venerdì 29 agosto 2025

"La regina del nulla" di Holly Black

La regina del nulla (Il Popolo dell'Aria, #3)La regina del nulla by Holly Black
My rating: 2 of 5 stars

"La lana del mantello è zuppa di sangue. Non avrei mai pensato di poter perderne tanto. E intorno al mantello vedo dei fiorellini bianchi che spingono nella neve, la maggior parte sono ancora gemme, ma qualcuno si sta aprendo sotto i miei occhi. Guardo senza capire bene. E quando capisco, stento a crederci"


ABBIAMO PIANTO LOCKE ANCHE TROPPO (SEMICIT.)

Mi è capitato con diversi autori di dover rimpiangere l'acquisto impulsivo di due o tre dei loro libri senza averne prima mai letto neppure mezzo, perché una volta intuito l'errore ho comunque dovuto sorbirmi quelle letture infelici; il tutto mentre il lumicino della mia speranza di poter rivalutare lo scrittore di turno si affievoliva sempre più. Con nessuno però ho sbagliato in modo tanto clamoroso quanto con la cara Holly: eccomi alla conclusione del suo dodicesimo lavoro (cinque sono frutto delle menti congiunte sua e di Clare, ma tant'è) a rimpiangere amaramente la decisione di aver recuperato un qualunque suo scritto fin dal principio.

È quindi da un po' che ho realizzato di non apprezzare affatto la prosa di Black, e soprattutto il modo sconclusionato con cui intesse le sue trame, ma ormai il danno era fatto quindi eccoci a quello che per me sarà l'ultimo romanzo dell'autrice, ossia "La regina del nulla". Ovviamente la trama si riallaccia all'epilogo de "Il re malvagio", dal quale è passato un periodo indefinito (giorni? settimane? mesi?) e nel frattempo Jude ha vissuto nel mondo umano con Vivienne "Vivi" ed il piccolo Farnia. La ragazza desidera ovviamente fare ritorno alla Terra degli Elfi e rivendicare il suo ruolo all'interno dell'Alta Corte, così alla prima occasione parte allo sbaraglio, con l'incoscienza che la contraddistingue e della quale è ben fiera. Finisce in questo modo coinvolta nella guerra che sta per scoppiare tra la corona ed il patrigno Madoc.

Vista la premessa e lo spunto, mi aspettavo un intreccio ricco d'azione e pericolo, quando invece la battaglia per il trono si riduce a ben poca cosa, con una conclusione anche parecchio anticlimatica. Come al solito, la trama viene poi mossa unicamente da eventi fortuiti, intuizioni inspiegabili e scelte improvvise, dando la lettore l'idea di una storia poco ragionata; anche i colpi di scena non convincono perché sono pretestuosi, e se solo l'autrice si fosse soffermata a ragionarci sopra un minuto avrebbe notato che si dimostrano quasi sempre incoerenti con le informazioni e le vicende precedenti. Sono inoltre presenti ulteriori contraddizioni, a livello temporale e spaziale -specie se si presta fede alla mappa fornita-, e alcuni spostamenti dei protagonisti sembrano del tutto inutili.

In modo simile, la prosa della cara Holly non mi sembra per nulla migliorata: non si fa mancare frasi drammatiche a caso, dozzine di ripetizioni delle stesse informazioni (spesso per mezzo di una Taryn alquanto OOC, così come Nicasia riscopertasi buona ben più del credibile), e centinaia di descrizioni di abiti e cibi. Capisco l'intento di creare un'ambientazione tridimensionale, però a questo punto il world building dovrebbe già essere ben definito! a narrazione inoltrata, con minacce enormi per la protagonista, non si può più perdere tempo in questi dettagli di contorno. Piuttosto ci si sarebbe potuti concentrare nel dare maggior profondità ai legami interpersonali, uno dei pochi elementi in cui Black dimostra del vero talento, sia nel descrivere l'attrazione romantica tra Cardan e Jude che nel trattare i legami familiari di quest'ultima.

E se posso addebitare senza dubbio all'autrice la colpa di aver incluso due oggetti magici d'enorme potere per poi infrangere spudoratamente la regola della pistola di Čechov, non so chi possa essere il criminale dietro al furto di una gran quantità di virgole dal testo. Sono sicura invece della superficialità con cui è stata revisionata la traduzione italiana: pur avendo avuto due anni di tempo, Mondadori ci ha rifilato un testo pieno di refusi, con degli errori talmente gravi da stravolgere il senso stesso di intere frasi.

Non è quindi solo alla cara Holly che va rivolto del biasimo, anche perché dei meriti ce li ha. Oltre al già citato approfondimento sulle relazioni di Jude con gli altri personaggi, quest'ultimo capitolo conclude in maniera decisamente coerente la serie, adottando infatti molti elementi tipici delle fiabe folkloristiche alle quali si ispira. Penso poi che Black abbia saputo inserire bene nella storia personaggi e spunti per i seguiti, sicuramente meglio di quanto abbia fatto la summenzionata Clare con la saga di Shadowhunters; se però mi dovesse passare per la mente l'idea di leggere altro di suo, vi imploro di darmi subito una padellata in testa per fermarmi!

Voto effettivo: due stelline e mezza

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"La storia di Lisey" di Stephen King

La storia di LiseyLa storia di Lisey by Stephen King
My rating: 3 of 5 stars

"E Scott parla una lingua che le è riuscita gioiosamente comprensibile fin da subito. Non la lingua dei Debusher, ma una lingua che conosce lo stesso molto bene, è come se l'avesse sempre parlata nei suoi sogni"


INSÁCCATELO E CINGHIATELO DA SOLO, GRAZIE

Anche alle persone più solari e spensierate capita di riflettere sulla propria morte, magari fantasticando sulle reazioni di amici e parenti o sul destino dei loro beni, ma solo il caro Stephen poteva arrivare a scrivere un intero romanzo su queste elucubrazioni. Come parecchi suoi lavori, "La storia di Lisey" ha infatti dei chiarissimi contorni autoreferenziali, incentrando la narrazione proprio su una coppia formata da un talentuoso ed apprezzato autore originario del Maine e sua moglie. I protagonisti scrittori sono uno stilema della produzione kinghiana, ma ammetto che la mia curiosità verso questo romanzo in particolare è nata nel momento in cui lo stesso King lo ha definito il suo preferito.

Purtroppo mentirei se mi dicessi d'accordo, ed una delle ragioni si cela proprio nella storia raccontata. La prospettiva scelta è quella di Lisa "Lisey" Debusher Landon, da due anni vedova dell'amato marito Scott, venuto a mancare prematuramente. Nel tentativo di elaborare il proprio dolore, ma soprattutto per le pressioni esterne da parte di persone che sperano di scoprire opere postume del romanziere, Lisey inizia a riordinarne l'ufficio; e questo la porta a smuovere vecchi ricordi, ma anche a rievocare fantasmi passati tutt'altro che metaforici. Tra la preoccupazione per la salute della sorella Amanda "Manda" e la minaccia di un fan dai tratti anniewilkesiani, si procede in un viaggio non sempre lineare tra i momenti più intensi e difficili del matrimonio con un uomo decisamente complicato.

Questa mancanza di linearità è il problema al quale accennavo, e non solo nell'intreccio in sé: i primi capitoli sono caotici, la trama oscilla tra l'essere dispersiva ed il farti chiedere se ci sia davvero, e generi parecchio lontani tra loro (come horror e realismo magico) vengono mescolati senza la necessaria attenzione. Il risultato è una narrazione labirintica che confonde ed ostracizza il lettore, riuscendo comunque ad affascinarlo almeno in parte per la peculiare struttura del volume, parecchio simile ad una matrioska destrutturata. Un altro aspetto che potrebbe rendere la lettura intrigante ed al contempo sfidante è la presenza di un corposo linguaggio familiare, utilizzato soprattutto da Lisey e Scott; all'inizio sembra una trovata carina per creare subito un clima di affetto e complicità tra i due, ma dopo centinaia di pagine farcite di neologismi e battutine ridonanti, l'effetto ottenuto è un po' diverso.

Passando però ai punti di forza veri e propri, abbiamo delle svolte di trama per nulla banali, una rappresentazione alquanto interessante ed allegorica della salute mentale -specie nella delicatezza con cui viene trattato un tema così sensibile-, ed una protagonista non soltanto simpatetica ma capace di emanciparsi dall'ombra creata dalla fama di suo marito. Lisey parte con parecchie incertezze e poco carisma, ma con il procedere del romanzo acquista sempre più risolutezza e coraggio nell'affrontare minacce tangibili e turbamenti psicologici. In poche parole, la personaggia perfetta per una narrazione principalmente introspettiva e riflessiva.

Altro grande pregio è dato dal focus sulla storia della famiglia Landon (e prima Landreau) e sul pericolo rappresentato da "Zack McCool". La prima è davvero piacevole da scoprire un po' per volta, con un giusto bilanciamento tra scene devastanti ed attimi di calore; il secondo non sarà all'altezza delle emozioni suscitate in "Misery", ma regala comunque dei momenti terrificanti e brutali, oltre ad una soddisfacente risoluzione. Approvato anche il comparto personaggi: come succede (quasi) sempre, il caro Stephen riesce con semplicità a delineare dei caratteri credibili e chiari nelle loro motivazioni personali.

Ad avermi un filino delusa è stata invece la poca rilevanza data a Castle Rock come ambientazione principale delle vicende raccontate. In storie come "Il fotocane", "Cujo", e perfino "La zona morta" questa città forniva un contesto molto più rilevante ed immersivo; qui invece è un mero fondale, e le informazioni inedite raccolte sono ben poco impattanti: a chi importa se lo sceriffo non è disponibile perché in luna di miele? Anche il finale ha influito significativamente sulla mia valutazione complessiva, perché gli ultimi capitoli danno l'impressione di trascinare più del necessario la storia. In definitiva, non è stata una lettura del tutto trascurabile, ma credo che l'autore abbia trattato gli stessi temi e delle dinamiche molto simili in altri titoli, con risultati sicuramente migliori.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

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"Non c'è più scampo" di Agatha Christie

Non c'è più scampoNon c'è più scampo by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"Per raccontare le cose come si deve, credo opportuno mettermi dal punto di vista di allora, in uno stato d'animo perplesso, inquieto, sempre più cosciente di qualcosa che andava male. Di una cosa ero certa anche allora: quello strano senso di disagio non era immaginario"


ALLA FINE NON ERA BIGAMIA, ALLORA!

Ormai sono certa di poter sempre riaccendere il mio entusiasmo per la lettura con un giallo della cara Agatha: ogni volta che mi sento arenata in un libro più ostico (nel caso in questione, si trattava de "La storia di Lisey") posso ripiegare sulla sua bibliografia. Il mio rimedio in questa occasione è stato "Non c'è più scampo", l'ennesima indagine risolta dal buon Hercule, abbastanza classica nella sua struttura ma con una nuova voce narrante, oltre ad una significativa variatio in termini di ambientazione.

Lasciamo infatti la solita, nebbiosa Inghilterra e ci spostiamo in Mesopotamia, come suggerisce il titolo originale, nei pressi della città fittizia di Tell Yarimjah in Iraq. Nel vicino scavo di Hassanié il professor Eric Leidner, che è al lavoro con una numerosa squadra cosmopolita, convoca l'infermiera Amy Leatheran -ossia il nostro unico POV- per assistere la moglie Louise. La donna è fornita di un portentoso carisma, ma ultimamente sembra terrorizzata da una misteriosa minaccia, che alla fin fine si rivela molto meno immaginaria di quanto sembrerebbe in un primo momento.

L'ineffabile Poirot arriva quindi a narrazione inoltrata, e nel complesso è anche meno incisivo del suo solito, però è mi risultato abbastanza piacevole. Con la narratrice scelta va ancora meglio: impossibile rimpiangere l'adorabile imbranataggine di Hastings quando l'arguzia e l'ironia di Amy la rimpiazzano senza fatica; la sua prospettiva mi è piaciuta anche perché ricorda in più passaggi un modo di vedere la realtà molto simile a quello di Miss Marple. Lo stile è stato inoltre adattato in maniera ottimale alla personalità di questo POV, rendendolo coerente con i suoi trascorsi ed il contesto generale.

Tra gli aspetti positivi di questo romanzo ben poco pretenzioso abbiamo poi un'introduzione che motiva in modo solido il registro narrativo (trovando inoltre una chiusura soddisfacente nel finale), numerosi elementi autoreferenziali -legati al mondo dell'archeologia ma anche alle mansioni infermieristiche- che rendono più credibile la vicenda, e la scelta di una romance sulla quale una volta tanto non ho nulla da eccepire: ben bilanciata, utile all'intreccio e più che moderata nell'epilogo, dove solitamente Christie esagera un po' con il voler creare a forza tante coppiette felici.

Tenendo in considerazione la buona traduzione, l'utile elenco dei personaggi, prefazione e postfazione, in teoria anche l'edizione potrebbe essere annoverata tra i pregi; mi sembra però corretto segnalare che nelle poche pagine introduttive è stato incautamente incluso un grosso spoiler ad un altro lavoro della cara Agatha... fortuna che l'avevo già letto! Sulla risoluzione di questa indagine non vengono invece fornite informazioni di troppo, e personalmente devo ammettere che mi ha lasciata un filino combattuta. Perché se da un lato la spiegazione di Poirot non lascia interrogativi in sospeso e crea un interessante ribaltamento delle dinamiche, dall'altro mi ha dato l'impressione di essere alquanto macchinosa e non del tutto verosimile.

Il tipico monologo dell'investigatore belga porta su carta anche la mia maggiore riserva su questo titolo, oltre a sottolineare ancora una volta quanto siano incapaci le forze dell'ordine nell'universo christieano. Al di là di delle solite osservazioni degradanti più che datate sulle culture extrabritanniche (doppiamente offensive, se consideriamo l'atteggiamento predatorio dell'archeologia colonialistica), qui troviamo una palese apologia della violenza di genere; a rendere ancor più grave questo aspetto è la decisione di mettere delle simili osservazioni in bocca a personaggi molto positivi: capirei fosse il modo distorto di vedere la realtà dell'assassino di turno, ma sentire certi commenti dal "buon" Hercule mi ha davvero intristito.

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"I segreti del bosco proibito" di Colin Meloy

Wildwood. I segreti del bosco proibito (Wildwood Chronicles, #1)Wildwood. I segreti del bosco proibito by Colin Meloy
My rating: 4 of 5 stars

"Ciò che aveva attirato subito l'attenzione di Curtis era l'enorme groviglio di radici che pendeva dal soffitto (che albero doveva esserci al di sopra di quell'intrico!) e la minacciosa schiera di rozze gabbie di legno che pendevano ... attaccate alle radici per mezzo di grosse corde di canapa e a ogni dondolio emettevano lamentosi cigolii"


UNA FAVOLA MOLTO ORWELLIANA

A quattordici anni dalla pubblicazione in lingua, ad undici da quando io ho iniziato a recuperare la serie e ad uno (prima) dell'uscita dell'adattamento cinematografico, finalmente ho trovato il tempo di leggere "I segreti del bosco proibito". Primo capitolo in una trilogia middle grade, questo volume catturò all'epoca la mia attenzione principalmente per merito delle illustrazioni di Carson Ellis -artista nonché moglie dello scrittore-, che dalla copertina all'ultima pagina passando per risvolti ed intestazioni di capitolo arricchiscono l'intero volume, oltre a donargli un'atmosfera in perfetto equilibrio tra la giocosità dell'infanzia ed un tono più serio, a tratti perfino cupo.

Pur immersa in un chiaro contesto fantastico, la vicenda comincia nella Portland dei giorni nostri, dove la dodicenne Prue McKeel assiste impotente al rapimento del fratellino Mac ad opera di una turba di corvi. Il bimbo viene trasportato in volo nella cosiddetta Landa Impenetrabile -una zona boscosa ad ovest della città, corrispondente al quartiere reale di Forest Park-, dove la ragazzina decide di avventurarsi per salvarlo, accompagnata suo malgrado dal compagno di classe Curtis Mehlberg. In poco tempo, i due vengono divisi e si trovano coinvolti in modo diretto nelle lotte intestine tra i bizzarri abitanti del luogo; in particolare nella contrapposizione tra il (fin troppo) civilizzato Bosco Sud ed il caotico Bosco Selvaggio, al centro di questo mondo surreale.

Questa ambientazione favolistica è uno dei punti chiave del romanzo, e potrebbe attirare i lettori tanto quanto respingerli: in un primo momento, io sono rimasta spiazzata dalla presenza di animaletti parlanti di ogni sorta, che si andavano delineando come dei comprimari abbastanza puerili; andando avanti ho però realizzato la presenza di chiari parallelismi tra queste creature e delle figure ben più realistiche. Inoltre questa scelta permette di includere temi concreti e rilevati, adeguandoli però al pubblico di ragazzini per il quale è pensato il libro, in modo che siano comprensibili e vicini alla loro prospettiva.

Anche il tono ed il lessico risultano del tutto adatti al target, ma non per questo semplicistici: ho notato anzi il tentativo di includere concetti e termini complessi, con un'intenzione sfidante e propositiva verso chi legge. La prosa del caro Colin è inoltre caratterizzata da un buon utilizzo dell'umorismo -seppur a piccole dosi- e da un ottimo ritmo narrativo, perché la grande quantità di informazioni da fornire a protagonisti e lettori viene introdotta con gusto e nei giusti tempi. Tra i punti di forza troviamo inoltre l'intreccio, d'effetto e coerente, che pur essendo un po' lontano dai miei gusti di adulta sono riuscita a trovare gradevole.

Il maggior pregio del romanzo si può però individuare nei suoi personaggi. Prue e Curtis sono degli eccellenti protagonisti, con una caratterizzazione coerentemente solida e dei difetti dai quali partire per potersi migliorare; specialmente Curtis, che in un primo momento non fa proprio una gran figura, ottiene poi la sua chance di riscattarsi agli occhi del lettore. Sono poi presenti diversi comprimari interessanti, ma a conquistarmi è stata senza dubbio l'antagonista principale, della quale si possono comprendere le motivazione senza per questo volerla rendere simpatetica ad ogni costo, una lezione che gioverebbe a tante storie (in teoria) più mature.

Oltre alla mia ovvia disaffinità con il target, mi è invece dispiaciuto leggere alcuni passaggi emotivi trattati in maniera affrettata; penso in particolare alla risoluzione presa da Curtis ed al momento della confessione fatta dai genitori di Prue. Sono inoltre presenti diversi elementi che facilitano un po' troppo il percorso dei protagonisti, ed in generale manca dell'approfondimento nel loro coinvolgimento iniziale all'interno delle dinamiche del Bosco: troppo rapido, dato quasi per scontato dalla narrazione. Questi difetti sono comunque delle minuzie, rispetto a quanto temevo viste le mie ultime (disastrose!) incursioni al di fuori dei libri adult.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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giovedì 14 agosto 2025

"The Turnglass" di Gareth Rubin

The Turnglass: La clessidra di cristalloThe Turnglass: La clessidra di cristallo by Gareth Rubin
My rating: 3 of 5 stars

"Sbirciando verso il tetto mentre orientava meglio la lanterna, scorse in effetti un insolito segnavento. Aveva la forma di una clessidra, con un rivolo di sabbia che cadeva da un'ampolla all'altra; invece che di metallo, però, era fatto interamente di vetro. Colpito dal fascio di luce, restituì uno scintillio. Doveva essere cristallo al piombo"


SCRIVERNE UNO E BENE NO, EH?

Essendo non solo una lettrice, ma anche una collezionista di libri (nel mio piccolo!), trovo estremamente affascinanti i volumi ergodici, che mettono alla sfida il lettore dal punto di vista grafico e concettuale. Non sempre la mia esperienza con questi titoli è stata positiva -specie perché gli autori tendono a soffermarsi più su formato ed estetica che sull'effettivo contenuto-, ma ho voluto comunque dare piena fiducia al tête-bêche "The Turnglass. La clessidra di cristallo", che sembrava presentare un intreccio appassionante e ricco di elementi horror e mystery in linea con i miei gusti. Forse fin troppo per essere vero, e infatti...

Il libro è diviso fisicamente in due metà, leggibili rovesciando il tomo una volta arrivati al finale di ognuna. Sembrerebbe possibile scegliere da soli l'ordine di lettura, ma la mia ossessivo-compulsività mi ha portata a cominciare con la storia del dottor Simeon Lee, medico nell'Inghilterra del 1881, che vorrebbe trovare una cura per il colera; purtroppo è a corto di finanziamenti, e per questo accetta di assistere dietro compenso il parroco Oliver Hawes, suo procugino che per praticità definisce zio. Quest'ultimo vive a Turnglass House -unica abitazione sull'isolotto fittizio di Ray, vicino a Mersea nella contea dell'Essex- assieme alla cognata Florence Watkins, che tiene rinchiusa dietro una parete di vetro dopo la poco chiara morte del fratello minore James. Una premessa alquanto strana, che si ingarbuglia ancor di più quando la donna spinge il protagonista a leggere un volume intitolato "Il campo d'oro", preludio all'altra metà della narrazione.

In questa seconda parte, ci spostiamo nella Los Angeles del 1939 seguendo il pubblicitario ed aspirante attore Ken Kourian. In modo decisamente fortuito, l'uomo fa amicizia con Oliver Tooke -scrittore di successo nonché figlio dell'immaginario governatore dello Stato- e con la sorella di lui Coraline; i due abitano in un'avveniristica abitazione di vetro sull'oceano, replica dell'antica casa di famiglia nell'Essex. Dietro una patina di successo e ricchezza, questa famiglia sembra però nascondere parecchi scheletri nell'armadio; scheletri che forse la pubblicazione dell'ultima opera di Oliver, intitolata guarda caso "The Turnglass" ed ispirata all'oscuro passato della famiglia Tooke, potrebbe rivelare al mondo.

Vista la particolarità del romanzo, ritengo utile fornire la mia (ora) consapevole opinione sui due ordini di lettura, che reputo entrambi sbagliati! Più che un Giano bifronte, qui ci troviamo davanti ad una matrioska: l'ideale sarebbe cominciare dalla storia di Ken, fino al punto in cui lui arriva a leggere la storia di Simeon, concludere quella e poi tornare all'altra. Certo, ci saremmo persi una doppia copertina estremamente accattivante, ma almeno avremmo ricevuto le informazioni in modo più ordinato; è stato comunque divertente dare la caccia ai numerosissimi elementi specchiati tra le due vicende. Ho apprezzato anche alcuni dei personaggi secondari -meritevoli di un proprio POV ben più dei protagonisti-, la presenza di alcune tematiche attuali e la struttura stessa del mystery, pur avendo azzeccato le risoluzioni molto prima dell'ultima pagina.

Un altro aspetto positivo è rappresentato dalle ambientazioni, che non saranno originalissime (a livello di vibes, mi hanno fatto pensare non poco a "L'incubo di Hill House" da un lato ed a "Il grande Gatsby" dall'altro), ma riescono a delineare molto bene un'atmosfera di mistero a tratti gotica. Mettendo a confronto le storie di Simeon e Ken, devo poi dire che forniscono rispettivamente una buona dose di intrigo noir nel caso del medico inglese e di adrenalina adatta ad una vicenda più avventurosa in quello dell'attore wannabe.

Mi spiace dover dire che tante belle premesse non sono riuscite a portare oltre la sufficienza questa lettura. I principali colpevoli? protagonisti e trama. I primi dimostrano un grado di stupidità che poche volte ho incrociano sulla carta, oltre ad offrire delle prospettive spesso e volentieri del tutto anacronistiche ed a dimenticare i loro stessi obiettivi di vita tra un capitolo e l'altro, in favore dell'intreccio principale. La loro ottusità viene ulteriormente esacerbata quando si trovano al centro di scene inutili, come la capatina di Simeon all'ospedale mentre è in missione a Londra oppure quando si vede rubare il libro poco dopo, al solo fine di ritardare di poche pagine la rivelazione finale.

Le due conclusioni sono un altro punto dolente, perché risultano estremamente brusche e per nulla soddisfacenti, tanto che è lo stesso lettore a dover immaginare quale sarà il finale dei protagonisti (un confronto definitivo tra Coraline e suo padre sarebbe stato il minimo, tanto per dire!); per i comprimari invece non c'è proprio nulla da fare, dal momento che la maggior parte di loro ruota attorno a sottotrame inconcludenti, quando va bene. Più in generale la trama pare gravata da scene troncate e dialoghi vuoti; inoltre se consideriamo la storia di Simeon soltanto come una creazione di Oliver Tooke, ci troviamo di fronte ad una narrazione che poggia interamente sulle azioni di quest'ultimo. Azioni che scaturiscono da una scoperta mai chiarita e sono portate avanti con una cripticità -ancora una volta- inutile! se lui si fosse limitato ad agire in modo diretto o a parlare con chiunque, ci saremmo risparmiati in un colpo solo più di 400 pagine e quasi 20 euro!

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giovedì 7 agosto 2025

"Uomini in rosso" di John Scalzi

Uomini in rossoUomini in rosso by John Scalzi
My rating: 4 of 5 stars

"La Narrazione: quello era il termine usato da Jenkins per indicare i momenti in cui il programma televisivo si insinuava nella loro esistenza, spazzava via completamente razionalità e leggi fisiche e induceva la gente a sapere, a fare e a dire cose che altrimenti non avrebbero mai saputo, fatto o detto"


PERCHÉ NON NE HANNO ANCORA FATTO UN FILM?!?

Di certo non sono un'esperta di narrazioni fantascientifiche -sul piano letterario, televisivo, videoludico o cinematografico che sia-, però perfino io ho familiarità con il concetto di comparsa sacrificabile. Questo perché si tratta di una figura presente in molti generi (dal fantasy al romanzo storico, passando per le storie crime) collegati all'avventura ed all'azione adrenalinica. Ma a rendere iconico questo modello di personaggio è stata la serie televisiva Star Trek negli anni Sessanta, con la sua pratica di eliminare puntualmente le comparse che indossavano una maglia rossa al solo scopo di mettere in luce il pericolo corso dagli intoccabili protagonisti.

Basandosi in modo palese e dichiarato su questo specifico cliché, "Uomini in rosso" adotta la prospettiva della "maglia rossa" Andrew "Andy" Dahl, guardiamarina ed esperto di xenobiologia pronto ad imbarcarsi sull'Intrepid, l'astronave ammiraglia dell'Unione Universale, anche nota come Doppia U. L'uomo fa immediatamente amicizia con altri nuovi arrivati pari sua, e comincia a notare una serie di stranezze legate alla vita di bordo: ad esempio, l'insensato eccesso di retorica e drammaticità in alcuni dialoghi, la rapidità con cui certi membri dell'equipaggio sembrano riprendersi da ferite gravissime, o ancora la frequenza con cui i sottoposti tirano l'ala durante le missioni di sbarco. La spiegazione a tutti i misteri sembra più assurda dei misteri stessi, ma Dahl rimane intenzionato a fermare questa sequela di tragedie, prima di finirne vittima lui stesso.

Senza spoilerare ulteriormente l'intreccio, posso comunque menzionare il trope che mi ha portata verso questo romanzo: il mio eterno nemicamico viaggio nel tempo. Avessi però saputo che questo elemento è un dettaglio del tutto secondario, appena abbozzato ed adottato in sola funzione di una singola svolta di trama, avrei probabilmente lasciato perdere. Per fortuna non ne ero al corrente, e sono quindi riuscita a dare una chance a questo titolo, nel quale la componente del viaggio temporale in effetti non aveva ragione per essere approfondita di più. Passando invece ad elementi negativi che ho percepito nettamente come tali, abbiamo senza dubbio la rapidità con cui si sviluppa la storia; questa inficia non solo sulle vicende (e sulla loro credibilità), ma anche su personaggi e relazioni, che risultano essere approssimativi e privi di un approfondimento seppur minimo.

Nel testo sono poi presenti alcune piccole contraddizioni logiche, uno scarso livello di coinvolgimento nei momenti di dialogo ed alcune battute che danno l'effetto di essere un mero riempitivo. Il vero scoglio da superare, almeno nel nostro Paese, ritengo sia però l'edizione nostrana, perché anche volendo chiudere un occhio sulla politica pseudo-elitaria di Urania, rimane un formato indegno per un romanzo così noto ed apprezzato. Il titolo italiano, la copertina scelta, la sinossi proposta: nulla in questo volume presenta in modo onesto la storia che si sta per leggere! Perché non intitolarlo "Magliette rosse"? perché non optare per una cover più simile a quella un po' cartoonosa dell'originale? e perché descrivere il libro come fosse una storia di ribellione contro una gerarchia totalitaria, quando in realtà parla di tutt'altro?

Passiamo a qualche elemento meno polarizzante, che è meglio. In questa categoria troviamo i personaggi -macchiettistici, però facili da identificare- e la trama, che da un lato coinvolge il lettore, superando abbastanza in fretta la sola idea di partenza, ma è anche costellata da colpi di scena tragicamente scontati. Sempre parlando di intreccio, ho trovato interessante l'idea di dividere il finale, eppure non mi spiego per quale motivo siano state alternate prima, seconda e terza persona; in generale, ho trovato questi epiloghi un po' lunghetti rispetto al contenuto effettivo e zeppi di un genere di retorica non proprio di mio gusto.

Si è invece rivelata di mio gusto la scelta di adottare una sorta di metanarrazione, tra l'altro sfruttando molto bene questo aspetto ed offrendo così a chi legge la possibilità di interrogarsi su quesiti di tipo speculativo ed etico, che personalmente trovo ben più intriganti di una pura componente sci-fi. Anche la prosa di Scalzi è promossa: ha un valido tono umoristico, oltre a saper adottare un piglio autoironico quando la situazione lo richiede, senza per questo sminuire il suo chiaro affetto per il genere fantascientifico. Nel suo insieme, il romanzo ha poi un ritmo ottimo per il tipo di storia raccontata ed un netto taglio cinematografico; infatti mi chiedo perché non ne abbiano ancora tratto un film! La sola risposta che mi venga in mente è una molto probabile denuncia di plagio: altro che vermi delle sabbie copincollati da Dune, qui la Paramount potrebbe imbastire una causa con i fiocchi! oppure approfittare dell'occasione per acquisire i diritti e realizzare un meta-crossover con lo stesso Star Trek. In questo caso, sarei disposta a fare perfino un'eccezione alla mia diffidenza verso questo genere.

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