Miss Marple: Giochi di prestigio by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars
"La modestia impedì a Miss Marple di rispondere che si sentiva a casa propria in mezzo ai delitti; si limitò a dire che a St. Mary Mead la vita non era poi così calma e sicura come poteva credere una persona estranea al luogo"
INCIUCI IN STILE BEAUTIFUL NEGLI ANNI 50
Dopo essermi dedicata principalmente ai racconti brevi che la vedono protagonista durante il 2022, voglio continuare la mia esplorazione nella ricca selezione di titoli su Miss Marple anche quest'anno, concentrandomi però su alcuni romanzi completi; ho notato più volte che la penna di Christie risulta infatti più efficace in una storia con maggiore respiro. Volendo procedere in ordine cronologico, la mia tappa successiva è stata "Giochi di prestigio", scritto ed ambientato nei primi anni Cinquanta, in cui pertanto non mancano i riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale, conclusasi solo pochi anni prima.
La narrazione si apre con un incontro tra Jane Marple e la sua vecchia amica Ruth Van Rydock, agiata statunitense in visita in Inghilterra; le due finiscono ben presto per parlare di Caroline "Carrie" Louise Serrocold, sorella di Ruth dalla vita familiare a dir poco complessa, tra svariati matrimoni, figli e nipoti assortiti. Su richiesta dell'amica preoccupata, Miss Marple si reca quindi in visita a Stonygates per mettere a frutto la sua conoscenza enciclopedica della natura umana e capire se Carrie Louise sia o meno in pericolo. Da questo spunto, il romanzo si sposta nella tenuta -dalla quale è stato ricavato anche un istituto riabilitativo per giovani criminali-, dove Miss Marple incontrerà la famiglia Serrocold e le tante persone che le orbitano attorno.
Ci troviamo di fronte ad un cast decisamente numeroso, forse troppo soprattutto se consideriamo la lunghezza esigua del volume e la rapidità con cui vengono introdotti sia a Miss Marple che a noi lettori. Credo che sarebbe risultato più naturale presentare solo i personaggi realmente importanti una volta portata la narrazione a Stonygates, ma da buona fan degli intrighi familiari non mi posso lamentare troppo.
Un problema più consistente è dato invece dalla rappresentazione datata della salute mentale: mi rendo conto che non sia di certo il focus del volume -che punta semplicemente a raccontare la risoluzione di un delitto- ma ho trovato comunque fastidioso il modo in cui la famiglia Serrocold ed il personale dell'istituto parlano dei "pazienti", stigmatizzando la malattia oppure associandola direttamente alla tendenza criminale. In realtà, questo difetto potrebbe anche non essere percepito come tale, in base alla sensibilità di ognuno; il pretesto di trama non troppo convincente è invece un aspetto più soggettivo, anche se non inficia di certo la lettura nel suo insieme.
Nonostante la valutazione più che positiva, non ho individuato tantissimi punti a favore di questa lettura. Il mio parere si basa principalmente sulla presenza in scena di Miss Marple fin dal primo capitolo (a differenza di storie come "Il terrore viene per posta", nelle quali è protagonista sono di nome) e sulla resa dell'intreccio: per quanto mi riguarda, ammetto candidamente di non aver individuato né il colpevole né il movente fino alla fine, e questo perché Christie ha saputo confondere le acque, sfruttando con maestria i rapporti contorti tra i vari personaggi. Il romanzo si merita poi un punto aggiuntivo per aver evitato di calcare troppo la mano sulle relazioni sentimentali, come invece succede in altri titoli della cara Agatha.
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sabato 25 febbraio 2023
giovedì 23 febbraio 2023
"La chiamata dei tre" di Stephen King
La chiamata dei tre by Stephen King
My rating: 3 of 5 stars
Quella porta. Quella porta là dove non avrebbe dovuto esserci alcuna porta. Si ergeva lì sul litorale grigio a qualche metro dalla linea dell'alta marea, eterna forse quanto il mare stesso
UN AMERICANO ALLA CORTE DI RE ARTÙ, AL CONTRARIO
Nonostante diversi spunti interessanti, "L'ultimo cavaliere" mi aveva lasciata decisamente tiepida. Da quanto ho capito spulciando qua è là, sembra però essere opinione universale che dal secondo libro in poi la saga The Dark Tower vada solo migliorando; di conseguenza, sono approdata a "La chiamata dei tre" con un certo ottimismo, aspettandomi dei passi in avanti soprattutto a livello di solidità della trama.
Trama che riprende esattamente dove si era interrotta, ossia sulla costa del Mare Occidentale; qui Roland Deschain si ritrova a vagare dopo il confronto con l'uomo in nero. Quando è allo stremo delle forze, il pistolero raggiunge una misteriosa porta in mezzo al nulla che, una volta varcata, gli permette di cominciare a realizzare il futuro predetto dalla sua nemesi. Il resto del volume si concentra infatti sulla formazione del gruppo che in virtù del ka (in parte destino prestabilito, in parte legame mistico, in parte energia spirituale) dovrà accompagnarlo nel suo viaggio verso la fantomatica Torre Nera, soffermandosi principalmente sulle vite passate di questi individui prima di raggiungere il Medio-Mondo.
La trama quindi è migliorata? non proprio: sicuramente l'introduzione di nuovi personaggi promette una narrazione più dinamica nel proseguo della serie, ma d'altro canto gli eventi rilevanti sono molto prevedibili e si sviluppano in modo lento e un po' ripetitivo. Non aiuta l'inserimento di alcune scene filler, decisamente noiose perché il lettore può intuire con facilità in che direzione il caro Stephen voglia spingere i suoi personaggi.
Prima di passare agli aspetti più riusciti del volume, vorrei spendere qualche parola su un altro difetto abbastanza rilevante, soprattutto se consideriamo quanto viene sottolineata nel testo l'importanza del legame tra i protagonisti. Già il rapporto padre/figlio tra Roland ed il piccolo John "Jake" Chambers mi era sembrato un po' prematuro nel primo libro, ma qui raggiungiamo nuove vette di affetto istantaneo; e penso sia all'amicizia con Edward "Eddie" Dean -che, nonostante l'evidente spietatezza del pistolero, gli diventa subito fedele-, sia alla relazione romantica di quest'ultimo con la cosiddetta Signora delle Ombre: qui siamo proprio a livello di instalove! King cerca di giustificare il tutto con il ka, che a questo punto penso sia un po' una scusa per velocizzare lo sviluppo dei legami.
Sull'altro piatto della bilancia abbiamo però parecchi elementi positivi, oltre alla promessa di una trama più consistente in futuro. In primis, è genuinamente divertente leggere del modo straniato in cui Roland interagisce con il nostro mondo: ogni invenzione moderna lo lascia sbalordito, inoltre si meraviglia di continuo per quanto siano economici ed accessibili beni rarissimi nel Medio-Mondo, come la comune carta. Come già accennato, i suoi nuovi comprimari risultano molto interessanti, e anche sorprendenti perché non rappresentano i caratteri canonici che solitamente si associano alle avventure fantasy incentrate sul viaggio eroico.
L'altro grande punto di forza del romanzo è rappresentato dai personaggi secondari e dalle comparse, delineati con tanta cura da rimanere facilmente impressi. Alcuni in realtà sono in scena per pochissime pagine -come l'assistente di volo Jane Dorning, il medico praticante George Shavers o il farmacista perennemente ulcerato Katz-, ma in quello spazio il caro Stephen riesce a caratterizzarli in modo dettagliato e verosimile, senza necessariamente ricorrere a cliché abusati. Ci sono inoltre personaggi talmente ben scritti ed approfonditi che avrebbero potuto ambire a ruoli più importanti: è il caso del narcotrafficante Enrico "Rico" Balazar, che in un altra storia non avrebbe sfigurato come villain principale.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
Quella porta. Quella porta là dove non avrebbe dovuto esserci alcuna porta. Si ergeva lì sul litorale grigio a qualche metro dalla linea dell'alta marea, eterna forse quanto il mare stesso
UN AMERICANO ALLA CORTE DI RE ARTÙ, AL CONTRARIO
Nonostante diversi spunti interessanti, "L'ultimo cavaliere" mi aveva lasciata decisamente tiepida. Da quanto ho capito spulciando qua è là, sembra però essere opinione universale che dal secondo libro in poi la saga The Dark Tower vada solo migliorando; di conseguenza, sono approdata a "La chiamata dei tre" con un certo ottimismo, aspettandomi dei passi in avanti soprattutto a livello di solidità della trama.
Trama che riprende esattamente dove si era interrotta, ossia sulla costa del Mare Occidentale; qui Roland Deschain si ritrova a vagare dopo il confronto con l'uomo in nero. Quando è allo stremo delle forze, il pistolero raggiunge una misteriosa porta in mezzo al nulla che, una volta varcata, gli permette di cominciare a realizzare il futuro predetto dalla sua nemesi. Il resto del volume si concentra infatti sulla formazione del gruppo che in virtù del ka (in parte destino prestabilito, in parte legame mistico, in parte energia spirituale) dovrà accompagnarlo nel suo viaggio verso la fantomatica Torre Nera, soffermandosi principalmente sulle vite passate di questi individui prima di raggiungere il Medio-Mondo.
La trama quindi è migliorata? non proprio: sicuramente l'introduzione di nuovi personaggi promette una narrazione più dinamica nel proseguo della serie, ma d'altro canto gli eventi rilevanti sono molto prevedibili e si sviluppano in modo lento e un po' ripetitivo. Non aiuta l'inserimento di alcune scene filler, decisamente noiose perché il lettore può intuire con facilità in che direzione il caro Stephen voglia spingere i suoi personaggi.
Prima di passare agli aspetti più riusciti del volume, vorrei spendere qualche parola su un altro difetto abbastanza rilevante, soprattutto se consideriamo quanto viene sottolineata nel testo l'importanza del legame tra i protagonisti. Già il rapporto padre/figlio tra Roland ed il piccolo John "Jake" Chambers mi era sembrato un po' prematuro nel primo libro, ma qui raggiungiamo nuove vette di affetto istantaneo; e penso sia all'amicizia con Edward "Eddie" Dean -che, nonostante l'evidente spietatezza del pistolero, gli diventa subito fedele-, sia alla relazione romantica di quest'ultimo con la cosiddetta Signora delle Ombre: qui siamo proprio a livello di instalove! King cerca di giustificare il tutto con il ka, che a questo punto penso sia un po' una scusa per velocizzare lo sviluppo dei legami.
Sull'altro piatto della bilancia abbiamo però parecchi elementi positivi, oltre alla promessa di una trama più consistente in futuro. In primis, è genuinamente divertente leggere del modo straniato in cui Roland interagisce con il nostro mondo: ogni invenzione moderna lo lascia sbalordito, inoltre si meraviglia di continuo per quanto siano economici ed accessibili beni rarissimi nel Medio-Mondo, come la comune carta. Come già accennato, i suoi nuovi comprimari risultano molto interessanti, e anche sorprendenti perché non rappresentano i caratteri canonici che solitamente si associano alle avventure fantasy incentrate sul viaggio eroico.
L'altro grande punto di forza del romanzo è rappresentato dai personaggi secondari e dalle comparse, delineati con tanta cura da rimanere facilmente impressi. Alcuni in realtà sono in scena per pochissime pagine -come l'assistente di volo Jane Dorning, il medico praticante George Shavers o il farmacista perennemente ulcerato Katz-, ma in quello spazio il caro Stephen riesce a caratterizzarli in modo dettagliato e verosimile, senza necessariamente ricorrere a cliché abusati. Ci sono inoltre personaggi talmente ben scritti ed approfonditi che avrebbero potuto ambire a ruoli più importanti: è il caso del narcotrafficante Enrico "Rico" Balazar, che in un altra storia non avrebbe sfigurato come villain principale.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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venerdì 17 febbraio 2023
"Le origini del male" di You-jeong Jeong
Le origini del male by You-Jeong Jeong
My rating: 4 of 5 stars
"Ho sempre avuto il dono di modificare una situazione per renderla comprensibile, anche se mia madre denigrava questa capacità, la chiamava “mentire”"
RICOSTRUENDO UN DELITTO
"Le origini del male" è un romanzo in cui sono incappata quasi per caso mentre sceglievo i libri da acquistare per ricevere in omaggio l'ennesimo plaid realizzato da Feltrinelli. La copertina ha catturato subito la mia attenzione per le sue vibes inquietanti, mentre la sinossi mi faceva pensare a "L'abito da sposo" -letto ed apprezzato lo scorso anno-, inoltre ero curiosa di scoprire come You-jeong avesse gestito il tropo del narratore non affidabile.
L'incipit infatti ci proietta in una situazione decisamente insolita, nella quale il protagonista non ricorda di essere finito: lo studente sudcoreano Han Yu-jin si risveglia nel suo letto completamente sporco di sangue; subito capisce di non essere ferito, ma il quadro non si fa meno preoccupante quando, nell'arco di poche pagine, trova il cadavere della madre sul pavimento della cucina. Da qui inizia una sorta di indagine durante la quale Yu-jin cerca di recuperare i ricordi della giornata precedente, e non solo: deve infatti spingersi sempre più nel passato per capire cosa l'abbia portato a compiere un simile gesto.
La narrazione non segue una struttura familiare ai lettori occidentali, ma si articola in quattro macro-capitoli -lunghi un'ottantina di pagine ciascuno- in cui alla ricostruzione nel presente si alternano dei corposi flashback che permettono di analizzare meglio la storia familiare del protagonista, con particolare attenzione al suo rapporto con Kim Ji-won, la madre sempre in ansia per la sua salute. Viene indagato anche il rapporto conflittuale con la zia materna Kim Hye-won, interessante nonché fondamentale nell'economica della storia, mentre mi sarei aspettata qualcosa in più per quanto riguarda la figura del fratello adottivo Kim Hae-jin, relegato ad un ruolo meno attivo di quanto sottinteso inizialmente.
Lo stesso discorso vale per il padre, morto anni prima ma che avrebbe potuto ottenere un po' di spazio nei flashback, anche solo per mostrare quale fosse la sua opinione in merito ai problemi del figlio. La mancanza di queste prospettive è l'unico difetto concreto del romanzo, anche se personalmente ho trovato discutibile la scelta di tradurre il testo dall'inglese (con il risultato di farci credere che Seul e dintorni siano pieni di luoghi dai nomi molto amerihani) e anche l'inserimento di fin troppi salti temporali: l'impressione è che l'autrice volesse rendere più complessa una trama abbastanza lineare.
Oltre all'ottima analisi delle relazioni familiari del protagonista, rigorosamente disfunzionali e influenzate dalle pressioni sociali, ho trovato ben riuscito il ritratto psicologico di Yu-jin che si delinea pian piano nel corso della narrazione: la premessa crea un ingannevole senso di empatia verso di lui, ma quest'impressione iniziale va scemando mentre il lettore si rende conto delle sue azioni e dei suoi pensieri.
Seppur non sia il focus principale, credo che l'intreccio sia stato pensato con attenzione e, pur procedendo con grande pacatezza, riesca a mettere in scena delle valide svolte narrative. In sostanza, mi sto sempre più appassionando ai thriller asiatici: dopo Yoshida, anche la cara Jeong finisce nella lista degli autori di cui (traduzioni permettendo!) vorrei recuperare un po' tutto.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"Ho sempre avuto il dono di modificare una situazione per renderla comprensibile, anche se mia madre denigrava questa capacità, la chiamava “mentire”"
RICOSTRUENDO UN DELITTO
"Le origini del male" è un romanzo in cui sono incappata quasi per caso mentre sceglievo i libri da acquistare per ricevere in omaggio l'ennesimo plaid realizzato da Feltrinelli. La copertina ha catturato subito la mia attenzione per le sue vibes inquietanti, mentre la sinossi mi faceva pensare a "L'abito da sposo" -letto ed apprezzato lo scorso anno-, inoltre ero curiosa di scoprire come You-jeong avesse gestito il tropo del narratore non affidabile.
L'incipit infatti ci proietta in una situazione decisamente insolita, nella quale il protagonista non ricorda di essere finito: lo studente sudcoreano Han Yu-jin si risveglia nel suo letto completamente sporco di sangue; subito capisce di non essere ferito, ma il quadro non si fa meno preoccupante quando, nell'arco di poche pagine, trova il cadavere della madre sul pavimento della cucina. Da qui inizia una sorta di indagine durante la quale Yu-jin cerca di recuperare i ricordi della giornata precedente, e non solo: deve infatti spingersi sempre più nel passato per capire cosa l'abbia portato a compiere un simile gesto.
La narrazione non segue una struttura familiare ai lettori occidentali, ma si articola in quattro macro-capitoli -lunghi un'ottantina di pagine ciascuno- in cui alla ricostruzione nel presente si alternano dei corposi flashback che permettono di analizzare meglio la storia familiare del protagonista, con particolare attenzione al suo rapporto con Kim Ji-won, la madre sempre in ansia per la sua salute. Viene indagato anche il rapporto conflittuale con la zia materna Kim Hye-won, interessante nonché fondamentale nell'economica della storia, mentre mi sarei aspettata qualcosa in più per quanto riguarda la figura del fratello adottivo Kim Hae-jin, relegato ad un ruolo meno attivo di quanto sottinteso inizialmente.
Lo stesso discorso vale per il padre, morto anni prima ma che avrebbe potuto ottenere un po' di spazio nei flashback, anche solo per mostrare quale fosse la sua opinione in merito ai problemi del figlio. La mancanza di queste prospettive è l'unico difetto concreto del romanzo, anche se personalmente ho trovato discutibile la scelta di tradurre il testo dall'inglese (con il risultato di farci credere che Seul e dintorni siano pieni di luoghi dai nomi molto amerihani) e anche l'inserimento di fin troppi salti temporali: l'impressione è che l'autrice volesse rendere più complessa una trama abbastanza lineare.
Oltre all'ottima analisi delle relazioni familiari del protagonista, rigorosamente disfunzionali e influenzate dalle pressioni sociali, ho trovato ben riuscito il ritratto psicologico di Yu-jin che si delinea pian piano nel corso della narrazione: la premessa crea un ingannevole senso di empatia verso di lui, ma quest'impressione iniziale va scemando mentre il lettore si rende conto delle sue azioni e dei suoi pensieri.
Seppur non sia il focus principale, credo che l'intreccio sia stato pensato con attenzione e, pur procedendo con grande pacatezza, riesca a mettere in scena delle valide svolte narrative. In sostanza, mi sto sempre più appassionando ai thriller asiatici: dopo Yoshida, anche la cara Jeong finisce nella lista degli autori di cui (traduzioni permettendo!) vorrei recuperare un po' tutto.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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lunedì 13 febbraio 2023
"Half Lost" di Sally Green
Half Lost by Sally Green
My rating: 5 of 5 stars
"Non voglio perdere quella metà di me stesso. Voglio essere un Mezzo Sangue. Voglio essere Nero e Bianco, il meglio di entrambi. E adesso voglio vedere Gabriel, dirgli che non mi sono perso, che so chi sono"
IMPERFETTA PERFEZIONE
Arrivata all'ultimo capitolo della trilogia d'esordio di Green mi trovo ancora una volta a mangiarmi virtualmente le mani: perché ho aspettato così tanto per recuperare questa serie? In realtà una risposta c’è, ed è anche razionale a suo modo: mi è capitato di leggere tanti libri per ragazzi usciti nello stesso periodo che mi hanno spesso delusa per mancanza di originalità. La cara Sally invece è riuscita a stupirmi, ed è questo il motivo principale per cui sono convinta che -a prescindere dai suoi difetti- The Half Bad Trilogy mi rimarrà nel cuore.
In "Half Lost" la narrazione ruota ancora una volta attorno alla guerra tra il dispotico Consiglio degli Incanti Bianchi e l'Alleanza degli Incanti Liberi, notevolmente indebolita dopo la Battaglia di Bialowieza. Dopo varie missioni in solitaria, volte più a ritrovare Annalise che a colpire i Cacciatori, Nathan capisce di dover ottenere un maggiore vantaggio se vuole sgominare una volta per tutte il regime di Soul O'Brien; parte da questa premessa l'ennesima quest che porterà il protagonista e Gabriel oltreoceano in cerca del cosiddetto amuleto vardiano, teoricamente capace di rendere chi lo possiede invincibile.
Com'era prevedibile, punti forti e difetti non cambiano molto in questo ultimo volume, e questo vi farà forse intuire che la mia valutazione è dettata più dalle emozioni che dal contenuto effettivo. Come nei due romanzi precedenti abbiamo infatti un world building volutamente lacunoso, che non viene approfondito neppure quando si parla di come rivoluzionare il governo degli Incanti o nel momento in cui i personaggi devono incontrare Incanti provenienti da altri Paesi. Anche l'intreccio non diventa particolarmente complesso, anzi: alcuni elementi vengono ripescati dai volumi precedenti per ottenere in modo un po' conveniente una nuova funzione; bisogna però ammettere che nel finale si percepisce un bel senso di chiusura per diversi personaggi (tra cui Annalise, in un modo abbastanza inaspettato), segno che il protagonista non è il solo ad essere cresciuto durante la trilogia.
Non c'è dubbio però che Nathan sia il cuore pulsante della storia, e con quest'ultimo volume è riuscito ancora una volta a farmi ridere di gusto alle sue battute sarcastiche, ma anche commuovere. In particolare, ho adorato i suoi confronti con Arran, Celia e Ledger, oltre a qualunque interazione con Gabriel. Raramente ho trovato in una narrazione rivolta in primis ad un pubblico giovane un protagonista così complesso, forte eppure fragile, e ben consapevole delle sue contraddizioni; a mio avviso pochi comprimari riescono a dimostrarsi alla sua altezza (oltre a quelli già citati, forse solo Van e Nesbitt), e sicuramente nessuno degli antagonisti, che per l'ennesima volta si fanno desiderare in scena per poi consegnare una performance alquanto scadente.
È evidente che non faccio per nulla fatica ad individuare dei difetti in questo romanzo, quindi mi sorge il dubbio di essere stata forse troppo generosa con il mio voto; razionalmente penso di sì, e proprio su questo punto ammetto di essere rimasta per un bel pezzo in ambasce. Però in alcuni casi bisogna premiare in qualche modo il coraggio di un autore a creare una storia diversa dal solito, soprattutto se c'è il rischio che finisca nel dimenticatoio o, peggio, venga adattata in una serie Netflix di discutibile qualità.
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My rating: 5 of 5 stars
"Non voglio perdere quella metà di me stesso. Voglio essere un Mezzo Sangue. Voglio essere Nero e Bianco, il meglio di entrambi. E adesso voglio vedere Gabriel, dirgli che non mi sono perso, che so chi sono"
IMPERFETTA PERFEZIONE
Arrivata all'ultimo capitolo della trilogia d'esordio di Green mi trovo ancora una volta a mangiarmi virtualmente le mani: perché ho aspettato così tanto per recuperare questa serie? In realtà una risposta c’è, ed è anche razionale a suo modo: mi è capitato di leggere tanti libri per ragazzi usciti nello stesso periodo che mi hanno spesso delusa per mancanza di originalità. La cara Sally invece è riuscita a stupirmi, ed è questo il motivo principale per cui sono convinta che -a prescindere dai suoi difetti- The Half Bad Trilogy mi rimarrà nel cuore.
In "Half Lost" la narrazione ruota ancora una volta attorno alla guerra tra il dispotico Consiglio degli Incanti Bianchi e l'Alleanza degli Incanti Liberi, notevolmente indebolita dopo la Battaglia di Bialowieza. Dopo varie missioni in solitaria, volte più a ritrovare Annalise che a colpire i Cacciatori, Nathan capisce di dover ottenere un maggiore vantaggio se vuole sgominare una volta per tutte il regime di Soul O'Brien; parte da questa premessa l'ennesima quest che porterà il protagonista e Gabriel oltreoceano in cerca del cosiddetto amuleto vardiano, teoricamente capace di rendere chi lo possiede invincibile.
Com'era prevedibile, punti forti e difetti non cambiano molto in questo ultimo volume, e questo vi farà forse intuire che la mia valutazione è dettata più dalle emozioni che dal contenuto effettivo. Come nei due romanzi precedenti abbiamo infatti un world building volutamente lacunoso, che non viene approfondito neppure quando si parla di come rivoluzionare il governo degli Incanti o nel momento in cui i personaggi devono incontrare Incanti provenienti da altri Paesi. Anche l'intreccio non diventa particolarmente complesso, anzi: alcuni elementi vengono ripescati dai volumi precedenti per ottenere in modo un po' conveniente una nuova funzione; bisogna però ammettere che nel finale si percepisce un bel senso di chiusura per diversi personaggi (tra cui Annalise, in un modo abbastanza inaspettato), segno che il protagonista non è il solo ad essere cresciuto durante la trilogia.
Non c'è dubbio però che Nathan sia il cuore pulsante della storia, e con quest'ultimo volume è riuscito ancora una volta a farmi ridere di gusto alle sue battute sarcastiche, ma anche commuovere. In particolare, ho adorato i suoi confronti con Arran, Celia e Ledger, oltre a qualunque interazione con Gabriel. Raramente ho trovato in una narrazione rivolta in primis ad un pubblico giovane un protagonista così complesso, forte eppure fragile, e ben consapevole delle sue contraddizioni; a mio avviso pochi comprimari riescono a dimostrarsi alla sua altezza (oltre a quelli già citati, forse solo Van e Nesbitt), e sicuramente nessuno degli antagonisti, che per l'ennesima volta si fanno desiderare in scena per poi consegnare una performance alquanto scadente.
È evidente che non faccio per nulla fatica ad individuare dei difetti in questo romanzo, quindi mi sorge il dubbio di essere stata forse troppo generosa con il mio voto; razionalmente penso di sì, e proprio su questo punto ammetto di essere rimasta per un bel pezzo in ambasce. Però in alcuni casi bisogna premiare in qualche modo il coraggio di un autore a creare una storia diversa dal solito, soprattutto se c'è il rischio che finisca nel dimenticatoio o, peggio, venga adattata in una serie Netflix di discutibile qualità.
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venerdì 10 febbraio 2023
"Heart's Blood" di Juliet Marillier
Heart's Blood by Juliet Marillier
My rating: 4 of 5 stars
"I fully expected the kind of instructions people got in dark tales; Whistling Tor seemed just the place for them. Don't touch the little key third from the right. Don't go into the chamber at the top of the tower"
LA CALLIGRAFA E LA BESTIA
Da un po' di anni ormai ero intenzionata a dare una chance alla prosa di Marillier per capire se potesse piacermi o meno. Per non dovermi impegnare con una serie intera, ho scelto il suo unico romanzo autoconclusivo ossia "Heart's Blood", una riscrittura abbastanza canonica della fiaba La bella e la bestia ambientata nell'Irlanda del XII secolo.
La "bella" di turno si chiama Caitrin ed è figlia nonché apprendista di un noto scrivano; all'inizio della storia la vediamo vagare senza una meta ben definita nel regno di Connacht -la regione più occidentale dell'isola- fino a raggiungere il territorio denominato Whistling Tor sul quale comanda la nostra "bestia", il lord locale Anluan. La giovane si offre per un lavoro di traduzione presso il suo maniero, nonostante i paesani la mettano al corrente delle inquietanti presenze che infestano da decenni il bosco vicino e del comportamento scostante del loro signore. Partendo da qui la trama segue la fiaba originale grosso modo fedelmente, aggiungendo però alcuni dettagli fantastici e storici inediti; in particolare, la maledizione che vincola Anluan alle figure che popolano Whistling Tor e la minaccia dei normanni, pronti a conquistare quelle terre in nome di Enrico II d'Inghilterra.
Nonostante il romanzo riprenda moltissimi elementi narrativi dalla fiaba che l'ha ispirato, se ne discosta nettamente a livello di tematiche. Marillier non si sofferma tanto sul tema dell'apparenza ingannevole, quanto su come affrontare diversi tipi di trauma, che riguardano sia i due protagonisti sia il resto dei personaggi principali. Si analizzano sotto diversi punti di vista l'elaborazione del lutto per un familiare, la violenza fisica e psicologica in ambito domestico, la depressione con riferimenti anche al suicidio e le difficoltà legate alla maternità; e si tratta solo delle tematiche più ricorrenti nel testo. Questo lo rende di certo un libro non adatto a tutti i lettori -perché i più sensibili o chi sta vivendo delle situazioni analoghe farà di certo fatica a leggerlo-, ma per quanto mi riguarda ho apprezzato molto la scelta di trattare argomenti tristemente attuali, riuscendo a rendere credibili le reazioni dei personaggi a dispetto dell'ambientazione storica nella quale si muovono.
Un altro punto di forza del romanzo è il modo positivo in cui vengono raccontati i legami interpersonali, che siano di stima sincera, amore romantico o di affetto familiare; e non vengono mostrati solo rapporti convenzionali, ma anche delle amicizie così profonde da avvicinare due persone come fossero parenti a tutti gli effetti. Mi sono piaciuti anche lo sviluppo del romance tra Caitrin e Anluan (privo dei comportamenti condiscendenti che temevo ci sarebbero stati) ed il percorso che entrambi devono affrontare per vincere le proprie paure, diventando così dei protagonisti a tutto tondo. I personaggi secondari per contro non risultano sempre convincenti, ma alcuni di loro -in particolare, Magnus, Rioghan e Maraid- ottengono comunque un'evoluzione più che dignitosa.
Oltre ai temi non proprio digeribili, non mi ha convinto troppo la prevedibilità della trama: tutti i colpi di scena che shockano la protagonista possono essere tranquillamente indovinati dal lettore con pagine e pagine d'anticipo, seppur la narrazione sia in prima persona. Non mi hanno fatta impazzire neanche la lentezza del ritmo e l'edizione appositamente ideata per attentare alle mie diottrie, ma il difetto peggiore penso sia la parte finale. L'autrice cerca evidentemente di creare un climax, ma la scontatezza della storia e la frettolosità di alcune scene rendono inefficacie il crescendo dell'azione; se i personaggi avessero dovuto affrontare delle difficoltà più concrete, forse l'impatto emotivo non si sarebbe sciupato.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"I fully expected the kind of instructions people got in dark tales; Whistling Tor seemed just the place for them. Don't touch the little key third from the right. Don't go into the chamber at the top of the tower"
LA CALLIGRAFA E LA BESTIA
Da un po' di anni ormai ero intenzionata a dare una chance alla prosa di Marillier per capire se potesse piacermi o meno. Per non dovermi impegnare con una serie intera, ho scelto il suo unico romanzo autoconclusivo ossia "Heart's Blood", una riscrittura abbastanza canonica della fiaba La bella e la bestia ambientata nell'Irlanda del XII secolo.
La "bella" di turno si chiama Caitrin ed è figlia nonché apprendista di un noto scrivano; all'inizio della storia la vediamo vagare senza una meta ben definita nel regno di Connacht -la regione più occidentale dell'isola- fino a raggiungere il territorio denominato Whistling Tor sul quale comanda la nostra "bestia", il lord locale Anluan. La giovane si offre per un lavoro di traduzione presso il suo maniero, nonostante i paesani la mettano al corrente delle inquietanti presenze che infestano da decenni il bosco vicino e del comportamento scostante del loro signore. Partendo da qui la trama segue la fiaba originale grosso modo fedelmente, aggiungendo però alcuni dettagli fantastici e storici inediti; in particolare, la maledizione che vincola Anluan alle figure che popolano Whistling Tor e la minaccia dei normanni, pronti a conquistare quelle terre in nome di Enrico II d'Inghilterra.
Nonostante il romanzo riprenda moltissimi elementi narrativi dalla fiaba che l'ha ispirato, se ne discosta nettamente a livello di tematiche. Marillier non si sofferma tanto sul tema dell'apparenza ingannevole, quanto su come affrontare diversi tipi di trauma, che riguardano sia i due protagonisti sia il resto dei personaggi principali. Si analizzano sotto diversi punti di vista l'elaborazione del lutto per un familiare, la violenza fisica e psicologica in ambito domestico, la depressione con riferimenti anche al suicidio e le difficoltà legate alla maternità; e si tratta solo delle tematiche più ricorrenti nel testo. Questo lo rende di certo un libro non adatto a tutti i lettori -perché i più sensibili o chi sta vivendo delle situazioni analoghe farà di certo fatica a leggerlo-, ma per quanto mi riguarda ho apprezzato molto la scelta di trattare argomenti tristemente attuali, riuscendo a rendere credibili le reazioni dei personaggi a dispetto dell'ambientazione storica nella quale si muovono.
Un altro punto di forza del romanzo è il modo positivo in cui vengono raccontati i legami interpersonali, che siano di stima sincera, amore romantico o di affetto familiare; e non vengono mostrati solo rapporti convenzionali, ma anche delle amicizie così profonde da avvicinare due persone come fossero parenti a tutti gli effetti. Mi sono piaciuti anche lo sviluppo del romance tra Caitrin e Anluan (privo dei comportamenti condiscendenti che temevo ci sarebbero stati) ed il percorso che entrambi devono affrontare per vincere le proprie paure, diventando così dei protagonisti a tutto tondo. I personaggi secondari per contro non risultano sempre convincenti, ma alcuni di loro -in particolare, Magnus, Rioghan e Maraid- ottengono comunque un'evoluzione più che dignitosa.
Oltre ai temi non proprio digeribili, non mi ha convinto troppo la prevedibilità della trama: tutti i colpi di scena che shockano la protagonista possono essere tranquillamente indovinati dal lettore con pagine e pagine d'anticipo, seppur la narrazione sia in prima persona. Non mi hanno fatta impazzire neanche la lentezza del ritmo e l'edizione appositamente ideata per attentare alle mie diottrie, ma il difetto peggiore penso sia la parte finale. L'autrice cerca evidentemente di creare un climax, ma la scontatezza della storia e la frettolosità di alcune scene rendono inefficacie il crescendo dell'azione; se i personaggi avessero dovuto affrontare delle difficoltà più concrete, forse l'impatto emotivo non si sarebbe sciupato.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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mercoledì 8 febbraio 2023
"Redemptor" di Jordan Ifueko
Redemptor by Jordan Ifueko
My rating: 4 of 5 stars
"«They love what you represent: rebirth. Redemptor. The tale of a monster turned heroine … I hope you'll be the story they need, too»"
COME PIAZZARE GIÀ NELLA SINOSSI UN TRIANGOLO AMOROSO IN UN YA
Dopo essere rimasta piacevolmente colpita da "Raybearer", ero molto curiosa di scoprire come Ifueko avesse completato la sua duologia d'esordio sia perché dubitavo ci fosse abbastanza materiale da giustificare un sequel lungo quanto il primo volume, sia per la prossima pubblicazione in Italia: una volta tanto fa piacere poter dare la propria impressione su un libro prima della sua uscita.
La narrazione in "Redemptor" riprende appena qualche giorno dopo la conclusione del precedente capitolo, e ruota in gran parte attorno alla missione affidata a Tarisai dagli abiku: formare un suo personale concilio legando a sé i sovrani vassalli dell'impero di Aritsar. Nel frattempo la ragazza è determinata a sfruttare al meglio il potere nelle sue mani per migliorare la vita dei cittadini più umili, vessati dai nobili che controllano le principali attività produttive. Fanno da sfondo alcune parentesi romantiche molto carine, ma per nulla imprescindibili a livello di trama.
Premetto che per le prime cento pagine circa, questo sequel non mi sembrava per nulla all'altezza di "Raybearer", almeno per come lo ricordavo: avevo l'impressione venissero aggiunti troppi elementi narrativi in modo casuale e caotico. Pian piano il romanzo acquista però un suo ritmo ed i nuovi personaggi ottengono una giusta dimensione; di conseguenza, la seconda metà abbondante del volume è riuscita a convincermi, con qualche piccola riserva di cui parlerò più avanti.
Alcuni aspetti che già funzionavano nel primo libro ritornano, perfino migliorati! è il caso della rappresentazione -gestita in modo maggiormente approfondito- e della caratterizzazione della protagonista, che riesce a crescere molto soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza con qui affronta il suo nuovo ruolo. Apprezzabile anche l'analisi dei suoi traumi passati (che riguarda in realtà diversi tra i personaggi principali) e l'allegoria della sindrome dell'impostore, qui personificata dagli ojiji che le mettono continuamente pressione per farla sentire in difetto a prescindere dal suo impegno.
Mi sono piaciuti molto anche gli emozionanti momenti di riflessione in cui i personaggi si confrontano tra loro; qui vediamo approfondito tra gli altri il rapporto di Tarisai con alcuni personaggi già presenti nel primo libro (in primis Dayo, Ye Eun e Sanjeet) e le sue interazioni con i regnanti dei quali dovrà ottenere la fiducia. Mi azzardo a dire di aver preferito questa seconda famiglia della ragazza, seppur venga mostrata poco, perché adesso è lei a doversi conquistare l'affetto dei suoi fratelli e sorelle: non apprezzare Dayo era praticamente impossibile, mentre Tarisai ha diverse ombre nel suo passato quindi devono essere fatti dei passi in avanti da entrambe le parti per arrivare infine al legame familiare.
Oltre ad una partenza non troppo convincente, sull'altro piatto della bilancia troviamo l'inserimento di un inutile triangolo amoroso (potendolo intravedere già dalla sinossi, i miei occhi si sono immediatamente alzati al cielo!) e di un numero eccessivo di nuovi personaggi in un cast abbastanza numeroso di suo; come conseguenza alcuni di quelli rimasti dal primo volume vengono purtroppo accantonati per gran parte del libro.
Per quanto riguarda il sistema magico, vediamo anche qui dei nuovi elementi, e non tutti risultano efficaci perché la sensazione è che siano troppo convenienti e utili a far proseguire la narrazione in determinate direzioni quando rischia di arenarsi. Nonostante si riprenda in corsa, la trama mi è sembrata decisamente confusa in più punti, e nonostante questo rimance alquanto prevedibile: spero che nei suoi prossimi lavori la cara Jordan possa migliorare da questo punto di vista.
L'ultima nota (dolente) è riservata all'edizione. Se per la mia copia di "Raybearer" avevo solo lodi, le modifiche apportate al seguito non mi sono affatto piaciute. In particolare, l'utile glossario è stato eliminato quando si sarebbe dovuto al contrario ampliarlo, e la mappa che rappresentava l'intero continente è stata sostituita da una piantina della capitale, esteticamente bellina ma del tutto inservibile.
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My rating: 4 of 5 stars
"«They love what you represent: rebirth. Redemptor. The tale of a monster turned heroine … I hope you'll be the story they need, too»"
COME PIAZZARE GIÀ NELLA SINOSSI UN TRIANGOLO AMOROSO IN UN YA
Dopo essere rimasta piacevolmente colpita da "Raybearer", ero molto curiosa di scoprire come Ifueko avesse completato la sua duologia d'esordio sia perché dubitavo ci fosse abbastanza materiale da giustificare un sequel lungo quanto il primo volume, sia per la prossima pubblicazione in Italia: una volta tanto fa piacere poter dare la propria impressione su un libro prima della sua uscita.
La narrazione in "Redemptor" riprende appena qualche giorno dopo la conclusione del precedente capitolo, e ruota in gran parte attorno alla missione affidata a Tarisai dagli abiku: formare un suo personale concilio legando a sé i sovrani vassalli dell'impero di Aritsar. Nel frattempo la ragazza è determinata a sfruttare al meglio il potere nelle sue mani per migliorare la vita dei cittadini più umili, vessati dai nobili che controllano le principali attività produttive. Fanno da sfondo alcune parentesi romantiche molto carine, ma per nulla imprescindibili a livello di trama.
Premetto che per le prime cento pagine circa, questo sequel non mi sembrava per nulla all'altezza di "Raybearer", almeno per come lo ricordavo: avevo l'impressione venissero aggiunti troppi elementi narrativi in modo casuale e caotico. Pian piano il romanzo acquista però un suo ritmo ed i nuovi personaggi ottengono una giusta dimensione; di conseguenza, la seconda metà abbondante del volume è riuscita a convincermi, con qualche piccola riserva di cui parlerò più avanti.
Alcuni aspetti che già funzionavano nel primo libro ritornano, perfino migliorati! è il caso della rappresentazione -gestita in modo maggiormente approfondito- e della caratterizzazione della protagonista, che riesce a crescere molto soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza con qui affronta il suo nuovo ruolo. Apprezzabile anche l'analisi dei suoi traumi passati (che riguarda in realtà diversi tra i personaggi principali) e l'allegoria della sindrome dell'impostore, qui personificata dagli ojiji che le mettono continuamente pressione per farla sentire in difetto a prescindere dal suo impegno.
Mi sono piaciuti molto anche gli emozionanti momenti di riflessione in cui i personaggi si confrontano tra loro; qui vediamo approfondito tra gli altri il rapporto di Tarisai con alcuni personaggi già presenti nel primo libro (in primis Dayo, Ye Eun e Sanjeet) e le sue interazioni con i regnanti dei quali dovrà ottenere la fiducia. Mi azzardo a dire di aver preferito questa seconda famiglia della ragazza, seppur venga mostrata poco, perché adesso è lei a doversi conquistare l'affetto dei suoi fratelli e sorelle: non apprezzare Dayo era praticamente impossibile, mentre Tarisai ha diverse ombre nel suo passato quindi devono essere fatti dei passi in avanti da entrambe le parti per arrivare infine al legame familiare.
Oltre ad una partenza non troppo convincente, sull'altro piatto della bilancia troviamo l'inserimento di un inutile triangolo amoroso (potendolo intravedere già dalla sinossi, i miei occhi si sono immediatamente alzati al cielo!) e di un numero eccessivo di nuovi personaggi in un cast abbastanza numeroso di suo; come conseguenza alcuni di quelli rimasti dal primo volume vengono purtroppo accantonati per gran parte del libro.
Per quanto riguarda il sistema magico, vediamo anche qui dei nuovi elementi, e non tutti risultano efficaci perché la sensazione è che siano troppo convenienti e utili a far proseguire la narrazione in determinate direzioni quando rischia di arenarsi. Nonostante si riprenda in corsa, la trama mi è sembrata decisamente confusa in più punti, e nonostante questo rimance alquanto prevedibile: spero che nei suoi prossimi lavori la cara Jordan possa migliorare da questo punto di vista.
L'ultima nota (dolente) è riservata all'edizione. Se per la mia copia di "Raybearer" avevo solo lodi, le modifiche apportate al seguito non mi sono affatto piaciute. In particolare, l'utile glossario è stato eliminato quando si sarebbe dovuto al contrario ampliarlo, e la mappa che rappresentava l'intero continente è stata sostituita da una piantina della capitale, esteticamente bellina ma del tutto inservibile.
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lunedì 6 febbraio 2023
"Hercule Poirot indaga" di Agatha Christie
Hercule Poirot indaga by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars
"«I veri indizi sono qui… dentro!» e si batté un dito sulla fronte … «Quello che importa sono piccole cellule grigie qua dentro. Fanno la loro parte in segreto e in silenzio»"
ELEMENTARE, MIO CARO HASTINGS
Con grande lentezza -ma senza particolare ansia, visto che il tempo per recuperare i classici c'è sempre- procede la mia esplorazione nella corposa "serie" di volumi dedicati alla figura di Hercule Poirot, sicuramente l'investigatore più famoso creato da Agatha Christie. Dopo una partenza randomica ho corretto il tiro, e ora sto seguendo grosso modo l'ordine di pubblicazione; e infatti, dopo avervi parlato dei suoi primi due romanzi, andiamo adesso ad analizzare l'antologia di metà anni Venti "Hercules Poirot indaga".
Composta da undici racconti brevi se non brevissimi, questa raccolta è in realtà una sorta di ripubblicazione di storie già comparse nel corso del 1923 sulla rivista inglese The Sketch. Il narratore ha sempre la voce del capitano Arthur Hastings, grande amico e biografo ufficioso del detective belga, che segue quest'ultimo mentre risolve casi di omicidio, recupera gioielli rubati o salva in extremis vittime di rapimento. Hastings non è il solo personaggio ricorrente, infatti in diversi racconti rivediamo l'ispettore di Scotland Yard James Japp, già comparso in "Poirot a Styles Court".
Come sempre, le storie così brevi non riescono a darmi la stessa soddisfazione dei romanzi, e pur partendo avvantaggiata perché già conosco i due personaggi principali, trovo che il resto del cast sia composto da figure bidimensionali al massimo. Anche le ambientazioni e la prosa non vengono troppo curati, con la conseguenza di doversi focalizzare esclusivamente sull'intreccio, che per fortuna è quasi sempre molto valido e capace di colpire pur con poche pagine a disposizione. Un'altro aspetto ben riuscito è l'umorismo, in particolare nelle frecciatine non proprio sottili che Poirot lancia ad Hastings ed alla sua scarsa perspicacia.
Per quanto spassoso da leggere (soprattutto quando è convinto a torto di aver capito tutto) il POV del capitano ha il deficit di rendere in alcuni casi la risoluzione un po' troppo facile: in pratica è sufficiente ignorare completamente ciò che lui da per assodato per individuare il colpevole. Questo però non rendere meno godibile la lettura, anche perché a volte Hastings si limita a seguire Poirot da mero spettatore, senza neppure azzardare una delle sue ipotesi campate per aria.
Per quanto mi riguarda, i racconti che ho apprezzato maggiormente sono "Il furto di gioielli al Grand Metropolitan" e "La sparizione del signor Davenheim", perché in entrambi i casi una parte della rivelazione finale enunciata da Poirot mi ha del tutto spiazzata: sono sicuramente le storie che reputo più interessanti e, pur non contando più di una ventina di pagine l'una, capaci di lasciare il segno.
Non sarà quindi all'altezza dei romanzi veri e propri, eppure mi sento di consigliare questa antologia, sia ai lettori che come me intendono recuperare ogni testo disponibile sull'immodesto detective belga, sia a chi non l'ha ancora conosciuto e vorrebbe farsi un'idea sul personaggio senza dedicarci troppo tempo. Ed in particolare agli orfani dei racconti di Arthur Conan Doyle, che troveranno nella dinamica tra Poirot ed Hastings molti punti in comune con il duo composto da Sherlock e Watson.
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My rating: 4 of 5 stars
"«I veri indizi sono qui… dentro!» e si batté un dito sulla fronte … «Quello che importa sono piccole cellule grigie qua dentro. Fanno la loro parte in segreto e in silenzio»"
ELEMENTARE, MIO CARO HASTINGS
Con grande lentezza -ma senza particolare ansia, visto che il tempo per recuperare i classici c'è sempre- procede la mia esplorazione nella corposa "serie" di volumi dedicati alla figura di Hercule Poirot, sicuramente l'investigatore più famoso creato da Agatha Christie. Dopo una partenza randomica ho corretto il tiro, e ora sto seguendo grosso modo l'ordine di pubblicazione; e infatti, dopo avervi parlato dei suoi primi due romanzi, andiamo adesso ad analizzare l'antologia di metà anni Venti "Hercules Poirot indaga".
Composta da undici racconti brevi se non brevissimi, questa raccolta è in realtà una sorta di ripubblicazione di storie già comparse nel corso del 1923 sulla rivista inglese The Sketch. Il narratore ha sempre la voce del capitano Arthur Hastings, grande amico e biografo ufficioso del detective belga, che segue quest'ultimo mentre risolve casi di omicidio, recupera gioielli rubati o salva in extremis vittime di rapimento. Hastings non è il solo personaggio ricorrente, infatti in diversi racconti rivediamo l'ispettore di Scotland Yard James Japp, già comparso in "Poirot a Styles Court".
Come sempre, le storie così brevi non riescono a darmi la stessa soddisfazione dei romanzi, e pur partendo avvantaggiata perché già conosco i due personaggi principali, trovo che il resto del cast sia composto da figure bidimensionali al massimo. Anche le ambientazioni e la prosa non vengono troppo curati, con la conseguenza di doversi focalizzare esclusivamente sull'intreccio, che per fortuna è quasi sempre molto valido e capace di colpire pur con poche pagine a disposizione. Un'altro aspetto ben riuscito è l'umorismo, in particolare nelle frecciatine non proprio sottili che Poirot lancia ad Hastings ed alla sua scarsa perspicacia.
Per quanto spassoso da leggere (soprattutto quando è convinto a torto di aver capito tutto) il POV del capitano ha il deficit di rendere in alcuni casi la risoluzione un po' troppo facile: in pratica è sufficiente ignorare completamente ciò che lui da per assodato per individuare il colpevole. Questo però non rendere meno godibile la lettura, anche perché a volte Hastings si limita a seguire Poirot da mero spettatore, senza neppure azzardare una delle sue ipotesi campate per aria.
Per quanto mi riguarda, i racconti che ho apprezzato maggiormente sono "Il furto di gioielli al Grand Metropolitan" e "La sparizione del signor Davenheim", perché in entrambi i casi una parte della rivelazione finale enunciata da Poirot mi ha del tutto spiazzata: sono sicuramente le storie che reputo più interessanti e, pur non contando più di una ventina di pagine l'una, capaci di lasciare il segno.
Non sarà quindi all'altezza dei romanzi veri e propri, eppure mi sento di consigliare questa antologia, sia ai lettori che come me intendono recuperare ogni testo disponibile sull'immodesto detective belga, sia a chi non l'ha ancora conosciuto e vorrebbe farsi un'idea sul personaggio senza dedicarci troppo tempo. Ed in particolare agli orfani dei racconti di Arthur Conan Doyle, che troveranno nella dinamica tra Poirot ed Hastings molti punti in comune con il duo composto da Sherlock e Watson.
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mercoledì 1 febbraio 2023
"La repubblica del drago" di R.F. Kuang
La Repubblica del Drago by R.F. Kuang
My rating: 3 of 5 stars
"«Mancanza di cibo. Crimine dilagante... e non sono solo i fuorilegge federati. Ci sono anche i nikariani a scannarsi a vicenda. Colpa della carestia»
«Quale momento migliore per iniziare un'altra guerra...»
«Un'altra guerra è inevitabile»"
TRA RISATE E NOIA
Nonostante alcuni difetti imputabili in gran parte alla giovane età dell'autrice, "La guerra dei papaveri" è un romanzo che mi ha divertito ed intrattenuto, specialmente per merito di un world building molto affascinante e di una protagonista per nulla scontata. E direi che questi due fattori si riconfermano in pieno nel seguito "La repubblica del drago", in particolare l'imprevedibilità della nostra Fang "Runin" Rin, sempre più scatenata e (auto)distruttiva.
La trama parte tre mesi dopo la conclusione del primo capitolo; ritroviamo i cike alle dipendenze della regina dei pirati Moag -che sfrutta i loro talenti per eliminare scomodi avversari- promettendo in cambio armi e finanziamenti per orchestrare l'assassinio dell'Imperatrice Su Daji. La narrazione si allontana ben presto da questo spunto per portare in scena i protagonisti di un conflitto di tutt'altra portata: capitanate dal signore della guerra Yin Vaisra, le province del sud danno il via ad una secessione che mira a sostituire l'impero Nikan con una repubblica. Ovviamente Rin e i suoi alleati vengono trascinati in questa ribellione, e con loro gli esperiani, appena giunti dal continente occidentale per portare al popolo nikariano la vera fede e anche qualche fucile.
Ben consapevole che questo viene considerato da molti il volume migliore della trilogia, parlo subito degli aspetti più riusciti, così volendo potete saltare a piè pari il resto della recensione, dove cercherò di spiegare cosa mi porta a ritenere invece più valido il primo romanzo. Tra i punti a favore posso includere senza dubbio le nuove ambientazioni: finalmente possiamo esplorare meglio l'impero Nikan, ricco di luoghi affascinanti descritti con attenzione sia nelle location sia nei personaggi che le popolano. Il world building si amplia anche per merito di alcuni approfondimenti sul passato di questo mondo fantastico, che arricchiscono la narrazione e rispondono a più di un interrogativo.
Sul fronte dei personaggi, ho apprezzato molto la caratterizzazione di Yin Vaisra (una figura estremamente sfaccettata, che spero avrà spazio anche nell'ultimo capitolo) e lo sviluppo del rapporto tra Rin e Kitay. Il cambiamento che più ho gradito però è la maggiore omogeneità nel tono adottato perché, pur non lesinando sui momenti più divertenti, questi si amalgamano molto meglio ai temi pesanti, sempre presenti e rilevanti: in particolare, viene posta maggior attenzione sul tema del colonialismo, e l'autrice ci spinge a riflettere parecchio sul dramma dell'assimilazione culturale forzata.
Ma passiamo all'altro piatto della bilancia. Alcuni difetti del primo libro ricompaiono, e penso soprattutto ai dialoghi incredibilmente informali a prescindere da quanto siano importanti le figure nobili o politiche coinvolte, ma altri sono del tutto nuovi, e anche inaspettati. Partiamo dai personaggi: ne vengono introdotti molti inediti, ma la maggior parte sono poco più di macchiette; per contro, parecchi di quelli rimasti da "La guerra dei papaveri" vengono ridimensionati o resi sciapi dal punto di vista caratteriale.
La narrazione poi soffre di una terribile lentezza, con degli schemi che si ripetono per più scene. Questo è dato sia dal tentativo della cara Rebecca di rendere verosimile la parte dedicata alla campagna militare, sia dalla mancanza di uno scopo che sproni la protagonista a portare avanti la storia: quello di uccidere l'Imperatrice diventa ben presto un pensiero secondario, mentre Rin si annulla nelle azioni belliche. Tutto questo è credibile? sicuramente sì, ma è anche molto noioso da leggere in una storia fantastica dalla quale mi aspettavo battaglie epiche tra sciamani ultrapotenti.
Ultima nota amara, la parentesi dedicata ai ketreyani. Trattandosi di personaggi mai visti prima, non scenderò nel dettaglio per evitare spoiler, ma ho trovato la loro comparsa molto conveniente nel migliore dei casi ed in netta contraddizione con quanto detto in precedenza sul gruppo dei cike nel peggiore. Spero in maggiori chiarimenti nell'ultimo volume.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"«Mancanza di cibo. Crimine dilagante... e non sono solo i fuorilegge federati. Ci sono anche i nikariani a scannarsi a vicenda. Colpa della carestia»
«Quale momento migliore per iniziare un'altra guerra...»
«Un'altra guerra è inevitabile»"
TRA RISATE E NOIA
Nonostante alcuni difetti imputabili in gran parte alla giovane età dell'autrice, "La guerra dei papaveri" è un romanzo che mi ha divertito ed intrattenuto, specialmente per merito di un world building molto affascinante e di una protagonista per nulla scontata. E direi che questi due fattori si riconfermano in pieno nel seguito "La repubblica del drago", in particolare l'imprevedibilità della nostra Fang "Runin" Rin, sempre più scatenata e (auto)distruttiva.
La trama parte tre mesi dopo la conclusione del primo capitolo; ritroviamo i cike alle dipendenze della regina dei pirati Moag -che sfrutta i loro talenti per eliminare scomodi avversari- promettendo in cambio armi e finanziamenti per orchestrare l'assassinio dell'Imperatrice Su Daji. La narrazione si allontana ben presto da questo spunto per portare in scena i protagonisti di un conflitto di tutt'altra portata: capitanate dal signore della guerra Yin Vaisra, le province del sud danno il via ad una secessione che mira a sostituire l'impero Nikan con una repubblica. Ovviamente Rin e i suoi alleati vengono trascinati in questa ribellione, e con loro gli esperiani, appena giunti dal continente occidentale per portare al popolo nikariano la vera fede e anche qualche fucile.
Ben consapevole che questo viene considerato da molti il volume migliore della trilogia, parlo subito degli aspetti più riusciti, così volendo potete saltare a piè pari il resto della recensione, dove cercherò di spiegare cosa mi porta a ritenere invece più valido il primo romanzo. Tra i punti a favore posso includere senza dubbio le nuove ambientazioni: finalmente possiamo esplorare meglio l'impero Nikan, ricco di luoghi affascinanti descritti con attenzione sia nelle location sia nei personaggi che le popolano. Il world building si amplia anche per merito di alcuni approfondimenti sul passato di questo mondo fantastico, che arricchiscono la narrazione e rispondono a più di un interrogativo.
Sul fronte dei personaggi, ho apprezzato molto la caratterizzazione di Yin Vaisra (una figura estremamente sfaccettata, che spero avrà spazio anche nell'ultimo capitolo) e lo sviluppo del rapporto tra Rin e Kitay. Il cambiamento che più ho gradito però è la maggiore omogeneità nel tono adottato perché, pur non lesinando sui momenti più divertenti, questi si amalgamano molto meglio ai temi pesanti, sempre presenti e rilevanti: in particolare, viene posta maggior attenzione sul tema del colonialismo, e l'autrice ci spinge a riflettere parecchio sul dramma dell'assimilazione culturale forzata.
Ma passiamo all'altro piatto della bilancia. Alcuni difetti del primo libro ricompaiono, e penso soprattutto ai dialoghi incredibilmente informali a prescindere da quanto siano importanti le figure nobili o politiche coinvolte, ma altri sono del tutto nuovi, e anche inaspettati. Partiamo dai personaggi: ne vengono introdotti molti inediti, ma la maggior parte sono poco più di macchiette; per contro, parecchi di quelli rimasti da "La guerra dei papaveri" vengono ridimensionati o resi sciapi dal punto di vista caratteriale.
La narrazione poi soffre di una terribile lentezza, con degli schemi che si ripetono per più scene. Questo è dato sia dal tentativo della cara Rebecca di rendere verosimile la parte dedicata alla campagna militare, sia dalla mancanza di uno scopo che sproni la protagonista a portare avanti la storia: quello di uccidere l'Imperatrice diventa ben presto un pensiero secondario, mentre Rin si annulla nelle azioni belliche. Tutto questo è credibile? sicuramente sì, ma è anche molto noioso da leggere in una storia fantastica dalla quale mi aspettavo battaglie epiche tra sciamani ultrapotenti.
Ultima nota amara, la parentesi dedicata ai ketreyani. Trattandosi di personaggi mai visti prima, non scenderò nel dettaglio per evitare spoiler, ma ho trovato la loro comparsa molto conveniente nel migliore dei casi ed in netta contraddizione con quanto detto in precedenza sul gruppo dei cike nel peggiore. Spero in maggiori chiarimenti nell'ultimo volume.
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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