I misteri dell'abbazia (fantasma)
Recensione a "L'abbazia di Northanger" di Jane Austen
LA SCHEDA TECNICA
TITOLO: L'abbazia di Northanger
AUTORE: Jane Austen
TITOLO ORIGINALE: Northanger Abbey
TRADUTTORE: Elena Grillo
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Minimammut
PAGINE: 190
TRADUTTORE: Elena Grillo
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Minimammut
PAGINE: 190
IL COMMENTO
Senza neppure
riflettere, assegnerei il massimo della valutazione ad ogni opera di Jane
Austen. Per fortuna, prima di commentare un libro ho la buona abitudine di
leggerlo; nel caso specifico, andrò oltre la mia ammirazione incondizionata per
l’autrice e metterò in luce da subito gli aspetti del romanzo che meno ho
gradito.
C’è poco da
fare: “L’abbazia di Northanger” è invecchiato male! Mi riferisco in particolare
alla pungente satira al romanzo gotico in generale e a “I misteri di Udolpho”
di Ann Radcliffe in particolare, che all’epoca era l’equivalente contemporaneo
di un best seller internazionale. Per meglio comprendere la mia osservazione,
pensate ad un fenomeno letterario-trash dei nostri giorni, come “Cinquanta
sfumature di grigio”; se oggi qualcuno lo deridesse in un romanzo o ci
scrivesse un intera parodia, i lettori potrebbero trovarla divertente, mentre
la stessa operazione tra un centinaio d’anni non riscuoterebbe il minimo
successo, perché in pochi ricorderebbero l’”opera” in questione. Almeno spero.
Un altro
problema risiede nel titolo stesso del romanzo, perché l’abbazia compare solo
nell’ultimo terzo del volume e non viene neppure nominata prima di una buona
metà dello stesso. La storia è invece ambientata principalmente nella rinomata
Bath, città notoriamente detestata dall’autrice ma che allora era fulcro della
vita sociale nel periodo estivo. È dunque con viva gioia che la giovane
Catherine Morland, quarta di ben dieci fratelli, accetta l’invito dei signori
Allen, una coppia di benestanti vicini, ad accompagnarli nell’abituale
soggiorno presso la località termale. Qui la protagonista conoscerà gli altri
personaggi principali, fra i quali subito si distingue Henry Tinley,
affascinante e sagace gentiluomo che in una sola serata conquista il cuore di
lei.
Per una buona
parte del romanzo, la storia d’amore tra i due viene intralciata
dall’interferenza dei fratelli Thorpe, famiglia di estrazione ancor più umile
dei Morland, ma a differenza di questi disposti a tutto pur di farsi strada nel
bel mondo: Isabella si proclama fin dai primi capitoli amica di Catherine e non
tenta certo di celare le sue mire sul fratello di lei, James, che crede un buon
partito; John si convince invece di poter ottenere senza alcuno sforzo la mano
della protagonista, erroneamente ritenuta l’erede degli Allen.
I personaggi
sono certamente uno dei punti forti del romanzo. Catherine si può considerare
il prototipo per altre protagoniste austeniane, come Marianne di “Ragione e
sentimento” con cui ha in comune l’ingenuità a tratti eccessiva, ma nella
seconda metà del volume la ragazza dimostra un carattere ben più deciso e,
soprattutto, la capacità di imparare dai propri sbagli, un po’ come Emma,
protagonista dell’omonimo romanzo (QUI la recensione). Uno dei temi centrali
della narrazione è appunto la crescita emotiva della giovane, che dovrà capire
a proprie spese quanto possano rivelarsi meschine alcune persone. Da lettori è
poi impossibile provare empatia per la sua passione letteraria, perché capita a
tutti di immergersi a tal punto in una storia da crederla reale.
Henry ricorda
invece Fitzwilliam Darcy per l’acume e la visione disincantata della vita, ma
risulta ben più gradevole e alla mano del suo omologo in “Orgoglio e
pregiudizio”; a mio avviso, il giovane è il più riuscito tra gli eroi
tratteggiati dalla Austen, perché a dispetto delle frecciatine rivolte a
Catherine si dimostra sempre gentile ed è evidente come il suo intento non sia
quello di offenderla bensì di farla riflettere.
Come negli
altri suoi lavori, la Austen non lesina stoccate ai personaggi secondari, che
sono tese a mostrare il vero volto della società, celato dietro ad una facciata
di educazione e perbenismo. Unici ad essere risparmiati sono le famiglie
Morland e la dolce Eleanor, personaggio in parte solo abbozzato sul quale verrà
più tardi modellata Georgiana Darcy.
A questo punto
è d’obbligo far luce sulla genesi editoriale di questo romanzo. Benché sia
stato pubblicato postumo, “L’abbazia di Northanger” è la prima opera completata
da Jane Austen, e questo aiuta a capire perché lo stile sembri ancora acerbo.
In quanto satira dell’”Udolpho”, l’editore non volle pubblicare il volume, in
un bizzarro caso di auto-censura atta ad evitare uno scontro contro quello che
era il caso editoriale del momento.
La narrazione
è molto evocativa, a tratti quasi poetica; inoltro l’autrice si rivolge più
volte al lettore in modo diretto, definendosi la biografa di Catherine, e
creando con lui una complicità naturale, come tra due amici che spettegolano
dei loro conoscenti.
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