Una famiglia di sciroccate
Recensione a "Musica per un amore proibito" di Hanni Münzer
TITOLO: Musica per un amore proibito
AUTORE: Hanni Münzer
TITOLO ORIGINALE: Honigtot
TRADUTTORE: Lucia Ferrantini
EDITORE: Giunti
COLLANA: A
PAGINE: 460
COMMENTO
Vorrei poter chiedere alla Giunti cosa diamine avessero in testa quando hanno scelto di tradurre "Honigtot" (letteralmente, l'Ambrosia dei Morti) con "Musica per un amore proibito"; di certo si tratta di una scelta di marketing, ma credo che a tutto ci dovrebbe essere un limite, perchè io a lettura terminata non sono davvero riuscita a capire quale fosse, questo amore proibito!
Questo romanzo (che pretende di essere sia storico sia familiare) inizia e termina nel presente, con una madre e sua figlia alla ricerca delle proprie origini. Queste parti sono però mal strutturare e risultano essere soltanto un pretesto dell'autrice per narrare la storia che realmente le interessa. Inoltre dopo aver utilizzate per tutto il volume la narrazione in terza persona, la Münzer inserisce un ultimo capitolo narrato in prima persona da Felicity, una delle protagoniste, senza un evidente ragione, dal momento che quanto viene detto non riguarda i suoi sentimenti più profondi o la spiegazione di qualcosa noto a lei soltanto.
Questo romanzo (che pretende di essere sia storico sia familiare) inizia e termina nel presente, con una madre e sua figlia alla ricerca delle proprie origini. Queste parti sono però mal strutturare e risultano essere soltanto un pretesto dell'autrice per narrare la storia che realmente le interessa. Inoltre dopo aver utilizzate per tutto il volume la narrazione in terza persona, la Münzer inserisce un ultimo capitolo narrato in prima persona da Felicity, una delle protagoniste, senza un evidente ragione, dal momento che quanto viene detto non riguarda i suoi sentimenti più profondi o la spiegazione di qualcosa noto a lei soltanto.
Un elemento di cui si sente molto la mancanza per tutto il libro è la descrizione fisica dei personaggi; difatti l'autrice ci fornisce ben poche informazioni in tal senso, dando invece ampio spazio alle ambientazioni, che risultano pertanto la parte più curata, anche perchè la Münzer ha vissuto realmente nei luoghi di cui parla.
Anche il comparto storico, in quanto a dati, è molto accurato e si nota il grande lavoro di ricerca alla base, seppur alcune parti (leggasi, interi paragrafi) sembrino copia-incollati da un libro di testo scolastico e mal si uniformano alla trama.
Passando appunto alla trama, questa risulta ben poco originale dal momento che l'argomento trattato (nazismo-olocausto-Seconda Guerra Mondiale) è già stato completamente sviscerato in moltissimi romanzi; nonostante ciò, la Münzer riesce a mantenere una buona suspence fino al finale, in cui la maggior parte dei quesiti viene chiarita.
Ho apprezzato molto la caratterizzazione di alcuni personaggi secondari, in primis Marlene; l'autrice ha però il "vizio" di farli comparire solo quando sono utili ai fini della trama (specie nel caso di Wolfgang), e questo mi porta ad un'altra mancanza che mi ha fatto storcere il naso: la mancanza di realismo in parecchie scene. Per citare solo alcuni esempio abbiamo personaggi che, nel bel mezzo di un dialogo concreto e/o quotidiano, attaccano con discorsi lunghissimi e infarciti di metafore ricercate; un religioso rivelatosi abile interprete proprio della lingue antica che è necessario tradurre per dare una svolta alla trama ma, anzichè fare una semplice traduzione, sforna in quattro e quattr'otto un romanzo con tanto di scene e dialoghi dei quali non dovrebbe conoscere l'esistenza; un'amica che, nel mezzo di una seria emergenza, scherza su quanto sia affascinante il fratello prete.
Forse nel timore di annoiare i lettori, l'autrice salta volutamente alcune parti della storia, oppure le fa riassumere brevemente dai personaggi, oppure ancora descrive direttamente anni interi in poche parole; questa scelta mi ha lasciata perplessa in più punti.
Vorrei infine parlare di ciò che ho maggiormente detestato in questo romanzo: le protagoniste. Per comodità (?) ci vendono presentante in base al grado si odio che suscitano nel lettore, e abbiamo quindi: Felicity, la pronipote, che prima vuole mollare tutto per salvare il mondo, senza sapere neppure il motivo, e poi ci ripensa, si rimette con il fidanzato-oggetto e lascia salvare il mondo agli altri (parole sue!); Martha, la nipote, che senza una valida giustificazione lascia la figlia ed il marito malato, parte per Roma, si rinchiude in una stanza d'albergo senza rispondere a nessuno e comunque non conclude nulla senza aiuto; Elizabeth, la matriarca, che nel mezzo delle conversazioni si aliena pensando alla musica e dimostra a più riprese un'incredibile ingenuità, tramandata poi a tutta la famiglia; e concludiamo con Deborah, la figlia, una sado-masochista bipolare, che sia accorge di quanto le accade attorno solo quando se lo ritrova di fronte, per poi scordarsene una volta girata la testa.
Anche il comparto storico, in quanto a dati, è molto accurato e si nota il grande lavoro di ricerca alla base, seppur alcune parti (leggasi, interi paragrafi) sembrino copia-incollati da un libro di testo scolastico e mal si uniformano alla trama.
Passando appunto alla trama, questa risulta ben poco originale dal momento che l'argomento trattato (nazismo-olocausto-Seconda Guerra Mondiale) è già stato completamente sviscerato in moltissimi romanzi; nonostante ciò, la Münzer riesce a mantenere una buona suspence fino al finale, in cui la maggior parte dei quesiti viene chiarita.
Ho apprezzato molto la caratterizzazione di alcuni personaggi secondari, in primis Marlene; l'autrice ha però il "vizio" di farli comparire solo quando sono utili ai fini della trama (specie nel caso di Wolfgang), e questo mi porta ad un'altra mancanza che mi ha fatto storcere il naso: la mancanza di realismo in parecchie scene. Per citare solo alcuni esempio abbiamo personaggi che, nel bel mezzo di un dialogo concreto e/o quotidiano, attaccano con discorsi lunghissimi e infarciti di metafore ricercate; un religioso rivelatosi abile interprete proprio della lingue antica che è necessario tradurre per dare una svolta alla trama ma, anzichè fare una semplice traduzione, sforna in quattro e quattr'otto un romanzo con tanto di scene e dialoghi dei quali non dovrebbe conoscere l'esistenza; un'amica che, nel mezzo di una seria emergenza, scherza su quanto sia affascinante il fratello prete.
Forse nel timore di annoiare i lettori, l'autrice salta volutamente alcune parti della storia, oppure le fa riassumere brevemente dai personaggi, oppure ancora descrive direttamente anni interi in poche parole; questa scelta mi ha lasciata perplessa in più punti.
Vorrei infine parlare di ciò che ho maggiormente detestato in questo romanzo: le protagoniste. Per comodità (?) ci vendono presentante in base al grado si odio che suscitano nel lettore, e abbiamo quindi: Felicity, la pronipote, che prima vuole mollare tutto per salvare il mondo, senza sapere neppure il motivo, e poi ci ripensa, si rimette con il fidanzato-oggetto e lascia salvare il mondo agli altri (parole sue!); Martha, la nipote, che senza una valida giustificazione lascia la figlia ed il marito malato, parte per Roma, si rinchiude in una stanza d'albergo senza rispondere a nessuno e comunque non conclude nulla senza aiuto; Elizabeth, la matriarca, che nel mezzo delle conversazioni si aliena pensando alla musica e dimostra a più riprese un'incredibile ingenuità, tramandata poi a tutta la famiglia; e concludiamo con Deborah, la figlia, una sado-masochista bipolare, che sia accorge di quanto le accade attorno solo quando se lo ritrova di fronte, per poi scordarsene una volta girata la testa.
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