venerdì 31 gennaio 2025

"La strana morte di Sir Lawrence Linwood" di Christopher Huang

La strana morte di Sir Lawrence LinwoodLa strana morte di Sir Lawrence Linwood by Christopher Huang
My rating: 4 of 5 stars

"La tradizione avrebbe richiesto l'osservanza della primogenitura, ma in questo caso non si poteva applicare, giusto? A rigore lui non apparteneva alla discendenza dei Linwood ... Quella era l'ultima pagina della storia dei Linwood e della catena che cominciava con Sir Robert, e si sarebbe conclusa con Sir Lawrence"


MA QUALE GIALLO GAME?!?

Credo di poter affermare con sufficiente sicurezza che queste prime settimane del 2025 mi stanno precipitando nel baratro della reading slump se neppure un buon mystery riesce a tenere vivo il mio interesse per più di qualche pagina. E mi dispiace davvero perché riponevo parecchie aspettative su "La strana morte di Sir Lawrence Linwood" che, con il mood classico sia nel tipo di narrazione sia nell'ambientazione scelta, sembrava avere tutte le carte in regola per tenermi incollata alla sua storia.

Pur essendo una pubblicazione recente, il romanzo si ambienta infatti nella campagna dello Yorkshire, spaziando tra più momenti storici ma con un deciso focus sulla primavera del 1921. È in questo periodo che il nobiluomo Sir Lawrence viene brutalmente assassinato nel suo studio, portando al ritorno dei figli adottivi -Alan, Roger e Caroline- presso la tenuta di Linwood Hall. In parte per un senso di giustizia ma anche per ragioni economiche (dal momento che il risolutore verrà nominato erede universale), i tre cominciano ad indagare sul delitto; alle loro prospettive se ne aggiungono diverse altre, tra le quali spicca di certo quella dell'ispettore Clarence Mowbray di Pickering, incaricato del caso.

Un'indagine parecchio avvincente, che permette al contempo all'autore di delineare un quadro psicologico molto interessante per tutti i protagonisti, la cui caratterizzazione rende facile in poche scene trovarli riconoscibili ed entrare in sintonia con loro. Gli altri personaggi per contro fanno un po' da tappezzeria, pur essendo essenziali per la risoluzione dell'intreccio, con la sola eccezione di Iris Morgan: la fidanzata di Roger appare inizialmente come una figura di secondo piano, ma si conquista in breve un ruolo da coprotagonista ben giustificato dal suo piglio carismatico.

Altro grande pregio del volume è rappresentato dalle tematiche scelte da Huang; ad una prima occhiata, la narrazione sembra abbastanza semplice e lineare, ma l'autore introduce ben presto una corposa critica al colonialismo britannico, e più in generale alla discriminazione figlia del razzismo. Mente l'intreccio si dipana, si parla anche di relazioni familiari tossiche e di emancipazione femminile, argomenti che il caro Christopher riesce ad amalgamare in modo naturale ed a trattare con la giusta attenzione. Tra i punti a favore non posso poi dimenticare la notevole accuratezza dei dettagli storici e la buona atmosfera di mistero che permea le scene all'interno di Linwood Hall.

Per contro, lo stile nel suo insieme non mi ha fatto urlare al miracolo, soprattutto per la scelta di alcune metafore poco efficaci. Il libro risente inoltre di una sommarietà che, soprattutto nel rapido inizio, non permette di introdurre in modo adeguato il rapporto tra i tre fratelli; qualcosa di simile succede nell'epilogo, dove avvenimenti anche parecchio importanti vengono riassunti in poche parole o direttamente lasciati alla libera interpretazione del lettore.

La sensazione di dover seguire un percorso prestabilito, con delle specifiche tempistiche da rispettare, permea un po' tutta la storia. Ecco perché ci si sente frustrati quando i protagonisti non analizzano a fondo le testimonianze a loro disposizione, preferendo passare subito alla fonte successiva. In generale, ho trovato la trama piacevole ma parecchio prevedibile da metà volume in poi, ossia da quando sono riuscita ad azzeccare tutte le rivelazioni. Una situazione che in un'altro periodo mi farebbe sentire un vero genio, mi ha reso in questo caso tedioso continuare la lettura conoscendo già i colpi di scena.

View all my reviews

venerdì 24 gennaio 2025

"Il mago" di Ursula K. Le Guin

Il mago  (La saga di Terramare, #1)Il mago by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"«Tu pensavi che un mago è colui che può fare ogni cosa ... Ma la verità è un'altra. Via via che cresce il potere reale di un uomo, via via che si allarga la sua conoscenza, le strade che può seguire si fanno sempre più strette: e alla fine quell'uomo non sceglierà affatto, ma farà solo ciò che deve fare, e lo farà fino in fondo...»"


E CON QUESTO FANNO QUATTRO SVENIMENTI TATTICI

Ormai da un po' nel mese di gennaio scelgo una saga già conclusa ed abbastanza corposa che mi tenga compagnia nel corso dell'interno anno di letture, in modo da recuperare con costanza alcune delle serie da più tempo nella mia TBR. Tra queste c'è senza dubbio il Ciclo di Earthsea, con la sua infelice storia editoriale italiana: i lettori nostrani sono costretti a scegliere tra l'avere dei volumi che non matchano neanche per sbaglio o il portarsi appresso un mattone arricchito probabilmente con particelle di osmio per quanto è pesante, come purtroppo ha dovuto fare la sottoscritta per leggere il primo capitolo, "Il mago".

Tanta fatica per avventurarsi in un mondo fantasy insulare dove figure magiche decisamente tipiche -come fattucchiere e draghi- bazzicano al fianco di creature inedite quali lo spaventoso gebbeth e l'otak, una specie di mascotte del mago protagonista. Il punto di vista è appunto quello del giovane Ged detto "Sparviere", che fin da bambino dimostra un'enorme propensione per le arti magiche, tanto da approdare ben presto alla scuola per maghi situata sull'isola di Roke. Qui il ragazzo evoca per errore l'Ombra, una pericolosa entità senza nome proveniente da una dimensione altra; da quel momento il suo obiettivo diventa scacciare questa creatura, che minaccia di prendere il controllo del suo corpo e mettere in pericolo gli abitanti del Terramare.

Come si potrà indovinare, il world building rientra a mio avviso tra i pregi del romanzo: Le Guin riesce a delineare un mondo complesso e dettagliato, nel quale i personaggi si muovono in modo credibile, elemento positivo soprattutto per la gran quantità di spostamenti e per le diverse ambientazioni che ci vengono mostrate. In maniera analoga, il sistema magico mi ha intrigato per l'interessante idea alla base -ovvero collegare il potere ai nomi propri-, e seppur in alcuni passaggi non l'abbia trovato chiarissimo (così come non sono riuscita a capire del tutto la gerarchia magica) devo ammettere che l'autrice ha saputo declinare il concept in modo intelligente e con una buona variatio.

Un altro aspetto lodevole che reputo doveroso sottolineare è la caratterizzazione del protagonista, perché Ged è ben lontano dagli ideali classici dell'eroe fantasy, dimostrando anzi in svariate occasioni la sua indole fallace, conseguenza di un temperamento arrogante ed infantile che solo con il passare del tempo sarà in grado di mitigare. Mi piacerebbe poter dire che anche lo stile della cara Ursula rientri tra i punti di forza di questa lettura ma, nonostante la scelta lessicale molto curata, la prosa ha avuto su di me un portentoso effetto soporifero; questo perché tutti gli avvenimenti non vengono mostrati in scena al lettore quanto piuttosto raccontati a posteriori, con un distacco tale da rendere impossibile simpatizzare per i personaggi o preoccuparsi per le difficoltà che affrontano.

In realtà la tensione rasenta lo zero anche per il poco senso del pericolo che ispirano le diverse minacce: misteri e problemi sono risolti con estrema facilità ed in maniera a dir poco scontata, con il risultato di non stuzzicare affatto la curiosità di chi legge. Questo difetto è ancor più palese nel frettoloso finale, in cui il presunto confronto epico è tutto fuorché epico, ed anche il ruolo giocato da Vetch risulta poco chiaro. L'elemento meno riuscito a mio avviso sono però le relazioni interpersonali, del tutto prive di base ed incapaci di farmi affezionare ai personaggi coinvolti. E per aver lasciato la sottoscritta impassibile per (view spoiler) ce ne vuole.

View all my reviews

mercoledì 22 gennaio 2025

"Nove perfetti sconosciuti" di Liane Moriarty

Nove perfetti sconosciutiNove perfetti sconosciuti by Liane Moriarty
My rating: 4 of 5 stars

"Frances si era sforzata di spiegargli che gli estranei erano interessanti per definizione. Era la loro estraneità. Il fatto di non sapere nulla sul loro conto. Di solito, una volta scoperto tutto quello che c'era da sapere su una persona, eri pronto a divorziarci"


CHE MONTAGNE RUSSE, LAPOČKI MIEI

Dal momento che uno dei miei obiettivi letterali per l'anno nuovo è di riscoprire la passione per la lettura nel senso più cozy possibile -ovvero, scollegandosi dal lato social di questo hobby- ho pensato fosse un'ottima idea recuperare vecchi titoli dei miei autori del cuore. Con due romanzi che ho apprezzato parecchio, la cara Liane può rientrare senza timore in questa categoria, e proprio per questo la mia prima lettura del 2025 è stata il suo "Nove perfetti sconosciuti".

Dopo un flashback incentrato sul passato di Maria "Masha" Dmitrichenko, la scena si sposta alla Tranquillum House, il suo resort nel sudest australiano dove piccole celebrità e persone comuni si recano per rimettersi in forma fisicamente e mentalmente. Come lettori seguiamo diverse prospettive, tra clienti e personale della struttura, ma a spiccare tra le altre è sicuramente quella di Frances Welty, autrice di libri rosa in declino nel lavoro ma non solo. La donna arriva al resort per riprendersi dopo una crudele truffa, e finisce così per far parte del gruppo sul quale Masha vuole testate la nuova procedura di trasformazione di sua invenzione.

Se avete già letto qualcuna delle mie recensioni, sapete come la presentazione falsa di un libro mi irriti; in questo particolare caso, avrei potuto sindacare sul titolo scelto perché i nove partecipati al ritiro non sono realmente degli sconosciuti, personalmente ma neanche a livello di fama. Invece non ho nulla da eccepire dal momento che l'autocecità è il tema centrale della storia: i personaggi non sono degli estranei verso gli altri quanto per sé stessi, infatti un po' tutti loro sembrano essere estremamente capaci ad intuire le difficoltà del prossimo ma a dir poco ottusi nell'indovinare i propri limiti psicologici. Il testo affronta anche temi secondari, che riguardano i singoli caratteri; quello che ho trovato più rilevante e meglio approfondito è l'elaborazione del lutto, ma si parla anche di apparenza estetica e di rapporto tra genitori e figli.

A veicolare brillantemente il tutto troviamo lo stile versatile e scanzonato di Moriarty, che ha la straordinaria capacità di bilanciare nei giusti tempi battute umoristiche e riflessioni ponderate. In questo titolo più che nei precedenti, ho apprezzato il suo talento per intessere delle ottime relazioni, spiegando bene i legami passati e gettando con sicurezza le basi per dei nuovi rapporti. In generale, trovo che i personaggi rappresentino un grosso punto di forza: si percepisce l'impegno nel rendere uniche e facilmente identificabili la personalità e la voce di ognuno.

E questo non era affatto facile, considerando che i POV totali sono ben dodici! una scelta che comprendo a livello concettuale, ma sulla quale ho finito con l'avere delle riserve perché alcuni sarebbero stati facilmente condensabili in altre prospettive. In particolare Lars, Ben e Delilah non mi hanno trasmesso granché, quindi avrei optato per approfondirli di più oppure eliminare direttamente i loro capitoli. Un ragionamento simile si potrebbe applicare sui temi, perché sfoltire almeno in parte gli argomenti trattati avrebbe permesso a quelli centrali di risaltare.

Nonostante queste critiche, il romanzo è riuscito ad emozionarmi in diverse scene, ma questo ha influito sulla valutazione solo fino ad un certo punto. Il vero limite per me è stato l'intreccio, perché la maggior parte del volume presenta un ritmo talmente fiacco da far pensare che non ci sia neppure una trama da seguire. Quando infine la narrazione prende il via, gli eventi ai quali assistiamo sono così rapidi e surreali da lasciare interdetti: l'impressione è quella di un accelerazione folle ed insensata dopo chilometri di strada percorsi con la prima ingranata. Magari mi andrà meglio con la prossima storia ideata dalla cara Liane.

View all my reviews

venerdì 10 gennaio 2025

"Il successore" di Mikkel Birkegaard

Il successoreIl successore by Mikkel Birkegaard
My rating: 2 of 5 stars

"Laust se ne rese conto solo in quel momento: proprio lui, un insegnante di liceo, avrebbe dovuto scrivere la conclusione della serie. Se tutto fosse andato come doveva, là fuori ci sarebbe stato un libro con sopra il suo nome"


THRILLER AL GUSTO INCEL

Nelle mie ricerche librose mi piace guardare oltre gli onnipresenti autori britannici e statunitensi per esplorare altre nazionalità; non si può dire che i risultati siano sempre incoraggianti, ma con la Danimarca finora avevo avuto decisamente fortuna. Ecco perché mi sono interessata ad "Il successore", attratta senza vergogna dalla bella copertina realizzata per la pubblicazione in Italia. Peccato che i miei elogi non si possano estendere anche alla sinossi scelta dall'editore nostrano, che fornisce informazioni non necessariamente false, ma formulate in modo tale da lasciar intendere dei presupposti narrativi errati. A quanto pare, anche questa volta tocca a me illustrare la trama in modo chiaro!

La narrazione è divisa tra due linee temporali: nel passato vediamo un gruppo di aspiranti scrittori di mystery - l'insicuro Laust Troelsen, lo spigliato Flemming "Flemmingway" Karlsen, il nervoso Poul Hansen ed il metodico Jørgen Brink- incontrarsi ad una masterclass a tema, mentre nel presente seguiamo principalmente Laust, che ha accantonato le sue velleità artistiche per dedicarsi all'insegnamento. Nel frattempo Jørgen, adottato lo pseudonimo di William Falk, è diventato un famoso giallista; proprio il giorno in cui viene pubblicato il suo nuovo romanzo, l'uomo si introduce nell'appartamento di Laust per suicidarsi, ma non prima di averlo inserito nell'elenco dei candidati che ultimeranno il volume conclusivo della sua saga.

Questo passaggio di testimone è sicuramente l'elemento che da subito ha catturato la mia curiosità, e continuo a ritenerlo un valido spunto anche a lettura ultimata. Nonostante la storia di Laust non mi abbia convinto su una quantità di fronti, le idee alla base sono buone ed offrono (almeno sulla carta) degli appigli adatti ad una narrazione ricca di mistero ed azione, nonché accattivante nell'ottica di un lettore appassionato visti i tanti rimandi al mondo dell'editoria. Un altro aspetto che confermo di apprezzare è senza dubbio la cover: a conti fatti è molto generica, ma rimane esteticamente stupenda. E per concludere questa purtroppo breve disamina dei pregi, devo menzionare lo stile di Birkegaard, che non mi ha fatto urlare al miracolo ma si può considerare promosso con un voto ben oltre la sufficienza.

Ho parlato tanto di potenziale perché l'intreccio ottenuto dagli elementi mesi in gioco dal caro Mikkel non rispetta le aspettative create, proponendo una trama farcita di eventi fortuiti e scene inutili, che tra l'altro fatica molto ad acquistare un ritmo accettabile. Una volta scoperte le carte in tavola, interi capitoli sembrano non avere senso, e così personaggi ed ambientazioni: a cosa serve creare tanto mistero attorno alla tenuta di Falk se poi lì non succedere letteralmente nulla di rilevante? quale ruolo svolge il personaggio di Versal nel grande schema della storia, così come nella sua sottotrama personale? In realtà, tutti i personaggi sembrano delle semplici pedine, non perché siano particolarmente stereotipati quanto per la loro mancanza di autonomia. E per assurdo il finale pare confermare l'insensatezza di questi caratteri e della narrazione nella sua totalità, infatti la risoluzione è talmente rapida e semplice che viene da chiedersi perché Falk abbia messo in piedi l'intera baracca.

A peggiorare la situazione contribuiscono gli scontatissimi colpi di scena (vi sfido a non azzeccarli tutti con pagine di anticipo!), l'assenza di tensione per buona parte del romanzo e la descrizione a dir poco ridicola del mondo editoriale: se non sapessi che questo autore ha diversi romanzi all'attivo, penserei che si tratti di un esordiente autopubblicato per come parla idealisticamente di questa realtà. Il mio vero tallone d'Achille è stato però il protagonista, che ho mal sopportato sia a livello caratteriale -per l'atteggiamento lamentoso e la prospettiva sessista- sia a livello narrativo, infatti la sua indolenza è quasi sempre causa della lentezza con cui prosegue la trama. Sarete d'accordo che in un thriller mantenere viva l'attenzione del lettore con una storia adrenalinica è vitale!

View all my reviews

martedì 7 gennaio 2025

"Io che non ho conosciuto gli uomini" di Jacqueline Harpman

Io che non ho conosciuto gli uominiIo che non ho conosciuto gli uomini by Jacqueline Harpman
My rating: 5 of 5 stars

"In ogni caso, fui quella che si adattò meglio, dal momento che, probabilmente, non avevo conosciuto niente di diverso e nessun rimpianto mi tormentava"


TITOLO CLICKBAIT

Come lettori contemporanei è inevitabile lasciarsi influenzare dalla popolarità di un dato romanzo, anche se spesso il nostro parere finisce poi per differire parecchio da quello della maggioranza. Mi è capitato anche con la mia ultima lettura, ossia "Rebel. La nuova alba", dalla quale sono stata a dir poco delusa nonostante la media più che buona di cui gode su Goodreads. Per fortuna ci sono anche casi opposti, in cui sottoscrivo l'apprezzamento di cui gode il volume in questione appena letta l'ultima pagina, com'è successo per "Io che non ho sconosciuto gli uomini"; titolo arrivato quest'anno in Italia, con un risibile ritardo di trent'anni dalla pubblicazione originale.

Già dalla forma narrativa, si può intuire la peculiarità del romanzo: privo di paragrafi o capitoli, il testo è infatti un unico e lunghissimo flusso di coscienza attraverso il quale l'anonima protagonista narra in retrospettiva la sua vita. Dal suo presente di donna anziana e malata, rivive quindi gli eventi più significativi, a cominciare dall'infanzia trascorsa all'interno di una cella sotterranea assieme a trentanove estranee. Una premessa decisamente insolita che, unita alla struttura scelta, mi ha portato alla mente lo stupendo e sfidante "Cecità".

La prosa di Harpman è però parecchio lontana da quello di Saramago, ma non meno valida; la voce scelta per la protagonista risulta infatti curata ed emozionante, in grado di mettere in scena delle immagini potenti a livello simbolico senza per questo puntare su inutili e ridondanti complessità stilistiche. E sicuramente non sarà stato facile decidere il linguaggio da adottare per una personaggia del genere, anzi al di fuori di qualunque genere. La narratrice è infatti la sola a non avere alcun ricordo della vita prima della gabbia, la sola a non aver mai interagito direttamente con un uomo, la sola a non desiderare alcun contatto umano, la sola a poter chiamare casa lo strano mondo in cui si svolge la vicenda.

Seppur lei brilli per la sua unicità, anche alcune delle coprotagoniste dimostrano una solida caratterizzazione. In particolare devo dire che il legame con l'ex infermiera Théa mi ha commossa in diverse scene: lei è indubbiamente la compagna di prigionia più affine alla protagonista a livello intellettuale, oltre a dimostrarsi capace di supportarla moralmente e di ricoprire il ruolo più simile a quello di una madre che questa ragazza conoscerà mai. Rimanendo su un piano soggettivo, il libro mi ha convinto nella sua componente survival -tropo che io adoro (quasi) sempre!-, realistica e lontana da inopportune esagerazioni.

Al fianco della protagonista, l'altro pregio più evidente del romanzo è da ricercare nelle tematiche scelte. Il contesto stesso permette alla cara Jacqueline di introdurre riflessioni sui concetti di civiltà ed umanità, che in questa realtà presumibilmente postapocalittica vengono meno: che bisogno c'è di rispettare determinate convenzioni sociali quando si è le sole abitanti del pianeta? come si può preoccuparsi del proprio aspetto se non si ha neppure mai visto uno specchio? perché non sottrarre ciò che serve ai morti in caso manchino anche i generi di prima necessità? Su un piano più personale, la protagonista ci parla anche dell'identità individuale che in lei fatica non poco a formarsi, nonché dei legami relazionali verso i quali rimane sempre diffidente non riuscendo a dare il giusto grado di fiducia al prossimo. O meglio, alla prossima.

Una storia quindi molto lontana dalle nostre vite quotidiane, che è riuscita comunque a farmi provare delle sensazioni e ad ispirarmi ragionamenti, grazie anche ad un crescendo emotivo che purtroppo non và di pari passo con il ritmo narrativo. Se dovessi indicare il punto debole di questa lettura, nominerei proprio l'assenza di un intreccio solido, nonché l'impressione di non aver ottenuto abbastanza; e penso specialmente al world building in cui molti dettagli sono lasciati volutamente all'interpretazione del lettore. Lettore che potrebbe comunque risentirsi per le risposte negate! pertanto il mio consiglio è di immergersi in questa storia senza farsi condizionare troppo dal titolo o dalla sinossi, perché potrebbero portarvi ad avere aspettative errate.

View all my reviews

venerdì 3 gennaio 2025

"Rebel. La nuova alba" di Alwyn Hamilton

Rebel: La nuova alba (Rebel, #3)Rebel: La nuova alba by Alwyn Hamilton
My rating: 1 of 5 stars

"Conoscevo meglio di chiunque altro la distanza tra verità e leggenda, e sapevo che le storie non venivano mai raccontate per intero. Ma con alcune cose era meglio non scherzare, e la Devastatrice di Mondi era la prima della lista"


ED ECCO PERCHÈ NON HO PIÙ FIDUCIA NELLO YA

Da anni non mi capitava di essere così poco produttiva a livello di serie letterarie; e non contenta di averne terminate giusto una manciata in tutto il 2024, mi sono pure penalizzata a livello qualitativo. Temo infatti che Rebel of the Sands entrerà nell'Ade delle serie peggiori mai lette dalla sottoscritta, e vi assicuro che non sarei mai riuscita ad intuito a priori. Risulta ben chiaro quindi che "Rebel. La nuova alba" non è riuscito a salvare la sua trilogia; un'impresa senza dubbio improba, ma si può effettivamente parlare di fallimento quando non ci si prova neppure?

Proprio com'era successo tra i primi due libri, un elissi temporale ci dà il benvenuto dopo un breve primo capitolo. È passato un mese dal finale di "Rebel. Il tradimento" e la città di Izman è sotto assedio da parte dell'esercito gallan; a proteggerla c'è però una barriera infuocata eretta grazie alla magia dei Djinni, abilmente sfruttata dal Sultano. Amani ed i pochi ribelli rimasti cercano quindi un modo per aggirare questo muro di fuoco e seguire la bussola di Jin, con l'obiettivo di ritrovare Ahmed e scacciare una volta per tutte le forze straniere che mirano al controllo del Miraji.

Com'era prevedibile Amani prende in mano la rivoluzione, e com'era ancora più prevedibile questo si dimostra essere uno dei maggiori difetti del romanzo. Se già la trovavo irritante in qualità di ribelle testarda ed impulsiva, vi lascio immaginare cosa penso di lei in qualità di leader testarda, impulsiva e pure piagnona! sì perché i suoi pensieri per buona parte del volume ruotano attorno a quanto si senta inadeguata in confronto con il Principe Ribelle, con Shazad o con Rahim. Precisamente in quest'ordine, ogni volta. Nel frattempo, prende una decisione sbagliata dopo l'altra, rendendo la trama ancor più sciocca ed incoerente di quanto non fosse nei capitoli precedenti.

E non illudetevi che io tenga in serbo parole gentili per i suoi comprimari. Già poco caratterizzati, qui i personaggi regrediscono ulteriormente diventando delle vere e proprie macchiette, o meglio delle pedine che l'autrice muove in base alle necessità della trama senza alcuna considerazione per la verosimiglianza; di conseguenza anche le morti alle quali assistiamo sono prive di impatto emotivo. Perfino Jin, il grande amore di Amani, è carente in quanto a carisma e si limita a restare sullo sfondo dando blandi incoraggiamenti. La loro romance poi si conferma decisamente fuoriluogo, oltre ad essere basata su delle dinamiche a mio avviso discutibili, con lui che scappa davanti alle difficoltà e lei che lo vincola a sé senza riflettere o chiedere il suo benestare.

Cosa dire poi del sistema magico? tra espedienti convenienti, regole cambiate tra una scena e l'altra ed un utilizzo casuale dei poteri: la cara Alwyn ha fornito i Demdji di così tante capacità, che poi ha dovuto renderli scemi in modo da non dovervi ricorrere sempre, ma solo quando era necessario per far proseguire la storia. Un lavoro di scrittura decisamente infantile, che si riflette com'è logico nello stile, nell'intreccio e nella costruzione dell'universo narrativo; a risentirne in particolare questa volta è l'aspetto geopolitico, gestito con la stessa credibilità di chi si mette a dieta il primo di gennaio. Personalmente non ho apprezzato neppure i chiari tentativi di manipolare il lettore, ricorrendo tra l'altro ad un urticante femminismo di facciata: quando si tratta di giudicare l'operato degli antagonisti si adotta la morale contemporanea, mentre quando a commettere azioni discutibili è Amani tutto le viene condonato perché il suo mondo è brutto e lei deve fare tutto il possibile per sopravvivere.

Solitamente mi sforzo per trovare dei pregi da menzionare nelle recensioni, ma in questo caso non so proprio cosa dire. Forse potrei concentrarmi sugli elementi non negativi, come l'assenza di refusi nel testo, di violenza gratuita o di momenti fiacchi. Per lo meno non mi posso lamentare dell'edizione nostrana, alla quale riconosco anzi l'astuzia di aver omesso la mappa; fosse stata presente, i lettori italiani si sarebbero resi conto che gli spostamenti fatti dai protagonisti in giro per il Miraji non stanno né in cielo né in terra!

View all my reviews