Leggende di Earthsea by Ursula K. Le GuinMy rating: 2 of 5 stars
"Questo dunque è il resoconto delle mie esplorazioni e delle mie scoperte: racconti di Terramare per chi ha amato o pensa di poter amare il luogo, ed è disposto ad accettare queste ipotesi: le cose cambiano, autori e maghi non sono sempre affidabili, nessuno può spiegare un drago"
GOODREADS 1 : MONDADORI -2
Detto e fatto: non ho lasciato passare neppure un mese dalla lettura dell'ultimo romanzo ambientato nell'universo narrativo di Terramare per fiondarmi sulla raccolta "Leggende di Terramare" e poter così mettere la parola fine a questa soporifera saga. Una conclusione che non rispetta l'ordine di lettura originale (sì, avrei dovuto tenere per ultimo "I venti di Terramare", ma per questa scelta infelice scaricherò integralmente il barile su Mondadori!) eppure mi libera non di meno da un impegno libroso che ho avuto la sciagurata idea di voler portare a termine entro l'anno. E sono pronta a scommettere che la prosa un po' chirurgica e un po' delirante della cara Ursula sia in parte responsabile del mio netto peggioramento a livello di libri letti, e soprattutto di libri apprezzati.
Prima che incolpi questa serie pure del maltempo, passiamo al contenuto effettivo del volume. Si tratta di cinque racconti presentati in ordine cronologico ma ben poco omogenei a livello di lunghezza -alcuni sembrano quasi delle novelle o dei romanzi brevi-, e di un'appendice parecchio sostanziosa nella quale l'autrice si concentra sulle peculiarità geografiche, sociologiche e storiche del mondo da lei creato. Tutto questo viene preceduto da una prefazione dal tono fortemente supercazzoloso, dove una retorica infantile dovrebbe convincere il lettore che le contraddizioni presenti nella serie non sono dovute all'incapacità dell'autrice di mantenere fede a quanto scritto in precedenza bensì alla reale esistenza di Terramare, un mondo dove Le Guin accede in veste di umile cronista, del tutto titolata quindi a commettere piccoli errori e grosse incoerenze.
Ambientata trecento anni prima della storia di Ged (oppure quattrocento, oppure più di seicento, a seconda di cosa passa per la testa all'autrice), la narrazione di partenza è decisamente la più corposa e mira a raccontare le origini della scuola di magia sull'isola di Roke e delle sue tradizioni, salvo la più importante: dovremo aspettare l'ultima pagina delle appendici per sapere come questo organismo si sia trasformato da comune hippy basata sulla condivisione e l'inclusione, a simil-convento di clausura per soli uomini celibi. Ne "Il trovatore", la prospettiva principale è quella di Medra (più una carrellata di altri nomi, come sempre), umile costruttore di navi di Havnor che scopre una grande predisposizione per l'arte magica, attitudine grazie alla quale viaggia per tutto il Terramare fino ad approdare a Roke, dove già vive un nutrito gruppo di streghe e stregoni; il suo desiderio di condividere le conoscenze magiche però è tale che riprende il mare per radunare altri "dotati" e recuperare libri antichi. La sua iniziativa attira purtroppo l'attenzione dell'ambizioso mago Early, mettendo a repentaglio il futuro della loro comunità.
In questo racconto mi sento di poter salvare soltanto il personaggio di Segugio, ovvero un raro carattere leguinano fornito di buon senso e di un percorso credibile e propositivo; in confronto Medra è un protagonista scialbo, privo di legami solidi o costruiti con cura. Non mancano poi le contraddizioni rispetto agli altri capitoli della serie, le svolte di trama basate sul mero caso e delle risoluzioni fin troppo rapide e semplici, che privano il testo di ogni genere di tensione narrativa. La prosa estremamente riassuntiva della cara Ursula qui si accorda meglio al formato rispetto ai romanzi, ma rimane sempre parecchio frustrante: è quasi faticoso seguire gli eventi perché mancano dei passaggi fondamentali, come nel caso della ricerca del Libro dei Nomi, iniziata e conclusa da Medra senza condividere con i lettori alcunché sull'importanza di questo testo.
Non indicato nell'indice e privo di un qualsiasi tipo di intestazione (almeno nella mia edizione), "Rosascura e Diamante" è invece una storia sentimentale tra il figlio di un ricco mercante di Havnor e l'umile figlia della strega locale. La loro romance viene in teoria ostacolata dal severo padre di lui -contrario anche al sogno del figlio di diventare musicista-, ma a conti fatti il loro unico problema è la ben meno intrigante mancanza di comunicazione, oltre alla visione tubulare di lui che per ragioni mistiche si convince di non poter avere una famiglia o coltivare un hobby senza trascurare tragicamente il lavoro.
Cronologicamente ci spostiamo di parecchi decenni in avanti, anche se nulla nella realtà terramarina sembra minimamente cambiato: tradizioni, economia, e struttura sociale qui sono imperturbabili al passare del tempo. Come avrete intuito, Diama e Rosa non mi hanno fatta impazzire come personaggi, con lui privo di spina dorsale e pure un po' tossico, e lei che sembra avere quasi dell'amor proprio per poi capitolare in due righe così da arrivare al lieto fine. Come se non bastasse, questo racconto non fornisce alcuna informazione in più, ruota attorno a dinamiche già viste, e riguarda personaggi irrilevanti per il resto della serie.
Per fortuna questo non è vero per "Le ossa della Terra", il racconto più breve e vicino agli eventi dei romanzi, tanto che Nemmerle è già diventato l'Arcimago di Roke. L'episodio centrale in questo caso è il terremoto di Gont accennato dalla zia di Ged ne "Il mago", in teoria bloccato da Ogion, impresa alla quale deve gran parte della sua fama; la prospettiva del suo maestro Dulse racconta qui una versione leggermente diversa, concentrandosi anche sulla formazione di Ogion e sui diversi tipi di magia. Ergo, nuove informazioni con pochissimi chiarimenti e nuove contraddizioni rispetto a quanto detto in precedenza: ormai le incoerenze sembrano essere diventate la regola.
In questo caso trovo che il formato stringato funzioni abbastanza bene, anche perché la vita di Dulse non è tanto interessante da meritare ulteriori spiegazioni; sono inoltre presenti dei piccoli easter eggs legati al carattere e alle abitudini di Ogion. Il rapporto tra i due viene appena accennato eppure risulta abbastanza verosimile, ma lo stesso non si può dire di quello tra Dulse e la sua insegnante Ard: le ragioni dietro la scelta di una strega come maestra sarebbero state affascinanti da esplorare, dal momento che questa specifica formazione si dimostra vitale per la risoluzione finale, invece rimangono appena accennate. Tutto considerato, potrebbe comunque essere il testo migliore dell'antologia.
Con "Nell'Alta Palude" si arriva direttamente nelle vicende dei romanzi, in particolare poco tempo prima dell'inizio de "Il signore dei draghi", anche se nulla di quanto avviene qui verrà mai menzionato, ad esempio quando comincia a scomparire la magia. L'ambientazione è l'isola di Semel, una landa placida fino alla nausea dove perfino il vulcano locale è inattivo; una moria colpisce il bestiame -principale fonte di reddito del luogo-, quindi l'arrivo di un misterioso guaritore chiamato Otak viene accolto con gioia. L'uomo sembra trovarsi a proprio agio con gli animali e il lavoro prosegue bene, ma il passato non tarda a farsi vivo per smascherare la sua vera natura.
Questo racconto rimane fedele alle linee guida della serie: personaggi bidimensionali, relazioni forzate, sistema magico volubile e morale ballerina; specialmente nell'epilogo, che mostra una situazione da brividi fatta passare per ultra-romantica, dove un compagno potenzialmente violento viene preferito a un fratello sicuramente avvinazzato. Peccato, perché il personaggio di Dote aveva alcuni spunti niente male (oltre a pronunciare la battuta migliore della serie!) e la struttura del testo un po' diversa dal solito sembrava promettente, inoltre poteva essere il momento giusto per approfondire il retroscena di Thorion, una figura molto importante per la conclusione della saga.
Guarda caso, Thorion torna a farsi notare in "Libellula", titolo del racconto nonché nome comune dell'effettiva protagonista, la figlia poco amata di un proprietario terriero di Way caduto in disgrazia. La ragazza percepisce in sé un Potere immenso, senza però avere i mezzi per comprenderlo appieno; l'incontro con il giovane apprendista mago Avorio le fornisce l'occasione che cerca per conoscere la Scuola di Roke, dove pensa di trovare una soluzione ai suoi dilemmi. La vicenda si colloca cronologicamente qualche tempo dopo l'epilogo de "Il signore dei draghi" ed è collegata in modo diretto a quanto avviene ne "I venti di Terramare", aspetto che la rende molto interessante per avere un quadro più accurato di alcuni personaggi e un particolare retroscena.
Nel complesso, è uno dei racconti più utili e affascinanti, ma devo per forza sottolinearne i difetti: come il modo giocoso e leggero con cui si accenna agli stupri compiuti da Avorio grazie alla magia. Un altro grande demerito è ignorare la prospettiva di Libellula per gran parte del testo, quando sarebbe dovuta essere centrale: lo stesso problema avuto nei romanzi con Tehanu, tra l'altro! In particolare nel finale, avrei trovato appassionante leggere i suoi pensieri e capire cosa l'avesse spinta in una determinata risoluzione, anziché soffermarsi per l'ennesima volta sui dialoghi pseudo-filosofici dei vari Maestri.
Per quanto riguarda invece le appendici, sono molto combattuta. Da un lato trovo siano dei testi propedeutici e (una volta tanto!) estremamente chiari, ma è altrettanto vero che spoilerano gran parte degli avvenimenti raccontati nella saga; per questo, temo che piazzarli alla fine fosse l'unica soluzione valida. A meno di non fare una cernita e includere all'inizio solo quelli essenziali per comprendere a grandi linee il mondo di Terramare e le regole della magia. Rimangono comunque una delle parti che ho letto con più interesse in questo tomo da quasi 1500 pagine; un'affermazione decisamente significativa, se pensiamo che si tratta di testi quasi scolastici.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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