martedì 29 novembre 2016

Alla ricerca della solitudine - Recensione a "Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez

Alla ricerca della solitudine

Recensione a "Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez

SCHEDA TECNICA

TITOLO:Cent'anni di solitudine
AUTORE: Gabriel García Márquez
TITOLO ORIGINALE: Cien años de soledad
TRADUTTORE: Enrico Cicogna
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar moderni
PAGINE: 390

COMMENTO

  Folli, instancabili, passionali, coraggiosi, geniali. E soprattutto intimamente soli. Questa è la famiglia dei Buendía, protagonista indiscussa del capolavoro di García Márquez. Una famiglia in grado di creare e poi distruggere un intero villaggio, Macondo, l'intrigante scenario delle vicende verso il quale anche coloro che viaggiano lontano non possono fare a meno di essere attratti e fare ritorno.
  Le vicende sembrano un ciclo continuo, un eterno ripresentarsi degli stessi oggetti, delle stesse situazioni e anche degli stessi personaggi. Creando non poca confusione nel lettore infatti, l'autore assegna a più personaggi lo stesso nome, nonché un simile carattere o la propensione a compiere determinate azioni. Difatti, una delle maggiori abilità di García Márquez sta nel non dimenticarsi mai di nessun elemento presente nella narrazione, ma anzi facendolo ricomparire nel momento più inatteso; l'unica eccezione è data dal San Giuseppe di gesso, destinato a non tornare al suo vecchio proprietario.
  Risulta arduo collocare la vicenda in un determinato arco temporale, specie a causa del totale isolamento del villaggio nei primi anni della sua fondazione, quando solo le carovane degli zingari osavano affrontare i pericoli della foresta per portare a Macondo le loro futuristiche conoscenze.
  Alternando descrizioni dal lessico raffinato ad una estrema semplicità nei dialoghi, in perfetto accordo con il carattere dei personaggi, García Márquez ci trasporta al centro delle vicende dei Buendía, partendo dai capostipiti José Arcadio e Ursula, per poi proseguire con molti Aureliano e altri José Arcadio: un cosmo di personaggi in continua ricerca della solitudine o che, più frequentemente, si abbandonano ad essa come alla solo certezza nelle loro vite.
  Se i Buendía, bevitori di caffè senza zucchero, sono i protagonisti, è parecchio ostico individuare un chiaro antagonista: infatti anche i personaggi che presentano dei comportamenti maggiormente denigrabili si riscattano agli occhi del lettore e vengono perdonati; un'eccezione potrebbe essere presentata dalla compagnia bananiera, ma anche in questo caso non si innesca nessuna vendetta o ritorsione di sorta.
  L'universo in cui si muovono i personaggi presenta poi un'altra affascinante caratteristica, il cosiddetto "realismo magico": la semplice gente di Macondo non esita a credere ad ogni sorta di magia o superstizione, e l'elemento fantastico non rimane una mera illusione, diventando reale e tangibile in più occasioni. Sembra anzi che con l'avanzare del romanzo, la magia si palesi in forme sempre più forti e concrete. Va però precisato che certi segni, come pure gli spettri frequentatori della magione dei Buendía, non sempre sono visti e percepiti da tutti, come se scegliessero a chi vogliono rivelarsi. Magia e spiritismo sono comunque vincolati a delle leggi, e ciò contribuisce a renderli anche più reali e realistici.
  Altro espediente utilizzato dall'autore con grande maestria è l'anticipazione di un determinato evento; alcuni fatti, anche fondamentali per la trama, vengono preannunciati già prima che si gettino le basi per la loro attuazione, ma ciò non diminuisce la suspense e invoglia anzi a proseguire nella lettura per scoprire cosa porterà lì la trama.
  Interessante notare come l'autore e alcuni suoi colleghi abbiamo un piccolo cameo nel libro, come gli unici amici di Aureliano (Babilonia) Buendía. E io sono fiera di averlo notato senza l'aiuto di Wikipedia!

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giovedì 17 novembre 2016

Una famiglia di sciroccate - Recensione a "Musica per un amore proibito" di Hanni Münzer

Una famiglia di sciroccate

Recensione a "Musica per un amore proibito" di Hanni Münzer

SCHEDA TECNICA

TITOLO: Musica per un amore proibito
AUTORE: Hanni Münzer
TITOLO ORIGINALE: Honigtot
TRADUTTORE: Lucia Ferrantini
EDITORE: Giunti
COLLANA: A
PAGINE: 460

COMMENTO

  Vorrei poter chiedere alla Giunti cosa diamine avessero in testa quando hanno scelto di tradurre "Honigtot" (letteralmente, l'Ambrosia dei Morti) con "Musica per un amore proibito"; di certo si tratta di una scelta di marketing, ma credo che a tutto ci dovrebbe essere un limite, perchè io a lettura terminata non sono davvero riuscita a capire quale fosse, questo amore proibito!
  Questo romanzo (che pretende di essere sia storico sia familiare) inizia e termina nel presente, con una madre e sua figlia alla ricerca delle proprie origini. Queste parti sono però mal strutturare e risultano essere soltanto un pretesto dell'autrice per narrare la storia che realmente le interessa. Inoltre dopo aver utilizzate per tutto il volume la narrazione in terza persona, la Münzer inserisce un ultimo capitolo narrato in prima persona da Felicity, una delle protagoniste, senza un evidente ragione, dal momento che quanto viene detto non riguarda i suoi sentimenti più profondi o la spiegazione di qualcosa noto a lei soltanto.
  Un elemento di cui si sente molto la mancanza per tutto il libro è la descrizione fisica dei personaggi; difatti l'autrice ci fornisce ben poche informazioni in tal senso, dando invece ampio spazio alle ambientazioni, che risultano pertanto la parte più curata, anche perchè la nzer ha vissuto realmente nei luoghi di cui parla.
  Anche il comparto storico, in quanto a dati, è molto accurato e si nota il grande lavoro di ricerca alla base, seppur alcune parti (leggasi, interi paragrafi) sembrino copia-incollati da un libro di testo scolastico e mal si uniformano alla trama.
  Passando appunto alla trama, questa risulta ben poco originale dal momento che l'argomento trattato (nazismo-olocausto-Seconda Guerra Mondiale) è già stato completamente sviscerato in moltissimi romanzi; nonostante ciò, la Münzer riesce a mantenere una buona suspence fino al finale, in cui la maggior parte dei quesiti viene chiarita.
  Ho apprezzato molto la caratterizzazione di alcuni personaggi secondari, in primis Marlene; l'autrice ha però il "vizio" di farli comparire solo quando sono utili ai fini della trama (specie nel caso di Wolfgang), e questo mi porta ad un'altra mancanza che mi ha fatto storcere il naso: la mancanza di realismo in parecchie scene. Per citare solo alcuni esempio abbiamo personaggi che, nel bel mezzo di un dialogo concreto e/o quotidiano, attaccano con discorsi lunghissimi e infarciti di metafore ricercate; un religioso rivelatosi abile interprete proprio della lingue antica che è necessario tradurre per dare una svolta alla trama ma, anzichè fare una semplice traduzione, sforna in quattro e quattr'otto un romanzo con tanto di scene e dialoghi dei quali non dovrebbe conoscere l'esistenza; un'amica che, nel mezzo di una seria emergenza, scherza su quanto sia affascinante il fratello prete.
  Forse nel timore di annoiare i lettori, l'autrice salta volutamente alcune parti della storia, oppure le fa riassumere brevemente dai personaggi, oppure ancora descrive direttamente anni interi in poche parole; questa scelta mi ha lasciata perplessa in più punti.
  Vorrei infine parlare di ciò che ho maggiormente detestato in questo romanzo: le protagoniste. Per comodità (?) ci vendono presentante in base al grado si odio che suscitano nel lettore, e abbiamo quindi: Felicity, la pronipote, che prima vuole mollare tutto per salvare il mondo, senza sapere neppure il motivo, e poi ci ripensa, si rimette con il fidanzato-oggetto e lascia salvare il mondo agli altri (parole sue!); Martha, la nipote, che senza una valida giustificazione lascia la figlia ed il marito malato, parte per Roma, si rinchiude in una stanza d'albergo senza rispondere a nessuno e comunque non conclude nulla senza aiuto; Elizabeth, la matriarca, che nel mezzo delle conversazioni si aliena pensando alla musica e dimostra a più riprese un'incredibile ingenuità, tramandata poi a tutta la famiglia; e concludiamo con Deborah, la figlia, una sado-masochista bipolare, che sia accorge di quanto le accade attorno solo quando se lo ritrova di fronte, per poi scordarsene una volta girata la testa. 

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mercoledì 9 novembre 2016

Not a Great Plan - Recensione a "La Corporazione dei maghi" di Trudi Canavan

Not a Great Plan

Recensione a "La Corporazione dei maghi" di Trudi Canavan


SCHEDA TECNICA

TITOLO: La Corporazione dei maghi
AUTORE: Trudi Canavan
TITOLO ORIGINALE: The Magician's Giuld
TRADUTTORE: Adria Tissoni
EDITORE: TEA
COLLANA: Teadue
PAGINE: 400

COMMENTO


  Nel 2001 usciva nelle sale il primo film del mago più celebre al mondo, Harry Potter; lo stesso anno, cavalcando l’onda del successo per il genere fantasy, veniva pubblicato il primo volume della Saga dei Maghi di Trudi Canavan, ad oggi composta da due trilogie e un prequel.
  Qui però non si tratta solo dello stesso genere: molti altri elementi ci ricordano la serie ideata dalla Rowling! La protagonista, Sonea, è una povera orfana (1) che vive con gli zii (2), finché non scopre di possedere dei poteri magici (3) e di poter frequentare una prestigiosa scuola di magia (4), dove si sente subito in sintonia con due maghi, Lord Rothen -molto dedito allo studio e dal carattere riflessivo (5, Hermione!)- e Lord Dannyl -più spigliato e con la tendenza ad infrangere le regole (6, Ron!)-, mentre diventa una “rivale” per un terzo mago, il vendicativo Lord Fergun (7, Malfoy!).
  Si possono poi intravedere altre similitudini, seppur la trama di questo primo romanzo sia talmente scarna che la sintesi sul retro riassume oltre la metà del volume. Alcuni spunti sono però oggettivamente interessanti e di certo i vari quesiti irrisolti sparsi tra la pagine invogliano a continuare la lettura della saga; seppur la storia sia eccessivamente diluita. L’intento della Canavan era introdurre ai lettori l’universo fantasy che fa da sfondo alle vicende, ma così la lettura è terribilmente appesantita da una serie di spiegoni su come funziona la magia, sulle diverse classi sociali, sulla storia della Terra di Kyralia e (ciliegina sulla torta) sui termini inventati dall’autrice stessa per indicare animali, oggetti o luoghi per i quali esistono già dei nomi.
  Altra nota dolente è l’ambientazione: seppur ben pensata e abbastanza originale, con vari tentativi da parte della Canavan per inquadrare il passato dell’universo magico, appaiono però un giaccone o dei lampioni, oggetti che stridono fortemente con lo scenario semi-medioevale. Anche il lessico utilizzato dai personaggi pare troppo informale, ma questo potrebbe beni essere una scelta stilistica dettata dalle molte scene ambientate nei bassifondi con personaggi di bassa estradizione.
  I personaggi di questo romanzo risultano in parte ben strutturati seppur con delle caratteristiche già viste e riviste, in particolare mi sono piaciuti il ladruncolo Cery e l’Amministratore Lorlen (ehm Silente ehm), con i suoi modi garbati e gentili; altri personaggi mi sono sembrati davvero mal impostati, a cominciare dalla stessa protagonista.
  Sonea rimane per tutto il volume in costante balia degli eventi e degli altri personaggi: prima viene convinta dagli amici a protestare contro l’Epurazione, poi deve nascondersi, ma lascia che siano gli altri ad organizzare il tutto, e quando si ritrova nella Congregazione si fa quasi ingannare da Fergun, seppure sia diffidente nei confronti di chi è sinceramente interessato a lei.
  Lo stesso Lord Fergun come antagonista lascia molto a desiderare, con un piano troppo elaborato e confuso, nonché estremamente rischioso, soprattutto nell’ottica del ridicolo fine a cui mira.
  Nel romanzo vengono introdotti molti altri personaggi, soprattutto maghi, ma risultano tutti soltanto abbozzati, tanto che risulta difficile ricordarne i nomi.
  La scorrevolezza dello stile salva questo primo volume dal rimanere letto solo a metà.

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mercoledì 2 novembre 2016

Cosa sto leggendo? - 2 novembre 2016

Cosa sto leggendo?

2 novembre 2016

Di recente ho deciso di affrontare tre romanzi che stazionavano da diversi anni nella mia libreria (Shame... shame... shame...). La causa? Probabilmente i protagonisti, che si impegnano parecchio per non piacere al pubblico.

  1. "Magisterium - L'anno di ferro" di Holly Black e Cassandra Clare, un libro davvero scorrevole, con un po' degli incantesimi di Harry Potter e un po' della (auto)ironia di Percy Jackson; ma almeno nella prima parte, il povero Call, metà orfano e metà storpio, mi ha fatto parecchio sbuffare. 
  2. "Olive Kitteridge" di Elizabeth Strout, un puzzle di tante storie per raccontare una sola, quella di una donna straordinaria seppur difficile, volendo usare un garbato eufemismo. 
  3. "Cime tempestose" di Emily Brontë, una delle mie peggiori vergogne, in quanto cominciato ed abbandonato ben due volte negli ultimi tre anni; spero che finalmente i pittoreschi -ed imprecanti- abitanti della brughiera inglese riescano a conquistare il mio cuore.