venerdì 30 maggio 2025

"Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno" di Benjamin Stevenson

Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcunoTutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno by Benjamin Stevenson
My rating: 4 of 5 stars

"Tutto questo rispetta l'ottavo e il nono comandamento di Knox, perché in questo libro io sarò Watson e il Detective, il narratore e l'investigatore, quindi sarò tenuto sia a scovare gli indizi sia a rivelarvi i miei pensieri più reconditi. In breve, a giocare pulito"


GIALLO CLASSICO, NARRATORE CONTEMPORANEO

Trovarmi di fronte ad una lettura polarizzante -se fornita di uno spunto iniziale di mio gusto, per lo meno- mi spinge sempre a voler andare più a fondo per capire se alla fine mi schiererò con i sostenitori o con i detrattori di un dato libro. A volte mi capita poi di trovarmi esattamente nel mezzo, com'è successo con il chiacchieratissimo "Una di famiglia", che ho letto l'anno scorso non capendo per nulla il clamore scatenato da un romanzo per lo più nella media. Comunque, ecco spiegata per sommi capi la mia curiosità verso "Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno", titolo insolito (e qui ha catturato il mio interesse!) che sembra aver diviso parecchio i lettori; avendolo recuperato di recente grazie ad una promozione di Feltrinelli, non mi restava quindi che scoprire dove avrei finito per posizionarmi.

Dopo una premessa ed un prologo, nei quali il protagonista e narratore Ernest James Cunningham spiega rispettivamente quale metodo seguirà per raccontare l'indagine e perché suo fratello Michael si trovi in carcere, la scena si sposta al presente. La famiglia Cunningham-Garcia ha organizzato una rimpatriata nel rifugio d'alta quota Sky Lodge per festeggiare la scarcerazione di Michael ma, durante la prima notte, il cadavere di un uomo misterioso viene ritrovato tra la neve. I sospetti ricadono subito sulla famiglia protagonista, ed in particolare sull'ex galeotto; Ernest però è determinato a far chiarezza sul delitto, illustrando nel mentre dinamiche famigliari e trascorsi criminosi dei suoi parenti più prossimi.

Questo è proprio l'elemento che per primo mi ha attirato verso il libro, e devo ammettere che Stevenson l'ha saputo gestire molto bene. Personalmente adoro i drammoni famigliari, e qui ce n'è davvero per tutti i gusti: ogni protagonista porta con sé un bel bagaglio di traumi e difficoltà personali; inoltre, viene data molta importanza ai diversi legami che uniscono questa insoluta famiglia, scelta che si rivela azzeccata sia sul piano dell'intreccio narrativo sia per dare uno sfogo emozionale e più profondo alle vicende raccontate. In generale, il tono del romanzo si mantiene infatti parecchio comico, e questi passaggi introspettivi permettono un più corretto bilanciamento tra umorismo e sentimento.

Eppure la voce narrante rientra -e, forse, primeggia- tra i punti di forza: i commenti di Ernest sono ricchi di ironia, soprattutto nei tanti passaggi in cui si rivolge in modo diretto al lettore, per commentare il comportamento di un altro personaggio oppure per anticipare un avvenimento futuro. Questo libro presenta infatti uno dei migliori utilizzi del foreshadowing che abbia mai letto, una tecnica spesso a doppio taglio ma qui valorizzata dall'astuzia con cui si presenta il protagonista, affermando da un lato di essere del tutto onesto ma ponendo in maniera deliberata l'attenzione su elementi che traggono in inganno; e ciò è reso possibile grazie al POV in retrospettiva, una scelta molto oculata. Tra i pregi farei rientrare poi l'accostamento tra un contesto estremamente classico (soprattutto nel genere mystery) e dei caratteri contemporanei, che forniscono un approccio agli eventi più vicino e comprensibile al lettore.

Seppur valida a livello concettuale, l'ambientazione risulta invece un po' povera perché tutte le descrizioni dei luoghi si concentrano su pochi elementi che nel complesso non riescono a dare uno sfondo chiaro; con la scusa della tempesta di neve, anche gli spostamenti (sempre inspiegabilmente frettolosi ed ambigui) vengono raccontati in modo confuso, e lo stesso vale per le scene d'azione, ma in questo caso non trovo alcuna motivazione che ne giustifichi la caoticità. Poca attenzione è stata riservata anche ai personaggi di contorno, probabilmente per concentrare il focus sulla famiglia protagonista, ma a questo punto che bisogno c'era di riempire l'intero albergo di turisti con cui non si interagisce mai?

Lungi da me includere la risoluzione finale tra gli aspetti negativi, perché nel complesso l'ho trovata interessante e convincente; purtroppo non posso dire che mi abbia soddisfatta appieno: l'autore mette in scena così tanti elementi da tralasciarne qualcuno, oppure finire per spiegarlo in modo troppo macchinoso. Per quanto riguarda l'identità del colpevole, non ho trovato eccessivamente prevedibile lo smascheramento, però come colpo di scena è ben lontano dal risultare sbalorditivo. Per questi néi, nella diatriba tra lettori, mi piazzo con i sostenitori con qualche riserva minore, che non escludo possa essere già stata sciolta nei volumi successivi.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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martedì 27 maggio 2025

"Yellowface" di Rebecca F. Kuang

YellowfaceYellowface by R.F. Kuang
My rating: 3 of 5 stars

"Comincio a sentire un grumo rovente nello stomaco, una strana e improvvisa voglia di infilare le dita in quella sua bocca rosso lampone e aprirle la faccia in due, sbucciarle la pelle dal corpo come se fosse un'arancia e infilarmela addosso"


IN CUI TWITTER È LA RISPOSTA AD OGNI QUESITO

Ci possono essere diversi motivi per cui un autore sceglie di rendere rintronati i suoi personaggi, ma solitamente l'obiettivo è ritardare il più possibile il momento della risoluzione, che l'obiettivo finale sia individuare il colpevole di un crimine oppure capire chi sia l'amore di tutta una vita. Non penso però di aver incrociato prima d'ora la strada (ed il POV) di una protagonista sulla quale l'autrice avesse incanalato senza remore una quantità simile di stupidità, cinismo e spregevolezza con il solo fine di renderla il simulacro di chi non si prostra ad adorare i suoi libri. Ne deriva che dentro l'odiosa Juniper "June" Song Hayward c'è anche un pezzetto della sottoscritta!

Costei è la protagonista e voce narrante di "Yellowface", un thriller atipico che si apre su uno scorcio della sua immotivata amicizia con la collega scrittrice Athena Ling En Liu. Le due donne stanno festeggiando l'ennesimo successo letterario di Athena tra i rosicamenti silenziosi di June, quando un incidente porta all'improvvisa morte della prima ed alla discesa nella criminalità della seconda. Mascherando il suo comportamento con una quantità di scuse patetiche, June ruba infatti l'ultimo manoscritto di Athena, ne completa la stesura e lo pubblica a proprio nome. Una decisione all'apparenza geniale, ma che la porta ben presto a sviluppare ansie e paranoie all'idea di essere scoperta come plagiatrice.

Esattamente com'era successo con The Poppy War, ci troviamo di fronte ad una storia ricca di spunti nient'affatto scontati ed a personaggi con uno sviluppo promettente; ed esattamente com'era successo con The Poppy War tutte queste belle premesse vengono immolate per far sorgere un intreccio prevedibile seppur forzato ed un manifesto semplicistico e moralista delle convinzioni dell'autrice, con il valore aggiunto di aver sfruttato questa storia di finzione per dipingere se stessa nella parte della vittima assoluta. Infatti Athena è il suo palese alterego, accomunata a lei non solo dal percorso di studi e dalla carriera come scrittrice, ma anche dalle critiche espresse dai suoi detrattori! non a caso viene menzionata l'eccessiva ridondanza dei contenuti, della quale mi era lagnata anch'io all'epoca.

Ho trovato comunque apprezzabile che Kuang non si sia crogiolata in un totale patetismo, mi è sembrata anzi capace in più frangenti di esprimere delle critiche costruttive. Critiche che però ho molto faticato a prendere sul serio a causa del POV: June è un personaggio fin troppo fallace, privo della ben che minima caratteristica positiva, e questo rende inaffidabile la sua prospettiva e poco efficace il suo confronto con Athena. E dire che le basi non mancavano, dal momento che per dare un briciolo di profondità alla protagonista si sarebbe potuta approfondire la sua condizione economica, la mancanza di supporto da parte della famiglia, oppure i problemi di salute mentale; limitandosi a riversarle addosso unicamente tratti negativi, Kuang ha tolto ogni valore alle parole della sua narratrice. Ovvio che si possano apprezzare anche dei caratteri negativi, un buon esempio è il protagonista de "L'occhio del male" (di King, che tra l'altro ha pure blurbato il romanzo!) Billy Halleck: la sua vicenda e quella di June hanno davvero tanti punti in comune eppure nel caso di lui sono riuscita ad emozionarmi, e questo perché al netto di tutti i suoi difetti l'affetto per la figlia lo nobilita.

Juniper Song non ha invece nulla di valore nella sua vita, dal momento che le interessano soltanto i soldi ed il successo mediatico, elementi in comune con il resto del cast tra l'altro. Non nego che nel complesso risulti anche divertente seguire una protagonista atipica, specie quando si dimostra capace di sfoderare un'astuzia efferata a dispetto della solita stupidità. Altri punti a favore della lettura sono la prosa incredibilmente scorrevole -nonostante gli eventi chiave non siano molti- e gli argomenti trattati, che sono tutti positivi ed attuali. Per mio gusto sarebbe stato meglio ridimensionare questi temi oppure focalizzarsi di più su uno nello specifico (tra razzismo, editoria, social, gestione dei traumi, etica letteraria, malattia mentale, relazioni familiari ed amicali c'è fin troppa carne al fuoco!); ad esempio, avrei adorato vederla proseguire sul filone del thriller psicologico, dando sempre più rilevanza al dualismo tra June ed Athena; il finale azzarda invece ben poco, e non riesce a mettere una toppa sulle tante ingenuità che costellano il romanzo.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

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martedì 20 maggio 2025

"Il signore dei draghi" di Ursula K. Le Guin

Il signore dei draghiIl signore dei draghi by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"Solo allora vide davvero l'Arcimago: il più grande mago di tutto il Terramare ... l'unico Signore dei Draghi vivente. Era lì, accanto a una semplice fontana, un uomo di bassa statura e ormai non più giovane, un uomo dalla voce quieta, con occhi profondi come la sera"


IL CATTIVO DI SCHRÖDINGER

Accidenti alla mia testardaggine che mi porta a voler terminare sempre le serie che comincio! non fosse per quella (e per l'edizione da me scelta che binduppa romanzi, racconti ed appendici varie in un solo, pesantissimo volume) la mia esplorazione del Terramare sarebbe finita a metà del primo libro, a voler essere ottimisti. Invece eccomi ritornare su questi lidi fantastici per parlare de "Il signore dei draghi", un terzo capitolo che continua la funzione narcotizzante dei suoi predecessori: non mi è mai capitato di addormentarmi tanto spesso con delle letture così brevi!

Quasi vent'anni dopo gli eventi de "Le tombe di Atuan", incontriamo il nostro nuovo protagonista Arren -futuro principe regnante dell'isola di Enlad- quando questi è appena arrivato a Roke per chiedere il consiglio dei più sagghi maghi del Terramare. Nelle terre periferiche come la sua, la magia sembra infatti star scomparendo; per questo Ged, ora asceso al ruolo di Arcimago, gli chiede di accompagnarlo in un viaggio verso ovest che ha l'obiettivo di scoprire le ragioni di questo evento e di trovarvi anche una soluzione, per riportare l'equilibrio in tutte le isole.

Si può quindi notare già da questo spunto una bella novità: finalmente l'autrice si è decisa a delineare una trama! E non solo, perché abbiamo anche un chiaro obiettivo da raggiungere, una potenzialmente minaccia vaga ma interessante ed una scadenza da rispettare, pena la completa sparizione della magia. Ovviamente parlare di tensione narrativa sarebbe eccessivo, però è stato piacevole per una volta distinguere il percorso stabilito per i protagonisti anziché vederli brancolare nel buio da una scena all'altra.

Tra gli aspetti meno spiacevoli del romanzo (parlare di pregi mi sembra oggettivamente eccessivo!) troviamo le riflessioni sul significato della vita e della morte, le ulteriori esplorazioni dell'imponente world building e la conclusione dal sapore arturiano data al percorso di Ged, dal momento che questo doveva essere inizialmente l'ultimo volume della serie. Analizzando il libro da una prospettiva contemporanea, si può inoltre notare come sia stato una forte ispirazione per opere successive; ad esempio, nella dinamica tra Ged, Arren e l'antagonista ho rivisto moltissimo del rapporto che lega Silente, Harry e Voldemort, con delle scene quasi identiche agli ultimi volumi della saga potteriana.

A dispetto di questi begli spunti, la prosa continua ad essere il tallone di Achille della serie, con un'attenzione eccessiva sulla descrizione di dettagli inutili, a dispetto dell'approfondimento psicologico dei personaggi, semplicemente inesistente. La maggior parte di essi vivono poi soltanto in funzione della trama e vengono perfino dimenticati dalla cara Ursula fuori scena; con i protagonisti non va tanto meglio, tra il poco carisma di Arren (un principino perfettino molto simile a Peter de "Gli occhi del drago", che ho parimenti detestato) ed il totale stravolgimento nella caratterizzazione di Ged. Tra l'altro si sorvola del tutto su come costui sia diventato Arcimago, oltre a fornire spiegazioni di comodo al sistema magico contraddittorio.

Annovero ancora una volta tra i demeriti il ritmo eccessivamente lento e le svolte di trama telefonate a dir poco; ho poi notato una certa discontinuità con i primi capitoli: un esempio su tutti è la runa della pace, che in un paio di decenni sembra non aver portato neanche un briciolo di concordia ad Havnor. Personalmente non sono riuscita a farmi piacere neppure il velatissimo sottotesto reazionario -con la figura del sovrano assoluto menzionata a più riprese come unica soluzione a tutti i problemi del Terramare- e l'assenza di un vero impatto emotivo: nel volume diversi personaggi vengono feriti o muoiono, ma in nessun caso sono riuscita ad emozionarmi.

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venerdì 16 maggio 2025

"La serie infernale" di Agatha Christie

La serie infernaleLa serie infernale by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"Ma ora l'accenno a quell'orario, comunemente noto come A.B.C., mi mise nel sangue un brivido non del tutto sgradevole: non era più il caso di pensare a una coincidenza fortuita; si cominciava a fiutare il mistero"


POIROT VS. L'ALFABETO

Con il progressivo, ma speriamo non inevitabile, rallentamento nella mia velocità di lettura mi sono rassegnata all'idea di alzare bandiera bianca di fronte a tante sfide letterarie, seppur autoimposte. Almeno con la cara Agatha voglio però continuare a darmi da fare nel corso di quest'anno, terminando la saga dedicata a Miss Marple ed avanzando in quella del detective belga più vanesio di sempre. Quindi eccomi completare una sua ennesima indagine ne "La serie infernale", un romanzo dalla premessa insolita per un giallo classico, motivo per cui l'ho approcciato con un pizzico di cautela.

La narrazione inizia durante l'ennesima trasferta londinese del capitano Arthur Hastings, quando Poirot gli spiega di aver ricevuto una lettera firmata in modo enigmatico con le iniziali A.B.C. nella quale viene messo in guarda su un crimine che avverrà in un determinato giorno nella città di Andover; ed effettivamente la promessa viene mantenuta, con il delitto dell'anziana tabaccaia Alice Ascher. Intùito quale sia il modo d'agire dell'assassino, i protagonisti possono tentare quindi di intervenire con il supporto di Scotland Yard, mentre nuove lettere giungono ad anticipare ulteriori delitti alfabetici.

Questa struttura è proprio l'elemento più peculiare del libro: anziché ritrovarsi ad indagare su un delitto già compiuto ed estraneo alla sua persona, Poirot viene coinvolto in maniera diretta da qualcuno che sembra determinato a smentirne la fama di brillante investigatore privato. In un simile contesto, le vittime diventano semplicemente delle scelte arbitrarie: sembra mancare del tutto un movente comprensibile, come la vendetta o l'avidità. Se da un lato questo spunto risulta davvero interessante ed originale -meritando quindi di essere annoverato tra i pregi del romanzo-, dall'altro mi sarei aspettata portasse a qualche elemento in più sul passato di Poirot, perché l'introspezione dei personaggi non è quasi mai il focus di questi gialli, e per una volta tanto sembrava esserci l'occasione perfetta per dare almeno alla caratterizzazione del detective un po' di meritato spazio.

Come al solito, abbiamo invece una parata di individui appena abbozzati, tanto che neppure la risoluzione porta ad un approfondimento maggiore sul colpevole o sulle vittime. Inoltre, i personaggi sono davvero una quantità per un volume così breve: capisco l'intenzione di suggerire la possibile colpevolezza di tanti per depistare il lettore, però questo porta anche ad aspettarsi un ruolo più rilevante per caratteri che alla fine dei conti si rivelano delle mere comparse. Tra gli elementi che meno mi hanno convinto troviamo poi il poco entusiasmante smascheramento del colpevole e la sottotrama romance: la coppia sembra essere carina e ben assortita, ma la tempistica scelta ed il commento di Poirot sono a dir poco di cattivo gusto.

Passando agli aspetti che reputo positivi in pieno, devo menzionare in primis la premessa del capitano Hastings, atta ad illustrare l'insolita scelta narrativa di accostare dei capitoli in terza persona al suo POV in prima; una spiegazione corretta e doverosa, seppur non brillante sul fronte della prosa. Brillante calza invece come aggettivo all'intreccio, che riesce a mantenere un ritmo sostenuto e nel contempo a distanziare i vari indizi in modo da renderli meno evidenti possibile. Pur non strabiliante, la risoluzione è solida e convincente, oltre a soffermarsi giustamente sui dettagli più minuti e sui misteri secondari.

Tra i pregi del romanzo mi sento poi di includere l'umorismo della prosa, dato in particolare dalle stoccate di Poirot verso Hastings e gli investigatori di Scotland Yard; non è troppo presente, ma regala comunque delle scene genuinamente divertenti. Personalmente ho inoltre apprezzato come Megan Barnard commenta il comportamento esuberante della sorella minore: considerando il contesto sociale ed i quasi novant'anni passati dalla pubblicazione, mi sarei aspettata un tono molto più giudicante, invece attraverso questo personaggio la cara Agatha riesce a dimostrarsi comprensiva eppure corretta! perché è giusto vivere senza pregiudizi la propria libertà, ma se si cerca un rapporto stabile bisogna dimostrare rispetto per l'altro.

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martedì 13 maggio 2025

"La spada perduta" di Bernard Cornwell

La spada perdutaLa spada perduta by Bernard Cornwell
My rating: 5 of 5 stars

"Mordred si era liberato della briglia ... Era colpa nostra, immagino ... Nessuno di noi aveva capito che ai piedi del Monte Baddon il nostro re aveva scoperto il piacere della guerra, e nessuno di noi aveva previsto che il sovrano avrebbe ottenuto tanto successo in battaglia da attirare degli uomini sotto la sua bandiera"


ARTÙ RIESCE A FAR RIVALUTARE PERFINO LA SILURIA

Quando ho deciso di recuperare in un solo mese i tre libri che ancora mi mancavano per terminare The Warlord Chronicles, non sapevo se sarei riuscita a farcela e neppure se si trattasse di una buona decisione dal punto di vista del godimento della serie. Richiusa ora all'ultima pagina del capitolo conclusivo, posso rispondere positivamente e con soddisfazione ad entrambi i dilemmi; in particolare, penso che la formula della narrazione seriale affrontata in un lasso di tempo breve sia stata perfetta per farmi coinvolgere al massimo dalle vicende raccontate.

Sul piano dell'intreccio "La spada perduta" è chiamata a tirare le fila e dare un epilogo degno a protagonisti e comprimari del ciclo arturiano, motivo per cui Derfel si sofferma a più riprese per precisare la sorte dei vari personaggi. A livello di intreccio, torna ancora una volta la divisione in tre parti: la prima conclude la parentesi dell'assedio sul Monte Baddon, la seconda riporta in scena il lato più vicino al paranormale con l'ennesimo tentativo di far tornare gli dèi in Britannia (questa volta ad opera di una Nimue fin troppo motivata), mentre la terza si concentra sulla resa dei conti decisiva tra Artù e Mordred.

Prima di sperticarmi in meritate lodi per questo romanzo, trovo giusto evidenziare un paio di elementi che mi hanno fatto storcere a tratti il naso. Come già capitato più volte durante la serie, sono presenti dei momenti di calma, in cui la narrazione ristagna: da un lato li ho trovati dei piacevoli intermezzi, dall'altro avrei preferito un ritmo più serrato trattandosi dell'ultimo libro. Nell'epilogo mi sarebbe poi piaciuto ricevere qualche dettaglio in più: capisco l'intenzione di rifarsi con maggior fedeltà possibile al mito di base, ma avendo coinvolto tanti altri caratteri, qualche pagina extra la si poteva investire. Un'altra piccola lamentela personale riguarda la sovrabbondanza di scene di combattimento, sempre descritte ottimamente ma un po' ripetitive a lungo andare.

Difetti di poca importanza se messi a confronto con la forza dirompente che ha saputo generare questa lettura sul piano emotivo: al massacro ero preparata, ma all'impatto che avrebbe causato per nulla. È stato inutile sapere in anticipo che la maggior parte del cast era destinata a morire (anche soltanto per ragioni anagrafiche) o essere a conoscenza della menomazione del Derfel anziano, perché il caro Bernard è stato particolarmente brillante a distribuire decessi prevedibili e colpi di scena per niente scontati, mantenendo così sempre vitale l'attenzione del lettore. Niente male per una serie alquanto prevedibile e chiaramente ancorata al materiale di partenza!

Dopo cinque volumi, ho finito inoltre con l'affezionarmi moltissimo ai personaggi, quindi se da un lato mi è dispiaciuto lasciarli andare -in un senso o nell'altro-, sono comunque riuscita ad apprezzare l'evoluzione che ha caratterizzato i loro percorsi. Tutti i protagonisti hanno avuto lo spazio per crescere: Artù ha infine affrontato il suo rigore verso i giuramenti, Ginevra è riuscita a fare un passo indietro nelle sue ambizioni, Merlino ha compreso l'insensatezza di opporsi al cambiamento, Nimue è stata catturata in un intrigante villain arc, Ceinwyn ha imparato a priorizzare ciò che la rende felice. Derfel invece sembra aver già completato la sua evoluzione, infatti non gli resta che venire a patti con i sacrifici necessari a garantire la pace.

Tra i pregi non mancano la gradevolmente elegante scrittura di Cornwell, la grande accuratezza nei dettagli storici e gli emozionanti momenti di confronto, che già avevo elogiato negli altri capitoli. Qui in particolare troviamo dei bei dialoghi tra Derfel ed Artù, nel quali quest'ultimo rimarca la sua volontà ad allontanarsi dal trono della Dumnonia e dai vincoli che esso gli imporrebbe; ho apprezzato molto anche l'ultimo intervento di Merlino, in cui finalmente riusciamo a vedere il suo lato più affettuoso e la rilevanza del legame paterno verso Artù. Mai avrei pensato che un retelling storico ormai datato su queste leggende potesse rivelarsi così coinvolgente e ricco di sentimento.

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giovedì 8 maggio 2025

"Il colpo che mancò il bersaglio" di Richard Osman

Il colpo che mancò il bersaglio (Il Club dei delitti del giovedì, #3)Il colpo che mancò il bersaglio by Richard Osman
My rating: 4 of 5 stars

"Un foro da proiettile. Sparato dritto nel soffitto. Henrik fissa il foro. Riconosce che significa un buon numero di cose ... Significa che dovrà uccidere Viktor Illyich da solo. E naturalmente, per punire Elizabeth, dovrà uccidere anche Joyce Meadowcroft"


LA FAMIGLIA DI COOPERS CHASE CRESCE

Per il terzo anno di fila ritorno nel placido complesso residenziale di Coopers Chase, a Fairhaven nel Kent, per la nuova indagine del Club dei delitti del giovedì. Un ritorno che mi ha stampato un sorriso ebete sulla faccia fin dalla prima pagina: nonostante la prosa di Osman stia palesando i suoi limiti in modo più netto ad ogni volume, continuo a trovare queste narrazioni piacevoli e divertenti per il tempo che si dedica alla lettura. Pazienza se, una volta chiuso il volume, tante piccole incoerenze continuano a ronzare per la testa, perché l'esperienza del momento supera per me il ricordo.

Come sempre ci troviamo sommersi da una quantità abnorme di POV, nonché di linee di trama intrecciate tra loro. Il mistero principale riguarda l'omicidio della giornalista Bethany Waites, uccisa anni prima mentre stava indagando su una truffa per riciclare denaro sporco; con una scusa, i protagonisti avvicinano Mike Waghorn -ex collega della donna e celebre presentatore locale-, tramite il quale ottengono le prime informazioni sul caso. Sullo sfondo troviamo gli strascichi del volume precedente (con un criminale scandinavo pronto a ricattare Elizabeth per farne la sua sicaria personale), diverse sottotrame sentimentali e lo sviluppo della condizione di Stephen, già anticipata nel primi romanzi.

Con tanta carne al fuoco, era inevitabile dare più spazio a qualcuno dei personaggi a discapito degli altri. Ad esempio, Ibrahim e Chris risultano un po' sacrificati e la stessa Elizabeth pare sottotono rispetto al solito; per contro vediamo crescere Joyce, Ron e Bogdan, oltre ai nuovi caratteri aggiunti al cast. Anche per le sottotrame ci sono delle corsie preferenziali, e se da un lato sono certa che l'evolversi della malattia di Stephen verrà ripresa nei seguiti, lo stesso non posso dire del misterioso minibus finito sulla spiaggia, per il quale non mi spiego proprio il tanto spazio dedicato.

Per quanto riguarda l'intreccio principale, devo ammettere che in un primo momento mi aveva lasciata perplessa come scelta, in parte per il titolo volutamente ambiguo, ma soprattutto per la decisione di affrontare un cosiddetto cold case: ancora adesso non riesco a dare una giustificazione decente all'inefficienza dimostrata dalle forze dell'ordine all'epoca dei fatti (quando invece i protagonisti scoprono informazioni rilevati e palesi con gran facilità!), né alla deliberata volontà di non approfondire determinati aspetti del mistero. Ovviamente noi lettori veniamo messi a parte della verità -in modo decisamente brillante tra l'altro- però non vorrei che questo caso finisse per trascinarsi fino al quarto volume, com'è successo qui con il furto dei diamanti.

Come accennato, nel momento della lettura la struttura del giallo fila in maniera davvero piacevole, a dispetto delle contraddizioni che si potrebbero notare con un approccio più attento. Il tono scelto da Osman porta però a concedere il beneficio del dubbio e a sorvolare sugli indizi fortuiti e gli dèi ex machina che forniscono ai protagonisti le esatte competenze di cui hanno bisogno. Personalmente trovo spassoso l'umorismo scelto, perché riesce sempre a strappare un sorriso ma non rende mai i personaggi delle parodie di se stessi; e per questo sono in ambasce circa la mia critica alla traduzione: mi rendo conto della fatica di adattare un testo pieno di riferimenti pop, pur trovando molto fastidiosa la presenza di così tante espressioni ricalcate dall'inglese.

Il più grande pregio di questo volume -e della serie nel suo insieme- si trova però nella decisione di puntare l'attenzione su caratteri anziani. Ciò permette all'autore di mettere in scena dei personaggi con tanta esperienza emotiva e pratica, ma anche di affrontare i lati più difficili dell'invecchiare e dell'accostarsi al mondo contemporaneo; non a caso i momenti che ho preferito sono il confronto tra Bogdan e Stephen sul gioco degli scacchi e l'introspezione sui trascorsi di Mike. Leggere di come lui abbia faticato ad ottenere una libertà considerata ad oggi relativamente scontata e della sua gratitudine verso Bethany dà al finale una punta dolceamara perfetta.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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