...e nessuno ne restò.
Recensione a "Bunker Diary" di Kevin Brooks

TITOLO: Bunker Diary
AUTORE: Kevin Brooks
TITOLO ORIGINALE: The Bunker Diary
TRADUTTORE: Paolo Antonio Livorati
EDITORE: Piemme
COLLANA: Freeway
PAGINE: 280
TRADUTTORE: Paolo Antonio Livorati
EDITORE: Piemme
COLLANA: Freeway
PAGINE: 280
Avete mai
riflettuto sull’enorme potere che deteniamo in quanto lettori?
Uno scrittore
infatti potrà anche comporre la più maestosa tra le opere, ma spetta al lettore
darle vita con la propria immaginazione. Il lettore si scopre così detentore di
un potere assoluto sul libro: la storia narrata non è reale finché non viene
letta, esiste solo nel momento della lettura, e nel bene o nel male il destino
dei protagonisti è vincolato alla volontà di chi legge.
Kevin Brooks
fa un passo oltre questo concetto già molto interessante, portandoci ad
ipotizzare cosa accadrebbe ai personaggi di un romanzo se il lettore ne
interrompesse la lettura. Si salverebbero forse da un fato ormai letteralmente
scritto?
Come nel caso
de “La storia infinita” (QUI la recensione), un romanzo pensato per un pubblico
relativamente giovane è stato capace di trasmettermi messaggi più forti e
significativi di molte letture più “adulte”.
Va detto che
il target di riferimento influisce comunque sul tono della narrazione che,
sulla base delle premesse illustrate nella sinossi, mi aspettavo maggiormente
ricca in quanto ad azione, suspense e twist narrativi.
La storia si
concentra invece sulle riflessioni e le emozioni del protagonista Linus,
giovane clochard inglese che per scelta ha lasciato la casa del padre assente,
rinunciando al lusso per una vita nomade sempre in compagnia della sua fida
chitarra, grazie alla quale si guadagna da vivere.
La narrazione
ha inizio quando Linus, vittima di un misterioso rapimento, si trova rinchiuso
in un bunker antiatomico sotterrano e decide di tenere un resoconto giornaliero
della sua prigionia.
Il ragazzo
pensa inizialmente che il rapitore punti ai soldi del padre, ma la faccenda ben
presto si complica con l’arrivo nel bunker di altre persone, tutte sequestrate
con vari stratagemmi dallo sconosciuto antagonista.
Con queste
basi, già potete prevedere come la storia si profili ricca di scene via via
sempre più cruente e lontane dalla comune idea di civiltà; come già detto però
il romanzo è pensato per dei ragazzi, e qui l’autore dimostra la propria
bravura, glissando sui momenti violenti e limitandosi a degli accenni che
lasciano solo intuire quel che succede veramente.
A parte il
protagonista, del quale veniamo a conoscere tutti i pensieri ed i retroscena,
la cerchia degli altri personaggi si limita al rapitore e alle altre sue
vittime. Merito anche del loro numero esiguo, tutti risultano ben
caratterizzati, mostrando la propria essenza nelle azioni anziché attraverso le
parole dell’autore. La sola delusione è stato l’antagonista per il quale
speravo in un ruolo più attivo, mentre dopo essersi tenuto nell’ombra per
parecchi capitoli, è solo nella seconda metà del volume che lo si vede
tormentare attivamente i protagonisti, trattandoli come fossero le cavie per il
suo perverso esperimento sulla resistenza umana.
Tra le vittime
il mio preferito è indubbiamente Fred, soprattutto per l’inaspettata abilità
nel rimanere sempre calmo e nel saper gestire il gruppo fino al limite.
Vista la situazione
in cui si trovano i personaggi, tutte le storie brillano per la loro tragicità,
in special modo quelle della piccola Jenny e di Russell, orbo e malato di
tumore ad uno stadio terminale; personalmente però ritengo che la vicenda di
Anja, sempre tenuta in secondo piano rispetto alle altre, sia la più
straziante.
Le stile di
Brooks è ricercato e godibile, e ne ho apprezzato principalmente gli sforzi per
mantenere fede al peculiare registro narrativo. Interessanti le sequenze nelle
quali Linus si rivolge agli immaginari lettori del suo diario e li chiama in
causa, li sfida a rendere reale la sua condanna a morte e a mostrare il loro
coraggio continuando la lettura.
La narrazione
si presenta sempre fluida e molto diretta, con dialoghi per lo più brevi, quasi
tronchi, a volte trascritti come si trattati del copione di un testo teatrale.
Particolare anche il frequente ricorso a delle onomatopee, tra le quali è quasi
comico il rumore prodotto dalla salita e dalla discesa dell’ascensore di
accesso.
Personalmente
avrei preferito uno sviluppo più maturo per la storia; comunque l’idea di base,
che ricorda molto “Il condominio” (QUI la recensione) di Ballard, è di certo
degna di nota.
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