venerdì 24 maggio 2024

"Otel Bruni" di Valerio Massimo Manfredi

Otel BruniOtel Bruni by Valerio Massimo Manfredi
My rating: 2 of 5 stars

"I Bruni abitavano la stessa casa e lavoravano lo stesso podere da cento anni, ma forse anche da più: nessuno in fondo aveva tenuto i conti e nessuno ricordava da dove venissero"


E COSÌ SPERO DI VOI...

Pur avendolo sentito spesso nominare e consigliare, non mi era mai capitato di leggere nulla di Manfredi, però avevo da diversi anni in libreria una copia recuperata un po' per caso di "Otel Bruni", quindi ho deciso di dare una possibilità alla sua prosa. Forse avrei dovuto essere più accorta nella mia scelta perché questo romanzo si è rivelato non solo una lettura dagli oggettivi problemi contenutistici, ma anche un genere di narrazione poco in sintonia con i miei gusti letterali.

La storia si ambienta nella prima metà del Novecento in un paesino della campagna emiliana e romanza la vita quotidiana della famiglia contadina Bruni, antenati dell'autore stesso. Seguiamo principalmente i figli e le figlie dei capostipiti Callisto e Clerice, vedendo come l'iniziale unità familiare venga progressivamente intaccata tanto dai grandi eventi della Storia quanto dai piccoli contrasti domestici. Sullo sfondo si intravede il cosiddetto Otel Bruni, la grande stalla di famiglia dove amici e viandanti trovano ristoro in caso di necessità.

E già qui troviamo il primo problema, dal momento che di questo Otel Bruni vediamo davvero poco: sembra rilevante nella scena d'apertura, ma poi diventa un'ambientazione come le altre, tanto che durante la Prima Guerra Mondiale viene completamente abbandonato mentre seguiamo le vicende dei giovani Bruni al fronte. Questo si collega alla seconda, grave mancanza del romanzo, ossia la scelta di raccontare o perfino riassumere una gran parte degli eventi anziché mostrarli direttamente al lettore. In questo modo si perde del tutto la premessa narrativa alla base del libro: non incontriamo quasi mai le persone ospitate nell'Otel Bruni, non vediamo i Bruni accogliere qualche sventurato, non percepiamo l'atmosfera di convivialità che questa propensione all'ospitalità dovrebbe creare.

Rimanendo sul piano oggettivo, altri difetti sono rappresentati dalla presenza di troppi personaggi, tutti carenti sul fronte della caratterizzazione. Reputo assurdo poi che figure teoricamente rilevanti -come le mogli di alcuni fratelli- non vengono neppure menzionate, mentre a caratteri estranei alle dinamiche familiari venga dedicato parecchio spazio. A livello d'intreccio abbiamo davvero poco materiale, tanto che nell'epilogo il caro Valerio Massimo sembra quasi colpito da un'epifania e, realizzato di non aver seguito una vera trama, inserisce un colpo di scena con cui tenta (fallendo) di chiudere un cerchio immaginario.

La prosa dell'autore crea inoltre uno scollamento tra le premesse narrative e la loro effettiva resa; un chiaro esempio è rappresentato dal capitolo dedicato alla lettera del notaio genovese: il lettore viene informato che questo evento sconvolgerà gli equilibri tra i Bruni, ma a fine capitolo Manfredi si premura di sottolineare di come nessuno si occuperà più della vicenda. In relazione allo stile va poi specificato che in più passaggi si ha l'impressione di leggere un manuale agricolo o un saggio storico anziché un romanzo, e mi sembra davvero strano dirlo (visto che di solito le mie lamentele virano nel senso opposto) ma avrei di gran luga preferito trovare meno Storia e più storia in questo libro.

Altre critiche personali riguardano la scelta di avere soltanto personaggi puri e buoni come protagonisti -perché tendo a preferire dei caratteri meno perfetti e più verosimili-, ed il sottotesto nostalgico e patetico che trasuda dall'intera narrazione: rimpiangere continuamente un passato idealizzato non fa proprio per me! Come non fa per me la retorica della disgregazione familiare, qui perfino priva di sostanza dal momento che, benché i Bruni abitino nel podere da almeno un centinaio di anni, non vediamo nessuno dei fratelli di Callisto quindi anche il loro nucleo è il risultato di una qualche sorta di scissione.

In barba alla negatività, voglio nominare anche qualche aspetto positivo del romanzo. Innanzitutto mi ha stupito non poco la scorrevolezza del testo, a dispetto dell'ampio utilizzo di dialettismi anche al di fuori dei dialoghi; dialettismi che hanno comunque il pregio di rendere la storia in linea con il contesto culturale. Pur non avendole apprezzate appieno, mi sento di menzionare (e lodare!) nuovamente l'accuratezza storica e l'ambientazione realistica, che permettono una buona immersione nelle vicende raccontate. Per ultimo cito l'elemento folcloristico, che si mescola ad una sorta di realismo magico e dona un tocco di colore ad una storia altrimenti in bianco e nero.

Voto effettivo: due stelline e mezza

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