
My rating: 2 of 5 stars
"Insieme al dolore arriva un ricordo. No, non un ricordo, una certezza. Ed è così terribile che deve per forza essere reale. È rimasta solo lei. Gli altri sono tutti morti. Lei è l'unica sopravvissuta"
DUE PAGINE E QUINCY È DIVENTATA KING C (GILLETTE)
Nella mia constante lotta contro la stupidità dei personaggi, ho fatto appena in tempo a gioire dell'acume e della risolutezza dimostrati da Agatha Raisin, che già la lettura successiva mi ha fatto ripiombare mio malgrado nel baratro delle protagoniste sceme. Nel caso di "Final Girls. Le sopravvissute", il problema non è tanto la dabbenaggine dell'eroina di turno, quanto il fatto che la trama venga mossa quasi esclusivamente dalle sue decisioni idiote: se lei avesse attivato i neuroni giusto due o tre volte in tutto il libro, nulla di tutto questo sarebbe stato scritto.
La mentecatta in questione risponde all'impronunciabile nome di Quincy "Quinn" Carpenter, a vent'anni è sopravvissuta alla strage nota come il massacro di Pine Cottage (non certo per la sua prontezza di pensiero!) e da allora convive con questo trauma e con la dipendenza dallo Xanax. Il romanzo alterna dei flashback in terza persona -nei quali si cerca principalmente di ricostruire gli eventi che Quinn ha dimenticato- alla narrazione al presente, affidata al POV della protagonista, ahinoi! A dare il via alla narrazione sono il misterioso suicidio di Lisa Milner e l'imprevista ricomparsa di Samantha "Sam" Boyd, sopravvissute ad altri due eccidi che i media avevano accostato a Quinn sotto l'etichetta di Final Girls, appunto.
Una premessa che onestamente reputo interessante, specie perché punta l'attenzione sull'elemento della sopravvivenza, da me molto apprezzato in tante storie. Purtroppo questo spunto rimane ai margini perché, quando l'autore deve raccontare come le varie personagge siano riuscite a scappare o addirittura a reagire contro i loro carnefici, lo fa in modo frettoloso ed approssimativo, riassumendo a grandi linee quanto accaduto. Questa superficialità investe anche la caratterizzazione dell'intero cast, con dei personaggi poco più che abbozzati e tragicamente dimenticabili. Con ogni probabilità ricorderò soltanto la protagonista, non per il carisma bensì per la sua impressionante imbecillità.
In modo analogo, la prosa elementare e semplicistica di Sager non è riuscita ad entusiasmarmi, con una quantità di dialoghi macchinosi e metafore insensate. Inspiegabilmente neppure il ritmo si salva, con una narrazione abbastanza lenta soprattutto nella prima metà; e dire che un intreccio incalzante dovrebbe essere il marchio di fabbrica di questo genere letterario. A tenere il lettore incollato alle pagine dovrebbero poi contribuire i colpi di scena, peccato che questa trama sia fin troppo prevedibile, e quando vuole stupire a tutti i costi ricorre a forzature parecchio evidenti, come il già citato comportamento bizzarro della protagonista.
Devo ammettere che questa è una di quelle recensioni difficili, perché al netto dei momenti più tediosi il romanzo ha svolto il suo lavoro, intrattenendomi e regalandomi alcune scene divertenti, seppur involontarie. Ho apprezzato anche i chiari tentativi di andare oltre il mero thriller, trattando argomenti più impegnativi, eppure a lettura ultimata riesco a concentrarmi unicamente sugli aspetti negativi. Ciò non esclude che io possa dare un'occasione ad altri titoli del caro Riley, specie considerando quanto sono diverse le valutazioni dei suoi romanzi: magari il prossimo potrebbe diventare un nuovo preferito, chissà...
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