Passenger by Alexandra Bracken
My rating: 2 of 5 stars
"Viaggiato. Etta si rigirò la parola nella testa come una pallina di creta, lasciando che prendesse forma, lisciandola, mettendola alla prova in modo nuovo. Viaggiato. Viaggiare significava sottintendere una sorta di scelta; attraversare volontariamente una distanza, per un motivo"
IL CODICE SHADOWHUNTER DEI CARAIBI AL MUSEO
Negli ultimi anni sono diventata un po' intollerante verso la narrativa per ragazzi, perché fatico a digerire la maggior parte delle dinamiche care a questo target: ho ormai individuato una manciata di autori YA di fiducia, ma verso gli altri sono sempre diffidente. Però ho ancora diversi titoli per ragazzi in libreria, quindi mi sono fatta coraggio e ho deciso di affrontare "Passenger", primo volume di una duologia che ha dalla sua la tematica dei viaggi nel tempo: per me è sempre un bonus.
La narrazione in terza persona si alterna tra i punti di vista dei due protagonisti, Henrietta "Etta" Spencer e Nicholas "Nick" Carter. Lei è una talentuosa violinista del ventunesimo secolo che sogna un debutto per dare finalmente prova delle sue capacità, lui è un corsaro creolo nato a metà Settecento in cerca della propria indipendenza dalla famiglia del padre. Le loro vite si incrociano quando Etta si trova a viaggiare in modo a dir poco rocambolesco attraverso un passaggio temporale dalla New York dei giorni nostri alla nave corsara che la ciurma di Nicholas sta per prendere d'assalto nel passato. Fatte le dovute spiegazioni, da questo spunto parte la missione che porterà i due a tentare di ritrovare un manufatto in grado di alterare definitivamente la linea temporale; e ad innamorarsi perdutamente l'uno dell'altra, mi pare ovvio.
Ma prima di passare alle critiche, vediamo quali sono gli aspetti più riusciti del volume. E un grosso punto a favore è dato proprio dai viaggi nel tempo: sebbene in alcuni passaggi sia stati sfruttati in modo un po' ingenuo, ho trovato brillante l'idea dello spostamento tra sentieri prestabiliti, il vincolo che impone di non tornare nello stesso tempo ed anche il passaggio da anno in anno rispettando una sorta di calendario ideale. Anche se questo porterebbe ad un enorme punto di domanda per quanto riguarda gli anni bisestili, ma chiuderemo un occhio!
Un altro elemento positivo è rappresentato dalle tematiche affrontate, che si concentrano sul razzismo ed il sessismo; mi è piaciuto in particolare come l'autrice non abbia idealizzato il presente in confronto alle disparità patite dai personaggi nel passato. Ovviamente questi temi risultano parecchio semplificati, però è giusto tenere a mente quale sia il pubblico di riferimento. Può essere poi divertente trovare le reference da cinefili: solo nei primi capitoli ho colto citazioni lampanti al franchise di Pirati dei Caraibi ed ai film Una notte al museo e Il Codice da Vinci.
Certo, una storia così derivativa ha anche i suoi aspetti negativi; vi dico solo che, tolto lo spiegone iniziale sui viaggi nel tempo, la trama effettiva è una mezza scopiazzatura del famosissimo "Città di ossa" di Cassandra Clare. Una scopiazzatura in cui non mancano neppure degli scivoloni, perché tutta la parentesi della caccia al tesoro mi è sembrata a dir poco sconclusionata, con una spiegazione finale insufficiente ed insoddisfacente. Un ragionamento analogo vale per il piano messo in atto dagli antagonisti, complicato per il gusto di esserlo! per fare un esempio senza spoiler, se Ironwood poteva disporre della nave di Hall (tra i suoi molti mezzi!) perché non ha mandato direttamente quella a recuperare Etta?
Arrivando a critiche più soggettive, non sono riuscita ad apprezzare per nulla la prosa della cara Alexandra, che ho trovato troppo ricca di metafore inconsistenti e battute fuori luogo; un mix decisamente spiacevole, che appesantisce una storia in cui serviva invece un po' di leggerezza. Non mi è andato a genio neppure il comportamento stereotipato dei protagonisti: lei goffa ed insicura sul suo aspetto, lui più propenso a ringhiare che a parlare; insomma, la classica dinamica "romantica" YA che ormai non voglio più leggere. La quasi totale assenza di personaggi di supporto ha dato il colpo di grazia ai mie buoni propositi verso questo romanzo: niente sufficienza per te, Bracken.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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giovedì 28 dicembre 2023
giovedì 21 dicembre 2023
"Cose da salvare in caso di incendio" di Haley Tanner
Cose da salvare in caso di incendio by Haley Tanner
My rating: 2 of 5 stars
"Perché questo bisogna fare, perché è questo che vuole Lena. E Vaclav vuole quello che vuole Lena, perché loro sono VacLena senza resto"
O DELLE FISIME DI RASIA
Fiero esponente della categoria libri-dimenticati-sullo-scaffale-per-secoli, "Cose da salvare in caso di incendio" è l'ennesimo caso di un titolo che probabilmente avrebbe continuato a languire nella mia libreria non fosse stato sorteggiato per la Random TBR. E anche dopo averlo ripescato per l'occasione non sono riuscita ad entusiasmarmi più di tanto alla prospettiva di questa lettura dalla sinossi sciapa e -come avrei scoperto in seguito- capace di spoilerare anche le poche svolte di trama presenti.
Io non intendo essere altrettanto spietata, pertanto vi dico solo che il romanzo è ambientato nella Brooklyn dei giorni nostri e si concentra sul rapporto tra Vaclav e Yelena "Lena", due giovani emigranti russi che cercano nella compagnia reciproca un porto sicuro dalle tante difficoltà di trasferirsi in un Paese straniero, primo tra tutti lo scoglio della lingua inglese. Vaclav trae coraggio dai genitori, che lo incoraggiano nella sua passione per l'illusionismo e nell'ammirazione dei suoi idoli Harry Houdini e David Copperfield, dei quali intende seguire le orme; Lena vive invece una situazione più complicata, perché neanche a casa riesce a ritagliarsi un proprio spazio e ad essere amata.
Questa premessa mi aveva da subito fatto pensare ad una storia carina; e -purtroppo o per fortuna- carino è l'aggettivo che più facilmente assocerei alla lettura del debutto di Tanner. Carina è la riflessione sugli ostacoli all'integrazione incontrati dai bambini immigrati in un Paese dalla mentalità tanto diversa, carina è l'analisi dei pensieri dei genitori in questa specifica situazione, carino è leggere dell'impegno decisamente ingenuo eppure genuino con cui Vaclav tenta di allestire il suo spettacolo di magia nel Sideshow di Coney Island, carino è il fatto che l'autrice sfrutti la sua esperienza lavorativa per creare una storia fantastica ma capace di ispirare empatia nel concreto. Carino per me non è però sinonimo di sufficiente.
Tra i pregi di questo titolo possiamo annoverare anche la scorrevolezza della prosa, merito dei periodi forse fin troppo brevi: si ha l'impressione di leggere a singhiozzi ed immergersi nella storia di Vaclav e Lena può risultare per questo un po' difficile. In generale, lo stile della cara Haley non mi ha fatto impazzire: l'ho trovato pretenzioso e a tratti troppo retorico per i miei gusti. Ed è un peccato perché in alcuni romanzi una bella scrittura può compensare in pieno una storia povera di contenuto; ma non in questo caso.
La trama è infatti ridotta all'osso: una sequela di situazioni abbastanza stereotipate nelle storie con protagonisti degli adolescenti, con pochi eventi chiave diluiti in pagine di digressioni e giri di parole che cercano in ogni modo di allungare il brodo e non spiattellare subito i colpi di scena; colpi di scena che chiunque con un briciolo di attenzione ha già indovinato a pagina uno. Come accennato, la CE italiana ha messo anche del suo spoilerando tutto lo spoilerabile già nella quarta di copertina, oltre a non aver voluto fare neppure un piccolo sforzo per tradurre i termini in russo con una nota a fondo pagina e ad aver presentato il libro in modo fuorviante.
Arrivata all'ultima pagina, posso infatti dire che questo titolo non è affatto una storia d'amore, perché il rapporto tra Vaclav e Lena è una triste co-dipendenza data dal bisogno di possesso di lui e dall'opportunismo di lei. Inoltre la sottotrama dell'illusionismo, tanto rilevante nella sinossi, si perde verso la metà del volume e non viene più ripresa attivamente. Per quanto mi riguarda, ho poi trovato molto fastidiosi i comportamenti delle madri dei protagonisti, per quanto buone siano sulla carta le loro intenzioni: i pensieri e le azioni di Rasia risultano pesanti da sopportare -specie per l'infantilismo con cui si approccia al figlio- e la sicurezza con cui Emily arriva a demonizzare la terapia quando Lena ne ha così chiaramente bisogno mi ha fatto rabbrividire. Sta' a vedere che forse la zia anafettiva era il male minore?!?
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My rating: 2 of 5 stars
"Perché questo bisogna fare, perché è questo che vuole Lena. E Vaclav vuole quello che vuole Lena, perché loro sono VacLena senza resto"
O DELLE FISIME DI RASIA
Fiero esponente della categoria libri-dimenticati-sullo-scaffale-per-secoli, "Cose da salvare in caso di incendio" è l'ennesimo caso di un titolo che probabilmente avrebbe continuato a languire nella mia libreria non fosse stato sorteggiato per la Random TBR. E anche dopo averlo ripescato per l'occasione non sono riuscita ad entusiasmarmi più di tanto alla prospettiva di questa lettura dalla sinossi sciapa e -come avrei scoperto in seguito- capace di spoilerare anche le poche svolte di trama presenti.
Io non intendo essere altrettanto spietata, pertanto vi dico solo che il romanzo è ambientato nella Brooklyn dei giorni nostri e si concentra sul rapporto tra Vaclav e Yelena "Lena", due giovani emigranti russi che cercano nella compagnia reciproca un porto sicuro dalle tante difficoltà di trasferirsi in un Paese straniero, primo tra tutti lo scoglio della lingua inglese. Vaclav trae coraggio dai genitori, che lo incoraggiano nella sua passione per l'illusionismo e nell'ammirazione dei suoi idoli Harry Houdini e David Copperfield, dei quali intende seguire le orme; Lena vive invece una situazione più complicata, perché neanche a casa riesce a ritagliarsi un proprio spazio e ad essere amata.
Questa premessa mi aveva da subito fatto pensare ad una storia carina; e -purtroppo o per fortuna- carino è l'aggettivo che più facilmente assocerei alla lettura del debutto di Tanner. Carina è la riflessione sugli ostacoli all'integrazione incontrati dai bambini immigrati in un Paese dalla mentalità tanto diversa, carina è l'analisi dei pensieri dei genitori in questa specifica situazione, carino è leggere dell'impegno decisamente ingenuo eppure genuino con cui Vaclav tenta di allestire il suo spettacolo di magia nel Sideshow di Coney Island, carino è il fatto che l'autrice sfrutti la sua esperienza lavorativa per creare una storia fantastica ma capace di ispirare empatia nel concreto. Carino per me non è però sinonimo di sufficiente.
Tra i pregi di questo titolo possiamo annoverare anche la scorrevolezza della prosa, merito dei periodi forse fin troppo brevi: si ha l'impressione di leggere a singhiozzi ed immergersi nella storia di Vaclav e Lena può risultare per questo un po' difficile. In generale, lo stile della cara Haley non mi ha fatto impazzire: l'ho trovato pretenzioso e a tratti troppo retorico per i miei gusti. Ed è un peccato perché in alcuni romanzi una bella scrittura può compensare in pieno una storia povera di contenuto; ma non in questo caso.
La trama è infatti ridotta all'osso: una sequela di situazioni abbastanza stereotipate nelle storie con protagonisti degli adolescenti, con pochi eventi chiave diluiti in pagine di digressioni e giri di parole che cercano in ogni modo di allungare il brodo e non spiattellare subito i colpi di scena; colpi di scena che chiunque con un briciolo di attenzione ha già indovinato a pagina uno. Come accennato, la CE italiana ha messo anche del suo spoilerando tutto lo spoilerabile già nella quarta di copertina, oltre a non aver voluto fare neppure un piccolo sforzo per tradurre i termini in russo con una nota a fondo pagina e ad aver presentato il libro in modo fuorviante.
Arrivata all'ultima pagina, posso infatti dire che questo titolo non è affatto una storia d'amore, perché il rapporto tra Vaclav e Lena è una triste co-dipendenza data dal bisogno di possesso di lui e dall'opportunismo di lei. Inoltre la sottotrama dell'illusionismo, tanto rilevante nella sinossi, si perde verso la metà del volume e non viene più ripresa attivamente. Per quanto mi riguarda, ho poi trovato molto fastidiosi i comportamenti delle madri dei protagonisti, per quanto buone siano sulla carta le loro intenzioni: i pensieri e le azioni di Rasia risultano pesanti da sopportare -specie per l'infantilismo con cui si approccia al figlio- e la sicurezza con cui Emily arriva a demonizzare la terapia quando Lena ne ha così chiaramente bisogno mi ha fatto rabbrividire. Sta' a vedere che forse la zia anafettiva era il male minore?!?
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venerdì 15 dicembre 2023
"Magic" di V.E. Schwab
Magic by V.E. Schwab
My rating: 3 of 5 stars
"Un fumo nero avvolse Kell e Lila. Si posò su di loro come un'ombra, un velo, e quando lui allungò le dita per toccarlo, toccò qualcosa che assomigliava più all'aria che alla stoffa"
GLI ANTARI SONO RARI COME I TARGARYEN, MI PARE
Salire sul treno dell'hype quando il titolo è in voga, incuranti di eventuali prequel, sequel, spin-off e crossover che potrebbero essere pubblicati in un secondo momento? oppure aspettare con stoica rassegnazione non solo la dipartita dell'autore, ma che la stessa casa editrice dichiari ufficialmente conclusa la serie? Tra questi poli estremi, tendo ad orbitare verso il secondo, ma fino a un certo punto; quindi ho sì aspettato diversi anni prima di decidermi a cominciare la trilogia Shades of Magic, ma senza alcun progetto in merito al recupero dei fumetti prequel (dei quali in ogni caso sulle coste nostrane è arrivato solo un volume su tre!) o della serie sequel da poco cominciata negli U.S.A.
Con "Magic" la cara Victoria ci porta in un mondo praticamente uguale al nostro nei primi anni dell'Ottocento, ma legato ad altre tre realtà parallele in cui la magia è all'ordine del giorno; ad accomunare queste dimensioni alternative sono alcuni punti fissi come la città di Londra, presente in tutte ed identificata dai colori grigio, rosso, bianco e nero. Tra le diverse versioni della capitale inglese possono muoversi solo un tipo speciale di maghi chiamati Antari, ed il protagonista Kell è uno degli ultimi di questa stirpe. Mentre consegna messaggi tra le varie famiglie reali, l'uomo si vede affidata una pietra misteriosa proveniente dalla perduta Londra Nera, il cui potere darà vita ad una rocambolesca missione per mettere questo pericoloso artefatto al sicuro. Al POV di Kell si affianca pian piano quello di Delilah "Lila" Bard, ladra della Londra Grigia con il sogno di diventare una piratessa e pronta a tutto per vivere un'avventura.
Con questa interessante premessa, e con un world building complesso ed affascinante, questa lettura era partita più che bene. E se è vero che nei primi capitoli la narrazione al presente viene purtroppo interrotta da una quantità di flashback e spiegazioni relative al sistema magico, con il procedere della storia il ritmo diventa incalzante, anche per merito del tono scanzonato e divertente adottato dall'autrice. Mi sento di annoverare tra i pregi del libro anche i tentativi di inclusività fatti dalla cara Victoria, non sempre convincenti (una persona nera non è semplicemente abbronzata!) ma incoraggianti.
Pur non avendo apprezzato il cast nella sua interezza -e non ce ne sarebbe comunque stato modo, visto che tanti caratteri sono soltanto abbozzati-, posso dire che la caratterizzazione di Lila mi è piaciuta, in modo un po' imprevedibile in realtà, perché non mi sembra sia una personaggia molto popolare tra i fan della serie; il suo essere risoluta e sfacciata però mi ha convinto, soprattutto in contrasto con la fiacchezza di Kell, che segue il trend dei protagonisti maschili non troppi brillanti di Schwab, per me inaugurato con August in Monsters of Verity. Percepisco parecchio potenziale anche nel personaggio di Holland, che sono certa otterrà un ruolo più rilevante nei seguiti.
Ma prima di pensare ai prossimi volumi, vediamo cosa non ha funzionato in questo: perché il mio entusiasmo iniziale si è progressivamente smorzato? soprattutto per le tante, troppe forzature: l'autrice sembra incapace di trovare delle motivazioni e degli espedienti credibili, tanto che gli stessi personaggi ammettono di non sapere perché compiano determinate azioni! Un buon esempio è quello della scena in cui Kell riceve l'amuleto proveniente da Londra Nera: com'è possibile che creda alla storia del parente moribondo quando le dimensioni sono divise da trecento anni? Ancor più eclatante è il piano degli antagonisti, che renderebbe fieri Lord Voldemort e Crouch Jr. per quanto è inutilmente contorto.
Non posso dire di aver gradito troppo neanche le esagerazioni -specialmente nei dialoghi sopra le righe- e la fretta con cui sia arriva al finale, trasformando minacce apocalittiche in ostacoli da superare con un saltello. Anche il sistema magico non mi ha convinto appieno perché risulta poco chiaro nelle modalità di utilizzo e nei limiti della magia, e questo incide soprattutto sulla figura degli Antari: avere una simile quantità di talenti magici a disposizione rende ogni problema meno credibile. Da come agisce Holland poi, sembra possiedano perfino poteri di preveggenza e telepatia, altrimenti non si spiega come abbia fatto ad indovinare in quale locale Lila sarebbe entrata casualmente o che l'orologio era per lei un oggetto tanto significativo; il tutto senza aver scambiato con la ragazza più di due parole in croce.
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My rating: 3 of 5 stars
"Un fumo nero avvolse Kell e Lila. Si posò su di loro come un'ombra, un velo, e quando lui allungò le dita per toccarlo, toccò qualcosa che assomigliava più all'aria che alla stoffa"
GLI ANTARI SONO RARI COME I TARGARYEN, MI PARE
Salire sul treno dell'hype quando il titolo è in voga, incuranti di eventuali prequel, sequel, spin-off e crossover che potrebbero essere pubblicati in un secondo momento? oppure aspettare con stoica rassegnazione non solo la dipartita dell'autore, ma che la stessa casa editrice dichiari ufficialmente conclusa la serie? Tra questi poli estremi, tendo ad orbitare verso il secondo, ma fino a un certo punto; quindi ho sì aspettato diversi anni prima di decidermi a cominciare la trilogia Shades of Magic, ma senza alcun progetto in merito al recupero dei fumetti prequel (dei quali in ogni caso sulle coste nostrane è arrivato solo un volume su tre!) o della serie sequel da poco cominciata negli U.S.A.
Con "Magic" la cara Victoria ci porta in un mondo praticamente uguale al nostro nei primi anni dell'Ottocento, ma legato ad altre tre realtà parallele in cui la magia è all'ordine del giorno; ad accomunare queste dimensioni alternative sono alcuni punti fissi come la città di Londra, presente in tutte ed identificata dai colori grigio, rosso, bianco e nero. Tra le diverse versioni della capitale inglese possono muoversi solo un tipo speciale di maghi chiamati Antari, ed il protagonista Kell è uno degli ultimi di questa stirpe. Mentre consegna messaggi tra le varie famiglie reali, l'uomo si vede affidata una pietra misteriosa proveniente dalla perduta Londra Nera, il cui potere darà vita ad una rocambolesca missione per mettere questo pericoloso artefatto al sicuro. Al POV di Kell si affianca pian piano quello di Delilah "Lila" Bard, ladra della Londra Grigia con il sogno di diventare una piratessa e pronta a tutto per vivere un'avventura.
Con questa interessante premessa, e con un world building complesso ed affascinante, questa lettura era partita più che bene. E se è vero che nei primi capitoli la narrazione al presente viene purtroppo interrotta da una quantità di flashback e spiegazioni relative al sistema magico, con il procedere della storia il ritmo diventa incalzante, anche per merito del tono scanzonato e divertente adottato dall'autrice. Mi sento di annoverare tra i pregi del libro anche i tentativi di inclusività fatti dalla cara Victoria, non sempre convincenti (una persona nera non è semplicemente abbronzata!) ma incoraggianti.
Pur non avendo apprezzato il cast nella sua interezza -e non ce ne sarebbe comunque stato modo, visto che tanti caratteri sono soltanto abbozzati-, posso dire che la caratterizzazione di Lila mi è piaciuta, in modo un po' imprevedibile in realtà, perché non mi sembra sia una personaggia molto popolare tra i fan della serie; il suo essere risoluta e sfacciata però mi ha convinto, soprattutto in contrasto con la fiacchezza di Kell, che segue il trend dei protagonisti maschili non troppi brillanti di Schwab, per me inaugurato con August in Monsters of Verity. Percepisco parecchio potenziale anche nel personaggio di Holland, che sono certa otterrà un ruolo più rilevante nei seguiti.
Ma prima di pensare ai prossimi volumi, vediamo cosa non ha funzionato in questo: perché il mio entusiasmo iniziale si è progressivamente smorzato? soprattutto per le tante, troppe forzature: l'autrice sembra incapace di trovare delle motivazioni e degli espedienti credibili, tanto che gli stessi personaggi ammettono di non sapere perché compiano determinate azioni! Un buon esempio è quello della scena in cui Kell riceve l'amuleto proveniente da Londra Nera: com'è possibile che creda alla storia del parente moribondo quando le dimensioni sono divise da trecento anni? Ancor più eclatante è il piano degli antagonisti, che renderebbe fieri Lord Voldemort e Crouch Jr. per quanto è inutilmente contorto.
Non posso dire di aver gradito troppo neanche le esagerazioni -specialmente nei dialoghi sopra le righe- e la fretta con cui sia arriva al finale, trasformando minacce apocalittiche in ostacoli da superare con un saltello. Anche il sistema magico non mi ha convinto appieno perché risulta poco chiaro nelle modalità di utilizzo e nei limiti della magia, e questo incide soprattutto sulla figura degli Antari: avere una simile quantità di talenti magici a disposizione rende ogni problema meno credibile. Da come agisce Holland poi, sembra possiedano perfino poteri di preveggenza e telepatia, altrimenti non si spiega come abbia fatto ad indovinare in quale locale Lila sarebbe entrata casualmente o che l'orologio era per lei un oggetto tanto significativo; il tutto senza aver scambiato con la ragazza più di due parole in croce.
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lunedì 11 dicembre 2023
"Il mistero del Treno Azzurro" di Agatha Christie
Il mistero del Treno Azzurro by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars
"L'uomo che era davanti a lei, e che parlava con l'impiegato dietro il bancone, doveva andare anche lui in Costa Azzurra. Dunque ci stavano andando proprio tutti, pensò. Bene, per la prima volta nella sua vita, anche lei avrebbe fatto “come tutti”, come tutti quelli del bel mondo, cioè"
QUANDO C'ERA LVI SUI TRENI NON SI VENIVA DERUBATI!
Pur essendo rimasta non poco delusa da "Poirot e I Quattro", la mia fiducia nei confronti del immodesto detective belga non si è incrinata neanche un po': le spy stories non fanno proprio per me, ma adoro vederlo nel suo elemento del mystery puro. Un affetto confermato dalla lettura de "Il mistero del Treno Azzurro", che per più aspetti mi ha fatto pensare al meraviglioso "Assassinio sull'Orient-Express", del quale potremmo vederlo come una versione di prova.
Come diversi altri romanzi della cara Agatha, la vicenda si svolge in un periodo contemporaneo alla sua pubblicazione, e si ambienta tra Inghilterra e Francia; questa volta però il capitano Arthur Hastings brilla per la sua assenza come voce narrante della storia, ruolo che viene invece suddiviso tra una quantità di punti di vista differenti. La trama parte dall'acquisto di un collier di rubini -tra i quali il famoso "Cuore di Fuoco"- da parte del miliardario statunitense Rufus Van Aldin, come regalo per la figlia Ruth "Ruthie" Kettering; poco tempo dopo, la donna parte alla volta della Costa Azzurra sul lussuoso Treno Azzurro, e proprio durante il viaggio viene assassinata e derubata dell'inestimabile gioiello. La fortuita presenza di Poirot sullo stesso mezzo permetterà di far pian piano chiarezza sul delitto.
Questa lentezza è uno degli aspetti meno riusciti del volume perché, se è vero che come le altre narrazioni di Christie tende ad essere abbastanza breve, nella seconda metà si ha l'impressione di vedere i personaggi girare quasi in tondo, e lo stesso Poirot impiega parecchio per raccogliere tutte le informazioni necessarie a smascherare il colpevole. Un altro piccolo neo è rappresentato dai personaggi, che risultano parecchio sciapi e per nulla memorabili; il detective belga è ovviamente l'eccezione a questa regola, ma soprattutto per merito della conoscenza pregressa del suo personaggio, e perché ormai lui ed i suoi modi bizzarri sono entrati nell'immaginario collettivo.
Mi ha in parte deluso anche la mancanza di una qualche tematica, che rendesse più significativa la lettura; nel finale ci si accontenta di ricostruire il giallo e qualsiasi altra riflessione (magari collegata al mondo dell'arte, visto che più di un personaggio ci orbita attorno) viene messa da parte. La mia ultima lamentela è come sempre soggettiva ed anacronistica: la traduzione della mia vecchia copia non è delle migliori, non tanto per la scelta di termini desueti o scorretti, quando per l'utilizzo quasi sempre sbagliato degli avverbi.
Ma passiamo agli elementi positivi, a partire dai tanti accenni metanarrativi presenti nel testo, primo tra tutti il piccolo gioco tra Poirot e Katherine Grey che si considerano protagonisti di un romanzo giallo. Nonostante manchi la figura di Hastings, l'umorismo e le sottotrame romantiche poi non ci disertano; e specialmente queste ultime mi hanno convinto per il modo in cui sono state amalgamate al mistero principale. Mistero che porta ad una risoluzione intelligente e complessa, nella migliore tradizione dei classici christiani.
Una lettura che ho trovato quindi molto piacevole, in cui vengono forniti all'audience tutti gli strumenti necessari per decriptare l'intreccio, senza per questo farsi mancare una manciata di individui loschi ed ambigui per confondere le acque. Come libro d'evasione, magari tra volumi più impegnativi e corposi, è ottimo: fa ridere (abbastanza), fa ragionare (ma non troppo) e fa sbuffare la sottoscritta perché non azzecco mai le pronunce in francese. Nelle note di traduzione a fondo pagina ormai ho perso la speranza.
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My rating: 4 of 5 stars
"L'uomo che era davanti a lei, e che parlava con l'impiegato dietro il bancone, doveva andare anche lui in Costa Azzurra. Dunque ci stavano andando proprio tutti, pensò. Bene, per la prima volta nella sua vita, anche lei avrebbe fatto “come tutti”, come tutti quelli del bel mondo, cioè"
QUANDO C'ERA LVI SUI TRENI NON SI VENIVA DERUBATI!
Pur essendo rimasta non poco delusa da "Poirot e I Quattro", la mia fiducia nei confronti del immodesto detective belga non si è incrinata neanche un po': le spy stories non fanno proprio per me, ma adoro vederlo nel suo elemento del mystery puro. Un affetto confermato dalla lettura de "Il mistero del Treno Azzurro", che per più aspetti mi ha fatto pensare al meraviglioso "Assassinio sull'Orient-Express", del quale potremmo vederlo come una versione di prova.
Come diversi altri romanzi della cara Agatha, la vicenda si svolge in un periodo contemporaneo alla sua pubblicazione, e si ambienta tra Inghilterra e Francia; questa volta però il capitano Arthur Hastings brilla per la sua assenza come voce narrante della storia, ruolo che viene invece suddiviso tra una quantità di punti di vista differenti. La trama parte dall'acquisto di un collier di rubini -tra i quali il famoso "Cuore di Fuoco"- da parte del miliardario statunitense Rufus Van Aldin, come regalo per la figlia Ruth "Ruthie" Kettering; poco tempo dopo, la donna parte alla volta della Costa Azzurra sul lussuoso Treno Azzurro, e proprio durante il viaggio viene assassinata e derubata dell'inestimabile gioiello. La fortuita presenza di Poirot sullo stesso mezzo permetterà di far pian piano chiarezza sul delitto.
Questa lentezza è uno degli aspetti meno riusciti del volume perché, se è vero che come le altre narrazioni di Christie tende ad essere abbastanza breve, nella seconda metà si ha l'impressione di vedere i personaggi girare quasi in tondo, e lo stesso Poirot impiega parecchio per raccogliere tutte le informazioni necessarie a smascherare il colpevole. Un altro piccolo neo è rappresentato dai personaggi, che risultano parecchio sciapi e per nulla memorabili; il detective belga è ovviamente l'eccezione a questa regola, ma soprattutto per merito della conoscenza pregressa del suo personaggio, e perché ormai lui ed i suoi modi bizzarri sono entrati nell'immaginario collettivo.
Mi ha in parte deluso anche la mancanza di una qualche tematica, che rendesse più significativa la lettura; nel finale ci si accontenta di ricostruire il giallo e qualsiasi altra riflessione (magari collegata al mondo dell'arte, visto che più di un personaggio ci orbita attorno) viene messa da parte. La mia ultima lamentela è come sempre soggettiva ed anacronistica: la traduzione della mia vecchia copia non è delle migliori, non tanto per la scelta di termini desueti o scorretti, quando per l'utilizzo quasi sempre sbagliato degli avverbi.
Ma passiamo agli elementi positivi, a partire dai tanti accenni metanarrativi presenti nel testo, primo tra tutti il piccolo gioco tra Poirot e Katherine Grey che si considerano protagonisti di un romanzo giallo. Nonostante manchi la figura di Hastings, l'umorismo e le sottotrame romantiche poi non ci disertano; e specialmente queste ultime mi hanno convinto per il modo in cui sono state amalgamate al mistero principale. Mistero che porta ad una risoluzione intelligente e complessa, nella migliore tradizione dei classici christiani.
Una lettura che ho trovato quindi molto piacevole, in cui vengono forniti all'audience tutti gli strumenti necessari per decriptare l'intreccio, senza per questo farsi mancare una manciata di individui loschi ed ambigui per confondere le acque. Come libro d'evasione, magari tra volumi più impegnativi e corposi, è ottimo: fa ridere (abbastanza), fa ragionare (ma non troppo) e fa sbuffare la sottoscritta perché non azzecco mai le pronunce in francese. Nelle note di traduzione a fondo pagina ormai ho perso la speranza.
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giovedì 7 dicembre 2023
"La Torre Nera" di Stephen King
La Torre Nera by Stephen King
My rating: 4 of 5 stars
"Quante cose hai fatto e quanto ancora avresti fatto, aye, e tutto senza controllo o scrupolo, e così il mondo sarebbe finito, credo, vittima dell'amore più che dell'odio. Perché l'amore è da sempre la più distruttiva delle armi"
ROLAND SI ARRABBIA CON KING… E ALLORA JON SNOW?
Il mio percorso verso la Torre Nera non era decisamente cominciato nel migliore dei modi: un primo libro poco convincente, due più validi a livello narrativo ma decisamente lenti e datati, e un interminabile flashback che avrei ridotto di qualche centinaio di pagine; anche le novelle midquel non mi avevano fatto gridare al miracolo. Però ho perseverato, arrivando in primis ad affezionarmi ai protagonisti, ma anche a leggere finalmente dei volumi meglio ritmati, nei quali tutto il world building precedente trova motivo d'essere. Sono quindi approdata con moderato entusiasmo alla prima pagina de "La Torre Nera", curiosa di scoprire se la conclusione si sarebbe dimostrata all'altezza di questa gargantuesca saga.
Ad aprire il volume è la nascita di Mordred, già parzialmente raccontata ne "La canzone di Susannah", poi si passa a narrare di come il ka-tet di Roland tenta di riunirsi nel Medio Mondo, non prima di aver messo al sicuro la rosa nella Manhattan del Mondo Cardine. Una volta superate queste prime difficoltà, i protagonisti sono chiamati a fermare i Frangitori imprigionati nel Devar-Toi -che da decenni stanno picconando mentalmente i Vettori-, ma non sarà questa l'ultima prova da superare per arrivare alla Torre Nera; molti altri ostacoli si pongono sul loro cammino, in entrambe le realtà tra le quali si muovono.
Questo aspetto mi ha lasciata spiazzata: davo per certo che arrivati a questo punto della serie saremmo andati più spediti verso la risoluzione finale, invece la missione di partenza viene continuamente interrotta da quest secondarie e digressioni su personaggi di contorno. Da un lato questo rende ancora più intrigante il già corposo world building della saga, ma dall'altro rallenta il buon ritmo che si era consolidato nei due volumi precedenti. Diventano poi più evidenti che mai gli elementi di retcon ai quali ricorre King per creare collegamenti ai quali dubito avesse pensato vent'anni prima; potremmo però dare una giustificazione a questo aspetto se pensassimo alle tempistiche di pubblicazione della serie.
Non ho apprezzato neppure l'eliminazione fin troppo rapida di personaggi molto importanti: non farò nomi per evitare spoiler, ma si tratta di caratteri ai quali era stato dedicato parecchio spazio nei precedenti volumi, quindi non mi aspettavo proprio venissero tolti di mezzo tanto velocemente. Il problema più evidente riguarda però le scene che il caro Stephen ha scelto di includere in questo volume, e penso in particolare all'intera prima parte, che avrei preferito leggere come finale de "La canzone di Susannah": si sarebbe così dato un maggior senso di conclusione a quel libro, ed al contempo alleggerito un poco questo mattone!
Ma bando alle lagnanze, e passiamo invece agli aspetti positivi. Innanzitutto mi sono piaciute molto le scene multiprospetiche, dal sapore quasi cinematografico, che riescono a dare dinamismo alla storia e nel contempo mostrano dei punti di vista inaspettati; viene infatti dato parecchio spazio ai POV degli antagonisti, palesando come spesso non siano individui puramente malvagi ma mirino soltanto al proprio benessere, mentre Roland ed il suo ka-tet sono pronti a sacrificare qualunque cosa (e chiunque) per impedire il crollo della Torre. Un altro espediente intelligente è quello del foreshadowing, che permette di creare una forte aspettativa nei confronti di alcune scene più emozionanti.
Trovo che l'autore abbia svolto un lavoro inappuntabile per quanto riguarda l'evoluzione dei personaggi principali, che crescono rimanendo però fedeli alla propria caratterizzazione; penso in particolare a Roland, che all'inizio della saga faticavo ad accettare come protagonista, e pur non adorandolo ancora alla follia riesco di certo a capire meglio la sua prospettiva, e credo abbia fatto enormi passi in avanti rispetto a "L'ultimo cavaliere". E nonostante molti siano rimasti delusi, io voglio includere anche il finale tra i punti di forza: penso sia la conclusione perfetta per il tipo di storia che è stata costruita in questi otto libri; il suo retrogusto dolceamaro non sarà per tutti i palati, ma non si può negare che fosse l'epilogo inevitabile.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"Quante cose hai fatto e quanto ancora avresti fatto, aye, e tutto senza controllo o scrupolo, e così il mondo sarebbe finito, credo, vittima dell'amore più che dell'odio. Perché l'amore è da sempre la più distruttiva delle armi"
ROLAND SI ARRABBIA CON KING… E ALLORA JON SNOW?
Il mio percorso verso la Torre Nera non era decisamente cominciato nel migliore dei modi: un primo libro poco convincente, due più validi a livello narrativo ma decisamente lenti e datati, e un interminabile flashback che avrei ridotto di qualche centinaio di pagine; anche le novelle midquel non mi avevano fatto gridare al miracolo. Però ho perseverato, arrivando in primis ad affezionarmi ai protagonisti, ma anche a leggere finalmente dei volumi meglio ritmati, nei quali tutto il world building precedente trova motivo d'essere. Sono quindi approdata con moderato entusiasmo alla prima pagina de "La Torre Nera", curiosa di scoprire se la conclusione si sarebbe dimostrata all'altezza di questa gargantuesca saga.
Ad aprire il volume è la nascita di Mordred, già parzialmente raccontata ne "La canzone di Susannah", poi si passa a narrare di come il ka-tet di Roland tenta di riunirsi nel Medio Mondo, non prima di aver messo al sicuro la rosa nella Manhattan del Mondo Cardine. Una volta superate queste prime difficoltà, i protagonisti sono chiamati a fermare i Frangitori imprigionati nel Devar-Toi -che da decenni stanno picconando mentalmente i Vettori-, ma non sarà questa l'ultima prova da superare per arrivare alla Torre Nera; molti altri ostacoli si pongono sul loro cammino, in entrambe le realtà tra le quali si muovono.
Questo aspetto mi ha lasciata spiazzata: davo per certo che arrivati a questo punto della serie saremmo andati più spediti verso la risoluzione finale, invece la missione di partenza viene continuamente interrotta da quest secondarie e digressioni su personaggi di contorno. Da un lato questo rende ancora più intrigante il già corposo world building della saga, ma dall'altro rallenta il buon ritmo che si era consolidato nei due volumi precedenti. Diventano poi più evidenti che mai gli elementi di retcon ai quali ricorre King per creare collegamenti ai quali dubito avesse pensato vent'anni prima; potremmo però dare una giustificazione a questo aspetto se pensassimo alle tempistiche di pubblicazione della serie.
Non ho apprezzato neppure l'eliminazione fin troppo rapida di personaggi molto importanti: non farò nomi per evitare spoiler, ma si tratta di caratteri ai quali era stato dedicato parecchio spazio nei precedenti volumi, quindi non mi aspettavo proprio venissero tolti di mezzo tanto velocemente. Il problema più evidente riguarda però le scene che il caro Stephen ha scelto di includere in questo volume, e penso in particolare all'intera prima parte, che avrei preferito leggere come finale de "La canzone di Susannah": si sarebbe così dato un maggior senso di conclusione a quel libro, ed al contempo alleggerito un poco questo mattone!
Ma bando alle lagnanze, e passiamo invece agli aspetti positivi. Innanzitutto mi sono piaciute molto le scene multiprospetiche, dal sapore quasi cinematografico, che riescono a dare dinamismo alla storia e nel contempo mostrano dei punti di vista inaspettati; viene infatti dato parecchio spazio ai POV degli antagonisti, palesando come spesso non siano individui puramente malvagi ma mirino soltanto al proprio benessere, mentre Roland ed il suo ka-tet sono pronti a sacrificare qualunque cosa (e chiunque) per impedire il crollo della Torre. Un altro espediente intelligente è quello del foreshadowing, che permette di creare una forte aspettativa nei confronti di alcune scene più emozionanti.
Trovo che l'autore abbia svolto un lavoro inappuntabile per quanto riguarda l'evoluzione dei personaggi principali, che crescono rimanendo però fedeli alla propria caratterizzazione; penso in particolare a Roland, che all'inizio della saga faticavo ad accettare come protagonista, e pur non adorandolo ancora alla follia riesco di certo a capire meglio la sua prospettiva, e credo abbia fatto enormi passi in avanti rispetto a "L'ultimo cavaliere". E nonostante molti siano rimasti delusi, io voglio includere anche il finale tra i punti di forza: penso sia la conclusione perfetta per il tipo di storia che è stata costruita in questi otto libri; il suo retrogusto dolceamaro non sarà per tutti i palati, ma non si può negare che fosse l'epilogo inevitabile.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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venerdì 1 dicembre 2023
"Niente" di Janne Teller
Niente by Janne Teller
My rating: 4 of 5 stars
È difficile spiegare in che modo, ma era come se Pierre Anthon fosse riuscito a farci vedere qualcosa. Come se il niente di cui continuava a straparlare dal suo albero di susine ci avesse superato e fosse arrivato prima di noi
SENSO DELLA VITA CERCASI
In un'editoria sempre più settoriale e specialistica è insolito imbattersi in un titolo che travalichi i limiti del target, intrecciando una storia adatta un po' a tutti perché capace di ispirare delle riflessioni negli adulti come nei ragazzi coetanei dei protagonisti. Teller però è riuscita in questa impresa, e l'ha fatto con una novella dalla prosa brillante e ricca di spunti; perché seppur "Niente" si possa leggere nell'arco di poche ore, è anche vero che veicola delle idee affatto scontate e riesce a creare un'atmosfera in trasformazione, spensierata nella prima pagina e a dir poco disturbante nell'ultima.
La narrazione si apre sul primo giorno di scuola nella cittadina danese immaginaria di Tæring, quando lo studente Pierre Anthon ha una desolante epifania: la vita non ha veramente un senso, ma è soltanto una pantomima che distrae le persone dal nulla in cui presto scivoleranno. Il ragazzo comincia pertanto a passare le sue giornate su un susino, da dove deride i suoi ex compagni che ancora perdono tempo sui libri; a questo punto gli altri studenti decidono di dimostrare il suo errore, iniziando a costruire una catasta con tutto ciò che per loro ha un significato. Non si tratta però di contributi spontanei: pian piano questo progetto diventa una scusa per costringere gli altri a cedere quanto hanno di più caro, e il tutto degenera fin troppo velocemente.
Questa rapidità eccessiva è forse uno degli aspetti che meno mi hanno convinto nella lettura. È anche vero che, se la cara Janne si fosse presa più tempo per sviluppare la storia, probabilmente il risultato sarebbe stato fin troppo bizzarro ed inverosimile: questo testo richiede già una corposa dose di sospensione dell'incredulità, soprattutto per la totale mancanza di controllo da parte delle famiglie dei protagonisti, visto che la vicenda è ambientata nei primi anni Novanta e non secoli fa.
L'altra mancanza più palese del testo è rappresentata dalla caratterizzazione dei personaggi, che risultano quasi indistinguibili gli uni dagli altri. Neppure la narratrice Agnes dimostra una vera personalità oltre al desiderio di vendetta verso la compagna che la obbliga a cedere i suoi sandali nuovi; volontà di ferire il prossimo che in questo insolito contesto la accomuna al resto del gruppo anziché renderla speciale. La sola cosa che permette di identificare i vari studenti è la ripetizione ossessiva di soprannomi e caratteristiche fisiche, perché anche nelle reazioni praticamente tutti mostrano una terribile assenza di empatia e solidarietà reciproca.
Pur celando una storia ben più spaventosa di quanto ci si potrebbe aspettare, questo volume ha molti punti a suo favore, tra i quali mi azzarderei ad includere anche il coraggio di mostrare dei personaggi così giovani prendere decisioni tanto crudeli, con la consapevolezza di danneggiarsi a vicenda in questo modo. Mi è piaciuto come l'autrice abbia saputo delineare una storia in aperto contrasto con il mito dell'innocenza infantile, riuscendo comunque ad essere credibile.
Ho trovato poi interessante leggere del modo in cui i ragazzi reagivano alle provocazioni di Pierre Anthon; dopo le sassate iniziali, pensano subito ad utilizzare degli oggetti per provargli l'esistenza del senso della vita, mentre un adulto avrebbe probabilmente tentato di ribattere sul piano concettuale. Promuovo senza dubbio anche la prosa di Teller: asciutta eppure evocativa e d'impatto, ottima per rendere sia la spietatezza dei protagonisti che la rapidità con cui la sfida sfugge loro di mano. E questa sensazione di ineluttabilità arriva chiara e forte al lettore, che non può far altro se non assistere mentre Agnes si aggrega di buon grado alla follia collettiva.
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My rating: 4 of 5 stars
È difficile spiegare in che modo, ma era come se Pierre Anthon fosse riuscito a farci vedere qualcosa. Come se il niente di cui continuava a straparlare dal suo albero di susine ci avesse superato e fosse arrivato prima di noi
SENSO DELLA VITA CERCASI
In un'editoria sempre più settoriale e specialistica è insolito imbattersi in un titolo che travalichi i limiti del target, intrecciando una storia adatta un po' a tutti perché capace di ispirare delle riflessioni negli adulti come nei ragazzi coetanei dei protagonisti. Teller però è riuscita in questa impresa, e l'ha fatto con una novella dalla prosa brillante e ricca di spunti; perché seppur "Niente" si possa leggere nell'arco di poche ore, è anche vero che veicola delle idee affatto scontate e riesce a creare un'atmosfera in trasformazione, spensierata nella prima pagina e a dir poco disturbante nell'ultima.
La narrazione si apre sul primo giorno di scuola nella cittadina danese immaginaria di Tæring, quando lo studente Pierre Anthon ha una desolante epifania: la vita non ha veramente un senso, ma è soltanto una pantomima che distrae le persone dal nulla in cui presto scivoleranno. Il ragazzo comincia pertanto a passare le sue giornate su un susino, da dove deride i suoi ex compagni che ancora perdono tempo sui libri; a questo punto gli altri studenti decidono di dimostrare il suo errore, iniziando a costruire una catasta con tutto ciò che per loro ha un significato. Non si tratta però di contributi spontanei: pian piano questo progetto diventa una scusa per costringere gli altri a cedere quanto hanno di più caro, e il tutto degenera fin troppo velocemente.
Questa rapidità eccessiva è forse uno degli aspetti che meno mi hanno convinto nella lettura. È anche vero che, se la cara Janne si fosse presa più tempo per sviluppare la storia, probabilmente il risultato sarebbe stato fin troppo bizzarro ed inverosimile: questo testo richiede già una corposa dose di sospensione dell'incredulità, soprattutto per la totale mancanza di controllo da parte delle famiglie dei protagonisti, visto che la vicenda è ambientata nei primi anni Novanta e non secoli fa.
L'altra mancanza più palese del testo è rappresentata dalla caratterizzazione dei personaggi, che risultano quasi indistinguibili gli uni dagli altri. Neppure la narratrice Agnes dimostra una vera personalità oltre al desiderio di vendetta verso la compagna che la obbliga a cedere i suoi sandali nuovi; volontà di ferire il prossimo che in questo insolito contesto la accomuna al resto del gruppo anziché renderla speciale. La sola cosa che permette di identificare i vari studenti è la ripetizione ossessiva di soprannomi e caratteristiche fisiche, perché anche nelle reazioni praticamente tutti mostrano una terribile assenza di empatia e solidarietà reciproca.
Pur celando una storia ben più spaventosa di quanto ci si potrebbe aspettare, questo volume ha molti punti a suo favore, tra i quali mi azzarderei ad includere anche il coraggio di mostrare dei personaggi così giovani prendere decisioni tanto crudeli, con la consapevolezza di danneggiarsi a vicenda in questo modo. Mi è piaciuto come l'autrice abbia saputo delineare una storia in aperto contrasto con il mito dell'innocenza infantile, riuscendo comunque ad essere credibile.
Ho trovato poi interessante leggere del modo in cui i ragazzi reagivano alle provocazioni di Pierre Anthon; dopo le sassate iniziali, pensano subito ad utilizzare degli oggetti per provargli l'esistenza del senso della vita, mentre un adulto avrebbe probabilmente tentato di ribattere sul piano concettuale. Promuovo senza dubbio anche la prosa di Teller: asciutta eppure evocativa e d'impatto, ottima per rendere sia la spietatezza dei protagonisti che la rapidità con cui la sfida sfugge loro di mano. E questa sensazione di ineluttabilità arriva chiara e forte al lettore, che non può far altro se non assistere mentre Agnes si aggrega di buon grado alla follia collettiva.
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martedì 28 novembre 2023
"Book Lovers. Un amore tra i libri" di Emily Henry
Book Lovers. Un Amore Tra I Libri by Emily Henry
My rating: 3 of 5 stars
In un modo che non capisco, lui è mio e io sono sua. Non importa che cosa c'è scritto nell'ultima pagina. Questa è la verità. Qui, adesso
QUESTO NATALE, SU HALLMARK CHANNEL
Come si potrà facilmente intuire dando una scorsa alle mie letture più o meno recenti, non sono una gran consumatrice di romanzi rosa; cerco di non avere pregiudizi per nessun genere, ma è un dato di fatto che la maggior parte dei romance nei quali mi sono imbattuta mi abbia deluso. Eppure ho iniziato con entusiasmo la lettura di "Book Lovers. Un amore tra i libri", in parte perché la sinossi prometteva una storia d'amore lontana dai soliti cliché, ma soprattutto per averne sentito tessere le lodi da chiunque, specialmente da persone che di solito non bazzicano questo genere di storie. E pur non avendo condiviso l'adorazione collettiva, sento comunque di poterlo consigliare se cercate una lettura leggera e divertente; evitando con cura di fare affidamento su come lo vende la casa editrice!
La trama presenta una variazione sul tema delle commedie romantiche in cui vengono contrapposte città e campagna. La protagonista e narratrice è Nora Katharine Stephens, un'agente letteraria newyorkese di successo che viene convinta dalla sorella minore Elizabeth "Libby" Baby a trascorrere le vacanze estive nel paesino di Sunshine Falls, nel North Carolina; qui è infatti ambientato uno dei romanzi preferiti di Libby, scritto proprio da una cliente di Nora. Un periodo di villeggiatura che dovrebbe portare la protagonista a sperimentare una vita più rustica e spontanea, non fosse per la presenza in città di Charlie Lastra, un editor che al loro primo incontro le ha fatto una pessima impressione.
Per ribadire la mia approvazione a questo titolo, voglio dare subito spazio ai pregi che ho individuato. Innanzitutto, si tratta di un testo scanzonato che punta a far ridere, con dialoghi ricchi di battute e situazioni al limite della verosimiglianza; l'autrice si è palesemente divertita a portare all'estremo le tipiche situazioni delle commedie romantiche. A parte una riserva di cui parlerò tra poco, ho inoltre apprezzato la caratterizzazione di Charlie: la correttezza, la buona volontà nell'aiutare gli altri ed i commenti sarcastici lo hanno reso in pochi capitoli il mio personaggio preferito.
Personalmente mi è piaciuta anche la scelta di includere delle sottotrame collegate alle famiglie dei protagonisti, per mostrare delle relazioni diverse da quella sentimentale. In particolare, ho apprezzato come la cara Emily abbia tratteggiato il confronto tra Nora e Libby nel finale, andando ad analizzare non solo il loro rapporto come sorelle ma anche le diverse prospettive sul comportamento della madre. Senza dimenticare che si tratta di un titolo estremamente scorrevole, in cui la trama prosegue con un ottimo ritmo narrativo.
Con la coscienza più leggera, posso passare ai difetti di questo libro, o meglio al difetto. Sì perché il mio problema principale è stato notare le differenze tra quanto mi aveva promesso la CE nella sinossi e l'effettivo contenuto. Sulla carta il romanzo dovrebbe regalare al lettore dei colpi di scena stupefacenti, eppure io sfido il più distratto tra voi a definire imprevedibile una sola delle svolte di trama, e non parlo (solo) dello stucchevole epilogo. Sulla carta il romanzo dovrebbe raccontare la storia di due persone che si odiano ricalcando un po' la dinamica tra Lizzy Bennet e Mr. Darcy, mentre li vediamo prontissimi a saltarsi addosso già alla prima conversazione informale; e anche gli altri ostacoli al loro amore sono tutti di poco conto, come il fatto che lavorino nello stesso settore o l'iniziale riserva di Libby nei confronti di Charlie: dopo poche pagine già lo adora! Sulla carta il romanzo dovrebbe parlare di due persone fredde ed incapaci di esternare i propri sentimenti, quando invece sono soltanto molto pratici e preferiscono cercare delle soluzioni concrete ai problemi delle persone alle quali tengono; anche la loro rigidità è solo presunta, perché in tutto il volume non fanno altro che ridere e fare commenti ironici.
Ma soprattutto, mi era stato garantito un ribaltamento degli stereotipi del genere romance, ma nella pratica non ne manca neppure uno: la protagonista che scivola di continuo e viene presa al volo dal belloccio di turno, la coppia infoiata nei momenti e nei luoghi meno opportuni, i personaggi in grado di emanare un profumo delizioso anche dopo un'intera giornata di lavoro, gli occhi paragonati a metalli pregiati, pietre preziose o dolciumi assortiti. Tutto ciò lo rende un brutto libro? ma certo che no! Però permetterete che mi senta un filino presa in giro se ho ordinato un trancio di salmone mi vedo portare al tavolo un hamburger vegano.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
In un modo che non capisco, lui è mio e io sono sua. Non importa che cosa c'è scritto nell'ultima pagina. Questa è la verità. Qui, adesso
QUESTO NATALE, SU HALLMARK CHANNEL
Come si potrà facilmente intuire dando una scorsa alle mie letture più o meno recenti, non sono una gran consumatrice di romanzi rosa; cerco di non avere pregiudizi per nessun genere, ma è un dato di fatto che la maggior parte dei romance nei quali mi sono imbattuta mi abbia deluso. Eppure ho iniziato con entusiasmo la lettura di "Book Lovers. Un amore tra i libri", in parte perché la sinossi prometteva una storia d'amore lontana dai soliti cliché, ma soprattutto per averne sentito tessere le lodi da chiunque, specialmente da persone che di solito non bazzicano questo genere di storie. E pur non avendo condiviso l'adorazione collettiva, sento comunque di poterlo consigliare se cercate una lettura leggera e divertente; evitando con cura di fare affidamento su come lo vende la casa editrice!
La trama presenta una variazione sul tema delle commedie romantiche in cui vengono contrapposte città e campagna. La protagonista e narratrice è Nora Katharine Stephens, un'agente letteraria newyorkese di successo che viene convinta dalla sorella minore Elizabeth "Libby" Baby a trascorrere le vacanze estive nel paesino di Sunshine Falls, nel North Carolina; qui è infatti ambientato uno dei romanzi preferiti di Libby, scritto proprio da una cliente di Nora. Un periodo di villeggiatura che dovrebbe portare la protagonista a sperimentare una vita più rustica e spontanea, non fosse per la presenza in città di Charlie Lastra, un editor che al loro primo incontro le ha fatto una pessima impressione.
Per ribadire la mia approvazione a questo titolo, voglio dare subito spazio ai pregi che ho individuato. Innanzitutto, si tratta di un testo scanzonato che punta a far ridere, con dialoghi ricchi di battute e situazioni al limite della verosimiglianza; l'autrice si è palesemente divertita a portare all'estremo le tipiche situazioni delle commedie romantiche. A parte una riserva di cui parlerò tra poco, ho inoltre apprezzato la caratterizzazione di Charlie: la correttezza, la buona volontà nell'aiutare gli altri ed i commenti sarcastici lo hanno reso in pochi capitoli il mio personaggio preferito.
Personalmente mi è piaciuta anche la scelta di includere delle sottotrame collegate alle famiglie dei protagonisti, per mostrare delle relazioni diverse da quella sentimentale. In particolare, ho apprezzato come la cara Emily abbia tratteggiato il confronto tra Nora e Libby nel finale, andando ad analizzare non solo il loro rapporto come sorelle ma anche le diverse prospettive sul comportamento della madre. Senza dimenticare che si tratta di un titolo estremamente scorrevole, in cui la trama prosegue con un ottimo ritmo narrativo.
Con la coscienza più leggera, posso passare ai difetti di questo libro, o meglio al difetto. Sì perché il mio problema principale è stato notare le differenze tra quanto mi aveva promesso la CE nella sinossi e l'effettivo contenuto. Sulla carta il romanzo dovrebbe regalare al lettore dei colpi di scena stupefacenti, eppure io sfido il più distratto tra voi a definire imprevedibile una sola delle svolte di trama, e non parlo (solo) dello stucchevole epilogo. Sulla carta il romanzo dovrebbe raccontare la storia di due persone che si odiano ricalcando un po' la dinamica tra Lizzy Bennet e Mr. Darcy, mentre li vediamo prontissimi a saltarsi addosso già alla prima conversazione informale; e anche gli altri ostacoli al loro amore sono tutti di poco conto, come il fatto che lavorino nello stesso settore o l'iniziale riserva di Libby nei confronti di Charlie: dopo poche pagine già lo adora! Sulla carta il romanzo dovrebbe parlare di due persone fredde ed incapaci di esternare i propri sentimenti, quando invece sono soltanto molto pratici e preferiscono cercare delle soluzioni concrete ai problemi delle persone alle quali tengono; anche la loro rigidità è solo presunta, perché in tutto il volume non fanno altro che ridere e fare commenti ironici.
Ma soprattutto, mi era stato garantito un ribaltamento degli stereotipi del genere romance, ma nella pratica non ne manca neppure uno: la protagonista che scivola di continuo e viene presa al volo dal belloccio di turno, la coppia infoiata nei momenti e nei luoghi meno opportuni, i personaggi in grado di emanare un profumo delizioso anche dopo un'intera giornata di lavoro, gli occhi paragonati a metalli pregiati, pietre preziose o dolciumi assortiti. Tutto ciò lo rende un brutto libro? ma certo che no! Però permetterete che mi senta un filino presa in giro se ho ordinato un trancio di salmone mi vedo portare al tavolo un hamburger vegano.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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venerdì 24 novembre 2023
"Storia del nuovo cognome" di Elena Ferrante
Storia del nuovo cognome by Elena Ferrante
My rating: 4 of 5 stars
"Mi raccontò che aveva cominciato a vedere in quella formula un complemento di moto a luogo, come se Cerullo in Carracci fosse una specie di Cerullo va in Carracci, vi precipita, ne è assorbita, vi si dissolve ... Raffaella Cerullo, sopraffatta, aveva perso forma e si era sciolta dentro il profilo di Stefano, diventandone un'emanazione subalterna: la signora Carracci"
NINO SARÀ MICA DISCENDENTE DI PRIAPO?
Nonostante qualche piccolo difetto, "L'amica geniale" si era rivelata la lettura affascinante e coinvolgente che tutti mi avevano promesso. Eppure ho esitato parecchio prima di prendere in mano la mia copia di "Storia del nuovo cognome"; vi potreste chiedere come mai, specie se avete in mente l'emozionante conclusione del primo libro. La ragione è estremamente sciocca e superficiale, ma non per questo meno vera: trovo le copertine di questi volumi la quintessenza della depressione! appena le vedo, ogni interesse per il contenuto al di sotto viene eclissato dal senso di malinconia che mi trasmettono queste foto, adatte al massimo per un opuscolo religioso.
Ma andiamo alla trama, che la casa editrice annuncia di non volerci spoilerare nella sinossi. Più semplicemente, non c'è proprio nulla da spoilerare: come nel primo volume, la narrazione segue la vita quotidiana delle giovani Raffaella "Lila" Cerullo ed Elena "Lenù" Greco, la nostra voce narrante. Il primo capitolo riprende in parte la premessa del libro precedente, con l'anziana Lenù che ripensa a quando, verso la metà degli anni Sessanta, l'amica le affidò un plico di quaderni contenenti i suoi pensieri della giovinezza; grazie alla lettura di questi diari, la donna riesce a colmare diverse lacune nella narrazione, mostrando anche il punto di vista di Lila o descrivendo degli eventi ai quali non assiste in prima persona. Le vicende raccontate partono dal matrimonio di Lila e Stefano Carracci, passano per gli ultimi anni di liceo ed il periodo universitario di Lenù ed approdano a quando quest'ultima -ormai diventata una giovane donna dal futuro promettente- fa ritorno al rione e scopre com'è cambiata nel frattempo la vita della sua amica d'infanzia.
A contornare le vite delle due protagoniste, abbiamo il solito cast di parenti ed amici, che si fa via via sempre più numeroso e variegato. Leggere le interazioni tra questi personaggi è uno degli aspetti che più ho apprezzato: che si tratti di momenti d'affetto o di contrasti astiosi, Ferrante riesce ad evocare sempre delle reazioni genuine nelle quali è semplice interpretare i sentimenti delle parti coinvolte. Questo porta ovviamente ad dover sopportare la presenza di parecchi caratteri terribili -scritti di proposito per ispirare delle emozioni molto negative-, ma non credo incida sulla godibilità del testo.
Esattamente come i personaggi, anche le ambientazioni vengono tratteggiate con cura, tanto che ogni luogo riesce a trasmettere delle sensazioni diverse: dalla caoticità del rione napoletano, all'elitarismo dell'università di Pisa, alla spensieratezza della spiaggia ad Ischia; rendendo la narrazione più dinamica, l'autrice ha anche più margine di manovra in questo senso. Allo stesso modo i rapporti tra i personaggi si fanno più complessi, senza per questo dare un senso di realizzazione alle loro vite: tutto può ancora succedere, tutto può ancora cambiare, chi oggi si sente arrivato domani potrebbe scoprirsi il vinto.
A frenarmi dall'assegnare il massimo della valutazione sono il POV di Lenù ed il focus un po' eccessivo sulle relazioni sentimentali, specie quando erano presenti tanti altri spunti interessanti da poter affiancare al tema centrale dell'amicizia tra Lenù e Lila, come il valore dell'istruzione, la situazione politica dell'epoca o le disparità sociali. Per quanto riguarda la voce narrante, la mia critica è data dal modo eccessivamente ingenuo con cui descrive le azioni degli altri: lo capirei se ne stesse parlando al presente da giovane, ma è ormai una donna anziana ed ha già vissuto le conseguenze di queste azioni, quindi non ha senso simuli una simile ignoranza.
Altro piccolo neo è la prevedibilità delle svolte di trame, tutte facili da indovinare o perfino suggerite dalla prosa stessa. Pur amando gli intrecci più complessi, non lo considero però un difetto vero e proprio, perché la narrazione stessa ha un'impronta prevalentemente domestica e non punta certo a sorprendere il lettore con degli avvenimenti eccezionali. In compenso, apprezzerei davvero una sfoltita al cast: non dico di introdurre un serial killer, ma in questa serie c'è fin troppa gente per i miei gusti!
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"Mi raccontò che aveva cominciato a vedere in quella formula un complemento di moto a luogo, come se Cerullo in Carracci fosse una specie di Cerullo va in Carracci, vi precipita, ne è assorbita, vi si dissolve ... Raffaella Cerullo, sopraffatta, aveva perso forma e si era sciolta dentro il profilo di Stefano, diventandone un'emanazione subalterna: la signora Carracci"
NINO SARÀ MICA DISCENDENTE DI PRIAPO?
Nonostante qualche piccolo difetto, "L'amica geniale" si era rivelata la lettura affascinante e coinvolgente che tutti mi avevano promesso. Eppure ho esitato parecchio prima di prendere in mano la mia copia di "Storia del nuovo cognome"; vi potreste chiedere come mai, specie se avete in mente l'emozionante conclusione del primo libro. La ragione è estremamente sciocca e superficiale, ma non per questo meno vera: trovo le copertine di questi volumi la quintessenza della depressione! appena le vedo, ogni interesse per il contenuto al di sotto viene eclissato dal senso di malinconia che mi trasmettono queste foto, adatte al massimo per un opuscolo religioso.
Ma andiamo alla trama, che la casa editrice annuncia di non volerci spoilerare nella sinossi. Più semplicemente, non c'è proprio nulla da spoilerare: come nel primo volume, la narrazione segue la vita quotidiana delle giovani Raffaella "Lila" Cerullo ed Elena "Lenù" Greco, la nostra voce narrante. Il primo capitolo riprende in parte la premessa del libro precedente, con l'anziana Lenù che ripensa a quando, verso la metà degli anni Sessanta, l'amica le affidò un plico di quaderni contenenti i suoi pensieri della giovinezza; grazie alla lettura di questi diari, la donna riesce a colmare diverse lacune nella narrazione, mostrando anche il punto di vista di Lila o descrivendo degli eventi ai quali non assiste in prima persona. Le vicende raccontate partono dal matrimonio di Lila e Stefano Carracci, passano per gli ultimi anni di liceo ed il periodo universitario di Lenù ed approdano a quando quest'ultima -ormai diventata una giovane donna dal futuro promettente- fa ritorno al rione e scopre com'è cambiata nel frattempo la vita della sua amica d'infanzia.
A contornare le vite delle due protagoniste, abbiamo il solito cast di parenti ed amici, che si fa via via sempre più numeroso e variegato. Leggere le interazioni tra questi personaggi è uno degli aspetti che più ho apprezzato: che si tratti di momenti d'affetto o di contrasti astiosi, Ferrante riesce ad evocare sempre delle reazioni genuine nelle quali è semplice interpretare i sentimenti delle parti coinvolte. Questo porta ovviamente ad dover sopportare la presenza di parecchi caratteri terribili -scritti di proposito per ispirare delle emozioni molto negative-, ma non credo incida sulla godibilità del testo.
Esattamente come i personaggi, anche le ambientazioni vengono tratteggiate con cura, tanto che ogni luogo riesce a trasmettere delle sensazioni diverse: dalla caoticità del rione napoletano, all'elitarismo dell'università di Pisa, alla spensieratezza della spiaggia ad Ischia; rendendo la narrazione più dinamica, l'autrice ha anche più margine di manovra in questo senso. Allo stesso modo i rapporti tra i personaggi si fanno più complessi, senza per questo dare un senso di realizzazione alle loro vite: tutto può ancora succedere, tutto può ancora cambiare, chi oggi si sente arrivato domani potrebbe scoprirsi il vinto.
A frenarmi dall'assegnare il massimo della valutazione sono il POV di Lenù ed il focus un po' eccessivo sulle relazioni sentimentali, specie quando erano presenti tanti altri spunti interessanti da poter affiancare al tema centrale dell'amicizia tra Lenù e Lila, come il valore dell'istruzione, la situazione politica dell'epoca o le disparità sociali. Per quanto riguarda la voce narrante, la mia critica è data dal modo eccessivamente ingenuo con cui descrive le azioni degli altri: lo capirei se ne stesse parlando al presente da giovane, ma è ormai una donna anziana ed ha già vissuto le conseguenze di queste azioni, quindi non ha senso simuli una simile ignoranza.
Altro piccolo neo è la prevedibilità delle svolte di trame, tutte facili da indovinare o perfino suggerite dalla prosa stessa. Pur amando gli intrecci più complessi, non lo considero però un difetto vero e proprio, perché la narrazione stessa ha un'impronta prevalentemente domestica e non punta certo a sorprendere il lettore con degli avvenimenti eccezionali. In compenso, apprezzerei davvero una sfoltita al cast: non dico di introdurre un serial killer, ma in questa serie c'è fin troppa gente per i miei gusti!
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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lunedì 20 novembre 2023
"Tredici lame" di Joe Abercrombie
Tredici lame: Racconti dal mondo della prima legge by Joe Abercrombie
My rating: 4 of 5 stars
" Fletté il polso e dalla manica il pugnale le ricadde nella mano pronta. Un duello era sempre l'ultima cosa che voleva, ma aveva finito con lo scoprire -a malincuore- che non c'erano aspetti negativi nell'avere un coltello pronto. Se non altro, costituiva un ottimo argomento di conversazione"
MACGUFFIN A PROFUSIONE
Volume conclusivo della serie ideale formata dalle storie companion de La Prima Legge, come suggerisce il titolo scelto per la pubblicazione in Italia "Tredici lame" è un'antologia composta da racconti, la maggior parte pubblicati in precedenza su riviste dedicate al fantasy ed edizioni speciali mentre una manciata sono storie nuove, scritte proprio in occasione della pubblicazione di questa raccolta.
Le tredici narrazioni coprono un periodo di oltre venticinque anni nella Storia del Mondo Circolare, partendo così da ben prima della prima, iconica scena de "Il richiamo delle spade" ed arrivando ad un paio di anni dopo la conclusione delle avventure di Shy e Tempio in "Red Country". Le storie si concentrano soprattutto su una quantità di caratteri già ben conosciuti dai fan di questo universo fantastico, come Sand dan Glokta, Monzcarro "Monza" Murcatto e Curden lo Strozzato, ma cinque storie vanno a strutturare una narrazione ad episodi incentrata sui personaggi inediti di Shevedieh "Shev" ul Kanan mut Mayr, Carcolf e Javre, conosciuta come la Leonessa di Hoskopp.
La scelta di creare una storia vera e propria anche in questo contesto mi è piaciuta parecchio, e nonostante Shev e Javre difficilmente rientreranno tra i miei personaggi preferiti di Abercrombie, le ho trovate comunque interessanti e ben sfruttate all'interno di una narrazione più ampia. Per contro le storie dedicate a personaggi noti hanno più un effetto di riempitivo -per mostrare qualche piccolo retroscena o illustrare in modo più dettagliato degli episodi ai quali si era soltanto accennato nei romanzi principali-, con qualche significativa eccezione.
È il caso dei superbi "Nel posto sbagliato al momento sbagliato" e "Tempi duri dappertutto", nei quali si compongono delle microstorie ricche di (crudele) ironia con caratteri che risultano immediatamente carismatici. Ho apprezzato altrettanto "Ieri, nei pressi di un villaggio chiamato Barden...", per il modo in cui il lettore viene rimbalzato da un punto di vista all'altro: ricorda molto l'eccellente tecnica utilizzata dall'autore in "The Heroes" per descrivere una battaglia da molteplici prospettive. Tra i miei preferiti devo includere per forza anche "Libertà!", che troverete a dir poco esilarante se come me avete letto da poco tempo "Red Country"!
La prosa sempre ironica ed esasperata di Abercrombie conferisce un tono tagliente alle storie, che per questo si dimostrano incisive a dispetto della loro brevità. Conoscendo già le ambientazioni e quasi tutti i personaggi, ho trovato inoltre divertente scoprire alcuni piccoli dettagli delle loro avventure principali. Ovviamente, se non si è letto nessun volume di questo universo narrativo, questi racconti risulteranno insulsi nel migliore del casi e del tutto incomprensibili nel peggiore; e questo nonostante alcune possano essere considerate a tutti gli effetti delle storie prequel.
Purtroppo i motivi per cui lo stile del caro Joe è tanto apprezzato, risultano essere anche i suoi maggiori punti deboli, perché a tanti non andranno giù le sue continue esagerazioni, sia nei dialoghi che nei gesti compiuti dai personaggi. Un dettaglio che mi ha lasciato perplessa invece è la decisione di inserire "Creare un mostro" come ultimo raccolto, mentre fino a quel momento si è seguito un chiaro ordine cronologico.
Il grande limite di quest'antologia, o meglio di questa specifica edizione, è rappresentato dalla sua traduzione. Non soltanto sono state cambiate espressioni storiche come Uomini del Nord qui adattato come Nordici, ma alcuni nomi sono stati tradotti in modo diverso oppure non tradotti affatto, e questo crea non poca confusione. A coronare questo disastro abbiamo la presenza di molti refusi, che in più punti riguardano un singola pagina; penso occorra un particolare talento per sbagliare in maniera tanto evidente.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
" Fletté il polso e dalla manica il pugnale le ricadde nella mano pronta. Un duello era sempre l'ultima cosa che voleva, ma aveva finito con lo scoprire -a malincuore- che non c'erano aspetti negativi nell'avere un coltello pronto. Se non altro, costituiva un ottimo argomento di conversazione"
MACGUFFIN A PROFUSIONE
Volume conclusivo della serie ideale formata dalle storie companion de La Prima Legge, come suggerisce il titolo scelto per la pubblicazione in Italia "Tredici lame" è un'antologia composta da racconti, la maggior parte pubblicati in precedenza su riviste dedicate al fantasy ed edizioni speciali mentre una manciata sono storie nuove, scritte proprio in occasione della pubblicazione di questa raccolta.
Le tredici narrazioni coprono un periodo di oltre venticinque anni nella Storia del Mondo Circolare, partendo così da ben prima della prima, iconica scena de "Il richiamo delle spade" ed arrivando ad un paio di anni dopo la conclusione delle avventure di Shy e Tempio in "Red Country". Le storie si concentrano soprattutto su una quantità di caratteri già ben conosciuti dai fan di questo universo fantastico, come Sand dan Glokta, Monzcarro "Monza" Murcatto e Curden lo Strozzato, ma cinque storie vanno a strutturare una narrazione ad episodi incentrata sui personaggi inediti di Shevedieh "Shev" ul Kanan mut Mayr, Carcolf e Javre, conosciuta come la Leonessa di Hoskopp.
La scelta di creare una storia vera e propria anche in questo contesto mi è piaciuta parecchio, e nonostante Shev e Javre difficilmente rientreranno tra i miei personaggi preferiti di Abercrombie, le ho trovate comunque interessanti e ben sfruttate all'interno di una narrazione più ampia. Per contro le storie dedicate a personaggi noti hanno più un effetto di riempitivo -per mostrare qualche piccolo retroscena o illustrare in modo più dettagliato degli episodi ai quali si era soltanto accennato nei romanzi principali-, con qualche significativa eccezione.
È il caso dei superbi "Nel posto sbagliato al momento sbagliato" e "Tempi duri dappertutto", nei quali si compongono delle microstorie ricche di (crudele) ironia con caratteri che risultano immediatamente carismatici. Ho apprezzato altrettanto "Ieri, nei pressi di un villaggio chiamato Barden...", per il modo in cui il lettore viene rimbalzato da un punto di vista all'altro: ricorda molto l'eccellente tecnica utilizzata dall'autore in "The Heroes" per descrivere una battaglia da molteplici prospettive. Tra i miei preferiti devo includere per forza anche "Libertà!", che troverete a dir poco esilarante se come me avete letto da poco tempo "Red Country"!
La prosa sempre ironica ed esasperata di Abercrombie conferisce un tono tagliente alle storie, che per questo si dimostrano incisive a dispetto della loro brevità. Conoscendo già le ambientazioni e quasi tutti i personaggi, ho trovato inoltre divertente scoprire alcuni piccoli dettagli delle loro avventure principali. Ovviamente, se non si è letto nessun volume di questo universo narrativo, questi racconti risulteranno insulsi nel migliore del casi e del tutto incomprensibili nel peggiore; e questo nonostante alcune possano essere considerate a tutti gli effetti delle storie prequel.
Purtroppo i motivi per cui lo stile del caro Joe è tanto apprezzato, risultano essere anche i suoi maggiori punti deboli, perché a tanti non andranno giù le sue continue esagerazioni, sia nei dialoghi che nei gesti compiuti dai personaggi. Un dettaglio che mi ha lasciato perplessa invece è la decisione di inserire "Creare un mostro" come ultimo raccolto, mentre fino a quel momento si è seguito un chiaro ordine cronologico.
Il grande limite di quest'antologia, o meglio di questa specifica edizione, è rappresentato dalla sua traduzione. Non soltanto sono state cambiate espressioni storiche come Uomini del Nord qui adattato come Nordici, ma alcuni nomi sono stati tradotti in modo diverso oppure non tradotti affatto, e questo crea non poca confusione. A coronare questo disastro abbiamo la presenza di molti refusi, che in più punti riguardano un singola pagina; penso occorra un particolare talento per sbagliare in maniera tanto evidente.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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mercoledì 15 novembre 2023
"Max" di Sarah Cohen-Scali
Max by Sarah Cohen-Scali
My rating: 4 of 5 stars
"Quando il dottor Ebner ha afferrato il compasso e me lo ha avvicinato al cranio, non ho più dubitato un secondo del verdetto. La mia sorte era segnata"
LA VOCE DELLA COLPEVOLEZZA
Per parlare al meglio di "Max" voglio partire da una precisazione che reputo necessaria. Premesso che chiunque può leggere libri scritti per i ragazzi, esattamente come i lettori più giovani dovrebbero essere liberi di leggere qualunque genere di storia li interessi, mi lascia perplessa che questo titolo in particolare venga indicato sia dai lettori sia dalla casa editrice come una storia adatta ad un pubblico di ragazzi. Nonostante il protagonista sia un bambino o poco più, ci sono ben altri romanzi che consiglierei ad un lettore giovane che voglia scoprire una prospettiva meno convenzionale sul tema della Seconda Guerra Mondiale!
Forse già dalla premessa, potreste indovinare cosa renda il libro più celebre di Cohen-Scali inadatto a lettori molto giovani o sensibili. Tutto ha inizio poco prima della mezzanotte del 20 aprile 1936 nel centro di Steinhöhring, dove Frau Inge è in procinto di partorire il suo primogenito Konrad "Max" von Kebnersol; il punto di vista non è però quello della donna o del personale medico che la sta assistendo, ma del feto! Primo bambino nato all'interno del programma nazista «Lebensborn», il piccolo Max ha già immagazzinato un enorme bagaglio di conoscenze relative a quello che reputa il suo padre ideale, Adolf Hitler, ed intende dimostrare di essere davvero il campione tipo della razza ariana.
L'autrice va quindi a strutturare una versione ribaltata de "Il Signore delle Mosche", nella quale si parte con un bambino straripante di cattiveria all'inizio della storia, che attraverso le prove della vita (e della vita in tempo di guerra!) allarga i propri rigidi confini mentali, in una spasmodica ricerca d'affetto e gentilezza. Un concetto affascinante, che però mi ha convinto solo fino a metà libro perché poi ho iniziato a trovarlo ridondante, perfino noioso: si ripetono sempre le stesse dinamiche con personaggi diversi ad interagire con il protagonista.
L'altra ragione per la quale il romanzo non mi ha convinto quanto mi sarei aspettata è la sensazione di disgusto che mi ha accompagnato praticamente per l'intera lettura. Non escludo che fosse l'intento dichiarato della cara Sarah, per fornire un quadro il più possibile fedele degli orrori della guerra, ma per mio gusto trovo assurdo che si debba menzionare ogni due pagine un qualche tipo di escrementi: nessuno pensa tanto spesso alle feci, proprie o altrui che siano! I frequenti commenti del protagonista sui genitali e sulla sessualità di altri bambini mi hanno fatta sentire ancor più a disagio, soprattutto perché la voce data a Max dall'autrice è incredibilmente matura e seria, tanto da sembrare quella di una persona adulta.
La mia ultima lagnanza, questa volta più tangibile, è rivolta all'edizione italiana che con un refuso già nella sinossi non si presenta proprio al meglio. Il testo vanta numerosi errori grammaticali (un esempio su tutti, l'intercalare be' scritto con l'acca!) e dei segni grafici insufficienti nei dialoghi, tanto da rendere difficile capire quali frasi siano delle battute e quali no.
Dopo simili commenti, potreste pensare che questo libro sia stato un totale flop per me. In realtà non è affatto così malvagio -e ribadisco come il concept alla base sia brillante-, ma indubbiamente una buona parte del mio entusiasmo iniziale si è raffreddato. Rimane una storia originale raccontata da un punto di vista smaliziato che a tratti svela la sua ingenuità infantile, infatti se si escludono le parentesi infelici di cui ho accennato prima penso che la prosa faccia un ottimo lavoro nel dar voce ai pensieri del piccolo Max.
Ho apprezzato anche l'attenzione di Cohen-Scali per rispettare al più possibile la fedeltà storica degli eventi raccontati, seppur da una prospettiva decisamente fantastica, e per delineare una conclusione che rendesse soddisfacente e solido l'intreccio. Allo stesso modo mi ha convinto la caratterizzazione dei personaggi, in particolare quella del giovane Lucjan "Lukas" che avrei visto benissimo come protagonista di una sua storia, magari dalle tinte noir.
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My rating: 4 of 5 stars
"Quando il dottor Ebner ha afferrato il compasso e me lo ha avvicinato al cranio, non ho più dubitato un secondo del verdetto. La mia sorte era segnata"
LA VOCE DELLA COLPEVOLEZZA
Per parlare al meglio di "Max" voglio partire da una precisazione che reputo necessaria. Premesso che chiunque può leggere libri scritti per i ragazzi, esattamente come i lettori più giovani dovrebbero essere liberi di leggere qualunque genere di storia li interessi, mi lascia perplessa che questo titolo in particolare venga indicato sia dai lettori sia dalla casa editrice come una storia adatta ad un pubblico di ragazzi. Nonostante il protagonista sia un bambino o poco più, ci sono ben altri romanzi che consiglierei ad un lettore giovane che voglia scoprire una prospettiva meno convenzionale sul tema della Seconda Guerra Mondiale!
Forse già dalla premessa, potreste indovinare cosa renda il libro più celebre di Cohen-Scali inadatto a lettori molto giovani o sensibili. Tutto ha inizio poco prima della mezzanotte del 20 aprile 1936 nel centro di Steinhöhring, dove Frau Inge è in procinto di partorire il suo primogenito Konrad "Max" von Kebnersol; il punto di vista non è però quello della donna o del personale medico che la sta assistendo, ma del feto! Primo bambino nato all'interno del programma nazista «Lebensborn», il piccolo Max ha già immagazzinato un enorme bagaglio di conoscenze relative a quello che reputa il suo padre ideale, Adolf Hitler, ed intende dimostrare di essere davvero il campione tipo della razza ariana.
L'autrice va quindi a strutturare una versione ribaltata de "Il Signore delle Mosche", nella quale si parte con un bambino straripante di cattiveria all'inizio della storia, che attraverso le prove della vita (e della vita in tempo di guerra!) allarga i propri rigidi confini mentali, in una spasmodica ricerca d'affetto e gentilezza. Un concetto affascinante, che però mi ha convinto solo fino a metà libro perché poi ho iniziato a trovarlo ridondante, perfino noioso: si ripetono sempre le stesse dinamiche con personaggi diversi ad interagire con il protagonista.
L'altra ragione per la quale il romanzo non mi ha convinto quanto mi sarei aspettata è la sensazione di disgusto che mi ha accompagnato praticamente per l'intera lettura. Non escludo che fosse l'intento dichiarato della cara Sarah, per fornire un quadro il più possibile fedele degli orrori della guerra, ma per mio gusto trovo assurdo che si debba menzionare ogni due pagine un qualche tipo di escrementi: nessuno pensa tanto spesso alle feci, proprie o altrui che siano! I frequenti commenti del protagonista sui genitali e sulla sessualità di altri bambini mi hanno fatta sentire ancor più a disagio, soprattutto perché la voce data a Max dall'autrice è incredibilmente matura e seria, tanto da sembrare quella di una persona adulta.
La mia ultima lagnanza, questa volta più tangibile, è rivolta all'edizione italiana che con un refuso già nella sinossi non si presenta proprio al meglio. Il testo vanta numerosi errori grammaticali (un esempio su tutti, l'intercalare be' scritto con l'acca!) e dei segni grafici insufficienti nei dialoghi, tanto da rendere difficile capire quali frasi siano delle battute e quali no.
Dopo simili commenti, potreste pensare che questo libro sia stato un totale flop per me. In realtà non è affatto così malvagio -e ribadisco come il concept alla base sia brillante-, ma indubbiamente una buona parte del mio entusiasmo iniziale si è raffreddato. Rimane una storia originale raccontata da un punto di vista smaliziato che a tratti svela la sua ingenuità infantile, infatti se si escludono le parentesi infelici di cui ho accennato prima penso che la prosa faccia un ottimo lavoro nel dar voce ai pensieri del piccolo Max.
Ho apprezzato anche l'attenzione di Cohen-Scali per rispettare al più possibile la fedeltà storica degli eventi raccontati, seppur da una prospettiva decisamente fantastica, e per delineare una conclusione che rendesse soddisfacente e solido l'intreccio. Allo stesso modo mi ha convinto la caratterizzazione dei personaggi, in particolare quella del giovane Lucjan "Lukas" che avrei visto benissimo come protagonista di una sua storia, magari dalle tinte noir.
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venerdì 10 novembre 2023
"Istantanea di un delitto" di Agatha Christie
Istantanea di un delitto by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars
"In un momento in cui i due treni davano l'illusione di essere fermi, una tendina si alzò di scatto e la signora McGillicuddy ... rimase con il fiato mozzo e quasi si alzò dal posto"
IL CASO DELLA DOMESTICA PERF… AH, NO!
Ultimo romanzo con la mia adorata Miss Marple pubblicato negli anni Cinquanta, "Istantanea di un delitto" potrebbe aggiudicarsi un posto sul podio dedicato ai volumi in cui compare l'ineffabile sferruzzatrice inglese. Sarò onesta: in un primo momento la premessa inusuale di questa storia mi aveva lasciato un po' spiazzata, ma quando ho visto profilarsi all'orizzonte una decadente dimora vittoriana (o elisabettiana, a voler dar credito al proprietario) con tanto di potenziali eredi squattrinati di un vecchio taccagno, ho capito di aver trovato pane per i miei denti.
Come accennato, l'inizio è però diverso dal solito: mentre viaggia sul treno che la porterà ad incontrare l'amica Jane Marple, Elspeth McGillicuddy assiste ad un omicidio sul treno affiancato al suo. La donna riporta subito il crimine alle autorità, le quali purtroppo possono fare ben poco dal momento che nessun cadavere viene ritrovato; Miss Marple però è certa che la sua amica non si sia immaginata nulla, e per questo comincia un'indagine personale per trovare il corpo. Questo porta all'introduzione nella vicenda di Lucy Eyelesbarrow -una sorta di governante dalle mille risorse- e della famiglia Crackenthorpe, capeggiata dal viscidissimo Luther.
Quando le indagini hanno cominciato a ruotare attorno all'angusta Rutherford Hall il romanzo è diventato davvero interessante, e mi sono messa d'impegno per indovinare l'identità del colpevole; mi sembra inutile precisare che non ci sono andata neanche vicino! Questo rientra tra i pregi soggettivi del romanzo, assieme all'abbondante ricorso al black humor nel corso dell'intero volume -un tipo di ironia che adoro- e alla presenza dell'ispettore Dermot Craddock, personaggio ripreso ed approfondito da "Un delitto avrà luogo", nonché figura che contribuisce a rendere più ricco e credibile l'universo narrativo marpleiano.
Passando a delle osservazioni più oggettive, troviamo ad esempio un intreccio creato in modo magistrale, che dissemina il testo di indizi senza per questo fornire la giusta chiave di lettura, e questo rende il mistero brillante e complesso. Abbiamo poi un cast composto da personaggi decisamente carismatici, che in un paio di casi vengono analizzati più a fondo in modo da creare caratteri intriganti e descrivere dinamiche inaspettate. Come quasi sempre nelle narrazioni christiane sono inoltre presenti delle sottotrame romantiche, che però in questo caso si dimostrano abbastanza originali, nonché ben amalgamate alla vicenda principale.
Al solito, per apprezzare del tutto i libri della cara Agatha è necessario chiudere un occhio sui commenti datati. Personalmente mi sarei inoltre aspettata una presenta più massiccia di Miss Marple, visto che compare da subito nella storia, ma capisco il limite narrativo da questo punto di vista. Per contro non capisco proprio l'utilizzo continuo del prefisso "ultra", che rende a dir poco bizzarre alcune linee di testo; e dire che la traduzione risale a poco più di trent'anni fa! A mio avviso ci sarebbero stati dei modi per tradurre "highly" e "very" meno di cattivo gusto.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"In un momento in cui i due treni davano l'illusione di essere fermi, una tendina si alzò di scatto e la signora McGillicuddy ... rimase con il fiato mozzo e quasi si alzò dal posto"
IL CASO DELLA DOMESTICA PERF… AH, NO!
Ultimo romanzo con la mia adorata Miss Marple pubblicato negli anni Cinquanta, "Istantanea di un delitto" potrebbe aggiudicarsi un posto sul podio dedicato ai volumi in cui compare l'ineffabile sferruzzatrice inglese. Sarò onesta: in un primo momento la premessa inusuale di questa storia mi aveva lasciato un po' spiazzata, ma quando ho visto profilarsi all'orizzonte una decadente dimora vittoriana (o elisabettiana, a voler dar credito al proprietario) con tanto di potenziali eredi squattrinati di un vecchio taccagno, ho capito di aver trovato pane per i miei denti.
Come accennato, l'inizio è però diverso dal solito: mentre viaggia sul treno che la porterà ad incontrare l'amica Jane Marple, Elspeth McGillicuddy assiste ad un omicidio sul treno affiancato al suo. La donna riporta subito il crimine alle autorità, le quali purtroppo possono fare ben poco dal momento che nessun cadavere viene ritrovato; Miss Marple però è certa che la sua amica non si sia immaginata nulla, e per questo comincia un'indagine personale per trovare il corpo. Questo porta all'introduzione nella vicenda di Lucy Eyelesbarrow -una sorta di governante dalle mille risorse- e della famiglia Crackenthorpe, capeggiata dal viscidissimo Luther.
Quando le indagini hanno cominciato a ruotare attorno all'angusta Rutherford Hall il romanzo è diventato davvero interessante, e mi sono messa d'impegno per indovinare l'identità del colpevole; mi sembra inutile precisare che non ci sono andata neanche vicino! Questo rientra tra i pregi soggettivi del romanzo, assieme all'abbondante ricorso al black humor nel corso dell'intero volume -un tipo di ironia che adoro- e alla presenza dell'ispettore Dermot Craddock, personaggio ripreso ed approfondito da "Un delitto avrà luogo", nonché figura che contribuisce a rendere più ricco e credibile l'universo narrativo marpleiano.
Passando a delle osservazioni più oggettive, troviamo ad esempio un intreccio creato in modo magistrale, che dissemina il testo di indizi senza per questo fornire la giusta chiave di lettura, e questo rende il mistero brillante e complesso. Abbiamo poi un cast composto da personaggi decisamente carismatici, che in un paio di casi vengono analizzati più a fondo in modo da creare caratteri intriganti e descrivere dinamiche inaspettate. Come quasi sempre nelle narrazioni christiane sono inoltre presenti delle sottotrame romantiche, che però in questo caso si dimostrano abbastanza originali, nonché ben amalgamate alla vicenda principale.
Al solito, per apprezzare del tutto i libri della cara Agatha è necessario chiudere un occhio sui commenti datati. Personalmente mi sarei inoltre aspettata una presenta più massiccia di Miss Marple, visto che compare da subito nella storia, ma capisco il limite narrativo da questo punto di vista. Per contro non capisco proprio l'utilizzo continuo del prefisso "ultra", che rende a dir poco bizzarre alcune linee di testo; e dire che la traduzione risale a poco più di trent'anni fa! A mio avviso ci sarebbero stati dei modi per tradurre "highly" e "very" meno di cattivo gusto.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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martedì 7 novembre 2023
"La moglie del califfo" di Renée Ahdieh
La moglie del Califfo by Renée Ahdieh
My rating: 2 of 5 stars
"Aprì gli occhi brucianti per guardarla ancora una volta. Quella ragazza pericolosa, quella bellezza ammaliante. Distruttrice di mondi e creatrice di meraviglie"
ROMANZO PER RAGAZZI O MENÙ ETNICO?
C'è stato un tempo in cui l'ottimismo verso la narrativa per ragazzi mi aveva portato ad accumulare in modo quasi compulsivo un gran numero di serie in voga all'epoca. In alcuni casi si è trattato di sorprese felici (come la trilogia Chaos Walking, letta integralmente quest'anno, che penso sia invecchiata parecchio bene), ma molto più spesso mi sono trovata di fronte a narrazioni davvero ingenue e farcite di messaggi discutibili, sempre pensando al target giovane per il quale sono scritte. In quale categoria sarà finita "La moglie del califfo"? secondo me potete indovinarlo, ma cominciamo dalla trama.
L'idea alla base del romanzo è quella che fa da cornice ai racconti dell'antologia Le mille e una notte: nel califfato del Khorasan il crudele sovrano Khalid Ibn al-Rashid prende ogni giorno in sposa una donna diversa, per poi ordinarne l'esecuzione prima che spunti l'alba. La protagonista sedicenne Shahrzad "Shazi" al-Khayzuran ha visto così condannare a morte la sua migliore amica Shiva, e per questo decide di offrirsi volontaria come prossima moglie, con l'intenzione di avvicinare il califfo abbastanza da poterlo uccidere per vendetta.
Messo in questi termini sembrerebbe un intreccio decisamente promettente, non fosse per due grossi ma. In primo luogo la missione di Shazi viene accantonata dopo pochi capitoli per dar spazio ad altre linee di trama, legate ad una ribellione interna contro Khalid, ad una minaccia dal vicino sultanato di Partia e ad un elemento fantastico. E anche se non ci fossero state queste sottotrame di mezzo, ci avrebbe pensato la protagonista a fermarsi da sola: sia perché il suo piano è a voler essere generosi vago, sia per l'instalove che la colpisce dopo soli due giorni trascorsi a palazzo.
Questo vi farà forse intuire come la protagonista non sia tra i punti a favore di questo titolo; Shazi è impulsiva nel senso peggiore del termine e viene colpita da continue epifanie che non portano avanti di mezzo passo la sua caratterizzazione, inoltre per la maggior parte del libro è indolente al punto da non pensare neanche a mettersi in contatto con la sua famiglia. Come coprotagonista Khalid non se la cava meglio: è il classico bad boy (ma MOLTO bad) che il lettore dovrebbe giustificare per il suo tragico passato; mi spiace, ma non riesco proprio a tollerare uno stupratore come interesse amoroso. In aggiunta a questi difetti soggettivi, abbiamo una prosa composta quasi esclusivamente da frasi fatte, un linguaggio ostentatamente informale e delle scene cruciali per la risoluzione della storia che vengono liquidate con troppa fretta.
Si tratta quindi di un testo irrecuperabile? ma no! Intanto ha il pregio di avermi divertita non poco (soprattutto per la totale incapacità dimostrata delle guardie reali!), nonché di aver introdotto alcune linee di trama interessanti che spero verranno analizzate meglio nel seguito. Accanto ai discutibili protagonisti troviamo alcuni personaggi secondari niente male -come Jalal al-Khoury e Tariq Imran al-Ziyad-, che bilanciano come possono la poca concretezza di Shazi e Khalid.
Personalmente ho apprezzato poi l'ambientazione affascinante, ricca di dettagli sugli alimenti e l'abbigliamento, che denota una qualche ricerca di verosimiglianza con la cornice simil-storica. Mi è piaciuta anche la riflessione sull'inutilità di contribuire ad un ciclo di vendette: lo reputo un messaggio valido ed attuale, sul quale voglio concentrare la mia attenzione... ignorando volutamente il contesto in cui questa illuminazione ha avuto luogo.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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My rating: 2 of 5 stars
"Aprì gli occhi brucianti per guardarla ancora una volta. Quella ragazza pericolosa, quella bellezza ammaliante. Distruttrice di mondi e creatrice di meraviglie"
ROMANZO PER RAGAZZI O MENÙ ETNICO?
C'è stato un tempo in cui l'ottimismo verso la narrativa per ragazzi mi aveva portato ad accumulare in modo quasi compulsivo un gran numero di serie in voga all'epoca. In alcuni casi si è trattato di sorprese felici (come la trilogia Chaos Walking, letta integralmente quest'anno, che penso sia invecchiata parecchio bene), ma molto più spesso mi sono trovata di fronte a narrazioni davvero ingenue e farcite di messaggi discutibili, sempre pensando al target giovane per il quale sono scritte. In quale categoria sarà finita "La moglie del califfo"? secondo me potete indovinarlo, ma cominciamo dalla trama.
L'idea alla base del romanzo è quella che fa da cornice ai racconti dell'antologia Le mille e una notte: nel califfato del Khorasan il crudele sovrano Khalid Ibn al-Rashid prende ogni giorno in sposa una donna diversa, per poi ordinarne l'esecuzione prima che spunti l'alba. La protagonista sedicenne Shahrzad "Shazi" al-Khayzuran ha visto così condannare a morte la sua migliore amica Shiva, e per questo decide di offrirsi volontaria come prossima moglie, con l'intenzione di avvicinare il califfo abbastanza da poterlo uccidere per vendetta.
Messo in questi termini sembrerebbe un intreccio decisamente promettente, non fosse per due grossi ma. In primo luogo la missione di Shazi viene accantonata dopo pochi capitoli per dar spazio ad altre linee di trama, legate ad una ribellione interna contro Khalid, ad una minaccia dal vicino sultanato di Partia e ad un elemento fantastico. E anche se non ci fossero state queste sottotrame di mezzo, ci avrebbe pensato la protagonista a fermarsi da sola: sia perché il suo piano è a voler essere generosi vago, sia per l'instalove che la colpisce dopo soli due giorni trascorsi a palazzo.
Questo vi farà forse intuire come la protagonista non sia tra i punti a favore di questo titolo; Shazi è impulsiva nel senso peggiore del termine e viene colpita da continue epifanie che non portano avanti di mezzo passo la sua caratterizzazione, inoltre per la maggior parte del libro è indolente al punto da non pensare neanche a mettersi in contatto con la sua famiglia. Come coprotagonista Khalid non se la cava meglio: è il classico bad boy (ma MOLTO bad) che il lettore dovrebbe giustificare per il suo tragico passato; mi spiace, ma non riesco proprio a tollerare uno stupratore come interesse amoroso. In aggiunta a questi difetti soggettivi, abbiamo una prosa composta quasi esclusivamente da frasi fatte, un linguaggio ostentatamente informale e delle scene cruciali per la risoluzione della storia che vengono liquidate con troppa fretta.
Si tratta quindi di un testo irrecuperabile? ma no! Intanto ha il pregio di avermi divertita non poco (soprattutto per la totale incapacità dimostrata delle guardie reali!), nonché di aver introdotto alcune linee di trama interessanti che spero verranno analizzate meglio nel seguito. Accanto ai discutibili protagonisti troviamo alcuni personaggi secondari niente male -come Jalal al-Khoury e Tariq Imran al-Ziyad-, che bilanciano come possono la poca concretezza di Shazi e Khalid.
Personalmente ho apprezzato poi l'ambientazione affascinante, ricca di dettagli sugli alimenti e l'abbigliamento, che denota una qualche ricerca di verosimiglianza con la cornice simil-storica. Mi è piaciuta anche la riflessione sull'inutilità di contribuire ad un ciclo di vendette: lo reputo un messaggio valido ed attuale, sul quale voglio concentrare la mia attenzione... ignorando volutamente il contesto in cui questa illuminazione ha avuto luogo.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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venerdì 3 novembre 2023
"Nuvole grigie" di Stefania Tedesco
Nuvole grigie by Stefania Tedesco
My rating: 3 of 5 stars
"Percepisco tutti gli occhi su di me, nessuno si azzarda più a fiatare. Mi soffermo sui presenti perché, oltre ad alcuni collaboratori del commissariato, ci sono sei persone: due donne e quattro uomini. Sei facce, c'è un assassino tra loro?"
CLUEDO: SHIP EDITION
Questa estate ho avuto modo di conoscere Scatole Parlanti con "L'eredità dei Taylor" di Francesca Pasqualone, che mi ha permesso di apprezzare la cura grafica e l'attenzione per i giovani talenti nostrani di questa casa editrice. Sono stata quindi entusiasta della proposta di leggere un altro titolo dal loro catalogo; così ho scoperto "Nuvole grigie", un romanzo che mi ha incuriosito con la stupenda copertina e convinto grazie ad una trama accattivante, nonché decisamente nelle mie corde.
L'intreccio ricorda indubbiamente i tipici enigmi della camera chiusa, con una variante marinara: ci troviamo a Roccia Marina, una cittadina costiera immaginaria nella provincia di Cosenza dove, un lunedì mattina d'estate, un gruppo di sei persone arriva al commissariato per denunciare la morte dello stimato cardiologo Maurizio Righetti, avvenuta in mare aperto durante una gita in yacht. A capo delle indagini si ritrova il commissario Cecilia Orlandi, della quale leggiamo il POV in prima persona -mentre porta avanti gli interrogatori- alternato ai flashback in terza persona tramite i quali gli altri personaggi ricostruiscono gli eventi del fatidico finesettimana.
Si compone così una narrazione parecchio dinamica ed interessante, che spinge il lettore ad interrogarsi sull'onestà delle diverse dichiarazioni, senza però dover ricorrere a momenti d'azione o passaggi ricchi di adrenalina. Di fatto, Cecilia riesce a scoprire la verità senza doversi allontanare dal commissariato, ragionando semplicemente su quanto riportato dai testimoni e su pochi altri elementi forniti dai suoi collaboratori; in questo mi ha ricordato gli investigatori classici come Poirot, che non hanno bisogno di essere coinvolti in scene rocambolesche per consegnare il colpevole alla giustizia. L'indagine mi ha convinto anche per la verosimiglianza con cui viene illustrata in ogni suo passaggio, dimostrazione di un valido lavoro di ricerca alla base.
Per mio gusto, ho apprezzato parecchio anche la caratterizzazione della protagonista: Cecilia riesce ad essere divertente con i suoi commenti sagaci, senza però trasformarsi in una caricatura; mi è piaciuto molto anche il suo modo intelligente di rapportarsi con i subordinati e come l'autrice sia riuscita a veicolare la tematica dei problemi alimentare attraverso il suo punto di vista, con delicatezza ma senza la volontà di edulcorare a tutti i costi la realtà. Pur non essendo una lettrice particolarmente veloce, ho trovato poi la prosa di Tedesco scorrevole ed accattivante, tanto da faticare a posare il libro per la curiosità di arrivare al finale.
Un finale che purtroppo non mi ha convinto appieno, soprattutto per l'eccessiva rapidità con cui viene spiegato il mistero e per la sovrabbondanza di indizi nei confronti di un personaggio in particolare. A rendere in alcuni elementi prevedibile la risoluzione è anche la caratterizzazione di buona parte dei personaggi secondari, che spesso sembrano delle macchiette bidimensionali; e questo svilisce un po' la credibilità della narrazione.
Un altro tasto parzialmente dolente è rappresentato dai dialoghi, che più volte si dimostrano eccessivamente formali, con battute tanto compassate da annullare per un attimo la sospensione dell'incredulità. Una simile sensazione di straniamento è data dai commenti di Cecilia: per quanto sia carino poter leggere le sue riflessioni senza filtro, in alcuni casi sembra rivolgersi in modo diretto al lettore, e questo spezza la coerenza narrativa. Vista l'importanza data poi alla sua storia personale, mi sarei aspettata che questa avesse un ruolo centrale nella risoluzione del giallo; può sempre darsi che questa sottotrama sia stata pensata per essere ripresa in eventuali sequel, chissà? Nel qual caso, non mi spiacerebbe affatto fare ritorno a Roccia Marina.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Percepisco tutti gli occhi su di me, nessuno si azzarda più a fiatare. Mi soffermo sui presenti perché, oltre ad alcuni collaboratori del commissariato, ci sono sei persone: due donne e quattro uomini. Sei facce, c'è un assassino tra loro?"
CLUEDO: SHIP EDITION
Questa estate ho avuto modo di conoscere Scatole Parlanti con "L'eredità dei Taylor" di Francesca Pasqualone, che mi ha permesso di apprezzare la cura grafica e l'attenzione per i giovani talenti nostrani di questa casa editrice. Sono stata quindi entusiasta della proposta di leggere un altro titolo dal loro catalogo; così ho scoperto "Nuvole grigie", un romanzo che mi ha incuriosito con la stupenda copertina e convinto grazie ad una trama accattivante, nonché decisamente nelle mie corde.
L'intreccio ricorda indubbiamente i tipici enigmi della camera chiusa, con una variante marinara: ci troviamo a Roccia Marina, una cittadina costiera immaginaria nella provincia di Cosenza dove, un lunedì mattina d'estate, un gruppo di sei persone arriva al commissariato per denunciare la morte dello stimato cardiologo Maurizio Righetti, avvenuta in mare aperto durante una gita in yacht. A capo delle indagini si ritrova il commissario Cecilia Orlandi, della quale leggiamo il POV in prima persona -mentre porta avanti gli interrogatori- alternato ai flashback in terza persona tramite i quali gli altri personaggi ricostruiscono gli eventi del fatidico finesettimana.
Si compone così una narrazione parecchio dinamica ed interessante, che spinge il lettore ad interrogarsi sull'onestà delle diverse dichiarazioni, senza però dover ricorrere a momenti d'azione o passaggi ricchi di adrenalina. Di fatto, Cecilia riesce a scoprire la verità senza doversi allontanare dal commissariato, ragionando semplicemente su quanto riportato dai testimoni e su pochi altri elementi forniti dai suoi collaboratori; in questo mi ha ricordato gli investigatori classici come Poirot, che non hanno bisogno di essere coinvolti in scene rocambolesche per consegnare il colpevole alla giustizia. L'indagine mi ha convinto anche per la verosimiglianza con cui viene illustrata in ogni suo passaggio, dimostrazione di un valido lavoro di ricerca alla base.
Per mio gusto, ho apprezzato parecchio anche la caratterizzazione della protagonista: Cecilia riesce ad essere divertente con i suoi commenti sagaci, senza però trasformarsi in una caricatura; mi è piaciuto molto anche il suo modo intelligente di rapportarsi con i subordinati e come l'autrice sia riuscita a veicolare la tematica dei problemi alimentare attraverso il suo punto di vista, con delicatezza ma senza la volontà di edulcorare a tutti i costi la realtà. Pur non essendo una lettrice particolarmente veloce, ho trovato poi la prosa di Tedesco scorrevole ed accattivante, tanto da faticare a posare il libro per la curiosità di arrivare al finale.
Un finale che purtroppo non mi ha convinto appieno, soprattutto per l'eccessiva rapidità con cui viene spiegato il mistero e per la sovrabbondanza di indizi nei confronti di un personaggio in particolare. A rendere in alcuni elementi prevedibile la risoluzione è anche la caratterizzazione di buona parte dei personaggi secondari, che spesso sembrano delle macchiette bidimensionali; e questo svilisce un po' la credibilità della narrazione.
Un altro tasto parzialmente dolente è rappresentato dai dialoghi, che più volte si dimostrano eccessivamente formali, con battute tanto compassate da annullare per un attimo la sospensione dell'incredulità. Una simile sensazione di straniamento è data dai commenti di Cecilia: per quanto sia carino poter leggere le sue riflessioni senza filtro, in alcuni casi sembra rivolgersi in modo diretto al lettore, e questo spezza la coerenza narrativa. Vista l'importanza data poi alla sua storia personale, mi sarei aspettata che questa avesse un ruolo centrale nella risoluzione del giallo; può sempre darsi che questa sottotrama sia stata pensata per essere ripresa in eventuali sequel, chissà? Nel qual caso, non mi spiacerebbe affatto fare ritorno a Roccia Marina.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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lunedì 30 ottobre 2023
"Scheletri" di Stephen King
Scheletri by Stephen King
My rating: 4 of 5 stars
"Urlava e si straziava gli occhi che avevano visto quanto non si poteva vedere per sempre e sempre; disse dell'altro e poi si mise a urlare"
PAURA: VENTIDUE VARIAZIONI SUL TEMA
Terza antologia pubblicata dal caro Stephen, "Scheletri" è composta da ben 22 storie che spaziano su un ampio range di generi, ambientazioni e toni. Come per le precedenti raccolte dell'autore, ho pensato di scrivere dei commenti specifici ed assegnare delle valutazioni individuali per ogni narrazione; il voto dato al volume nel suo insieme è invece il risultato della media, arrotondato per eccesso. Ed il merito va tutto a "L'arte di sopravvivere", con ogni probabilità!
"La nebbia" - tre stelline e mezza
L'unica novella all'interno della raccolta (tanto da essere disponibile anche come volume singolo) si ambienta nei pressi di Long Lake, nel Maine. Protagonista e voce narrante è l'illustratore David "Dave" Drayton, che si trova a vivere una specie di odissea con il figlioletto Billy "Big Bill" quando una strana nebbia popolata da creature lovecraftiane cala sulla città. Una lettura inquietante nei momenti di calma e terrificante quando i mostri attaccano i personaggi, che si basa su una premessa narrativa decisamente accattivante. Purtroppo il tono non mi ha convinto per nulla: sarà colpa del POV scelto o dello straniamento che colpisce i personaggi, ma comunque sia questi cambi repentini incidono sulla credibilità della storia. Non mi è piaciuta affatto neanche l'introduzione di una sottotrama "romance" del tutto evitabile e la scelta di dare tanto rilievo ad elementi e caratteri poi eliminati o dimenticati senza troppi pensieri.
"Tigri!" - due stelline
Raccontino ambientato in una scuola elementare in cui il piccolo Charles vive nel terrore della signorina Bird, un'insegnante particolarmente interessata al lessico utilizzato dai suoi alunni, anche per frasi comuni come la richiesta di andare al bagno. Una storia che con tutta la buona volontà non sono proprio riuscita a capire: fino ad un certo punto potrebbe sembrare una sorta di metafora delle paure del protagonista, ma poi tutto diventa fin troppo bizzarro. La brevità del testo ed il finale inconcludente non aiutano a farsi un'idea più chiara.
"La scimmia" - quattro stelline e mezza
La storia che ha ispirato la copertina originale della raccolta è incentrata su un giocattolo per bambini, in particolare una scimmia a molla; questo oggetto perseguita fin dall'infanzia Hal Shelbrun, causando la morte di una persona o di un animale a lui cari ogni volta che batte i piatti. Tornato dopo anni nella casa della sua infanzia, l'uomo si ritrova davanti l'odiato giocattolo e deve fare il possibile per evitare che la sua famiglia venga presa di mira. Una premessa che ho trovato davvero intrigante e ben sviluppata, mostrando come la tensione causata dalla presenza della scimmia rendesse anche Hal violento e irascibile; molto interessante anche l'intreccio dell'azione nel presente con i piccoli flashback che raccontano gli attacchi precedenti del giocattolo. L'unica pecca è rappresentata dai momenti horror che non sono davvero tali: mi aspettavo più tensione, specialmente nel finale.
"Caino scatenato" - quattro stelline
Un altro racconto decisamente bizzarro collegato al mondo della scuola, che però in questo caso mi ha convinto. Siamo nel campus di un college e gli studenti stanno sgomberando le loro stanze per tornare a casa durante le vacanze; Curt Garrish però ha altri progetti, progetti che includono un fucile con mirino di precisione. Entrare nell'ottica di questo racconto non è facilissimo, così come accettare che finisca praticamente quando sei appena riuscito a farti un'idea della situazione. In compenso abbiamo una prospettiva unica -e non poco disturbante-, oltre ad una prosa che trasmette benissimo la sensazione della follia implacabile di Garrish.
"La scorciatoia della signora Todd" - due stelline e mezza
Il primo racconto che ci porta a Castle Rock, una località ben nota ai lettori del caro Stephen, dove troviamo il guardiano Homer Buckland impegnato a raccontare all'amico Dave Owens alcuni eventi bizzarri legati alla prima moglie di Worth Todd, Phelia. La donna aveva una grande passione per la guida, ed in particolare per esplorare nuove scorciatoie, che attraversano però dei luoghi quasi fantastici. Di questa storia ho apprezzato molto l'idea dei passaggi fatati in cui ci si può facilmente perdere, che permettono di viaggiare più rapidi ma possono anche essere parecchio pericolosi. Il modo in cui si arriva a trattare questo argomento però è bocciato: un antefatto troppo prolisso, riferimenti mitologici casuali e meno gore di quanto mi sarei aspettata.
"Il Viaggio" - tre stelline
Una storia che parte da un contesto decisamente fantascientifico: in un futuro lontano diverse centinaia di anni Mark Oates sta per trasferirsi su Marte con la sua famiglia per motivi di lavoro; mentre aspettano di poter partire, l'uomo decide di distrarre i figli raccontando di come lo scienziato squattrinato Victor Carune abbia inventato il Viaggio (una sorta di teletrasporto) negli anni Ottanta. Seppur abbozzato, il lato fantascientifico mi ha convinto, così come la scelta di alternare il punto di vista di Carune a quello di Mark; anche il finale risulta d'impatto e parecchio disturbante. Il world building però è a dir poco raffazzonato, inoltre diversi personaggi hanno comportamenti inspiegabili.
"Marcia nuziale" - una stellina e mezza
Ambientato durante gli anni del proibizionismo, questo racconto ricalca fedelmente gli stereotipi del mondo malavitoso dell'epoca. La narrazione è portata avanti da un anonimo musicista che viene ingaggiato con la sua band dal mafioso Mike Scollay, per intrattenere gli ospiti durante il matrimonio della sorella Maureen. La caratterizzazione di quest'ultima è purtroppo l'unico elemento che ho apprezzato; se la sua storia avesse avuto più spazio, forse mi sarebbe piaciuto di più. Il contesto storico e sociale descritto non è di mio gusto, e questo mi ha impedito di digerire le continue osservazioni grassofobiche e xenofobe del narratore; inoltre, la storia prosegue con un ritmo troppo veloce, impedendo di apprezzare la trama stessa.
"Ode del paranoide" - quattro stelline
Nella prima opera in versi dell'antologia, King descrive i pensieri di un uomo affetto dal disturbo paranoide della personalità e per questo convinto di essere controllato e minacciato di morte da numerosi agenti dell'FBI. Non leggendo praticamente mai poesie, non mi sento in grado di valutare la qualità del testo da questo punto di vista. In compenso, credo che queste poche pagine sappiano rendere molto bene l'ossessività ed il progressivo deterioramento delle riflessioni di una persona malata, tratteggiando delle idee sempre più folli.
"La zattera" - quattro stelline e mezza
Forse una delle storie più inquietanti presenti in questa antologia ci porta su una zattera ancorata su Cascade Lake; qui quattro amici intendono passare una serata assieme, ma notano ben presto una strana macchia iridescente nell'acqua, che sembra aspettare solo di poterli ghermire uno dopo l'altro. Tutti gli elementi di questo racconto mi hanno convinto: personaggi e dinamiche, ritmo e sviluppo, tensione e gore. E allora cosa mi ha impedito di dargli il massimo della valutazione? ovviamente la parentesi "romance", non solo inutile ma prova provata di quanto siano scombinate le priorità del protagonista Randy "Pacho".
"Il word processor degli dei" - tre stelline
Un altro esempio di storia dal potenziale interessante, con un'esecuzione poco soddisfacente. L'insegnante ed aspirante scrittore Richard Hagstrom riceve un regalo postumo dal nipote Jonathan "Jon"; si tratta di un word processor assemblato dal ragazzo utilizzando materiali di scarto, ma che rivela di poter non solo computare testi: è anche una lampada del genio tecnologica, perché ogni frase scritta o cancellata altera la realtà. La brevità del testo rende purtroppo banale un racconto decisamente promettente, perché in così poche pagine non si percepisce quasi nulla del conflitto interiore che dovrebbe turbare il protagonista, e anche gli altri personaggi vengono ridotti a macchiette di poco conto.
"L'uomo che non voleva stringere la mano" - quattro stelline e mezza
Seguito dichiarato de "Il metodo di respirazione" -ultima novella della raccolta "Stagioni diverse"-, anche questo racconto si apre sul misterioso club manhattanito del 249B, dove ritroviamo tra gli avventori l'avvocato David Adley, e dove continua a prestare servizio il solerte maggiordomo Stevens. La storia questa volta viene raccontata da George Gregson e riguarda Henry Brower, un uomo tormentato con cui decenni prima giocò a poker proprio nel club. Pur nei limiti semplicistici di una narrazione così breve, devo dire di aver apprezzato parecchio sia l'idea alla base che il modo in cui è stata concretizzata. Buona anche la risoluzione finale e la scelta di sfruttare il concept già presentato del club: sarebbe stato un peccato relegarlo ad un'unica novella, anzi non mi spiacerebbe se l'autore l'avesse ripescato anche in storie più corpose.
"Sabbiature" - tre stelline e mezza
Racconto di stampo fantascientifico abbastanza classico ambientato su un pianeta ricoperto interamente di sabbia sul quale precipita la nave federale ASN/29; Bill Shapiro e Rand riescono a salvarsi, ma quest'ultimo finisce ben presto per essere ammaliato dalle pericolose dune dell'interminabile deserto. Generalmente non apprezzo le narrazioni sci-fi di questo tipo, ma devo ammettere che la svolta horror non mi è dispiaciuta per nulla, così come l'angosciante conclusione. Certo, sarebbe stato carino spendere qualche parola in più per delineare i personaggi e dare qualche elemento di world building, ma nel complesso lo promuovo tranquillamente.
"L'immagine della Falciatrice" - quattro stelline
Scritto da un giovanissimo King, questo raccontino si concentra sul dialogo tra il collezionista Johnson Spangler ed il curatore Carlin, che gli sta per mostrare un raro specchio Delver di epoca elisabettiana. L'oggetto è estremamente bello e prezioso, ma porta con sé una fama sinistra: alcune persone vedono nel riflesso la Falciatrice e ne vengono come segnati. Uno spunto non particolarmente brillante ma ben gestito, con un crescendo di tensione interessante. Ammetto di avere un soft spot per i vecchi oggetti maledetti, e questo da un lato mi ha fatto provare subito simpatia per la storia, ma dall'altro ha creato dell'aspettativa per una conclusione più d'impatto che a conti fatti manca.
"Nona" - cinque stelline
La seconda storia collegata a Castle Rock, con riferimenti netti alla novella "Il corpo", vede come protagonista e voce narrante un anonimo studente universitario, che si trova a fare l'autostop nei pressi della fittizia città del Maine; inizialmente presentato come un personaggio dal carattere mite, lo vediamo degenerare e trasformarsi in un uomo estremamente violento, e questo è associato all'incontro con una ragazza di nome Nona. Su questo racconto non ho nulla da eccepire: le tempistiche sono ottime, la scrittura del protagonista è contorta e disturbante al punto giusto, l'alternarsi di passato e presente rende tutto più interessante, ma soprattutto gli elementi horror che ci vengono promessi sono poi effettivamente mantenuti, risultando shockanti ed essenziali per la trama.
"Per Owen" - due stelline
Poesia ancor più breve della prima, dedicata in questo caso al figlio minore di King ed incentrata su un dialogo tra i due. L'autore sta accompagnando il bambino a scuola, e Owen immagina una scuola diversa, nella quale gli studenti sono dei frutti antropomorfi. In questo caso, oltre a non poter valutare la lettura da un punto di vista analitico -non essendo per nulla abituata a leggere ed analizzare testi in versi- mi sento in difficoltà anche a dare un parere soggettivo: a parte mettere su carta un bel momento di condivisione con il figlio, non ho visto significati ulteriori nel testo.
"L'arte di sopravvivere" - cinque stelline
Una storia che presenta due tropes narrativi tra i miei preferiti (ma che non posso menzionare per evitare spoiler), e per questo è partita decisamente avvantaggiata. Il racconto è impostato come un diario tenuto dal chirurgo Richard "Pine" Pinzetti, che si trova intrappolato su un'isola deserta dopo il naufragio della nave Callas, sulla quale stava viaggiando con due pacchetti di eroina da importare negli Stati Uniti. La narrazione ha un tono conturbante e ossessivo, che rende bene i pensieri del protagonista e contribuisce a delineare un carattere verosimile e memorabile. Ho trovato poi molto interessante il modo in cui viene strutturato l'intreccio, analizzando i limiti della mente di Richard: adoro leggere storie estreme di sopravvivenza proprio per vedere fino a che punto il personaggio di turno sia disposto ad arrivare.
"Il camion di zio Otto" - quattro stelline e mezza
Si torna nuovamente nei confini dell'inquietante Castle Rock con una storia di vendette e maledizioni incentrato su un vecchio camioncino Cresswell rosso, divenuto proprietà di Otto Schenck -zio del nostro narratore Quentin- dopo la morte del suo socio George McCutcheon; una morte tanto improvvisa quanto spaventosa. Grazie ad un ritmo impeccabile, il racconto riesce a creare un ottimo crescendo nella tensione narrativa, che raggiunge il suo culmine nel rivoltante finale. In sostanza, è una storia horror che svolge egregiamente il suo compito, anche a livello di ambientazione; forse si poteva dare giusto un po' di spazio in più alla caratterizzazione dei personaggi.
"Consegne mattutine (Lattaio N.1)" - due stelline e mezza
Un raccontino principalmente atmosferico che ci porta in una placida cittadina della Pennsylvania; il lattaio Spike Milligan è impegnato ad effettuare le sue consegne mattutine di latte ed altre bevande, arricchite di volta in volta con inaspettate sorprese. Una storia che riesce a dare vita ad un'interessante transizione dalla tranquillità iniziale all'angoscia dell'epilogo. L'idea di base ha inoltre del potenziale, nonostante questo non venga sfruttato al massimo. Mi sarebbe poi piaciuto ricevere qualche chiarimento in più sulle motivazioni di Spike o magari delle informazioni relative al suo passato, ma per quelli bisogna aspettare il racconto successivo (o forse no?).
"Quattroruote: la storia dei bei lavanderini (Lattaio N.2)" - due stelline
In questo seguito alla storia precedente, seguiamo Johnny "Rocky" Rockwell e Leo, operai di una lavanderia; Rocky sta cercando un'officina che revisioni in tempo la sua auto, e per fortuna si imbatte nel garage di Bob "Calze Dure" Driscoll, un suo vecchio compagno di scuola. Attraverso le riflessioni di Rocky ed altri accenni nel testo, veniamo a sapere che lui conosce Spike Milligan e lo crede un serial killer. Se il primo racconto non riusciva a gestire al meglio lo spunto, qui abbiamo uno spreco di potenziale ancora maggiore: in queste poche pagine c'era materiale per ricavare almeno una novella sostanziosa, che chiarisse meglio le backstory dei vari personaggi ed inquadrasse in modo più netto cause ed effetti delle vicende narrate. Capisco l'intenzione di giocare sul detto/non detto, ma credo che in questo caso la fretta abbia rovinato una storia davvero intrigante.
"La nonna" - quattro stelline e mezza
Nell'ultima capatina a Castle Rock di questa antologia, vediamo l'undicenne George Bruckner costretto a rimanere a casa da solo con l'anziana nonna, della quale lui ha sempre avuto paura. Il racconto crea degli ottimi momenti di tensione, resi ancor più spaventosi perché filtrati dalla prospettiva di un ragazzino che viene influenzato dai commenti sentiti nel corso degli anni. Promuovo anche la caratterizzazione di George ed il modo in cui viene conclusa la sua avventura. Il lato paranormale invece scricchiola un po': rispetto al resto, sembra parecchio caricaturale.
"La ballata della pallottola flessibile" - quattro stelline
Un meta-racconto che ruota attorno al mondo dell'editoria: ad una festa in giardino il redattore Henry Wilson inizia quasi per caso a raccontare la storia di Reg Thorpe -una sorta di autore maledetto, morto suicida anni prima-, soffermandosi in particolare sulla loro corrispondenza dai toni morbosi e sull'ossessione condivisa per i Fornit, folletti che vivono all'interno delle macchine per scrivere. Di questa lettura ho apprezzato sia l'espediente sia lo svilupparsi dell'intreccio, che lascia fino alla fine il lettore nel dubbio sulla veridicità delle parole di Henry. Non mi hanno invece convinto la caratterizzazione di quasi tutti i personaggi femminili (escludere alcune linee di testo avrebbe risolto facilmente il problema) e l'elemento fantastico, forse un po' troppo infantile per adattarsi bene al contesto spaventoso.
"Il Braccio" - quattro stelline e mezza
Nell'ultima storia ci avventuriamo nel fiume Willamette, nei pressi di Portland, approdando sull'Isola delle Capre; qui vive una comunità immaginaria molto chiusa, che ha sempre risolto da sé i propri problemi. La protagonista Stella Flanders è la più anziana residente dell'isola, che non ha mai lasciato per raggiungere la terraferma. Meno spaventoso di altri, questo racconto si sofferma maggiormente sull'elemento emotivo: abbiamo sì un potenziale lato paranormale (legato in particolare agli spiriti dei defunti), ma l'attenzione è posta sulla perdita delle persone care e sulla solitudine. La mia valutazione non è data soltanto dall'emotività: trovo validi anche la caratterizzazione di Stella ed il modo in cui King ha tratteggiato la piccola comunità isolana; non siamo ai livelli di Derry, ma ci andiamo abbastanza vicini.
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My rating: 4 of 5 stars
"Urlava e si straziava gli occhi che avevano visto quanto non si poteva vedere per sempre e sempre; disse dell'altro e poi si mise a urlare"
PAURA: VENTIDUE VARIAZIONI SUL TEMA
Terza antologia pubblicata dal caro Stephen, "Scheletri" è composta da ben 22 storie che spaziano su un ampio range di generi, ambientazioni e toni. Come per le precedenti raccolte dell'autore, ho pensato di scrivere dei commenti specifici ed assegnare delle valutazioni individuali per ogni narrazione; il voto dato al volume nel suo insieme è invece il risultato della media, arrotondato per eccesso. Ed il merito va tutto a "L'arte di sopravvivere", con ogni probabilità!
"La nebbia" - tre stelline e mezza
L'unica novella all'interno della raccolta (tanto da essere disponibile anche come volume singolo) si ambienta nei pressi di Long Lake, nel Maine. Protagonista e voce narrante è l'illustratore David "Dave" Drayton, che si trova a vivere una specie di odissea con il figlioletto Billy "Big Bill" quando una strana nebbia popolata da creature lovecraftiane cala sulla città. Una lettura inquietante nei momenti di calma e terrificante quando i mostri attaccano i personaggi, che si basa su una premessa narrativa decisamente accattivante. Purtroppo il tono non mi ha convinto per nulla: sarà colpa del POV scelto o dello straniamento che colpisce i personaggi, ma comunque sia questi cambi repentini incidono sulla credibilità della storia. Non mi è piaciuta affatto neanche l'introduzione di una sottotrama "romance" del tutto evitabile e la scelta di dare tanto rilievo ad elementi e caratteri poi eliminati o dimenticati senza troppi pensieri.
"Tigri!" - due stelline
Raccontino ambientato in una scuola elementare in cui il piccolo Charles vive nel terrore della signorina Bird, un'insegnante particolarmente interessata al lessico utilizzato dai suoi alunni, anche per frasi comuni come la richiesta di andare al bagno. Una storia che con tutta la buona volontà non sono proprio riuscita a capire: fino ad un certo punto potrebbe sembrare una sorta di metafora delle paure del protagonista, ma poi tutto diventa fin troppo bizzarro. La brevità del testo ed il finale inconcludente non aiutano a farsi un'idea più chiara.
"La scimmia" - quattro stelline e mezza
La storia che ha ispirato la copertina originale della raccolta è incentrata su un giocattolo per bambini, in particolare una scimmia a molla; questo oggetto perseguita fin dall'infanzia Hal Shelbrun, causando la morte di una persona o di un animale a lui cari ogni volta che batte i piatti. Tornato dopo anni nella casa della sua infanzia, l'uomo si ritrova davanti l'odiato giocattolo e deve fare il possibile per evitare che la sua famiglia venga presa di mira. Una premessa che ho trovato davvero intrigante e ben sviluppata, mostrando come la tensione causata dalla presenza della scimmia rendesse anche Hal violento e irascibile; molto interessante anche l'intreccio dell'azione nel presente con i piccoli flashback che raccontano gli attacchi precedenti del giocattolo. L'unica pecca è rappresentata dai momenti horror che non sono davvero tali: mi aspettavo più tensione, specialmente nel finale.
"Caino scatenato" - quattro stelline
Un altro racconto decisamente bizzarro collegato al mondo della scuola, che però in questo caso mi ha convinto. Siamo nel campus di un college e gli studenti stanno sgomberando le loro stanze per tornare a casa durante le vacanze; Curt Garrish però ha altri progetti, progetti che includono un fucile con mirino di precisione. Entrare nell'ottica di questo racconto non è facilissimo, così come accettare che finisca praticamente quando sei appena riuscito a farti un'idea della situazione. In compenso abbiamo una prospettiva unica -e non poco disturbante-, oltre ad una prosa che trasmette benissimo la sensazione della follia implacabile di Garrish.
"La scorciatoia della signora Todd" - due stelline e mezza
Il primo racconto che ci porta a Castle Rock, una località ben nota ai lettori del caro Stephen, dove troviamo il guardiano Homer Buckland impegnato a raccontare all'amico Dave Owens alcuni eventi bizzarri legati alla prima moglie di Worth Todd, Phelia. La donna aveva una grande passione per la guida, ed in particolare per esplorare nuove scorciatoie, che attraversano però dei luoghi quasi fantastici. Di questa storia ho apprezzato molto l'idea dei passaggi fatati in cui ci si può facilmente perdere, che permettono di viaggiare più rapidi ma possono anche essere parecchio pericolosi. Il modo in cui si arriva a trattare questo argomento però è bocciato: un antefatto troppo prolisso, riferimenti mitologici casuali e meno gore di quanto mi sarei aspettata.
"Il Viaggio" - tre stelline
Una storia che parte da un contesto decisamente fantascientifico: in un futuro lontano diverse centinaia di anni Mark Oates sta per trasferirsi su Marte con la sua famiglia per motivi di lavoro; mentre aspettano di poter partire, l'uomo decide di distrarre i figli raccontando di come lo scienziato squattrinato Victor Carune abbia inventato il Viaggio (una sorta di teletrasporto) negli anni Ottanta. Seppur abbozzato, il lato fantascientifico mi ha convinto, così come la scelta di alternare il punto di vista di Carune a quello di Mark; anche il finale risulta d'impatto e parecchio disturbante. Il world building però è a dir poco raffazzonato, inoltre diversi personaggi hanno comportamenti inspiegabili.
"Marcia nuziale" - una stellina e mezza
Ambientato durante gli anni del proibizionismo, questo racconto ricalca fedelmente gli stereotipi del mondo malavitoso dell'epoca. La narrazione è portata avanti da un anonimo musicista che viene ingaggiato con la sua band dal mafioso Mike Scollay, per intrattenere gli ospiti durante il matrimonio della sorella Maureen. La caratterizzazione di quest'ultima è purtroppo l'unico elemento che ho apprezzato; se la sua storia avesse avuto più spazio, forse mi sarebbe piaciuto di più. Il contesto storico e sociale descritto non è di mio gusto, e questo mi ha impedito di digerire le continue osservazioni grassofobiche e xenofobe del narratore; inoltre, la storia prosegue con un ritmo troppo veloce, impedendo di apprezzare la trama stessa.
"Ode del paranoide" - quattro stelline
Nella prima opera in versi dell'antologia, King descrive i pensieri di un uomo affetto dal disturbo paranoide della personalità e per questo convinto di essere controllato e minacciato di morte da numerosi agenti dell'FBI. Non leggendo praticamente mai poesie, non mi sento in grado di valutare la qualità del testo da questo punto di vista. In compenso, credo che queste poche pagine sappiano rendere molto bene l'ossessività ed il progressivo deterioramento delle riflessioni di una persona malata, tratteggiando delle idee sempre più folli.
"La zattera" - quattro stelline e mezza
Forse una delle storie più inquietanti presenti in questa antologia ci porta su una zattera ancorata su Cascade Lake; qui quattro amici intendono passare una serata assieme, ma notano ben presto una strana macchia iridescente nell'acqua, che sembra aspettare solo di poterli ghermire uno dopo l'altro. Tutti gli elementi di questo racconto mi hanno convinto: personaggi e dinamiche, ritmo e sviluppo, tensione e gore. E allora cosa mi ha impedito di dargli il massimo della valutazione? ovviamente la parentesi "romance", non solo inutile ma prova provata di quanto siano scombinate le priorità del protagonista Randy "Pacho".
"Il word processor degli dei" - tre stelline
Un altro esempio di storia dal potenziale interessante, con un'esecuzione poco soddisfacente. L'insegnante ed aspirante scrittore Richard Hagstrom riceve un regalo postumo dal nipote Jonathan "Jon"; si tratta di un word processor assemblato dal ragazzo utilizzando materiali di scarto, ma che rivela di poter non solo computare testi: è anche una lampada del genio tecnologica, perché ogni frase scritta o cancellata altera la realtà. La brevità del testo rende purtroppo banale un racconto decisamente promettente, perché in così poche pagine non si percepisce quasi nulla del conflitto interiore che dovrebbe turbare il protagonista, e anche gli altri personaggi vengono ridotti a macchiette di poco conto.
"L'uomo che non voleva stringere la mano" - quattro stelline e mezza
Seguito dichiarato de "Il metodo di respirazione" -ultima novella della raccolta "Stagioni diverse"-, anche questo racconto si apre sul misterioso club manhattanito del 249B, dove ritroviamo tra gli avventori l'avvocato David Adley, e dove continua a prestare servizio il solerte maggiordomo Stevens. La storia questa volta viene raccontata da George Gregson e riguarda Henry Brower, un uomo tormentato con cui decenni prima giocò a poker proprio nel club. Pur nei limiti semplicistici di una narrazione così breve, devo dire di aver apprezzato parecchio sia l'idea alla base che il modo in cui è stata concretizzata. Buona anche la risoluzione finale e la scelta di sfruttare il concept già presentato del club: sarebbe stato un peccato relegarlo ad un'unica novella, anzi non mi spiacerebbe se l'autore l'avesse ripescato anche in storie più corpose.
"Sabbiature" - tre stelline e mezza
Racconto di stampo fantascientifico abbastanza classico ambientato su un pianeta ricoperto interamente di sabbia sul quale precipita la nave federale ASN/29; Bill Shapiro e Rand riescono a salvarsi, ma quest'ultimo finisce ben presto per essere ammaliato dalle pericolose dune dell'interminabile deserto. Generalmente non apprezzo le narrazioni sci-fi di questo tipo, ma devo ammettere che la svolta horror non mi è dispiaciuta per nulla, così come l'angosciante conclusione. Certo, sarebbe stato carino spendere qualche parola in più per delineare i personaggi e dare qualche elemento di world building, ma nel complesso lo promuovo tranquillamente.
"L'immagine della Falciatrice" - quattro stelline
Scritto da un giovanissimo King, questo raccontino si concentra sul dialogo tra il collezionista Johnson Spangler ed il curatore Carlin, che gli sta per mostrare un raro specchio Delver di epoca elisabettiana. L'oggetto è estremamente bello e prezioso, ma porta con sé una fama sinistra: alcune persone vedono nel riflesso la Falciatrice e ne vengono come segnati. Uno spunto non particolarmente brillante ma ben gestito, con un crescendo di tensione interessante. Ammetto di avere un soft spot per i vecchi oggetti maledetti, e questo da un lato mi ha fatto provare subito simpatia per la storia, ma dall'altro ha creato dell'aspettativa per una conclusione più d'impatto che a conti fatti manca.
"Nona" - cinque stelline
La seconda storia collegata a Castle Rock, con riferimenti netti alla novella "Il corpo", vede come protagonista e voce narrante un anonimo studente universitario, che si trova a fare l'autostop nei pressi della fittizia città del Maine; inizialmente presentato come un personaggio dal carattere mite, lo vediamo degenerare e trasformarsi in un uomo estremamente violento, e questo è associato all'incontro con una ragazza di nome Nona. Su questo racconto non ho nulla da eccepire: le tempistiche sono ottime, la scrittura del protagonista è contorta e disturbante al punto giusto, l'alternarsi di passato e presente rende tutto più interessante, ma soprattutto gli elementi horror che ci vengono promessi sono poi effettivamente mantenuti, risultando shockanti ed essenziali per la trama.
"Per Owen" - due stelline
Poesia ancor più breve della prima, dedicata in questo caso al figlio minore di King ed incentrata su un dialogo tra i due. L'autore sta accompagnando il bambino a scuola, e Owen immagina una scuola diversa, nella quale gli studenti sono dei frutti antropomorfi. In questo caso, oltre a non poter valutare la lettura da un punto di vista analitico -non essendo per nulla abituata a leggere ed analizzare testi in versi- mi sento in difficoltà anche a dare un parere soggettivo: a parte mettere su carta un bel momento di condivisione con il figlio, non ho visto significati ulteriori nel testo.
"L'arte di sopravvivere" - cinque stelline
Una storia che presenta due tropes narrativi tra i miei preferiti (ma che non posso menzionare per evitare spoiler), e per questo è partita decisamente avvantaggiata. Il racconto è impostato come un diario tenuto dal chirurgo Richard "Pine" Pinzetti, che si trova intrappolato su un'isola deserta dopo il naufragio della nave Callas, sulla quale stava viaggiando con due pacchetti di eroina da importare negli Stati Uniti. La narrazione ha un tono conturbante e ossessivo, che rende bene i pensieri del protagonista e contribuisce a delineare un carattere verosimile e memorabile. Ho trovato poi molto interessante il modo in cui viene strutturato l'intreccio, analizzando i limiti della mente di Richard: adoro leggere storie estreme di sopravvivenza proprio per vedere fino a che punto il personaggio di turno sia disposto ad arrivare.
"Il camion di zio Otto" - quattro stelline e mezza
Si torna nuovamente nei confini dell'inquietante Castle Rock con una storia di vendette e maledizioni incentrato su un vecchio camioncino Cresswell rosso, divenuto proprietà di Otto Schenck -zio del nostro narratore Quentin- dopo la morte del suo socio George McCutcheon; una morte tanto improvvisa quanto spaventosa. Grazie ad un ritmo impeccabile, il racconto riesce a creare un ottimo crescendo nella tensione narrativa, che raggiunge il suo culmine nel rivoltante finale. In sostanza, è una storia horror che svolge egregiamente il suo compito, anche a livello di ambientazione; forse si poteva dare giusto un po' di spazio in più alla caratterizzazione dei personaggi.
"Consegne mattutine (Lattaio N.1)" - due stelline e mezza
Un raccontino principalmente atmosferico che ci porta in una placida cittadina della Pennsylvania; il lattaio Spike Milligan è impegnato ad effettuare le sue consegne mattutine di latte ed altre bevande, arricchite di volta in volta con inaspettate sorprese. Una storia che riesce a dare vita ad un'interessante transizione dalla tranquillità iniziale all'angoscia dell'epilogo. L'idea di base ha inoltre del potenziale, nonostante questo non venga sfruttato al massimo. Mi sarebbe poi piaciuto ricevere qualche chiarimento in più sulle motivazioni di Spike o magari delle informazioni relative al suo passato, ma per quelli bisogna aspettare il racconto successivo (o forse no?).
"Quattroruote: la storia dei bei lavanderini (Lattaio N.2)" - due stelline
In questo seguito alla storia precedente, seguiamo Johnny "Rocky" Rockwell e Leo, operai di una lavanderia; Rocky sta cercando un'officina che revisioni in tempo la sua auto, e per fortuna si imbatte nel garage di Bob "Calze Dure" Driscoll, un suo vecchio compagno di scuola. Attraverso le riflessioni di Rocky ed altri accenni nel testo, veniamo a sapere che lui conosce Spike Milligan e lo crede un serial killer. Se il primo racconto non riusciva a gestire al meglio lo spunto, qui abbiamo uno spreco di potenziale ancora maggiore: in queste poche pagine c'era materiale per ricavare almeno una novella sostanziosa, che chiarisse meglio le backstory dei vari personaggi ed inquadrasse in modo più netto cause ed effetti delle vicende narrate. Capisco l'intenzione di giocare sul detto/non detto, ma credo che in questo caso la fretta abbia rovinato una storia davvero intrigante.
"La nonna" - quattro stelline e mezza
Nell'ultima capatina a Castle Rock di questa antologia, vediamo l'undicenne George Bruckner costretto a rimanere a casa da solo con l'anziana nonna, della quale lui ha sempre avuto paura. Il racconto crea degli ottimi momenti di tensione, resi ancor più spaventosi perché filtrati dalla prospettiva di un ragazzino che viene influenzato dai commenti sentiti nel corso degli anni. Promuovo anche la caratterizzazione di George ed il modo in cui viene conclusa la sua avventura. Il lato paranormale invece scricchiola un po': rispetto al resto, sembra parecchio caricaturale.
"La ballata della pallottola flessibile" - quattro stelline
Un meta-racconto che ruota attorno al mondo dell'editoria: ad una festa in giardino il redattore Henry Wilson inizia quasi per caso a raccontare la storia di Reg Thorpe -una sorta di autore maledetto, morto suicida anni prima-, soffermandosi in particolare sulla loro corrispondenza dai toni morbosi e sull'ossessione condivisa per i Fornit, folletti che vivono all'interno delle macchine per scrivere. Di questa lettura ho apprezzato sia l'espediente sia lo svilupparsi dell'intreccio, che lascia fino alla fine il lettore nel dubbio sulla veridicità delle parole di Henry. Non mi hanno invece convinto la caratterizzazione di quasi tutti i personaggi femminili (escludere alcune linee di testo avrebbe risolto facilmente il problema) e l'elemento fantastico, forse un po' troppo infantile per adattarsi bene al contesto spaventoso.
"Il Braccio" - quattro stelline e mezza
Nell'ultima storia ci avventuriamo nel fiume Willamette, nei pressi di Portland, approdando sull'Isola delle Capre; qui vive una comunità immaginaria molto chiusa, che ha sempre risolto da sé i propri problemi. La protagonista Stella Flanders è la più anziana residente dell'isola, che non ha mai lasciato per raggiungere la terraferma. Meno spaventoso di altri, questo racconto si sofferma maggiormente sull'elemento emotivo: abbiamo sì un potenziale lato paranormale (legato in particolare agli spiriti dei defunti), ma l'attenzione è posta sulla perdita delle persone care e sulla solitudine. La mia valutazione non è data soltanto dall'emotività: trovo validi anche la caratterizzazione di Stella ed il modo in cui King ha tratteggiato la piccola comunità isolana; non siamo ai livelli di Derry, ma ci andiamo abbastanza vicini.
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giovedì 26 ottobre 2023
"Il vento soffia dove vuole" di Susanna Tamaro
Il vento soffia dove vuole by Susanna Tamaro
My rating: 4 of 5 stars
"Ogni tanto percepivo salire, all'interno del mio corpo, un vento gelido, lo stesso vento che ti investe all'imboccatura di una grotta"
ANTICONFORMISTA, MA NON TROPPO
Seconda parte della readalong dedicata a Susanna Tamaro, potremmo definire "Il vento soffia dove vuole" come il seguito ideale del suo celeberrimo "Va' dove ti porta il cuore". Infatti entrambi i volumi si presentano come degli epistolari, nei quali la voce narrante è quella di una donna non più giovanissima che desidera raccontare la sua esperienza di vita -e fornire qualche consiglio- ai familiari.
In questo caso la protagonista è la professoressa di biologia Chiara che, per la prima volta da anni, si trova a passare le vacanze natalizie a casa da sola. Non è stata però abbandonata dalla sua famiglia, anzi: lei stessa li ha incoraggiati a far visita agli amici e a dedicarsi ai loro hobby; nel mentre, lei si cimenterà nella stesura di tre lettere, da consegnare alle figlie -Alisha e Ginevra- ed al marito Davide. In ogni missiva, la donna ripercorre alcuni episodi del suo passato, svelando segreti e dispensando insegnamenti.
Proprio alcuni di questi insegnamenti rappresentano per me uno degli aspetti meno riusciti del volume; sarà una preferenza personale, ma i messaggi pro-life, le sviolinate al cattolicesimo e la demonizzazione del mondo contemporaneo (con tanto di endorsement ai cambiamenti climatici) mi hanno infastidita parecchio: ho avuto l'impressione che l'autrice ficcasse a forza alcune frasi in bocca alla sua protagonista per veicolare in modo evidente le proprie idee. A questi slogan irritanti si aggiungono le riflessioni nostalgiche di Chiara, indubbiamente utili per inquadrarla in quanto boomer, ma un po' pedanti e ripetitive. Per mio gusto non ho poi apprezzato la motivazione alla base di questo romanzo, nonostante sia gestita meglio rispetto al primo libro; proprio la corrispondenza tra i due mi ha dato la sensazione di una minestrina riscaldata.
Lasciando per un attimo da parte le mie impressioni, ho notato altre problematiche, come i dialoghi: non solo sono molto più presenti rispetto a "Va' dove ti porta il cuore" -rendendo poco credibile la finzione dell'epistolario-, ma si tratta molto spesso di battute artificiose e farcite di retorica, con il risultato di far sembrare i personaggi tutto fuorché spontanei. Non ho trovato per nulla riuscita poi la caratterizzazione di Davide che, a differenza degli altri personaggi, viene descritto in termini tanto idealizzati da renderlo a dir poco inverosimile. Inoltre questo non è un titolo che consiglierei a chi vuole un minimo di trama, perché le svolte in tal senso sono pochissime: ci si limita a seguire le vicende più o meno quotidiane di Chiara e della sua famiglia.
Quindi, per chi sarebbe invece una valida lettura? indubbiamente per i lettori che cercano una prosa sempre curata e ricca di metafore evocative, in questo caso legate soprattutto al mondo della natura. Lo apprezzerà molto anche chi ha un debole per i momenti potenti a livello emotivo, che qui vengono raccontati in modo da rendere decisamente credibile la voce narrante. In generale, è una lettura piacevole e dai toni misurati, che nonostante questa placidità riesce a trasmettere con chiarezza l'affetto profondo ed il legame familiare tra i personaggi.
Personaggi che dimostrano poi delle caratterizzazioni valide e non scontante come ci si potrebbe aspettare, perché più di uno rivela dei tratti imprevedibili. Come voce narrate poi Chiara è nettamente superiore ad Olga, anche soltanto perché cerca attivamente di mostrare empatia nei confronti della sua famiglia e non si limita ad enunciare una scusa dietro l'altra per i suoi errori. Anche se di errori veri e propri è difficile parlare in questa versione parmense della famiglia del Mulino Bianco!
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My rating: 4 of 5 stars
"Ogni tanto percepivo salire, all'interno del mio corpo, un vento gelido, lo stesso vento che ti investe all'imboccatura di una grotta"
ANTICONFORMISTA, MA NON TROPPO
Seconda parte della readalong dedicata a Susanna Tamaro, potremmo definire "Il vento soffia dove vuole" come il seguito ideale del suo celeberrimo "Va' dove ti porta il cuore". Infatti entrambi i volumi si presentano come degli epistolari, nei quali la voce narrante è quella di una donna non più giovanissima che desidera raccontare la sua esperienza di vita -e fornire qualche consiglio- ai familiari.
In questo caso la protagonista è la professoressa di biologia Chiara che, per la prima volta da anni, si trova a passare le vacanze natalizie a casa da sola. Non è stata però abbandonata dalla sua famiglia, anzi: lei stessa li ha incoraggiati a far visita agli amici e a dedicarsi ai loro hobby; nel mentre, lei si cimenterà nella stesura di tre lettere, da consegnare alle figlie -Alisha e Ginevra- ed al marito Davide. In ogni missiva, la donna ripercorre alcuni episodi del suo passato, svelando segreti e dispensando insegnamenti.
Proprio alcuni di questi insegnamenti rappresentano per me uno degli aspetti meno riusciti del volume; sarà una preferenza personale, ma i messaggi pro-life, le sviolinate al cattolicesimo e la demonizzazione del mondo contemporaneo (con tanto di endorsement ai cambiamenti climatici) mi hanno infastidita parecchio: ho avuto l'impressione che l'autrice ficcasse a forza alcune frasi in bocca alla sua protagonista per veicolare in modo evidente le proprie idee. A questi slogan irritanti si aggiungono le riflessioni nostalgiche di Chiara, indubbiamente utili per inquadrarla in quanto boomer, ma un po' pedanti e ripetitive. Per mio gusto non ho poi apprezzato la motivazione alla base di questo romanzo, nonostante sia gestita meglio rispetto al primo libro; proprio la corrispondenza tra i due mi ha dato la sensazione di una minestrina riscaldata.
Lasciando per un attimo da parte le mie impressioni, ho notato altre problematiche, come i dialoghi: non solo sono molto più presenti rispetto a "Va' dove ti porta il cuore" -rendendo poco credibile la finzione dell'epistolario-, ma si tratta molto spesso di battute artificiose e farcite di retorica, con il risultato di far sembrare i personaggi tutto fuorché spontanei. Non ho trovato per nulla riuscita poi la caratterizzazione di Davide che, a differenza degli altri personaggi, viene descritto in termini tanto idealizzati da renderlo a dir poco inverosimile. Inoltre questo non è un titolo che consiglierei a chi vuole un minimo di trama, perché le svolte in tal senso sono pochissime: ci si limita a seguire le vicende più o meno quotidiane di Chiara e della sua famiglia.
Quindi, per chi sarebbe invece una valida lettura? indubbiamente per i lettori che cercano una prosa sempre curata e ricca di metafore evocative, in questo caso legate soprattutto al mondo della natura. Lo apprezzerà molto anche chi ha un debole per i momenti potenti a livello emotivo, che qui vengono raccontati in modo da rendere decisamente credibile la voce narrante. In generale, è una lettura piacevole e dai toni misurati, che nonostante questa placidità riesce a trasmettere con chiarezza l'affetto profondo ed il legame familiare tra i personaggi.
Personaggi che dimostrano poi delle caratterizzazioni valide e non scontante come ci si potrebbe aspettare, perché più di uno rivela dei tratti imprevedibili. Come voce narrate poi Chiara è nettamente superiore ad Olga, anche soltanto perché cerca attivamente di mostrare empatia nei confronti della sua famiglia e non si limita ad enunciare una scusa dietro l'altra per i suoi errori. Anche se di errori veri e propri è difficile parlare in questa versione parmense della famiglia del Mulino Bianco!
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lunedì 23 ottobre 2023
"L'ospite" di Sarah Waters
L'ospite by Sarah Waters
My rating: 5 of 5 stars
"Guardai nuovamente quei tre segni strani simili a bruciature e all'improvviso capii che erano come le ustioni sul volto e sulle mani di Rod. Era come se la casa stesse sviluppando delle cicatrici in risposta all'infelicità e alla frustrazione del padrone"
HORROR CLASSICO, ANGOSCIA ATTUALE
Con "L'ospite" sono arrivata a cinque libri della cara Sarah letti, cinque libri ai quali ho dato il massimo della valutazione. Vi chiederete forse perché io non li abbia recuperati tutti subito, dal momento che ho adorato alla follia la sua prosa dalla prima pagina di "Ladra"; la ragione è da ricercarsi nella mia propensione per la parsimonia: sapendo che ha scritto soltanto sei romanzi e -per il momento- non sembra essere in procinto di pubblicarne altri, ho stabilito di centellinare al più possibile la sua bibliografia. E per gustarmeli al massimo, li conservo sempre per la stagione autunnale, quando il talento dell'autrice nel tratteggiare location inquietanti e relazioni conflittuali rende al meglio.
Nella sua penultima opera, Waters ci porta una seconda volta nell'Inghilterra post-bellica, in particolare nella campagna dello Warwickshire dove sorge Hundreds Hall, l'imponente tenuta della famiglia Ayres. Qui il dottor Faraday -aka, il nostro narratore in prima persona- si reca all'inizio del volume, per curare la domestica Betty; nonostante l'appartenenza a due classi sociali diverse, questa prima visita farà nascere un'amicizia tra il medico e gli ultimi esponenti della famiglia Ayres: Angela -la vedova del Colonnello-, la figlia Caroline "Caro" ed il figlio Roderick "Rod". Quest'ultimo in particolare sta cercando di salvare la Hall da quello che pare un inevitabile tracollo economico e strutturale; la casa però non collabora, anzi sembra decisa a rendere impossibile la vita all'intera famiglia, prima con fastidiosi dispetti e poi con violenti attacchi.
Se conoscete un po' le narrazioni dell'autrice noterete subito degli elementi inusuali, in primis la presenza concreta di un lato fantastico, legato al poltergeist che sembrerebbe infestare Hundreds e turbare la tranquillità dei suoi abitanti. Nonostante l'inaspettata variatio, questo aspetto ha contributo ancor di più a tenermi incollata alle pagine, perché fino all'ultimo sono rimasta in dubbio sulla concretezza di quanto succedeva e sulla credibilità di ciò che i personaggi riferivano al narratore. Senza dubbio anche la prosa tanto scorrevole quanto curata di Waters ha contribuito attivamente a mantenere sempre vivo il mio interesse per questa storia.
La potenza dell'ambientazione, che nel caso dell'opprimente Hall diventa in pratica la vera protagonista della storia, invece me l'aspettavo. Allo stesso modo, mi aspettavo l'estrema verosimiglianza nella caratterizzazione dell'intero cast, composto da personaggi a tutto tondo tra i quali spicca la famiglia Ayres, e soprattutto Caroline della quale mi spiace veramente non sia presente il punto di vista perché è una personaggia dal carattere per nulla scontato, e si trova al centro di dinamiche molto interessanti. Non intendo però lamentarmi del POV di Faraday dal momento che fornisce una prospettiva particolare sia per quanto riguarda la natura dei rapporti che instaura con i diversi membri della famiglia Ayres, sia per il piglio critico con cui si approccia al paranormale, vista la sua attività di medico.
Tra stile, personaggi ed atmosfere impeccabili, l'unica critica che mi sento di muovere a questo libro è la limitatezza della trama; gli eventi che formano l'intreccio non sono per nulla imprevedibili, ma questo perché l'intenzione è quella di rimandare alle storie dei romanzi gotici vecchio stile. Anche il comportamento a tratti bizzarro degli Ayres -tanto attaccati alle tradizioni vittoriane da non potersi adeguare ad una realtà in cui il loro ruolo di aristocratici non ha più valore- risulta perfetto per definire una storia dal piglio moderno eppure in grado di trasmettere le stesse sensazioni di un classico ottocentesco.
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My rating: 5 of 5 stars
"Guardai nuovamente quei tre segni strani simili a bruciature e all'improvviso capii che erano come le ustioni sul volto e sulle mani di Rod. Era come se la casa stesse sviluppando delle cicatrici in risposta all'infelicità e alla frustrazione del padrone"
HORROR CLASSICO, ANGOSCIA ATTUALE
Con "L'ospite" sono arrivata a cinque libri della cara Sarah letti, cinque libri ai quali ho dato il massimo della valutazione. Vi chiederete forse perché io non li abbia recuperati tutti subito, dal momento che ho adorato alla follia la sua prosa dalla prima pagina di "Ladra"; la ragione è da ricercarsi nella mia propensione per la parsimonia: sapendo che ha scritto soltanto sei romanzi e -per il momento- non sembra essere in procinto di pubblicarne altri, ho stabilito di centellinare al più possibile la sua bibliografia. E per gustarmeli al massimo, li conservo sempre per la stagione autunnale, quando il talento dell'autrice nel tratteggiare location inquietanti e relazioni conflittuali rende al meglio.
Nella sua penultima opera, Waters ci porta una seconda volta nell'Inghilterra post-bellica, in particolare nella campagna dello Warwickshire dove sorge Hundreds Hall, l'imponente tenuta della famiglia Ayres. Qui il dottor Faraday -aka, il nostro narratore in prima persona- si reca all'inizio del volume, per curare la domestica Betty; nonostante l'appartenenza a due classi sociali diverse, questa prima visita farà nascere un'amicizia tra il medico e gli ultimi esponenti della famiglia Ayres: Angela -la vedova del Colonnello-, la figlia Caroline "Caro" ed il figlio Roderick "Rod". Quest'ultimo in particolare sta cercando di salvare la Hall da quello che pare un inevitabile tracollo economico e strutturale; la casa però non collabora, anzi sembra decisa a rendere impossibile la vita all'intera famiglia, prima con fastidiosi dispetti e poi con violenti attacchi.
Se conoscete un po' le narrazioni dell'autrice noterete subito degli elementi inusuali, in primis la presenza concreta di un lato fantastico, legato al poltergeist che sembrerebbe infestare Hundreds e turbare la tranquillità dei suoi abitanti. Nonostante l'inaspettata variatio, questo aspetto ha contributo ancor di più a tenermi incollata alle pagine, perché fino all'ultimo sono rimasta in dubbio sulla concretezza di quanto succedeva e sulla credibilità di ciò che i personaggi riferivano al narratore. Senza dubbio anche la prosa tanto scorrevole quanto curata di Waters ha contribuito attivamente a mantenere sempre vivo il mio interesse per questa storia.
La potenza dell'ambientazione, che nel caso dell'opprimente Hall diventa in pratica la vera protagonista della storia, invece me l'aspettavo. Allo stesso modo, mi aspettavo l'estrema verosimiglianza nella caratterizzazione dell'intero cast, composto da personaggi a tutto tondo tra i quali spicca la famiglia Ayres, e soprattutto Caroline della quale mi spiace veramente non sia presente il punto di vista perché è una personaggia dal carattere per nulla scontato, e si trova al centro di dinamiche molto interessanti. Non intendo però lamentarmi del POV di Faraday dal momento che fornisce una prospettiva particolare sia per quanto riguarda la natura dei rapporti che instaura con i diversi membri della famiglia Ayres, sia per il piglio critico con cui si approccia al paranormale, vista la sua attività di medico.
Tra stile, personaggi ed atmosfere impeccabili, l'unica critica che mi sento di muovere a questo libro è la limitatezza della trama; gli eventi che formano l'intreccio non sono per nulla imprevedibili, ma questo perché l'intenzione è quella di rimandare alle storie dei romanzi gotici vecchio stile. Anche il comportamento a tratti bizzarro degli Ayres -tanto attaccati alle tradizioni vittoriane da non potersi adeguare ad una realtà in cui il loro ruolo di aristocratici non ha più valore- risulta perfetto per definire una storia dal piglio moderno eppure in grado di trasmettere le stesse sensazioni di un classico ottocentesco.
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venerdì 20 ottobre 2023
"Joyland" di Stephen King
Joyland by Stephen King
My rating: 4 of 5 stars
"«Hai idea di che cosa vendiamo qui?»
Il ragazzino restò perplesso. «Biglietti per le giostre e i giochi?»
«Noi vendiamo divertimento. Ne vuoi un po'?»"
ERIN TRUE CRIME
Come rischiarare una nuvolosa e triste giornata autunnale? ma con un nuovo libro di uno tra i propri autori preferiti, ovviamente! Ecco perché, a dispetto di una TBR strabordante di titoli in attesa da anni, lustri e perfino decenni, ho deciso di scegliere "Joyland", approdato sui miei scaffali soltanto all'inizio di settembre come regalo molto gradito. Dal momento che il mio umore in effetti è migliorato, non rimpiango affatto di avergli dato la precedenza!
La narrazione è affidata allo studente universitario Devin "Dev" Jones che, nell'estate 1973, si trasferisce ad Heaven's Bay nella Carolina del Nord per lavorare come Allegro Aiutante nel parco divertimenti Joyland. Qui il giovane scopre che il Castello del Brivido è stato il teatro di un macabro delitto anni prima; decide per tanto di far luce sulla vicenda, dando finalmente pace allo spirito della vittima, che sembra infestare l'attrazione comparendo sporadicamente a visitatori e membri dello staff.
Pur essendomi gustata appieno questa lettura, non voglio nasconderne i difetti. Un primo problema è dato dalla sinossi, che confonde parecchio le idee su quale sia la storia da seguire ed anticipa troppe informazioni, arrivando addirittura a spoilerare un evento legato al finale! Comunque, la poca chiarezza della trama non è da imputarsi solamente a chi ha curato l'edizione: nella prima metà del volume infatti, vengono sottolineati degli elementi molto diversi tra loro, e per questo risulta difficile capire quale sia il filone narrativo principale.
Da un punto di vista più soggettivo, devo ammettere di non aver gradito più di tanto la parentesi romance, a mio avviso troppo fine a se stessa. Neppure il finale mi ha convinto appieno, perché lascia alcune sottotrame in sospeso, oppure fornisce una spiegazione poco chiara; e penso in particolare a come viene risolto il problema dell'infestazione spettrale.
Ma lasciamo da parte le lagnanze per concentrarci sugli aspetti più riusciti. Innanzitutto, ho apprezzato fin dalla prima riga il tono spigliato e irriverente del protagonista, ottimo per rappresentare un narratore maturo che guarda con ironia alla sua giovinezza. Mi hanno colpito in positivo poi le piccole anticipazioni che costellano l'intero romanzo, perché rendono più interessante la narrazione, creando dell'aspettativa. Dopo anni di lodi al caro Stephen sembra ormai superfluo, ma non posso che menzionare anche l'ottima caratterizzazione di protagonisti e comprimari, creati mescolando tratti inediti con qualche cliché, con il risultato di ottenere dei personaggi memorabili ed immediatamente accattivanti.
Personalmente mi è piaciuto molto il modo in cui viene rappresentata la crescita di Devin, all'inizio descritto come un ragazzo insicuro sul suo avvenire, che pian piano impara ad accettare i propri difetti ed a farsi forza dei sui pregi; la risoluzione che leggiamo nel finale è una bella metafora della sua neonata consapevolezza. Un'ulteriore elemento positivo a mio parere è dato dall'atmosfera, che risulta perfetta per la fine dell'estate, trasmettendo un senso quasi sognante di nostalgia. E probabilmente, proprio averlo letto in questo periodo dell'anno mi ha permesso di apprezzarlo così tanto.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"«Hai idea di che cosa vendiamo qui?»
Il ragazzino restò perplesso. «Biglietti per le giostre e i giochi?»
«Noi vendiamo divertimento. Ne vuoi un po'?»"
ERIN TRUE CRIME
Come rischiarare una nuvolosa e triste giornata autunnale? ma con un nuovo libro di uno tra i propri autori preferiti, ovviamente! Ecco perché, a dispetto di una TBR strabordante di titoli in attesa da anni, lustri e perfino decenni, ho deciso di scegliere "Joyland", approdato sui miei scaffali soltanto all'inizio di settembre come regalo molto gradito. Dal momento che il mio umore in effetti è migliorato, non rimpiango affatto di avergli dato la precedenza!
La narrazione è affidata allo studente universitario Devin "Dev" Jones che, nell'estate 1973, si trasferisce ad Heaven's Bay nella Carolina del Nord per lavorare come Allegro Aiutante nel parco divertimenti Joyland. Qui il giovane scopre che il Castello del Brivido è stato il teatro di un macabro delitto anni prima; decide per tanto di far luce sulla vicenda, dando finalmente pace allo spirito della vittima, che sembra infestare l'attrazione comparendo sporadicamente a visitatori e membri dello staff.
Pur essendomi gustata appieno questa lettura, non voglio nasconderne i difetti. Un primo problema è dato dalla sinossi, che confonde parecchio le idee su quale sia la storia da seguire ed anticipa troppe informazioni, arrivando addirittura a spoilerare un evento legato al finale! Comunque, la poca chiarezza della trama non è da imputarsi solamente a chi ha curato l'edizione: nella prima metà del volume infatti, vengono sottolineati degli elementi molto diversi tra loro, e per questo risulta difficile capire quale sia il filone narrativo principale.
Da un punto di vista più soggettivo, devo ammettere di non aver gradito più di tanto la parentesi romance, a mio avviso troppo fine a se stessa. Neppure il finale mi ha convinto appieno, perché lascia alcune sottotrame in sospeso, oppure fornisce una spiegazione poco chiara; e penso in particolare a come viene risolto il problema dell'infestazione spettrale.
Ma lasciamo da parte le lagnanze per concentrarci sugli aspetti più riusciti. Innanzitutto, ho apprezzato fin dalla prima riga il tono spigliato e irriverente del protagonista, ottimo per rappresentare un narratore maturo che guarda con ironia alla sua giovinezza. Mi hanno colpito in positivo poi le piccole anticipazioni che costellano l'intero romanzo, perché rendono più interessante la narrazione, creando dell'aspettativa. Dopo anni di lodi al caro Stephen sembra ormai superfluo, ma non posso che menzionare anche l'ottima caratterizzazione di protagonisti e comprimari, creati mescolando tratti inediti con qualche cliché, con il risultato di ottenere dei personaggi memorabili ed immediatamente accattivanti.
Personalmente mi è piaciuto molto il modo in cui viene rappresentata la crescita di Devin, all'inizio descritto come un ragazzo insicuro sul suo avvenire, che pian piano impara ad accettare i propri difetti ed a farsi forza dei sui pregi; la risoluzione che leggiamo nel finale è una bella metafora della sua neonata consapevolezza. Un'ulteriore elemento positivo a mio parere è dato dall'atmosfera, che risulta perfetta per la fine dell'estate, trasmettendo un senso quasi sognante di nostalgia. E probabilmente, proprio averlo letto in questo periodo dell'anno mi ha permesso di apprezzarlo così tanto.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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lunedì 16 ottobre 2023
"La Vergine azzurra" di Tracy Chevalier
La vergine azzurra by Tracy Chevalier
My rating: 2 of 5 stars
"Il sole, spuntando da una muraglia di nubi, rese quell'azzurro così splendente che Isabelle rimase a guardarlo rapita ... Poi i raggi inondarono le chiome della fanciulla che anche dopo il tramonto conservarono lo scintillio del rame. Così da quel giorno la chiamarono la Rossa, lo stesso nome che la gente aveva dato alla Vergine Maria"
BENVENUTI NEL PAESE DEGLI STEREOTIPI
Un'eterna ricerca contraddistingue la vita di ogni lettore, ed è quella per individuare i propri scrittori preferiti; se possibile, autori con delle bibliografie corpose, che forniscano un buon numero di volumi da poter recuperare. Per me, Tracy Chevalier rappresentava proprio la candidata ideale per questo ruolo: una scrittrice parecchio apprezzata, impegnata in uno dei miei generi preferiti (il romanzo storico), con una decina di volumi pubblicati, e tutti già tradotti in italiano! Cosa mai poteva andare storto? Vediamolo partendo dalla trama de "La Vergine azzurra", il suo romanzo d'esordio, nonché il titolo con cui ho scelto di cominciare la valutazione della sua prosa.
La narrazione si ambienta principalmente in Francia e Svizzera ed alterna due linee temporali: nella prima seguiamo la popolana Isabelle "la Rossa" du Moulin alla metà del Cinquecento, nella seconda arriviamo ai giorni nostri ed all'ostetrica Ella Turner; quest'ultima si è da poco trasferita nella Patria della quiche e della tour Eiffel per seguire il marito, un architetto di successo. Le due storie hanno moltissimi punti in comune, a cominciare dalle ricorrenze nei nomi dei personaggi per arrivare alle svolte più significative negli intrecci, inoltre si intuisce da subito che le donne sono imparentate ed hanno un aspetto fisico molto simile.
E già da qui si potrà indovinare come la trama prenda una piega surreale che personalmente non sono riuscita ad apprezzare, soprattutto per la poca coerenza e la totale assenza di chiarimenti. In parole povere bisogna accettare che tra Isabelle ed Ella (ma non solo?) esista un legame mistico grazie al quale la seconda riesce a ricostruire fuori scena la vita della prima, o almeno alcuni elementi. Tutto questo risulta a mio avviso forzato ed inutilmente contorto, tanto da rendere a più riprese incomprensibile una narrazione per il resto lineare.
Per quanto riguarda la prosa della cara Tracy in senso lato, l'ho trovata a tratti decisamente bizzarra, e penso in particolare ad alcuni dialoghi ed alla dinamica di certe scene, quasi incomprensibili per quanto i personaggi agiscono in modo caotico, senza tenere in minimo conto le conseguenze delle proprie azioni. Personaggi che risultano poi problematici anche per la mancanza di una vera caratterizzazione: la maggior parte di loro vive soltanto in funzione del ruolo che sono destinati a svolgere nell'intreccio; una volta raggiunto quell'obiettivo, l'autrice non esista a farli praticamente scomparire tra un pagina e l'altra.
Analizzando invece le due vicende in modo individuale, la maggior problematica nella storia di Ella è il comportamento infantile della protagonista stessa, nonché la presenza di un certo trope romance che trovo molto discutibile. Per quanto riguarda Isabelle, la narrazione dei capitoli che la riguardano mi è sembrata troppo frammentaria, con salti di anni ed anni tra un paragrafo e l'altro; il lettore è così costretto ad indovinare come i personaggi reagiscano dopo determinate rivelazioni. Un esempio su tutti è il momento in cui Isabelle ed Etienne annunciano alla famiglia di lui che si sposeranno; purtroppo non sapremo mai cos'aveva intenzione di fare il padre uscendo con un'ascia in mano perché la scena successiva ci porta direttamente alla terza gravidanza della donna, ormai sposata da anni.
Devo ammettere però che in questa lettura non ho individuato solo difetti. In primo luogo mi sono piaciuti molto i collegamenti tra le storie di Isabelle ed Ella, specialmente quando vengono affrontate le difficoltà dell'essere madri e del sentirsi accettate da una nuova comunità. Ho trovato inoltre solida l'ambientazione storica, il che rende più credibile la parte dedicata ad Isabelle. Nel complesso, la prosa di Chevalier presenta diversi elementi interessanti che magari, con la maggior esperienza acquisita in anni di pubblicazioni, mi permetteranno di apprezzare la lettura de "La ragazza con l'orecchino di perla", aka il romanzo con cui progetto di darle una seconda possibilità.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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My rating: 2 of 5 stars
"Il sole, spuntando da una muraglia di nubi, rese quell'azzurro così splendente che Isabelle rimase a guardarlo rapita ... Poi i raggi inondarono le chiome della fanciulla che anche dopo il tramonto conservarono lo scintillio del rame. Così da quel giorno la chiamarono la Rossa, lo stesso nome che la gente aveva dato alla Vergine Maria"
BENVENUTI NEL PAESE DEGLI STEREOTIPI
Un'eterna ricerca contraddistingue la vita di ogni lettore, ed è quella per individuare i propri scrittori preferiti; se possibile, autori con delle bibliografie corpose, che forniscano un buon numero di volumi da poter recuperare. Per me, Tracy Chevalier rappresentava proprio la candidata ideale per questo ruolo: una scrittrice parecchio apprezzata, impegnata in uno dei miei generi preferiti (il romanzo storico), con una decina di volumi pubblicati, e tutti già tradotti in italiano! Cosa mai poteva andare storto? Vediamolo partendo dalla trama de "La Vergine azzurra", il suo romanzo d'esordio, nonché il titolo con cui ho scelto di cominciare la valutazione della sua prosa.
La narrazione si ambienta principalmente in Francia e Svizzera ed alterna due linee temporali: nella prima seguiamo la popolana Isabelle "la Rossa" du Moulin alla metà del Cinquecento, nella seconda arriviamo ai giorni nostri ed all'ostetrica Ella Turner; quest'ultima si è da poco trasferita nella Patria della quiche e della tour Eiffel per seguire il marito, un architetto di successo. Le due storie hanno moltissimi punti in comune, a cominciare dalle ricorrenze nei nomi dei personaggi per arrivare alle svolte più significative negli intrecci, inoltre si intuisce da subito che le donne sono imparentate ed hanno un aspetto fisico molto simile.
E già da qui si potrà indovinare come la trama prenda una piega surreale che personalmente non sono riuscita ad apprezzare, soprattutto per la poca coerenza e la totale assenza di chiarimenti. In parole povere bisogna accettare che tra Isabelle ed Ella (ma non solo?) esista un legame mistico grazie al quale la seconda riesce a ricostruire fuori scena la vita della prima, o almeno alcuni elementi. Tutto questo risulta a mio avviso forzato ed inutilmente contorto, tanto da rendere a più riprese incomprensibile una narrazione per il resto lineare.
Per quanto riguarda la prosa della cara Tracy in senso lato, l'ho trovata a tratti decisamente bizzarra, e penso in particolare ad alcuni dialoghi ed alla dinamica di certe scene, quasi incomprensibili per quanto i personaggi agiscono in modo caotico, senza tenere in minimo conto le conseguenze delle proprie azioni. Personaggi che risultano poi problematici anche per la mancanza di una vera caratterizzazione: la maggior parte di loro vive soltanto in funzione del ruolo che sono destinati a svolgere nell'intreccio; una volta raggiunto quell'obiettivo, l'autrice non esista a farli praticamente scomparire tra un pagina e l'altra.
Analizzando invece le due vicende in modo individuale, la maggior problematica nella storia di Ella è il comportamento infantile della protagonista stessa, nonché la presenza di un certo trope romance che trovo molto discutibile. Per quanto riguarda Isabelle, la narrazione dei capitoli che la riguardano mi è sembrata troppo frammentaria, con salti di anni ed anni tra un paragrafo e l'altro; il lettore è così costretto ad indovinare come i personaggi reagiscano dopo determinate rivelazioni. Un esempio su tutti è il momento in cui Isabelle ed Etienne annunciano alla famiglia di lui che si sposeranno; purtroppo non sapremo mai cos'aveva intenzione di fare il padre uscendo con un'ascia in mano perché la scena successiva ci porta direttamente alla terza gravidanza della donna, ormai sposata da anni.
Devo ammettere però che in questa lettura non ho individuato solo difetti. In primo luogo mi sono piaciuti molto i collegamenti tra le storie di Isabelle ed Ella, specialmente quando vengono affrontate le difficoltà dell'essere madri e del sentirsi accettate da una nuova comunità. Ho trovato inoltre solida l'ambientazione storica, il che rende più credibile la parte dedicata ad Isabelle. Nel complesso, la prosa di Chevalier presenta diversi elementi interessanti che magari, con la maggior esperienza acquisita in anni di pubblicazioni, mi permetteranno di apprezzare la lettura de "La ragazza con l'orecchino di perla", aka il romanzo con cui progetto di darle una seconda possibilità.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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