
My rating: 3 of 5 stars
"Il casco era già stato testato e approvato. Avrebbe funzionato anche su di lui. Doveva funzionare ... Il logo dell'albero e le venature dell'intero casco si illuminarono di rosso cremisi. Sullo schermo apparve un selciato che si inoltrava tra antichi templi romani"
IL PROSSIMO PASSO DELL'EVOLUZIONE SARÀ... GOKU?!?
Nell'ultimo anno sono incappata in modo più o meno accidentale in diversi testi SFF italiani che hanno catturato la mia curiosità. E quindi, dopo essere stata per decenni ingannevolmente convinta che Troisi e Randall fossero (ahinoi!) le uniche esponenti del fantasy nostrano, ho deciso di fare un tentativo con Lumien, una CE poco più che neonata ed estremamente attraente sul versante estetico. Tra le loro pubblicazioni ho selezionato un paio di serie, ed eccomi ora a parlare di "Protocollo Uchronia", una lettura un po' lontana dal mio palato poco avvezzo alla fantascienza ma fornita di uno spunto speculativo intrigante.
Spiegare nel dettaglio la trama comporta un altissimo rischio di spoiler, quindi mi limito a far presente che vengono alternate tre narrazioni collocate in diversi punti del tempo e dello spazio, ma accomunate ed influenzate dall'invenzione di una avveniristica console chiamata Zoe. Questo dispositivo compie dei veri prodigi tecnologici, trasportando i videogiocatori all'interno di una realtà virtuale che ha ben poco da invidiare a quella concreta. Gli sviluppatori della Zoe sembrano però coinvolti anche in esperimenti discutibili, e potenzialmente in una catastrofe digitale che ha portato al tracollo della società civile sul finire del nostro secolo.
Se questo sunto vi pare confuso e ricco di elementi disarmonici, chiaramente non avete ancora letto il libro! a tutto questo si sommano infatti moltissime diatribe religiose, complotti internazionali, vicende private e sale q.b. Da un lato questo pastiche permette al lettore di scoprire la storia un poco alla volta, individuando pian piano i collegamenti tra personaggi che in un primo momento sembrerebbero del tutto estranei gli uni agli altri; dal lato opposto questo accumulo di idee risulta eccessivo, soprattutto tenendo in considerazione la brevità del testo. È questa la causa dietro il principale difetto del romanzo.
Troppe nozioni da fornire al lettore e poco spazio a disposizione portano infatti l'autore a ricorre ad una quantità esagerata di spiegoni, e non uso il termine in senso iperbolico: ci sono letteralmente dei dialoghi in cui i personaggi si scambiano informazioni che già possiedono a solo beneficio di chi legge, oltre ad altre in cui qualcuno mima ignoranza o ingenuità inverosimili per forzare un altro carattere a raccontare avvenimenti passati oppure determinate regole. La limitatezza della narrazione incide logicamente anche sulla definizione delle personalità, tanto che i personaggi secondari sembrano quasi delle comparse impersonali.
Per quanto riguarda i protagonisti invece un minimo di approfondimento è presente, specialmente in relazione alle loro motivazioni. In questo caso entrano però in gioco delle antipatie personali: la dottoressa Rebecca du Puit mi è sembrata odiosa (e forse proprio così doveva essere) e per nulla coerente nel suo percorso -anche a causa delle enormi ellissi temporali-, mentre il comandante Klaus Röist è stato ben presto screditato ai miei occhi dall'archetipo del fridging, che mi è venuto a noia qualche centinaio di libri fa. Tra l'altro questo trope non sono viene dipinto in una chiave manipolatoria, ma in generale è trattato con una terrificante indelicatezza; e me ne stupisco poco dal momento che l'autore ha scelto solo beta reader maschi.
Rispetto alle vicende di Rebecca e Klaus, ho trovato molto più interessante seguire Adam ed Eve; neppure loro dimostrano un acume degno di nota, però la particolarità della loro missione rende maggiormente stimolante la lettura, oltre a portare su carta un focus affascinante sulla guerra civile romana del 306, e la conclusione migliore delle diverse linee di trama. Oltre a quelli già menzionati, mi sento di includere tra i pregi anche le riflessioni che il testo intende ispirare (sul piano della morale personale, dell'etica aziendale e della responsabilità religiosa) e l'originalità dell'idea alla base, sommata ad uno sviluppo affatto banale che, in un periodo di letture grossomodo prevedibili, è stata una piacevole ventata d'aria fresca.
Lo stesso non posso dire della prosa di Dau Bennasib, che presenta una quantità importante di ingenuità stilistiche. In primo luogo è presente un ricorso eccessivo e fastidioso al telling, sia per spiegare il passato dei personaggi che per colmare i tanti salti temporali; sono poi presenti parecchie descrizioni di azioni fuori luogo o semplicemente illogiche, in particolare durante i dialoghi, nei quali i protagonisti compiono movimenti innaturali giusto per dare l'illusione di una scena complessa. Il testo è inoltre appesantito da manierismi anacronistici e da precisazioni non sempre necessarie, il tutto per evidenziare che il caro Nikolas ha studiato e ci tiene a farcelo notare... Peccato che risulti ben più facile notare i numerosi refusi! Un ulteriore demerito riguarda la componente sci-fi, che a tratti dà un senso di confusione e perfino di contraddizione, però molto probabilmente si tratta di un problema mio: preferirei sempre ottenere delle spiegazioni esaustive al massimo.
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