minacce per nulla velate nei confronti delle donne con cui lo vede interagire. Mentre l'uomo cerca di individuare l'identità della persecutrice, alla sua prospettiva si alternano molte altre tra le quali quella di Felix Thanner, il sacerdote che lavora come consulente spirituale della clinica, che a sua volta entra in contatto con l'antagonista.
Le premesse per ricavarne una storia non solo appassionante, ma anche con dei validi spunti di riflessione c'erano tutte; purtroppo, l'autore toppa soggettivamente sul piano narrativo ed oggettivamente su quello tematico. Per quanto riguarda l'intreccio, alcune svolte di trama sono abbastanza scontate se bazzicate il genere, inoltre l'epilogo dà un tono troppo positivo e frivolo ad una vicenda teoricamente tragica. La principale rivelazione poggia poi su un escamotage che avevo già trovato in un romanzo di Faletti precedente a questo, e perciò ho azzeccato il finale già dai primi capitoli. Però lungi da me accusare il caro Wulf di plagio, inoltre mi rendo conto che questo specifico problema è del tutto personale: se non avessi letto prima l'altro libro probabilmente sarei rimasta decisamente colpita da com'è stata strutturata la vicenda.
Passando a quello che reputo invece un difetto in senso lato, ci troviamo di fronte ad un tema che mi aveva fatto ben sperare, perché ci sono tantissime storie in cui si parla di stalking nei confronti di una donna, ma ben pochi nei quali la prospettiva è quella maschile. Poteva essere un'ottima occasione per mostrare come questo crimine sia avulso dal concetto di genere, come anche dei pregiudizi che sorgono quando è un uomo a denunciare delle molestie; purtroppo tutto questo potenziale si riduce ad una sola scena, neppure cruciale ai fini della narrazione. A fare realmente le spese di quest'ossessione sono quasi sempre (ed ancora una volta!) le donne che ruotano attorno a Jan, identificate dalla sua stalker come possibili rivali.
Di certo, se dovessi chiudere un occhio sul modo in cui è stato trattato questo argomento -e anche un altro, del quale però non posso parlare per evitare spoiler- potrei tessere le lodi della prosa di Dorn e della caratterizzazione dei suoi personaggi. Il romanzo è infatti molto godibile, sia per la moderata presenza dell'elemento horror che per l'ottimo ritmo dato alla narrazione: il lettore non può quindi fare a meno di rimanere incollato alle pagine per leggere di come Jan riuscirà a contrastare la sua stalker e di quale ruolo giocheranno gli altri caratteri nella vicenda.
Come accennato, anche i personaggi rientrano tra i punti di forza in questo titolo, dimostrando un concreto approfondimento psicologico, sia tra i protagonisti che tra i comprimari. Come POV principale Jan mi è piaciuto molto: ad esclusione di un paio di decisioni infelici, si dimostra un personaggio intelligente e determinato, che ripone una grande fiducia nelle sue capacità come psicologo per poter trovare un punto d'incontro con il prossimo. E l'antagonista si rivela essere più che all'altezza del suo ruolo, infatti le migliori scene del volume sono quelle in cui mette in atto dei piani per ingannare o attaccare i protagonisti. Sarà anche al centro di un twist imbarazzante nella sua prevedibilità, ma rimane una villain di tutto rispetto.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"La prima busta l'aveva trovata al parcheggio della clinica, anche i fiori erano stati consegnati alla clinica. Questa volta però si trovava sulla porta di casa sua. La sconosciuta era stata a casa sua. Si sta avvicinando, pensò in preda alla paura"
FORTUNA CHE FALETTI ORMAI È MORTO...
Pur non avendo amato particolarmente nessuno dei titoli letti finora, Dorn rimane un autore al quale ritorno volentieri perché i suoi thriller psicologici risultano ben bilanciati nei diversi elementi che li compongono. Il mio percorso nella sua bibliografia è stato però molto casuale: mi sono lasciata semplicemente attirare dalle sinossi più interessanti e dalle recensioni più positive. Ecco spiegata la lettura di "Follia profonda" senza aver prima recuperato il volume precedente di questa duologia -ossia "Il superstite"-, scelta che comunque non mi ha ostacolato seriamente nella comprensione delle vicende raccontate.
In realtà, questo romanzo è collegato anche ad altre opere dell'autore, tra le quali il suo celebre debutto "La psichiatra"; infatti ci troviamo nuovamente a Fahlenberg, località fittizia del Baden-Württemberg, in particolare nelle vicinanze della Waldklinik. Qui lavora lo psichiatra Jan Forstner, nostro punto di vista principale nonché vittima di un'inquietante stalker che gli fa recapitare fiori, per poi passare a disegni allegorici ed a minacce per nulla velate nei confronti delle donne con cui lo vede interagire. Mentre l'uomo cerca di individuare l'identità della persecutrice, alla sua prospettiva si alternano molte altre tra le quali quella di Felix Thanner, il sacerdote che lavora come consulente spirituale della clinica, che a sua volta entra in contatto con l'antagonista.
Le premesse per ricavarne una storia non solo appassionante, ma anche con dei validi spunti di riflessione c'erano tutte; purtroppo, l'autore toppa soggettivamente sul piano narrativo ed oggettivamente su quello tematico. Per quanto riguarda l'intreccio, alcune svolte di trama sono abbastanza scontate se bazzicate il genere, inoltre l'epilogo dà un tono troppo positivo e frivolo ad una vicenda teoricamente tragica. La principale rivelazione poggia poi su un escamotage che avevo già trovato in un romanzo di Faletti precedente a questo, e perciò ho azzeccato il finale già dai primi capitoli. Però lungi da me accusare il caro Wulf di plagio, inoltre mi rendo conto che questo specifico problema è del tutto personale: se non avessi letto prima l'altro libro probabilmente sarei rimasta decisamente colpita da com'è stata strutturata la vicenda.
Passando a quello che reputo invece un difetto in senso lato, ci troviamo di fronte ad un tema che mi aveva fatto ben sperare, perché ci sono tantissime storie in cui si parla di stalking nei confronti di una donna, ma ben pochi nei quali la prospettiva è quella maschile. Poteva essere un'ottima occasione per mostrare come questo crimine sia avulso dal concetto di genere, come anche dei pregiudizi che sorgono quando è un uomo a denunciare delle molestie; purtroppo tutto questo potenziale si riduce ad una sola scena, neppure cruciale ai fini della narrazione. A fare realmente le spese di quest'ossessione sono quasi sempre (ed ancora una volta!) le donne che ruotano attorno a Jan, identificate dalla sua stalker come possibili rivali.
Di certo, se dovessi chiudere un occhio sul modo in cui è stato trattato questo argomento -e anche un altro, del quale però non posso parlare per evitare spoiler- potrei tessere le lodi della prosa di Dorn e della caratterizzazione dei suoi personaggi. Il romanzo è infatti molto godibile, sia per la moderata presenza dell'elemento horror che per l'ottimo ritmo dato alla narrazione: il lettore non può quindi fare a meno di rimanere incollato alle pagine per leggere di come Jan riuscirà a contrastare la sua stalker e di quale ruolo giocheranno gli altri caratteri nella vicenda.
Come accennato, anche i personaggi rientrano tra i punti di forza in questo titolo, dimostrando un concreto approfondimento psicologico, sia tra i protagonisti che tra i comprimari. Come POV principale Jan mi è piaciuto molto: ad esclusione di un paio di decisioni infelici, si dimostra un personaggio intelligente e determinato, che ripone una grande fiducia nelle sue capacità come psicologo per poter trovare un punto d'incontro con il prossimo. E l'antagonista si rivela essere più che all'altezza del suo ruolo, infatti le migliori scene del volume sono quelle in cui mette in atto dei piani per ingannare o attaccare i protagonisti. Sarà anche al centro di un twist imbarazzante nella sua prevedibilità, ma rimane una villain di tutto rispetto.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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venerdì 9 agosto 2024
"Christine. La macchina infernale" di Stephe King
Christine. La macchina infernale by Stephen King
My rating: 4 of 5 stars
"La macchina in sé e per sé gli era antipatica... molto antipatica. Era abbastanza ridicolo provare sentimenti del genere per un oggetto inanimato, ma l'antipatia restava, precisa e inequivocabile, come un groppo in gola"
ARNIE FREEBOOTER DI CHRISTINE!
Specialmente nel corso degli ultimi anni, ho sviluppato una certa familiarità con la prosa del caro Stephen; quindi ormai quando devo cominciare una delle sue storie, sono sia incuriosita da cosa il libro in questione abbia in serbo per me che preparata a trovarmi di fronte determinate dinamiche narrative. Ed infatti ancor prima di iniziare la lettura di "Christine. La macchina infernale", ho pensato ad "Il camion di zio Otto" con sentimenti contrastanti: adoro infatti l'idea di un oggetto oppure un luogo in grado di assorbire e trasmettere la malvagità, ma in quel racconto il tutto scivolava poi nel ridicolo. Con il romanzo questo specifico problema invece non c'è stato, anche se le imperfezioni non sono mancate.
La vicenda comincia nell'autunno del 1978 a Libertyville, città immaginaria della Pennsylvania. È qui che l'adolescente Arnold "Arnie" Cunningham vede per la prima volta Christine, una Plymouth Fury del 1958, e sente l'impellente desiderio di acquistarla dal vecchio reduce Roland D. LeBay. Da subito, il giovane è totalmente assorbito dai lavori che deve fare per rimetterla in sesto, mentre tutti gli altri personaggi -a cominciare dal suo migliore amico Dennis Guilder- provano delle sensazioni molto negative verso l'automobile. La situazione si complica quando Arnie inizia una relazione con la bella Leigh Cabot, ma soprattutto quando un gruppo di teppisti prende di mira Christine per rivalersi su di lui.
L'intreccio è un po' più articolato in realtà, ma il cuore del libro rimane comunque l'ossessione di Arnie per Christine, che mi porta al primo degli aspetti meno convincenti: la scelta di affidare metà della narrazione alla voce di Dennis. Il suo è certamente un carattere centrale nella storia, ma mantenere un narratore onnisciente (come viene fatto nella seconda parte, tra l'altro!) avrebbe permesso di dare molto più spazio alla trasformazione di Arnie, a livello fisico ma anche psicologico. Immagino che l'intento fosse quello di creare un crescendo di tensione, ma in questo modo la trama perde di efficacia; la quasi totalità delle interazioni tra -quello che dovrebbe essere- il protagonista e l'automobile ci vengono raccontate e prima di metà volume la malvagità di quest'ultima è data solo dalle sensazioni e dai sogni dei personaggi.
L'altro difetto del volume è la presenza di diverse sottotrame che distraggono l'attenzione dal tema centrale. Anche per questo motivo la prospettiva di Dennis è limitante, perché le sue preoccupazioni nei confronti dell'amico vanno oltre la fissa per Christine e si estendono alla relazione con Leigh, al conflitto con i genitori ed ai lavori che comincia a svolgere per Will Darnell, il classico tipo losco locale che non può mancare in ogni romanzo kinghiano. Sono rimasta delusa anche dalla presentazione di Leigh, anticipata già dalla sinossi ma un po' troppo improvvisa; così come risultano prive di base le relazioni amicali e romantiche, difetto che il finale riesce almeno in parte a correggere. Infine, ho trovato la partenza un po' lenta e macchinosa (no pun intended!): la violenza vera e propria si fa aspettare, ma per fortuna quando arriva ripaga l'attesa in pieno.
In generale l'elemento paranormale mi è piaciuto molto. Ho adorato il modo in cui King ha sviluppato il concetto di un oggetto inanimato che prende vita ed assorbe l'indole del suo proprietario, infatti tutte le scene in cui Christine agisce sono davvero godibili nella loro crudezza. Si possono inoltre identificare delle nette sovrapposizioni tra elemento fantastico e problemi reali, andando a creare degli interessanti parallelismi. Si genera poi un buon livello di tensione, in particolare per merito del sapiente utilizzo del foreshadowing da parte di Dennis, che porta curiosità per le sciagure a venire.
A parte Leigh, i personaggi si dimostrano molto ben caratterizzati: anche quando si tratta di figure non centrali, il caro Stephen riesce con poche righe a renderli credibili e tridimensionali. Tra tutti spicca ovviamente Christine, ma anche Arnie che nelle sue (troppo poche!) scene POV riesce a catturare con la sua lotta interiore ed il focus sui momenti di incertezza, come durante le tre telefonate in cui prova a cercare un aiuto da famiglia ed amici. Chissà come sarebbero andate le cose se solo Dennis fosse riuscito a rispondere...
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My rating: 4 of 5 stars
"La macchina in sé e per sé gli era antipatica... molto antipatica. Era abbastanza ridicolo provare sentimenti del genere per un oggetto inanimato, ma l'antipatia restava, precisa e inequivocabile, come un groppo in gola"
ARNIE FREEBOOTER DI CHRISTINE!
Specialmente nel corso degli ultimi anni, ho sviluppato una certa familiarità con la prosa del caro Stephen; quindi ormai quando devo cominciare una delle sue storie, sono sia incuriosita da cosa il libro in questione abbia in serbo per me che preparata a trovarmi di fronte determinate dinamiche narrative. Ed infatti ancor prima di iniziare la lettura di "Christine. La macchina infernale", ho pensato ad "Il camion di zio Otto" con sentimenti contrastanti: adoro infatti l'idea di un oggetto oppure un luogo in grado di assorbire e trasmettere la malvagità, ma in quel racconto il tutto scivolava poi nel ridicolo. Con il romanzo questo specifico problema invece non c'è stato, anche se le imperfezioni non sono mancate.
La vicenda comincia nell'autunno del 1978 a Libertyville, città immaginaria della Pennsylvania. È qui che l'adolescente Arnold "Arnie" Cunningham vede per la prima volta Christine, una Plymouth Fury del 1958, e sente l'impellente desiderio di acquistarla dal vecchio reduce Roland D. LeBay. Da subito, il giovane è totalmente assorbito dai lavori che deve fare per rimetterla in sesto, mentre tutti gli altri personaggi -a cominciare dal suo migliore amico Dennis Guilder- provano delle sensazioni molto negative verso l'automobile. La situazione si complica quando Arnie inizia una relazione con la bella Leigh Cabot, ma soprattutto quando un gruppo di teppisti prende di mira Christine per rivalersi su di lui.
L'intreccio è un po' più articolato in realtà, ma il cuore del libro rimane comunque l'ossessione di Arnie per Christine, che mi porta al primo degli aspetti meno convincenti: la scelta di affidare metà della narrazione alla voce di Dennis. Il suo è certamente un carattere centrale nella storia, ma mantenere un narratore onnisciente (come viene fatto nella seconda parte, tra l'altro!) avrebbe permesso di dare molto più spazio alla trasformazione di Arnie, a livello fisico ma anche psicologico. Immagino che l'intento fosse quello di creare un crescendo di tensione, ma in questo modo la trama perde di efficacia; la quasi totalità delle interazioni tra -quello che dovrebbe essere- il protagonista e l'automobile ci vengono raccontate e prima di metà volume la malvagità di quest'ultima è data solo dalle sensazioni e dai sogni dei personaggi.
L'altro difetto del volume è la presenza di diverse sottotrame che distraggono l'attenzione dal tema centrale. Anche per questo motivo la prospettiva di Dennis è limitante, perché le sue preoccupazioni nei confronti dell'amico vanno oltre la fissa per Christine e si estendono alla relazione con Leigh, al conflitto con i genitori ed ai lavori che comincia a svolgere per Will Darnell, il classico tipo losco locale che non può mancare in ogni romanzo kinghiano. Sono rimasta delusa anche dalla presentazione di Leigh, anticipata già dalla sinossi ma un po' troppo improvvisa; così come risultano prive di base le relazioni amicali e romantiche, difetto che il finale riesce almeno in parte a correggere. Infine, ho trovato la partenza un po' lenta e macchinosa (no pun intended!): la violenza vera e propria si fa aspettare, ma per fortuna quando arriva ripaga l'attesa in pieno.
In generale l'elemento paranormale mi è piaciuto molto. Ho adorato il modo in cui King ha sviluppato il concetto di un oggetto inanimato che prende vita ed assorbe l'indole del suo proprietario, infatti tutte le scene in cui Christine agisce sono davvero godibili nella loro crudezza. Si possono inoltre identificare delle nette sovrapposizioni tra elemento fantastico e problemi reali, andando a creare degli interessanti parallelismi. Si genera poi un buon livello di tensione, in particolare per merito del sapiente utilizzo del foreshadowing da parte di Dennis, che porta curiosità per le sciagure a venire.
A parte Leigh, i personaggi si dimostrano molto ben caratterizzati: anche quando si tratta di figure non centrali, il caro Stephen riesce con poche righe a renderli credibili e tridimensionali. Tra tutti spicca ovviamente Christine, ma anche Arnie che nelle sue (troppo poche!) scene POV riesce a catturare con la sua lotta interiore ed il focus sui momenti di incertezza, come durante le tre telefonate in cui prova a cercare un aiuto da famiglia ed amici. Chissà come sarebbero andate le cose se solo Dennis fosse riuscito a rispondere...
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martedì 6 agosto 2024
"Maid. Donna delle pulizie" di Stephanie Land
Donna delle pulizie by Stephanie Land
My rating: 4 of 5 stars
"Sembrava che ogni ragazza avesse una sua preferenza per una parte del lavoro ... A nessuna piaceva pulire i bagni. Era il lavoro destinato all'ultima arrivata"
UN TITOLO CHE RIASSUME ANCHE TROPPO
Nella mia vita da lettrice, raramente mi avventuro oltre i placidi confini della fiction. E se pure reputo interessante affrontare un saggio o interessarmi ad una biografia storica, il memoir rappresenta per me una nicchia in cui esito ancora di più ad entrare. Il motivo è molto semplice: trovo incredibilmente difficile valutare in modo oggettivo quella che è in fin dei conti la vita dello scrittore. Memore però dell'esperienza positiva avuta con "L'educazione" di Westover un paio di anni fa, ho deciso di dare una chance all'opera d'esordio di Land, scoprendo che il titolo non la presenta affatto in maniera appropriata.
Leggendo "Maid. Donna delle pulizie", ci si potrebbe infatti aspettare una narrazione incentrata quasi esclusivamente sul lavoro domestico, magari con un approfondimento su come questo porti a delle ripercussioni nella vita privata delle persone che lo svolgono. La cara Stephanie decide invece di fornirci un quadro più ampio su quella che è stata per diversi anni la sua vita: madre single di una bambina molto piccola, l'autrice si trova a dover provvedere ad entrambe in qualsiasi ambito. Per questo inizia a lavorare come domestica, ma ciò non toglie spazio alle riflessioni su quanto sia difficile ottenere dei sussidi statali, instaurare delle relazioni durature e trovare un'abitazione sicura.
Quest'ultimo forse è il vero filo conduttore del volume, almeno nella maggior parte dei capitoli, perché Land parla sia della ricerca di una casa per sé e per la figlia con i pochi mezzi economici a loro disposizione, sia delle sue emozioni nel momento in cui il lavoro l'ha portata ad esplorare involontariamente le abitazioni di altre persone. Un'attività che causa degli inevitabili paragoni sulle gigantesche disparità sociali, con una particolare attenzione a come la grande recessione di una quindicina di anni fa abbia inciso sulle vite di tante persone fino a quel momento abbastanza sicure dal punto di vista economico. Altri paragoni sorgono quando si passa al confronto con le famiglie etichettate come normali: l'autrice ammette a più riprese di essersi sentita svilita nel suo ruolo di genitore e di aver quasi ricercato una sorta di isolamento per il modo in cui gli altri la facevano sentire a disagio.
Land si mette a nudo anche in altri passaggi, perché attraverso la sua esperienza diretta tratta con grande coraggio i temi della violenza domestica -argomentando come questa porti ad una pressione psicologica sui figli- e del disagio sociale. La sua prosa riesce a veicolare bene il senso di frustrazione che si prova da essere pagati in modo inadeguato per il proprio lavoro, ma anche la felicità di incrociare la strada di persone disposte ad aiutare senza pregiudizi.
Pregiudizi che invece non mancano all'interno del sistema assistenziale, a dir poco sfidante nei confronti degli utenti che dovrebbe invece tutelare. La cara Stephanie traccia dei netti collegamenti tra il trovarsi in difficoltà dal punto di vista economico, lo svolgere un lavoro debilitante e l'avere dei problemi di salute cronici; ed in tutto ciò lo Stato ostacola anziché supportare. Una scena che può essere benissimo portata ad esempio è quella dei buoni spesa: da un lato vediamo quanto siano difficili da richiede ed utilizzare, dall'altro come facilmente portino le altre persone a nutrire dell'ostilità verso chi vi ricorre.
Tra tanti spunti validi, l'autrice cerca anche di creare una sorta d'intreccio, che funziona ma solo a livello generale. Nelle singole scene ci sono spesso dettagli dimenticati, non saprei dire se volutamente o meno; penso in particolare ai rapporti familiari di Land, alle diverse relazioni che cerca di avviare, alla malattia della figlia Emilia "Mia" o al problema di cleptomania di una sua collega. Sono tutti elementi privi di una risoluzione o per i quali il lettore è chiamato a dare una propria interpretazione, scelta che non mi ha fatto impazzire.
La mia principale riserva riguarda però la luce sotto cui viene posto il lavoro domestico. Basandosi sul titolo e sui primi capitoli del libro, si ha l'impressione che l'autrice voglia nobilitarlo: in un passaggio afferma con giusto sdegno che il suo nuovo compagno non lo considera un vero lavoro, mentre in un altro lei lo vede come una strada per raggiungere un minimo di indipendenza. Queste iniziali riflessioni propositive si perdono però quando Land diventa una domestica a tempo pieno, perché arriva a detestare il suo lavoro, mostrato come una mera necessità in una situazione disperata da abbandonare non appena si presenta qualcosa di meglio. Una scelta più che legittima, ma che sembra rinnegare l'idea stessa alla base della sua storia; tutt'altro impatto avrebbe avuto la decisione di aprire una propria ditta di pulizie nella quale pagare in modo onesto il personale. Ma questo non è un romanzo, quindi non possiamo sindacare sul finale!
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"Sembrava che ogni ragazza avesse una sua preferenza per una parte del lavoro ... A nessuna piaceva pulire i bagni. Era il lavoro destinato all'ultima arrivata"
UN TITOLO CHE RIASSUME ANCHE TROPPO
Nella mia vita da lettrice, raramente mi avventuro oltre i placidi confini della fiction. E se pure reputo interessante affrontare un saggio o interessarmi ad una biografia storica, il memoir rappresenta per me una nicchia in cui esito ancora di più ad entrare. Il motivo è molto semplice: trovo incredibilmente difficile valutare in modo oggettivo quella che è in fin dei conti la vita dello scrittore. Memore però dell'esperienza positiva avuta con "L'educazione" di Westover un paio di anni fa, ho deciso di dare una chance all'opera d'esordio di Land, scoprendo che il titolo non la presenta affatto in maniera appropriata.
Leggendo "Maid. Donna delle pulizie", ci si potrebbe infatti aspettare una narrazione incentrata quasi esclusivamente sul lavoro domestico, magari con un approfondimento su come questo porti a delle ripercussioni nella vita privata delle persone che lo svolgono. La cara Stephanie decide invece di fornirci un quadro più ampio su quella che è stata per diversi anni la sua vita: madre single di una bambina molto piccola, l'autrice si trova a dover provvedere ad entrambe in qualsiasi ambito. Per questo inizia a lavorare come domestica, ma ciò non toglie spazio alle riflessioni su quanto sia difficile ottenere dei sussidi statali, instaurare delle relazioni durature e trovare un'abitazione sicura.
Quest'ultimo forse è il vero filo conduttore del volume, almeno nella maggior parte dei capitoli, perché Land parla sia della ricerca di una casa per sé e per la figlia con i pochi mezzi economici a loro disposizione, sia delle sue emozioni nel momento in cui il lavoro l'ha portata ad esplorare involontariamente le abitazioni di altre persone. Un'attività che causa degli inevitabili paragoni sulle gigantesche disparità sociali, con una particolare attenzione a come la grande recessione di una quindicina di anni fa abbia inciso sulle vite di tante persone fino a quel momento abbastanza sicure dal punto di vista economico. Altri paragoni sorgono quando si passa al confronto con le famiglie etichettate come normali: l'autrice ammette a più riprese di essersi sentita svilita nel suo ruolo di genitore e di aver quasi ricercato una sorta di isolamento per il modo in cui gli altri la facevano sentire a disagio.
Land si mette a nudo anche in altri passaggi, perché attraverso la sua esperienza diretta tratta con grande coraggio i temi della violenza domestica -argomentando come questa porti ad una pressione psicologica sui figli- e del disagio sociale. La sua prosa riesce a veicolare bene il senso di frustrazione che si prova da essere pagati in modo inadeguato per il proprio lavoro, ma anche la felicità di incrociare la strada di persone disposte ad aiutare senza pregiudizi.
Pregiudizi che invece non mancano all'interno del sistema assistenziale, a dir poco sfidante nei confronti degli utenti che dovrebbe invece tutelare. La cara Stephanie traccia dei netti collegamenti tra il trovarsi in difficoltà dal punto di vista economico, lo svolgere un lavoro debilitante e l'avere dei problemi di salute cronici; ed in tutto ciò lo Stato ostacola anziché supportare. Una scena che può essere benissimo portata ad esempio è quella dei buoni spesa: da un lato vediamo quanto siano difficili da richiede ed utilizzare, dall'altro come facilmente portino le altre persone a nutrire dell'ostilità verso chi vi ricorre.
Tra tanti spunti validi, l'autrice cerca anche di creare una sorta d'intreccio, che funziona ma solo a livello generale. Nelle singole scene ci sono spesso dettagli dimenticati, non saprei dire se volutamente o meno; penso in particolare ai rapporti familiari di Land, alle diverse relazioni che cerca di avviare, alla malattia della figlia Emilia "Mia" o al problema di cleptomania di una sua collega. Sono tutti elementi privi di una risoluzione o per i quali il lettore è chiamato a dare una propria interpretazione, scelta che non mi ha fatto impazzire.
La mia principale riserva riguarda però la luce sotto cui viene posto il lavoro domestico. Basandosi sul titolo e sui primi capitoli del libro, si ha l'impressione che l'autrice voglia nobilitarlo: in un passaggio afferma con giusto sdegno che il suo nuovo compagno non lo considera un vero lavoro, mentre in un altro lei lo vede come una strada per raggiungere un minimo di indipendenza. Queste iniziali riflessioni propositive si perdono però quando Land diventa una domestica a tempo pieno, perché arriva a detestare il suo lavoro, mostrato come una mera necessità in una situazione disperata da abbandonare non appena si presenta qualcosa di meglio. Una scelta più che legittima, ma che sembra rinnegare l'idea stessa alla base della sua storia; tutt'altro impatto avrebbe avuto la decisione di aprire una propria ditta di pulizie nella quale pagare in modo onesto il personale. Ma questo non è un romanzo, quindi non possiamo sindacare sul finale!
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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giovedì 1 agosto 2024
"Il re d'inverno" di Bernard Cornwell
Il re d'inverno by Bernard Cornwell
My rating: 3 of 5 stars
"Ma la pace non venne. Alla fine dell'autunno, quando tutti pensano unicamente a lucidare le armi e a riporle per l'inverno, l'esercito di Powys si mise in marcia. La Britannia era in guerra"
AI CALZINI UN NOME NON LO VOGLIAMO DARE?
Dovrete perdonarmi la pedanteria, ma vista la confusione che regna attorno alla serie Il romanzo di Excalibur in Italia, ritengo di dover partire con una precisazione. In questo commento andrò ad analizzare le prime tre parti dell'originale "The Winter King", pubblicate individualmente con il titolo italiano "Il re d'inverno"; infatti a differenza di quanto riportato, ad esempio, su Wikipedia nessuno dei tre volumi di The Warlord Chronicles è stato mantenuto intatto nelle vecchie edizioni nostrane. Soltanto quest'anno, in occasione dell'adattamento televisivo, Longanesi ha deciso di realizzare una versione integrale del primo romanzo.
Chiarito quale sia il testo al quale mi riferisco, pasamo all'effettivo contenuto. Traendo a piene mani dalle leggende del ciclo arturiano, Cornwell decide di realizzarne una versione storicamente accurata e sceglie come voce narrante Derfel Cadarn, un tempo guerriero fedele ad Artù ed ora monaco cristiano. Sotto la protezione della regina Igraine di Powys, l'uomo redige una cronistoria partendo dal 480, anno in cui nacque l'erede al trono di Dumnonia Mordred; in questa prima parte Derfel è soltanto un ragazzo alla corte di Merlino, ma il suo coraggio lo porta presto a diventare un valente soldato, prima agli ordini del campione del regno Owain e poi dello stesso Artù. Mentre lo vediamo crescere, assistiamo alle innumerevoli guerre che si combattono sul suolo britannico, contro i diversi popoli invasori ma anche tra gli stessi britanni.
Più che una trama uno spunto quindi, che devo dire mi è piaciuto parecchio perché offre margine di manovra al narratore e gli permette di intervenire in alcuni punti con dei commenti pungenti. Penso sia un peccato infatti che la voce di Derfel si eclissi nelle parti in cui ritorna completamente al passato, perché è un valido modo per rendere la prosa personale e distintiva. In generale, sono comunque riuscita ad apprezzare lo stile di Cornwell, e lo dimostra il fatto che le sue numerose descrizioni delle battaglie (un elemento non troppo gradevole per la sottoscritta) non mi hanno mai annoiata, e sono perfino riuscite ad intrattenermi.
L'altro grande merito del caro Bernard è l'aver delineato un'ambientazione storica il più possibile genuina e credibile. Senza risultare pedante, l'autore arricchisce i luoghi visitati da Derfel con comparse mai banali, tradizioni particolari e dettagli di vita quotidiana: è facile così lasciarsi trasportare in questo tempo lontano. E seppure i lati negativi del passato non manchino, non viene dedicato loro più tempo di quanto necessario per rimanere fedeli alla Storia, con un'unica (e non così piccola!) eccezione.
Tra i pregi del romanzo, penso si possa includere anche Derfel stesso, in particolare la sua versione anziana dal piglio alquanto spiritoso. Un altro personaggio che ho trovato interessante è Nimue, qui presentata come una giovane sopravvissuta ad un naufragio e per questo finita alla corte dei graziati di Merlino; peccato solo sia meno presente di quanto mi sarei aspettata.
I grandi assenti sono però Merlino stesso (ma diciamo che ha una buona scusa), Artù e Morgana. Il sovrano che non fu mai re è presente in modo regolare solo nella seconda parte -anche se possiamo avere fiducia in un suo ruolo più centrale nei seguiti-, mentre la sacerdotessa viene inizialmente presentata come un carattere centrale e quasi dimenticata non appena il focus passa dai contrasti religiosi a quelli politici e territoriali. Più in generale, credo ci siano diversi personaggi all'interno di questo corposo cast che potevano ambire ad un ruolo più importante.
Anche l'assenza di svolte imprevedibili ricade nei difetti del titolo; la mia maggiore riserva riguarda però l'eccezione alla quale accennavo prima, perché Cornwell non solo calca abbastanza la mano sugli abusi sessuali, ma lo fa con una notevole superficialità. Ad esempio, alla prima uccisione di Derfel viene dedicato del tempo in cui lui ha la possibilità di ragionarci sopra e decidere comunque di intraprendere la carriera militare, mentre alle numerose personaggie vittime di violenza non si concede più di mezza riga per esternare il dispiacere del protagonista. Pur rimanendo coerenti al contesto scelto, si poteva lavora un po' di più su questo aspetto.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Ma la pace non venne. Alla fine dell'autunno, quando tutti pensano unicamente a lucidare le armi e a riporle per l'inverno, l'esercito di Powys si mise in marcia. La Britannia era in guerra"
AI CALZINI UN NOME NON LO VOGLIAMO DARE?
Dovrete perdonarmi la pedanteria, ma vista la confusione che regna attorno alla serie Il romanzo di Excalibur in Italia, ritengo di dover partire con una precisazione. In questo commento andrò ad analizzare le prime tre parti dell'originale "The Winter King", pubblicate individualmente con il titolo italiano "Il re d'inverno"; infatti a differenza di quanto riportato, ad esempio, su Wikipedia nessuno dei tre volumi di The Warlord Chronicles è stato mantenuto intatto nelle vecchie edizioni nostrane. Soltanto quest'anno, in occasione dell'adattamento televisivo, Longanesi ha deciso di realizzare una versione integrale del primo romanzo.
Chiarito quale sia il testo al quale mi riferisco, pasamo all'effettivo contenuto. Traendo a piene mani dalle leggende del ciclo arturiano, Cornwell decide di realizzarne una versione storicamente accurata e sceglie come voce narrante Derfel Cadarn, un tempo guerriero fedele ad Artù ed ora monaco cristiano. Sotto la protezione della regina Igraine di Powys, l'uomo redige una cronistoria partendo dal 480, anno in cui nacque l'erede al trono di Dumnonia Mordred; in questa prima parte Derfel è soltanto un ragazzo alla corte di Merlino, ma il suo coraggio lo porta presto a diventare un valente soldato, prima agli ordini del campione del regno Owain e poi dello stesso Artù. Mentre lo vediamo crescere, assistiamo alle innumerevoli guerre che si combattono sul suolo britannico, contro i diversi popoli invasori ma anche tra gli stessi britanni.
Più che una trama uno spunto quindi, che devo dire mi è piaciuto parecchio perché offre margine di manovra al narratore e gli permette di intervenire in alcuni punti con dei commenti pungenti. Penso sia un peccato infatti che la voce di Derfel si eclissi nelle parti in cui ritorna completamente al passato, perché è un valido modo per rendere la prosa personale e distintiva. In generale, sono comunque riuscita ad apprezzare lo stile di Cornwell, e lo dimostra il fatto che le sue numerose descrizioni delle battaglie (un elemento non troppo gradevole per la sottoscritta) non mi hanno mai annoiata, e sono perfino riuscite ad intrattenermi.
L'altro grande merito del caro Bernard è l'aver delineato un'ambientazione storica il più possibile genuina e credibile. Senza risultare pedante, l'autore arricchisce i luoghi visitati da Derfel con comparse mai banali, tradizioni particolari e dettagli di vita quotidiana: è facile così lasciarsi trasportare in questo tempo lontano. E seppure i lati negativi del passato non manchino, non viene dedicato loro più tempo di quanto necessario per rimanere fedeli alla Storia, con un'unica (e non così piccola!) eccezione.
Tra i pregi del romanzo, penso si possa includere anche Derfel stesso, in particolare la sua versione anziana dal piglio alquanto spiritoso. Un altro personaggio che ho trovato interessante è Nimue, qui presentata come una giovane sopravvissuta ad un naufragio e per questo finita alla corte dei graziati di Merlino; peccato solo sia meno presente di quanto mi sarei aspettata.
I grandi assenti sono però Merlino stesso (ma diciamo che ha una buona scusa), Artù e Morgana. Il sovrano che non fu mai re è presente in modo regolare solo nella seconda parte -anche se possiamo avere fiducia in un suo ruolo più centrale nei seguiti-, mentre la sacerdotessa viene inizialmente presentata come un carattere centrale e quasi dimenticata non appena il focus passa dai contrasti religiosi a quelli politici e territoriali. Più in generale, credo ci siano diversi personaggi all'interno di questo corposo cast che potevano ambire ad un ruolo più importante.
Anche l'assenza di svolte imprevedibili ricade nei difetti del titolo; la mia maggiore riserva riguarda però l'eccezione alla quale accennavo prima, perché Cornwell non solo calca abbastanza la mano sugli abusi sessuali, ma lo fa con una notevole superficialità. Ad esempio, alla prima uccisione di Derfel viene dedicato del tempo in cui lui ha la possibilità di ragionarci sopra e decidere comunque di intraprendere la carriera militare, mentre alle numerose personaggie vittime di violenza non si concede più di mezza riga per esternare il dispiacere del protagonista. Pur rimanendo coerenti al contesto scelto, si poteva lavora un po' di più su questo aspetto.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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