Rose Madder by Stephen King
My rating: 4 of 5 stars
"Tutti assieme, furono quattordici anni d'inferno, senza che lei lo sapesse. Per la gran parte di quegli anni la sua esistenza trascorse in uno stordimento così profondo che era quasi morte"
OMERO SI STARÀ RIVOLTANDO NELLA TOMBA
In base alla trama e ad alcune recensioni che ne avevo letto, avevo l'impressione che "Rose Madder" mi sarebbe piaciuto parecchio, eppure ne ho procrastinato per un bel po' la lettura nonostante la Random TBR mi imponesse di completarla entro giugno. La ragione sta nelle tematiche scelte da King per questo romanzo, che sono tutto fuorché leggere e mi mettevano una certa angoscia, pur sapendo che lui aveva le capacità per trattarle nel modo corretto. E così effettivamente è stato, però si tratta senza dubbio di un romanzo molto triggerante, che va letto nel giusto stato mentale.
La premessa narrativa è semplice ma riesce indubbiamente a colpire nel segno: dopo quattordici anni passati ad accettare in silenzio abusi di ogni genere da parte del marito, Rose "Rosie" Diana McClendon trova infine il coraggio di scappare da casa e cercare rifugio in una grande città del Midwest. Il suo tentativo di condurre una vita normale viene però ostacolato da Norman Daniels -che non prende per niente bene la scelta della moglie di lasciarlo- e da un misterioso quadro, al quale Rosie si sente legata come per magia. Il dipinto serve ad introdurre l'elemento paranormale della storia, che diventerà sempre più importante nella narrazione, e perfino decisivo per la risoluzione finale.
Questo lato della storia è forse il motivo principale per cui non l'ho apprezzata quanto speravo: fatica molto ad amalgamarsi in una vicenda tanto ancorata ad eventi verosimili ed ambientazioni reali, dove sentir parlare di quadri magici stona parecchio. Vorrei evitare di fare spoiler, ma devo specificare che il dipinto apre a sua volta le porte ad una parentesi legata alla mitologia classica; mitologia che il caro Stephen sfrutta in modo non proprio ortodosso, mescolando senza ritegno nomi ed eventi in una sorta di antologia destrutturata. Un altro aspetto che potrebbe scoraggiare parecchi è costituito dalle scene di violenza -numerose e grottesche-, che si sommano alle tematiche trattate e rendono la lettura non adatta ai lettori impressionabili o sensibili.
Accantonati però i difetti, passiamo ora ai tanti motivi per cui questo romanzo mi è piaciuto e vorrei consigliarlo anche ad altri, con le dovute precauzioni. E comincerei proprio dal prologo, che è senza dubbio una partenza d'impatto, per nulla edulcorata e con una buona dose di dettagli raccapriccianti, che però non risultano essere fini a se stessi. Come già accennato, il libro tratta poi dei temi molto forti ed attuali -principalmente abusi domestici e violenza di genere, ma anche discriminazione di determinati gruppi sociali- rappresentati non solo nelle scene di violenza fisica, ma anche nelle riflessioni di Norman, che rimandano ad un modo di pensare fin troppo comune ai giorni nostri come trent'anni fa.
L'elemento che ho trovato più riuscito sono però i personaggi; non tanto quelli secondari che, pur caratterizzati come sempre con cura, non risultano particolarmente memorabili, quanto la protagonista e la sua nemesi: per loro King delinea dei ritratti psicologici disturbanti, ma anche estremamente credibili. E se da un lato Rosie acquisisce maggiore sicurezza in se stessa, dimostrando un temperamento ben più energico di quanto ci si aspetterebbe, dall'altro Norman segue una prevedibile (ma non per questo meno shockante) discesa nella completa follia, pur riuscendo ad architettare dei piani di tutto rispetto. La presenza del duplice punto di vista permette inoltre una narrazione senza momenti morti, perché quando la storia di Rosie non presenta eventi rilevanti ci si sposta su Norman e viceversa.
Rispetto all'incipit esplosivo, il finale si trascina un po' troppo e perde di efficacia, ma mi sento comunque di dare qualche punto in più per le strizzatine d'occhio a "Misery" e al mondo de La torre nera: aver conosciuto entrambe queste storie da poco è stata una fortuna, altrimenti mi sarei persa tutti i riferimenti per esempio a Paul Sheldon, al quale staranno fischiando le orecchie per quante volte vengono menzionati i suoi romanzi, e non proprio in termini lusinghieri.
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mercoledì 31 maggio 2023
venerdì 26 maggio 2023
"Il segreto di Chimneys" di Agatha Christie
Il segreto di Chimneys by Agatha Christie
My rating: 3 of 5 stars
"Lanciandogli un'occhiata distratta, constatò che era il più piacevole esemplare della specie dei disoccupati che finora avesse visto a Londra ... Avrebbe desiderato procurargli un lavoro"
TRE INVESTIGATORI PER OGNI MISTERO, DI MEDIA
Dove trovare rifugio dopo un libro farcito di personaggi orribili e psicodrammi assortiti? per me la risposta non può che essere un romanzo della cara Agatha, in cui generalmente imperano i buoni sentimenti, nonostante non manchino mai disgrazie e delitti di ogni tipo. In realtà ero un po' titubante su "Il segreto di Chimneys", perché temevo si sarebbe rivelata una storia di spionaggio simile a "L'uomo vestito di marrone", che non mi era piaciuto particolarmente; in realtà la spy story qui fa sono da introduzione a quello che è il cuore del romanzo, ossia un murder mystery nella miglior tradizione christieniana.
La storia si apre in Sudafrica dove la guida turistica Anthony Cade viene incaricato dal suo vecchio amico James "Jimmy" McGrath di consegnare un misterioso manoscritto ad una casa editrice londinese, in cambio di un sostanzioso compenso; una volta arrivato in Inghilterra, l'uomo scopre che molte persone desiderano appropriarsi di questo documento -con mezzi più o meno leciti- e questo lo porta ad essere coinvolto nell'intrigo diplomatico che ha come sfondo la sontuosa magione di Chimneys, dimora di Lord Caterham in cui sta per avere luogo un incontro dal quale dipendono le sorti del fittizio Stato balcanico della Herzoslovacchia.
Come accennato, dopo una corposa prima parte nella quale vengono introdotti i tanti personaggi ed il lettore ha tempo per familiarizzare con la situazione politica e la storia recente herzoslovacca, il volume vira in modo netto verso il giallo classico. Se da un lato questo cambio di rotta ha fatto impennare il mio apprezzamento per il romanzo, dall'altro leggere una sinossi nella quale esso viene presentato come si trattasse dello spunto iniziale -dal quale si svilupperà poi l'intera storia- potrebbe lasciare interdetti: si rischia di essere non poco confusi quando, per i primi dieci capitoli, del fantomatico nobile balcanico ucciso non c'è neppure l'ombra.
A parte una sinossi che anticipa più di quanto dovrebbe, il romanzo soffre di un altro paio di difetti: nulla di grave, ma credo valga la pena nominarli. Il primo è la presenza di troppi POV, che si aggiungono a quello iniziale di Anthony; questa scelta a mio avviso crea dei problemi specialmente andando avanti nella narrazione, perché in pratica ogni personaggio tenta di risolvere qualche mistero, generando così più confusione che risposte effettive. Abbiamo poi una rappresentazione non particolarmente felice di alcune popolazioni, che i protagonisti britannici descrivono con un misto di condiscendenza e luoghi comuni ormai superati; Christie non ci risparmia neppure un velatissimo endorsement al colonialismo e alla monarchia, qui contrapposta alla fallace democrazia post-rivoluzionaria. Se penso poi alla mia edizione nello specifico, potrei opinare anche su una traduzione che arranca in più punti, ma sono certa che dagli anni novanta ad oggi questo problema sia stato tranquillamente risolto.
Tutte queste problematiche sono però marginali, e si accantonano facilmente di fronte ad un mistero orchestrato in modo geniale, che riesce a tenere il lettore incollato fino all'ultima pagina con la curiosità di vedere al loro posto tutti i tasselli del puzzle. Personalmente ho poi apprezzato i caratteri dei personaggi principali: non solo Anthony, ma anche Virginia e Battle -figura ricorrente in altri romanzi dell'autrice-, che riescono a dimostrarsi brillanti e al contempo spiritosi. Mi sono divertita molto a seguire sia loro che i tanti comprimari, tra i quali spicca il povero Lord Caterham, sempre più disperato per le disgrazie accadute sotto il suo tetto e prontissimo a partire per una vacanza appena tutto si sarà risolto. Come lo capisco!
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Lanciandogli un'occhiata distratta, constatò che era il più piacevole esemplare della specie dei disoccupati che finora avesse visto a Londra ... Avrebbe desiderato procurargli un lavoro"
TRE INVESTIGATORI PER OGNI MISTERO, DI MEDIA
Dove trovare rifugio dopo un libro farcito di personaggi orribili e psicodrammi assortiti? per me la risposta non può che essere un romanzo della cara Agatha, in cui generalmente imperano i buoni sentimenti, nonostante non manchino mai disgrazie e delitti di ogni tipo. In realtà ero un po' titubante su "Il segreto di Chimneys", perché temevo si sarebbe rivelata una storia di spionaggio simile a "L'uomo vestito di marrone", che non mi era piaciuto particolarmente; in realtà la spy story qui fa sono da introduzione a quello che è il cuore del romanzo, ossia un murder mystery nella miglior tradizione christieniana.
La storia si apre in Sudafrica dove la guida turistica Anthony Cade viene incaricato dal suo vecchio amico James "Jimmy" McGrath di consegnare un misterioso manoscritto ad una casa editrice londinese, in cambio di un sostanzioso compenso; una volta arrivato in Inghilterra, l'uomo scopre che molte persone desiderano appropriarsi di questo documento -con mezzi più o meno leciti- e questo lo porta ad essere coinvolto nell'intrigo diplomatico che ha come sfondo la sontuosa magione di Chimneys, dimora di Lord Caterham in cui sta per avere luogo un incontro dal quale dipendono le sorti del fittizio Stato balcanico della Herzoslovacchia.
Come accennato, dopo una corposa prima parte nella quale vengono introdotti i tanti personaggi ed il lettore ha tempo per familiarizzare con la situazione politica e la storia recente herzoslovacca, il volume vira in modo netto verso il giallo classico. Se da un lato questo cambio di rotta ha fatto impennare il mio apprezzamento per il romanzo, dall'altro leggere una sinossi nella quale esso viene presentato come si trattasse dello spunto iniziale -dal quale si svilupperà poi l'intera storia- potrebbe lasciare interdetti: si rischia di essere non poco confusi quando, per i primi dieci capitoli, del fantomatico nobile balcanico ucciso non c'è neppure l'ombra.
A parte una sinossi che anticipa più di quanto dovrebbe, il romanzo soffre di un altro paio di difetti: nulla di grave, ma credo valga la pena nominarli. Il primo è la presenza di troppi POV, che si aggiungono a quello iniziale di Anthony; questa scelta a mio avviso crea dei problemi specialmente andando avanti nella narrazione, perché in pratica ogni personaggio tenta di risolvere qualche mistero, generando così più confusione che risposte effettive. Abbiamo poi una rappresentazione non particolarmente felice di alcune popolazioni, che i protagonisti britannici descrivono con un misto di condiscendenza e luoghi comuni ormai superati; Christie non ci risparmia neppure un velatissimo endorsement al colonialismo e alla monarchia, qui contrapposta alla fallace democrazia post-rivoluzionaria. Se penso poi alla mia edizione nello specifico, potrei opinare anche su una traduzione che arranca in più punti, ma sono certa che dagli anni novanta ad oggi questo problema sia stato tranquillamente risolto.
Tutte queste problematiche sono però marginali, e si accantonano facilmente di fronte ad un mistero orchestrato in modo geniale, che riesce a tenere il lettore incollato fino all'ultima pagina con la curiosità di vedere al loro posto tutti i tasselli del puzzle. Personalmente ho poi apprezzato i caratteri dei personaggi principali: non solo Anthony, ma anche Virginia e Battle -figura ricorrente in altri romanzi dell'autrice-, che riescono a dimostrarsi brillanti e al contempo spiritosi. Mi sono divertita molto a seguire sia loro che i tanti comprimari, tra i quali spicca il povero Lord Caterham, sempre più disperato per le disgrazie accadute sotto il suo tetto e prontissimo a partire per una vacanza appena tutto si sarà risolto. Come lo capisco!
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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lunedì 22 maggio 2023
"Il mio anno di riposo e oblio" di Ottessa Moshfegh
Il mio anno di riposo e oblio by Ottessa Moshfegh
My rating: 2 of 5 stars
"Prendevo più di un decina di farmaci al giorno, ma era tutto molto controllato, pensavo, tutto alla luce del sole. Volevo solo dormire di continuo. Quello era il mio piano"
DORMI COME BENZODIAZEPINA COMANDA
Negli ultimi mesi ho sviluppato una teoria del complotto: Feltrinelli si è imposta come linea editoriale di pubblicare unicamente romanzi con protagonisti che io reputo orribili nel migliore dei casi, e da prendere a legnate sui denti nel peggiore. "Il mio anno di riposo e oblio" segue questo trend infelice, raccontandoci la struggente storia di una giovane donna newyorkese -ricca, bella e annoiata- con la quale qualunque lettore più chiaramente legare già dalla prima pagina. Ma forse il problema sono io, con il mio scarso livello di empatia, perché questo titolo è finito anche nella recente classifica dei 100 classici di nuova generazione, stilata però sempre dalla diabolica Feltrinelli.
La trama quasi surreale mi aveva in realtà molto incuriosito: l'anonima protagonista racconta l'anno passato in uno stato semi-comatoso autoindotto, con l'obiettivo di sfuggire ad un'esistenza che non sopporta più: il sonno sarà la sua medicina, ed è certa che a lungo andare la guarirà. Chissà cosa farà succedere Moshfegh con questo materiale originale tra le mani? mi chiedevo; e la risposta sembra essere «tutt’altro», perché il volume non ha un intreccio degno di questo nome, limitando la narrazione a quanto già detto nella sinossi. Il romanzo accantona la trama in favore di un'analisi psicologica dei personaggi, che hanno invariabilmente dei comportamenti abietti e perfino criminali.
La protagonista, i suoi genitori, la sua amica Reva, il suo ex Trevor, la dottoressa (o spacciatrice mancata, a seconda dei punti di vista) Tuttle, la sua vecchia titolare Natasha, l'artista sperimentale che espone nella galleria in cui lavorava Ping Xi, tutti sono deprecabili. Ovviamente questa è una scelta intenzionale dell'autrice, ma trovarmi davanti un simile cast dopo un mese di cast analoghi è stata una batosta: personalmente avrei voluto prendere tutti a sberle per fargli entrare in testa che o si decidevano a risolvere in modo serio i loro problemi, o la smettessero di lamentarsene con la sottoscritta. Come la caratterizzazione, tutti gli altri aspetti del romanzo che ho trovato fastidiosi sono tali di proposito, ad esempio la narrazione caotica in cui abbondano i passaggi repentini da un argomento all'altro -in alcuni casi, all'interno di un singolo paragrafo-, che rendono bene lo stato mentale della narratrice.
Lo stesso senso di sconnessione si prova leggendo i dialoghi: spesso non si capisce quale sia il nesso tra domanda e risposta, e questo riguarda sia la strafattissima protagonista che gli altri personaggi, teoricamente lucidi. Forse però ad infastidirmi di più sono stati i continui tentativi di shockare il lettore, con un inutile abuso di volgarità e comportamenti sopra le righe, con una quasi totale assenza di verosimiglianza che mi ha fatto pensare ad una versione al femminile di Chuck Palahniuk (autore che analogamente vira un po' troppo verso il surreale per i miei gusti), e con un finale sconvolgente. Se a metà libro non hai già capito dove la cara Ottessa stia andando a parare con luoghi e date.
Mi rendo conto che questa non sembra una recensione vera e propria, quanto piuttosto un elenco dei motivi per cui questo libro pur avendo tanti elementi validi mi ha fatta sbuffare e lasciata perplessa come una novella Nazaré Tedesco, e per questo voglio concludere con una nota più dolce. Se è vero che Moshfegh non ha puntato sulla trama, continuo a considerare intrigante la premessa e reputo la svolta legata all'assunzione dell'Infermiterol ben pensata, perché aggiunge un tocco di sorpresa nella storia.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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My rating: 2 of 5 stars
"Prendevo più di un decina di farmaci al giorno, ma era tutto molto controllato, pensavo, tutto alla luce del sole. Volevo solo dormire di continuo. Quello era il mio piano"
DORMI COME BENZODIAZEPINA COMANDA
Negli ultimi mesi ho sviluppato una teoria del complotto: Feltrinelli si è imposta come linea editoriale di pubblicare unicamente romanzi con protagonisti che io reputo orribili nel migliore dei casi, e da prendere a legnate sui denti nel peggiore. "Il mio anno di riposo e oblio" segue questo trend infelice, raccontandoci la struggente storia di una giovane donna newyorkese -ricca, bella e annoiata- con la quale qualunque lettore più chiaramente legare già dalla prima pagina. Ma forse il problema sono io, con il mio scarso livello di empatia, perché questo titolo è finito anche nella recente classifica dei 100 classici di nuova generazione, stilata però sempre dalla diabolica Feltrinelli.
La trama quasi surreale mi aveva in realtà molto incuriosito: l'anonima protagonista racconta l'anno passato in uno stato semi-comatoso autoindotto, con l'obiettivo di sfuggire ad un'esistenza che non sopporta più: il sonno sarà la sua medicina, ed è certa che a lungo andare la guarirà. Chissà cosa farà succedere Moshfegh con questo materiale originale tra le mani? mi chiedevo; e la risposta sembra essere «tutt’altro», perché il volume non ha un intreccio degno di questo nome, limitando la narrazione a quanto già detto nella sinossi. Il romanzo accantona la trama in favore di un'analisi psicologica dei personaggi, che hanno invariabilmente dei comportamenti abietti e perfino criminali.
La protagonista, i suoi genitori, la sua amica Reva, il suo ex Trevor, la dottoressa (o spacciatrice mancata, a seconda dei punti di vista) Tuttle, la sua vecchia titolare Natasha, l'artista sperimentale che espone nella galleria in cui lavorava Ping Xi, tutti sono deprecabili. Ovviamente questa è una scelta intenzionale dell'autrice, ma trovarmi davanti un simile cast dopo un mese di cast analoghi è stata una batosta: personalmente avrei voluto prendere tutti a sberle per fargli entrare in testa che o si decidevano a risolvere in modo serio i loro problemi, o la smettessero di lamentarsene con la sottoscritta. Come la caratterizzazione, tutti gli altri aspetti del romanzo che ho trovato fastidiosi sono tali di proposito, ad esempio la narrazione caotica in cui abbondano i passaggi repentini da un argomento all'altro -in alcuni casi, all'interno di un singolo paragrafo-, che rendono bene lo stato mentale della narratrice.
Lo stesso senso di sconnessione si prova leggendo i dialoghi: spesso non si capisce quale sia il nesso tra domanda e risposta, e questo riguarda sia la strafattissima protagonista che gli altri personaggi, teoricamente lucidi. Forse però ad infastidirmi di più sono stati i continui tentativi di shockare il lettore, con un inutile abuso di volgarità e comportamenti sopra le righe, con una quasi totale assenza di verosimiglianza che mi ha fatto pensare ad una versione al femminile di Chuck Palahniuk (autore che analogamente vira un po' troppo verso il surreale per i miei gusti), e con un finale sconvolgente. Se a metà libro non hai già capito dove la cara Ottessa stia andando a parare con luoghi e date.
Mi rendo conto che questa non sembra una recensione vera e propria, quanto piuttosto un elenco dei motivi per cui questo libro pur avendo tanti elementi validi mi ha fatta sbuffare e lasciata perplessa come una novella Nazaré Tedesco, e per questo voglio concludere con una nota più dolce. Se è vero che Moshfegh non ha puntato sulla trama, continuo a considerare intrigante la premessa e reputo la svolta legata all'assunzione dell'Infermiterol ben pensata, perché aggiunge un tocco di sorpresa nella storia.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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giovedì 18 maggio 2023
"Jonathan Strange e il signor Norrell" di Susanna Clarke
Jonathan Strange & il Signor Norrell by Susanna Clarke
My rating: 4 of 5 stars
"Le parve che migliaia e migliaia di uccelli riempissero il cielo, così che non vi era né luce del giorno né tenebre, ma solo una grande confusione di ali nere … ebbe l'impressione di uno spazio immenso, come se fosse salita fino al cielo e lo avesse trovato pieno di corvi"
PER LEGGERE LE NOTE HO SACRIFICATO PIÙ DI UNA DIOTTRIA
Ammetto che, per quanto trovassi la sinossi intrigante, "Jonathan Strange e il signor Norrell" è uno dei libri di cui rimandavo sempre la lettura, senza farmi troppi problemi; mi capita sempre così con i volumi particolarmente lunghi usciti da abbastanza tempo da non avere più un grande hype attorno a loro. Essermelo ritrovato nel sorteggio della mia Random TBR mi ha però obbligato a farlo rientrare tra le letture dei primi sei mesi dell’anno, e nel complesso sono contenta sia andata così: senza una sorta di obbligo avrei procrastinato ancora una lettura di certo impegnativa (in termini temporali, più che altro!) ma allo stesso tempo decisamente piacevole.
Clarke ci porta in una versione alternativa dell'Inghilterra di inizio Ottocento, dove la magia esiste ed è nota a tutti ma da centinaia di anni non viene più praticata attivamente dai maghi britannici, che sembrano aver perduto le conoscenze necessarie ed essersi allontanati dalle creature fatate per rivolgere la loro attenzione soltanto alla teoria. A tentare di dare nuovo lustro a questa disciplina -contribuendo nel contempo allo sforzo bellico contro l'esercito napoleonico- è Gilbert Norrell, mago dello Yorkshire che acquisisce un ruolo sempre più importante nella società londinese grazie ai suoi incantesimi stupefacenti. Alla rigida disciplina e all'estrema riservatezza di Norrell fa da contrappeso lo spigliato e talentuoso Jonathan Strange, un neofita delle arti magiche che predilige incantesimi più scenografici e sperimentali, motivo per il quale il loro sodalizio di maestro e allievo non dura a lungo.
Questo accenno di trama vi potrebbe sembrare lacunoso, e in effetti lo è; ma d'altro canto la storia raccontata dalla cara Susanna è talmente articolata -e popolata da dozzine di personaggi- che farne un sunto è una vera impresa. Questo è forse il primo ostacolo da superare per cominciare ad apprezzare il romanzo: bisogna farsi forza, cercando di memorizzare quanti più nomi possibili (una piccola appendice a fine volume sarebbe stata assai gradita dalla sottoscritta) e venendo a patti con una narrazione che si prendere comodamente i suoi tempi per mostrare retroscena e aneddoti assortiti. Con il procedere della lettura si viene inevitabilmente catturati dalla prosa di Clarke, che adotta uno stile perfetto per l'età georgiana, in cui le vicende sono teoricamente ambientate; tra location tanto fiabesche quando oscure, il senso di mistero e inquietudine della storia viene reso ottimamente.
Personalmente ho apprezzato molto anche l'umorismo della voce narrante (un anonimo conterraneo dei protagonisti): sottile e pungente, da il suo meglio nelle note che pur essendo quasi sempre opzionali meritano di essere lette per farsi qualche risata. Pur non essendo tutti memorabili, i personaggi sono poi ben caratterizzati, mettendo in chiaro i loro difetti, anche se non in modo palesemente fastidioso; un lavoro ancor più attento è stato fatto sui due protagonisti, in particolare puntando l'attenzione sulla loro dicotomia sia a livello caratteriale che in merito agli opposti approcci nei confronti della magia. Il romanzo propone anche alcuni spunti di riflessione sulla condizione vissuta da determinate categorie -come le donne ed i neri- nel passato, ma questo tema non diventa mai centrale nella narrazione.
Ma veniamo ai tasti dolenti, che si fanno ancor più amari se penso a quanto del mio tempo ho dedicato a questa lettura. Come già accennato, il ritmo del volume è tremendamente lento a causa dei cambi frequenti e repentini di prospettiva e di una trama troppo dispersiva; se poi l'epilogo riuscisse a far convergere tutte le linee narrative non mi lamenterei più di tanto, ma il finale per assurdo è molto frettoloso e non riesce a dare una conclusione degna alle storie di tutti i personaggi. Personaggi che affollano in modo esagerato il libro, venendo spesso abbandonati in un limbo fuori scena per decine di pagine.
Visto il mestiere svolto da Norrell e Strange, mi sarei poi aspettata qualche chiarimento in più sul sistema magico, che rimane invece fumoso e quasi astratto. Ho poi qualche riserva sulla scelta di includere la prospettiva del villain principale, perché rende noioso dover aspettare centinaia di pagine prima che i protagonisti arrivino a determinate scoperte; ad avermi veramente frustrato è stata proprio la lentezza con cui i personaggi univano i puntini, passando per dei poveri mentecatti che impiegano anni per raggiungere conclusioni palesi.
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My rating: 4 of 5 stars
"Le parve che migliaia e migliaia di uccelli riempissero il cielo, così che non vi era né luce del giorno né tenebre, ma solo una grande confusione di ali nere … ebbe l'impressione di uno spazio immenso, come se fosse salita fino al cielo e lo avesse trovato pieno di corvi"
PER LEGGERE LE NOTE HO SACRIFICATO PIÙ DI UNA DIOTTRIA
Ammetto che, per quanto trovassi la sinossi intrigante, "Jonathan Strange e il signor Norrell" è uno dei libri di cui rimandavo sempre la lettura, senza farmi troppi problemi; mi capita sempre così con i volumi particolarmente lunghi usciti da abbastanza tempo da non avere più un grande hype attorno a loro. Essermelo ritrovato nel sorteggio della mia Random TBR mi ha però obbligato a farlo rientrare tra le letture dei primi sei mesi dell’anno, e nel complesso sono contenta sia andata così: senza una sorta di obbligo avrei procrastinato ancora una lettura di certo impegnativa (in termini temporali, più che altro!) ma allo stesso tempo decisamente piacevole.
Clarke ci porta in una versione alternativa dell'Inghilterra di inizio Ottocento, dove la magia esiste ed è nota a tutti ma da centinaia di anni non viene più praticata attivamente dai maghi britannici, che sembrano aver perduto le conoscenze necessarie ed essersi allontanati dalle creature fatate per rivolgere la loro attenzione soltanto alla teoria. A tentare di dare nuovo lustro a questa disciplina -contribuendo nel contempo allo sforzo bellico contro l'esercito napoleonico- è Gilbert Norrell, mago dello Yorkshire che acquisisce un ruolo sempre più importante nella società londinese grazie ai suoi incantesimi stupefacenti. Alla rigida disciplina e all'estrema riservatezza di Norrell fa da contrappeso lo spigliato e talentuoso Jonathan Strange, un neofita delle arti magiche che predilige incantesimi più scenografici e sperimentali, motivo per il quale il loro sodalizio di maestro e allievo non dura a lungo.
Questo accenno di trama vi potrebbe sembrare lacunoso, e in effetti lo è; ma d'altro canto la storia raccontata dalla cara Susanna è talmente articolata -e popolata da dozzine di personaggi- che farne un sunto è una vera impresa. Questo è forse il primo ostacolo da superare per cominciare ad apprezzare il romanzo: bisogna farsi forza, cercando di memorizzare quanti più nomi possibili (una piccola appendice a fine volume sarebbe stata assai gradita dalla sottoscritta) e venendo a patti con una narrazione che si prendere comodamente i suoi tempi per mostrare retroscena e aneddoti assortiti. Con il procedere della lettura si viene inevitabilmente catturati dalla prosa di Clarke, che adotta uno stile perfetto per l'età georgiana, in cui le vicende sono teoricamente ambientate; tra location tanto fiabesche quando oscure, il senso di mistero e inquietudine della storia viene reso ottimamente.
Personalmente ho apprezzato molto anche l'umorismo della voce narrante (un anonimo conterraneo dei protagonisti): sottile e pungente, da il suo meglio nelle note che pur essendo quasi sempre opzionali meritano di essere lette per farsi qualche risata. Pur non essendo tutti memorabili, i personaggi sono poi ben caratterizzati, mettendo in chiaro i loro difetti, anche se non in modo palesemente fastidioso; un lavoro ancor più attento è stato fatto sui due protagonisti, in particolare puntando l'attenzione sulla loro dicotomia sia a livello caratteriale che in merito agli opposti approcci nei confronti della magia. Il romanzo propone anche alcuni spunti di riflessione sulla condizione vissuta da determinate categorie -come le donne ed i neri- nel passato, ma questo tema non diventa mai centrale nella narrazione.
Ma veniamo ai tasti dolenti, che si fanno ancor più amari se penso a quanto del mio tempo ho dedicato a questa lettura. Come già accennato, il ritmo del volume è tremendamente lento a causa dei cambi frequenti e repentini di prospettiva e di una trama troppo dispersiva; se poi l'epilogo riuscisse a far convergere tutte le linee narrative non mi lamenterei più di tanto, ma il finale per assurdo è molto frettoloso e non riesce a dare una conclusione degna alle storie di tutti i personaggi. Personaggi che affollano in modo esagerato il libro, venendo spesso abbandonati in un limbo fuori scena per decine di pagine.
Visto il mestiere svolto da Norrell e Strange, mi sarei poi aspettata qualche chiarimento in più sul sistema magico, che rimane invece fumoso e quasi astratto. Ho poi qualche riserva sulla scelta di includere la prospettiva del villain principale, perché rende noioso dover aspettare centinaia di pagine prima che i protagonisti arrivino a determinate scoperte; ad avermi veramente frustrato è stata proprio la lentezza con cui i personaggi univano i puntini, passando per dei poveri mentecatti che impiegano anni per raggiungere conclusioni palesi.
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venerdì 12 maggio 2023
"Chaos. La guerra" di Patrick Ness
La Guerra by Patrick Ness
My rating: 4 of 5 stars
"La guerra non ha alcun senso. Uccidere la gente per dirle che si vuole smettere di ucciderla. Trasforma gli uomini in mostri, mi dico. E anche le donne"
GETTA A TERRA QUEI PUNTINI DI SOSPENSIONE, PATRICK!
Dopo un primo capitolo promettente ed un secondo ancor più promettente, sono approdata alla conclusione di Chaos Walking aspettandomi una lettura valida, ma sempre con il timore di venire delusa da come Ness avrebbe deciso di terminare la serie. Pur non liberandosi mai del tutto dai difetti che hanno caratterizzato questa trilogia, penso che "Chaos. La guerra" abbia saputo mettere dignitosamente la parola fine alla storia di Todd Hewitt. Magari non proprio la parola fine, ma andiamo per gradi.
Come nello stacco tra i primi due libri, la narrazione si ricollega direttamente all'epilogo di "Chaos. Il nemico", con le tre fazioni pronte ad entrare in guerra ed il ricognitore dei nuovi coloni appena atterrato su Mondo Nuovo con un arsenale in grado di spostare gli equilibri del potere. Di facciata, ogni leader sembra determinato a raggiungere la pace, ma alle proprie condizioni e senza tenere in alcuna considerazione le eventuali perdite di vite; in questo scenario incerto, Todd e Viola cercano di fare del proprio meglio per evitare la catastrofe e potersi finalmente riunire. Ai loro POV si aggiunge una terza voce, ossia quella dello Spackle identificato con la banda numero 1017.
Quest'ulteriore aggiunta ai POV attraverso i quali vediamo svilupparsi la storia rientra senza dubbio tra i punti a favore del romanzo: la voce associata a 1017 si discosta parecchio dalle altre due, risultando decisamente riconoscibile ed affascinante, perché riflette il suo modo unico di pensare. In questo terzo capitolo mi sono piaciuti molto anche lo sviluppo interessante dato ai rapporti di Todd con Viola e con il Sindaco e la buona (ed abbastanza matura) gestione delle dinamiche di potere, grazie alle quali vediamo cambiare in modo drastico i ruoli dei personaggi nel corso del volume.
Il cuore di questo libro è però nel conflitto: tra la Discordia umana e la moltitudine della Terra, tra l'armata del Sindaco e i terroristi dell'Assalto, e tra i singoli personaggi; che si tratti di uno scontro di dimensioni abnormi o un contrasto di vedute tra allievo e maestro, tutte queste battaglie vengono analizzate riflettendo sulle diverse motivazioni che le hanno generate, senza dare per giusta una fazione da principio. In questo contesto, mostrano il meglio di sé i dialoghi, che permettono degli ottimi confronti, spesso anche sul piano emotivo; inoltre sono presenti diversi monologhi interessanti, come quello fatto da Viola ai soldati sulla collina in uno degli ultimi capitoli.
Purtroppo neppure in questo libro la serie riesce ad emanciparsi dal suo ritmo frenetico, né dalla propensione di Ness per scrivere dei colpi di scena che non stupiscono nessuno. Personalmente ho trovato poi un po' noiose la ripetitività di alcune scene (un po' di editing in più avrebbe giovato al romanzo in generale!) e la decisione di chiudere quasi tutti i paragrafi con delle frasi drammatiche ad effetto; il tutto per creare della tensione che però nel concreto si risolve da sola in un paio di pagine al massimo. L'epilogo è un altro aspetto sul quale ho diverse riserve, più che altro soggettive, temo: un paio di eventi chiave mi sono sembrati poco verosimili, e questo ha minato un po' il mio coinvolgimento emotivo.
Rispetto ai volumi precedenti, trovo che i nuovi personaggi introdotti qui non siano stati approfonditi a sufficienza, infatti nessuno di loro rientra tra i miei preferiti della trilogia. Un dettaglio che invece non sono sicura si sia palesato soltanto in quest'ultimo libro o se fosse presente dall'inizio e io non l'abbia mai notato è l'utilizzo smodato dei punti di sospensione: si arriva ad avere pagine intere nelle quali ogni singola frase termina con tre puntini! Patrick caro, c'è un limite tra il voler trasmettere la tensione nella prosa e il mitragliare il foglio a caso, e quel confine penso tu l'abbia saltato a piè pari.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"La guerra non ha alcun senso. Uccidere la gente per dirle che si vuole smettere di ucciderla. Trasforma gli uomini in mostri, mi dico. E anche le donne"
GETTA A TERRA QUEI PUNTINI DI SOSPENSIONE, PATRICK!
Dopo un primo capitolo promettente ed un secondo ancor più promettente, sono approdata alla conclusione di Chaos Walking aspettandomi una lettura valida, ma sempre con il timore di venire delusa da come Ness avrebbe deciso di terminare la serie. Pur non liberandosi mai del tutto dai difetti che hanno caratterizzato questa trilogia, penso che "Chaos. La guerra" abbia saputo mettere dignitosamente la parola fine alla storia di Todd Hewitt. Magari non proprio la parola fine, ma andiamo per gradi.
Come nello stacco tra i primi due libri, la narrazione si ricollega direttamente all'epilogo di "Chaos. Il nemico", con le tre fazioni pronte ad entrare in guerra ed il ricognitore dei nuovi coloni appena atterrato su Mondo Nuovo con un arsenale in grado di spostare gli equilibri del potere. Di facciata, ogni leader sembra determinato a raggiungere la pace, ma alle proprie condizioni e senza tenere in alcuna considerazione le eventuali perdite di vite; in questo scenario incerto, Todd e Viola cercano di fare del proprio meglio per evitare la catastrofe e potersi finalmente riunire. Ai loro POV si aggiunge una terza voce, ossia quella dello Spackle identificato con la banda numero 1017.
Quest'ulteriore aggiunta ai POV attraverso i quali vediamo svilupparsi la storia rientra senza dubbio tra i punti a favore del romanzo: la voce associata a 1017 si discosta parecchio dalle altre due, risultando decisamente riconoscibile ed affascinante, perché riflette il suo modo unico di pensare. In questo terzo capitolo mi sono piaciuti molto anche lo sviluppo interessante dato ai rapporti di Todd con Viola e con il Sindaco e la buona (ed abbastanza matura) gestione delle dinamiche di potere, grazie alle quali vediamo cambiare in modo drastico i ruoli dei personaggi nel corso del volume.
Il cuore di questo libro è però nel conflitto: tra la Discordia umana e la moltitudine della Terra, tra l'armata del Sindaco e i terroristi dell'Assalto, e tra i singoli personaggi; che si tratti di uno scontro di dimensioni abnormi o un contrasto di vedute tra allievo e maestro, tutte queste battaglie vengono analizzate riflettendo sulle diverse motivazioni che le hanno generate, senza dare per giusta una fazione da principio. In questo contesto, mostrano il meglio di sé i dialoghi, che permettono degli ottimi confronti, spesso anche sul piano emotivo; inoltre sono presenti diversi monologhi interessanti, come quello fatto da Viola ai soldati sulla collina in uno degli ultimi capitoli.
Purtroppo neppure in questo libro la serie riesce ad emanciparsi dal suo ritmo frenetico, né dalla propensione di Ness per scrivere dei colpi di scena che non stupiscono nessuno. Personalmente ho trovato poi un po' noiose la ripetitività di alcune scene (un po' di editing in più avrebbe giovato al romanzo in generale!) e la decisione di chiudere quasi tutti i paragrafi con delle frasi drammatiche ad effetto; il tutto per creare della tensione che però nel concreto si risolve da sola in un paio di pagine al massimo. L'epilogo è un altro aspetto sul quale ho diverse riserve, più che altro soggettive, temo: un paio di eventi chiave mi sono sembrati poco verosimili, e questo ha minato un po' il mio coinvolgimento emotivo.
Rispetto ai volumi precedenti, trovo che i nuovi personaggi introdotti qui non siano stati approfonditi a sufficienza, infatti nessuno di loro rientra tra i miei preferiti della trilogia. Un dettaglio che invece non sono sicura si sia palesato soltanto in quest'ultimo libro o se fosse presente dall'inizio e io non l'abbia mai notato è l'utilizzo smodato dei punti di sospensione: si arriva ad avere pagine intere nelle quali ogni singola frase termina con tre puntini! Patrick caro, c'è un limite tra il voler trasmettere la tensione nella prosa e il mitragliare il foglio a caso, e quel confine penso tu l'abbia saltato a piè pari.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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venerdì 5 maggio 2023
"Il Napoleone di Notting Hill" di G.K. Chesterton
Il Napoleone di Notting Hill by G.K. Chesterton
My rating: 4 of 5 stars
"Lo seguivano ... in parte per via di quell'istinto che ci spinge a seguire qualcuno che somiglia a un matto, ma molto di più a causa di quell'istinto che porta tutti gli uomini a seguire (e adorare) chiunque scelga di comportarsi come un re"
ELEZIONI DI UN FUTURO PASSATO
Dopo fin troppi libri deprimenti e rivoltanti (in senso buono, però) e prima di deprimermi e rivoltarmi probabilmente ancora di più con l'ultimo volume di Chaos Walking, ho pensato di prendermi una pausa con un titolo che rientra sempre nel filone della distopia, ma con un tono del tutto diverso. Proprio lo stile ironico di Chesterton è il primo elemento a saltare all'occhio ne "Il Napoleone di Notting Hill", una storia intrisa di allegorie che l'autore ha scelto di ambientare in un futuribile (almeno per lui) 1984, forse l'anno più caro agli appassionati del genere.
L'intreccio è bizzarro quanto lo sono i suoi protagonisti: in una realtà dominata dal colonialismo più ipocrita, il popolo inglese adotta un sorteggio casuale per scegliere il prossimo sovrano, senza tener conto che potrebbe trattarsi di un incompetente o perfino di un criminale; perché, come dice giustamente James Barker ad inizio volume, quelli sono in fondo rischi comuni anche alle monarchie ereditarie e nelle democrazie. È così che l'impiegato dall'inusuale senso dell'umorismo Auberon Quin si ritrova ad essere Re ed inizia una politica di ritorno al Medioevo, trasformando i quartieri di Londra in minuscoli feudi per preservarne l'individualità; questa burla porta però nel tempo a conseguenze imprevedibili.
Come già accennato, la prosa satirica di Chesterton si fa notare subito, e contribuisce a rendere la lettura molto divertente, adottando a più riprendere un umorismo quasi caustico, specialmente quando si sofferma su riflessioni di critica sociale; non è un caso che il capolavoro di Orwell sia stato in parte ispirato da questo romanzo. In effetti alcune riflessioni sono incredibilmente attuali, come la denuncia dell'assimilazione culturale forzata enunciata dal ex Presidente del Nicaragua.
A dispetto del tono surreale, l'intreccio ideato da Chesterton è ben studiato e porta a tanti collegamenti che uniscono in modo indissolubile le esistenze di re Auberon e di Adam Wayne: tanto folleggiante l'uno quanto concreto l'altro, i loro caratteri sono agli antipodi per quanto riguarda l'attitudine, eppure finiscono per capire di essere le due facce di un'unica medaglia. Un altro elemento assolutamente positivo è l'edizione realizzata da Lindau, completa di appendici e note che spiegano i tanti giochi di parole presenti nel testo.
Sull'altro piatto della bilancia abbiamo dei personaggi secondari decisamente macchiettistici -che al di fuori della narrazione non hanno una loro vera identità- ed una trama priva di un giusto ritmo: le vicende sembrano procedere per episodi, in pratica.
Trovo poi giusto precisare che il futuro (relativo) presentato dal caro Gilbert non è per nulla futuristico! a livello concettuale sembra anzi rivolgersi verso il passato e non soltanto per le assurde trovate di re Auberon. Nonostante questo il romanzo si dimostra visionario e all'avanguardia; ha infatti il merito di aver ispirato tante storie scritte in seguito -in primis il già accennato "1984"-, ma anche di aver previsto alcuni degli eventi chiave del Novecento europeo e non solo. Al massimo si può tacciare Chesterton di eccessivo ottimismo, visto che immagina un mondo in pace dopo la fine delle grandi guerre, non ancora avvenute quando lui scriveva questa storia.
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My rating: 4 of 5 stars
"Lo seguivano ... in parte per via di quell'istinto che ci spinge a seguire qualcuno che somiglia a un matto, ma molto di più a causa di quell'istinto che porta tutti gli uomini a seguire (e adorare) chiunque scelga di comportarsi come un re"
ELEZIONI DI UN FUTURO PASSATO
Dopo fin troppi libri deprimenti e rivoltanti (in senso buono, però) e prima di deprimermi e rivoltarmi probabilmente ancora di più con l'ultimo volume di Chaos Walking, ho pensato di prendermi una pausa con un titolo che rientra sempre nel filone della distopia, ma con un tono del tutto diverso. Proprio lo stile ironico di Chesterton è il primo elemento a saltare all'occhio ne "Il Napoleone di Notting Hill", una storia intrisa di allegorie che l'autore ha scelto di ambientare in un futuribile (almeno per lui) 1984, forse l'anno più caro agli appassionati del genere.
L'intreccio è bizzarro quanto lo sono i suoi protagonisti: in una realtà dominata dal colonialismo più ipocrita, il popolo inglese adotta un sorteggio casuale per scegliere il prossimo sovrano, senza tener conto che potrebbe trattarsi di un incompetente o perfino di un criminale; perché, come dice giustamente James Barker ad inizio volume, quelli sono in fondo rischi comuni anche alle monarchie ereditarie e nelle democrazie. È così che l'impiegato dall'inusuale senso dell'umorismo Auberon Quin si ritrova ad essere Re ed inizia una politica di ritorno al Medioevo, trasformando i quartieri di Londra in minuscoli feudi per preservarne l'individualità; questa burla porta però nel tempo a conseguenze imprevedibili.
Come già accennato, la prosa satirica di Chesterton si fa notare subito, e contribuisce a rendere la lettura molto divertente, adottando a più riprendere un umorismo quasi caustico, specialmente quando si sofferma su riflessioni di critica sociale; non è un caso che il capolavoro di Orwell sia stato in parte ispirato da questo romanzo. In effetti alcune riflessioni sono incredibilmente attuali, come la denuncia dell'assimilazione culturale forzata enunciata dal ex Presidente del Nicaragua.
A dispetto del tono surreale, l'intreccio ideato da Chesterton è ben studiato e porta a tanti collegamenti che uniscono in modo indissolubile le esistenze di re Auberon e di Adam Wayne: tanto folleggiante l'uno quanto concreto l'altro, i loro caratteri sono agli antipodi per quanto riguarda l'attitudine, eppure finiscono per capire di essere le due facce di un'unica medaglia. Un altro elemento assolutamente positivo è l'edizione realizzata da Lindau, completa di appendici e note che spiegano i tanti giochi di parole presenti nel testo.
Sull'altro piatto della bilancia abbiamo dei personaggi secondari decisamente macchiettistici -che al di fuori della narrazione non hanno una loro vera identità- ed una trama priva di un giusto ritmo: le vicende sembrano procedere per episodi, in pratica.
Trovo poi giusto precisare che il futuro (relativo) presentato dal caro Gilbert non è per nulla futuristico! a livello concettuale sembra anzi rivolgersi verso il passato e non soltanto per le assurde trovate di re Auberon. Nonostante questo il romanzo si dimostra visionario e all'avanguardia; ha infatti il merito di aver ispirato tante storie scritte in seguito -in primis il già accennato "1984"-, ma anche di aver previsto alcuni degli eventi chiave del Novecento europeo e non solo. Al massimo si può tacciare Chesterton di eccessivo ottimismo, visto che immagina un mondo in pace dopo la fine delle grandi guerre, non ancora avvenute quando lui scriveva questa storia.
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martedì 2 maggio 2023
"Sirene" di Laura Pugno
Sirene by Laura Pugno
My rating: 3 of 5 stars
"Voraci come la loro fama, domate e addomesticate, le sirene non cantavano per l'orecchio umano"
ASSUMERE LONTANO DAI PASTI
Sempre in cerca di libri originali, che sappiano stupirmi, mi sono imbattuta in "Sirene", consigliato come distopico decisamente insolito per tono e tematiche. Posso confermare senza dubbio che la storia immaginata da Pugno è riuscita a sorprendermi ben più di quanto mi aspettassi, e anche a disgustarmi come pochi altri titoli. E nonostante la mia voglia di originalità possa dirsi soddisfatta, temo che la sensazione di disgusto rimarrà quella predominante ora che ho concluso la lettura.
Il mondo descritto dalla cara Laura è ad un passo dall'apocalisse: le risorse della Terra sono esaurite, un'epidemia incurabile ha decimato la popolazione e vivere alla luce del sole è una condanna a morte. In questo contesto ogni nuova possibilità viene sfruttata senza ritegno, e così succede infatti alle sirene, scoperte solo da qualche decennio ma già portate quasi all'estinzione dagli umani, che le allevano a ritmi innaturali per potersi cibare della loro pregiata carne e non solo. In uno di questi stabilimenti lavora come sorvegliante Samuel, alle dipendenze della yakuza; spinto da un desiderio al quale neanche lui sa dare un nome, l'uomo si accoppia con una delle sirene, dando vita ad una nuova specie.
Sembra proprio l'inizio di una storia avvincente, vero? Sì, peccato che questo sia in pratica l'intero contenuto del libro a livello d'intreccio, e che venga dettagliatamente anticipato già nella sinossi. Ci sarebbero anche dei tentativi di rendere la trama più complessa, ma vanno a naufragare contro gli scogli del foreshadowing: come posso essere in ansia per la sorte di un personaggio, se già so per certo che è stato scoperto dai suoi nemici? Assieme ad uno stile fin troppo asettico per trasmettere un'emozione diversa dal disgusto, queste anticipazioni azzerano purtroppo la tensione narrativa.
Il disgusto è certamente voluto, e deriva non solo dalle scene raccapriccianti mostrate o raccontate, ma anche dalla caratterizzazione del protagonista. In realtà, questo è l'ennesimo mondo futuristico popolato soltanto da persone orribili, quindi il caro Samuel non dovrebbe spiccare più di tanto, invece è riuscito a nausearmi dalla prima all'ultima pagina. Ripeto, sicuramente era proprio quello l'intento dell'autrice, però a mio parere si esagera un po' con il gore, soprattutto per la ripetitività e se si tiene conto di quant'è breve il volume.
Tra un brivido e l'altro, questo titolo mi ha dato anche qualche appiglio per salvarlo. Innanzitutto scopriamo un world building forse non sempre chiarissimo ma con tanti elementi originali, in particolare nell'ottica di una fantascienza non troppo lontana dal nostro presente. Approvo poi in pieno la critica all'allevamento intensivo e all'oggettificazione femminile, rappresentata in modo abbastanza chiaro dal personaggio di Sadako come pure dalle sirene tenute in cattività dagli uomini. Rimango però convinta che -con questi spunti- si potesse fare qualcosa di più, magari strutturando una trama più articolata: le idee alla base non mancavano.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Voraci come la loro fama, domate e addomesticate, le sirene non cantavano per l'orecchio umano"
ASSUMERE LONTANO DAI PASTI
Sempre in cerca di libri originali, che sappiano stupirmi, mi sono imbattuta in "Sirene", consigliato come distopico decisamente insolito per tono e tematiche. Posso confermare senza dubbio che la storia immaginata da Pugno è riuscita a sorprendermi ben più di quanto mi aspettassi, e anche a disgustarmi come pochi altri titoli. E nonostante la mia voglia di originalità possa dirsi soddisfatta, temo che la sensazione di disgusto rimarrà quella predominante ora che ho concluso la lettura.
Il mondo descritto dalla cara Laura è ad un passo dall'apocalisse: le risorse della Terra sono esaurite, un'epidemia incurabile ha decimato la popolazione e vivere alla luce del sole è una condanna a morte. In questo contesto ogni nuova possibilità viene sfruttata senza ritegno, e così succede infatti alle sirene, scoperte solo da qualche decennio ma già portate quasi all'estinzione dagli umani, che le allevano a ritmi innaturali per potersi cibare della loro pregiata carne e non solo. In uno di questi stabilimenti lavora come sorvegliante Samuel, alle dipendenze della yakuza; spinto da un desiderio al quale neanche lui sa dare un nome, l'uomo si accoppia con una delle sirene, dando vita ad una nuova specie.
Sembra proprio l'inizio di una storia avvincente, vero? Sì, peccato che questo sia in pratica l'intero contenuto del libro a livello d'intreccio, e che venga dettagliatamente anticipato già nella sinossi. Ci sarebbero anche dei tentativi di rendere la trama più complessa, ma vanno a naufragare contro gli scogli del foreshadowing: come posso essere in ansia per la sorte di un personaggio, se già so per certo che è stato scoperto dai suoi nemici? Assieme ad uno stile fin troppo asettico per trasmettere un'emozione diversa dal disgusto, queste anticipazioni azzerano purtroppo la tensione narrativa.
Il disgusto è certamente voluto, e deriva non solo dalle scene raccapriccianti mostrate o raccontate, ma anche dalla caratterizzazione del protagonista. In realtà, questo è l'ennesimo mondo futuristico popolato soltanto da persone orribili, quindi il caro Samuel non dovrebbe spiccare più di tanto, invece è riuscito a nausearmi dalla prima all'ultima pagina. Ripeto, sicuramente era proprio quello l'intento dell'autrice, però a mio parere si esagera un po' con il gore, soprattutto per la ripetitività e se si tiene conto di quant'è breve il volume.
Tra un brivido e l'altro, questo titolo mi ha dato anche qualche appiglio per salvarlo. Innanzitutto scopriamo un world building forse non sempre chiarissimo ma con tanti elementi originali, in particolare nell'ottica di una fantascienza non troppo lontana dal nostro presente. Approvo poi in pieno la critica all'allevamento intensivo e all'oggettificazione femminile, rappresentata in modo abbastanza chiaro dal personaggio di Sadako come pure dalle sirene tenute in cattività dagli uomini. Rimango però convinta che -con questi spunti- si potesse fare qualcosa di più, magari strutturando una trama più articolata: le idee alla base non mancavano.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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