Il Diavolo veste Prada sul Titanic
Recensione a "La ricamatrice di segreti" di Kate Alcott
LA SCHEDA TECNICA
TITOLO: La ricamatrice di segreti
AUTORE: Kate Alcott
TITOLO ORIGINALE: The Dressmaker
TRADUTTORE: Roberta Zuppet
EDITORE: TEA
COLLANA: Tre60
PAGINE: 380
TRADUTTORE: Roberta Zuppet
EDITORE: TEA
COLLANA: Tre60
PAGINE: 380
IL COMMENTO
Nel 2012, per
celebrare il centenario del tragico affondamento del Titanic, diversi autori
pubblicarono romanzi o saggi a tema; ricordo di aver letto all’epoca “Fateful”
di Claudia Gray, un romance trash con protagonisti i licantropi. Anche la
giornalista Kate Alcott decise di pubblicare il suo esordio narrativo in
quest’occasione, commettendo però un errore comune tra gli esordienti: che è
alle prese con il suo primo romanzo ha spesso parecchie idee che vorrebbe
sviluppare, e per questo il consiglio più frequente è di concentrasi su un solo
progetto, accantonando gli altri per futuri lavori.
La Alcott non
ha purtroppo seguito queste lezione, finendo col mescolare in questo volume due
romanzi ben distinti: da un lato si segue l’inchiesta condotta dal Senato degli
Stati Uniti per comprendere le responsabilità circa l’affondamento del famoso
transatlantico, dall’altro viene sviluppata una sorta di rivisitazione in stile
anni Dieci de “Il Diavolo veste Prada”.
Ad unire -o
meglio, a tentare di unire- due filoni con ben pochi elementi in comune ci sono
la parte introduttiva del romanzo e la protagonista, la giovane Tess. La
ragazza viene presentata come un’umile domestica con il sogno di diventare
sarta a tempo pieno, e questo è il motivo che la porta a lasciare il suo posto
di lavoro e cercare di imbarcarsi sulla “Nave dei sogni”.
Purtroppo già
da questo punto la protagonista comincia a starci a noia, per la ridicola
sequela di colpi di fortuna che le capitano: sul molo incontra infatti Lucy
Duff Gordon, la stilista che più ammira, la quale appena piantata dalla
cameriera la assume nonostante la sua evidente imbranataggine. Tess si salva
logicamente dal tragico affondamento del Titanic e, una volta arrivata a New
York, comincia a lavorare nell’atelier di Lucy arrivando a gestire la sua
sfilata. Ma questo non basta: la Alcott pare determinata a sommergere la
giovane di buona sorte immeritata, eccola infatti fornita di un appartamento
personale e di ben due uomini utopisticamente perfetti pronti a farle una corte
spietata.
Fortunatamente
Tess capisce di non meritare davvero tanti regali dalla sua creatrice e molla
sia il lavoro dei suoi sogni sia i due pretendenti. Peccato che queste scelte
coraggiose vengano rovinate dal finale bucolico e pieno di liete speranze,
nonché dal passato di Tess: non è realistico che una giovane donna abituata ad
una vita di rinunce ed umiliazione molli tutto solo per orgoglio.
Ma Tess non è
il solo personaggio con dei problemi di caratterizzazione, perché l’autrice nel
tentativo di tratteggiare dei personaggi sfaccettati finisce con esagerare e
arrivare ai limiti del bipolarismo, come nel caso di Lucy.
Salvo invece
la giornalista Pinky ed il Senatore Smith, che ho apprezzato soprattutto per i
ruoli da loro svolti nell’inchiesta, a mio parere la parte più interessante ed
originale del romanzo.
Gli interessi
amorosi di Tess non mi hanno affatto colpito, sia per la già citata perfezione
(della serie “ti amo alla follia, ma so che vuoi lui, quindi ciao”) sia per le
ridicole proposte di matrimonio / convivenza, proposte ridicole in quanto la
protagonista conosce entrambi da qualche settimana. Promuovono l’ottima
preparazione storica di base, evidente soprattutto nelle scene collegate al
mondo del giornalismo per le quali l’autrice è stata probabilmente aiutata
dalla sua professione.
In generale,
lo stile è snello e diretto, ma a tratti si ha la sensazione che la narrazione
sia carente in alcuni passaggi e si passa in modo troppo brusco da una scena
all’altra. Quello che non manca è invece il sovrannumero di descrizioni
parecchio dettagliate di abiti, ma questo trova giustificazione nel lavoro
della protagonista. La narrazione è però in terza persona e segue un buon
numero di POV, spesso passando repentinamente da uno all’altro, scelta che
genera inevitabilmente confusione nel lettore.
L’aspetto
stilistico che mi ha fatto maggiormente sospirare -in senso negativo- è il
continuo ricorrere alle interrogative dirette, come di recente avevo
riscontrato in “Fated” (QUI la recensione). E la Alcott non si limita a
rimpinzare i suoi lettori di domande retoriche, ma li delizia anche con
immediate risposte.
DOVE COMPRARE QUESTO LIBRO
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