Storia di una Saumensch
Recensione a "Storia di una ladra di libri" di Markus Zusak
TITOLO: Storia di una ladra di libri
AUTORE: Markus Zusak
TITOLO ORIGINALE: The Book ThiefTRADUTTORE: Gian M. Giughese
EDITORE: Sperling & Kupfer
COLLANA: Pickwick
PAGINE: 560
VOTO: 4 stelline
“Storia di una ladra di libri” è sia un romanzo storico, per
l’ambientazione nella Germania dei primi anni Quaranta, sia di formazione,
infatti seguiamo la crescita della protagonista Liesel Meminger dalla fine
dell’infanzia all’ingresso nell’adolescenza.
Con queste premesse la storia non sembra
offrire degli spunti troppo innovativi: abbiamo già letto decine di libri sulla
Seconda Guerra Mondiale e sulla maturazione di giovani orfani; Zusak ci offre
però un’idea inusitata facendo raccontare tutti gli avvenimenti da una
narratrice d’eccezione, ovvero la Morte. Devo ammettere che per quanto la
trovata sia originale la voce narrante non mi ha convinto, ma ne riparliamo
dopo... adesso vediamo la trama.
Costretta a separarsi dai genitori -bollati
come Kommunisten dal partito nazista- a soli nove anni Liesel assiste alla
morte del fratellino Werner e si ritrova poi affidata ai coniugi Hubermann, la
severa ma generosa Rosa
«Per un attimo parve che la madre
adottiva stesse per darle una pacca affettuosa sulla spalla.
Non lo fece.»
ed
il pacato Hans, sempre capace di incoraggiare la bambina con una parola di
conforto. Subito Liesel farà amicizia con il coetaneo Rudy Steiner, ma ben
presto l’inizio del conflitto mondiale e delle persecuzioni contro gli ebrei in
Germania verranno a spezzare il fragile equilibrio creatosi tra i protagonisti.
Come si evince da questo breve accenno, la
trama sfrutta delle strutture già collaudate in noti classici per l’infanzia,
come “Piccole donne” di Louisa M. Alcott (l’anziana vicina che chiede a Liesel
di leggere per lei) o “Pollyanna” di Eleanor H. Porter (la signora Hermann resa
apatica dalla morte del figlio), ma soprattutto “Anna dai capelli rossi” di
Lucy M. Montgomery: in fondo gli Hubermann ricordano molto per carattere
Marilla e Matthew Cuthbert, mentre Rudy è un eccellente sostituto per Gilbert,
e Liesel ed Anna compiono il medesimo percorso di scoperta della letteratura,
passione che le andrà ad accomunare.
A dispetto di questa abbondanza di cliché,
devo ammettere che l’autore è riuscito comunque a rendere gradevole la storia
puntando soprattutto sullo sviluppo delle relazioni tra i personaggi;
personalmente ho apprezzato in particolare l’amicizia che va pian piano
formandosi tra Liesel, Rudy e gli altri ragazzini della Himmelstrasse.
Avevo però un’idea del tutto sbagliata sullo
sviluppo della storia, data forse dal primo titolo affibbiato in Italia al
romanzo (“La bambina che salvava i libri”) e dalla visione del trailer
dell’omonimo film; mi ero convinta che sarebbe stato dato molto più spazio al tema
dell’olocausto, ed inoltre mi aspettavo che Liesel rubasse i libri per salvarli
-perché messi al bando dai nazisti. Si tratta sicuramente di osservazioni del
tutto soggettive, ma penso che altri lettori si siano trovati nella stessa
situazione.
Ma passiamo alla nostra funesta narratrice. La
Morte si rivolge al lettore in modo estremamente diretto, utilizzando la
seconda persona singolare,
«Ora, un cambiamento di scena.
Finora le cose sono state fin troppo
facili, non ti pare, amico mio?»
Questo
punto di vista insolito ha certamente un gran potenziale, e risulta
interessante leggere le scene alle quali assiste di persona perché, come lei
stessa ci dice,
«Ti terrò l’anima in pugno. Un
colore farà capolino dalla mia spalla, e ti porterò via con me, con dolcezza.
[...]
L’interrogativo che devi porti è:
che colore assumerà ogni cosa nell’istante in cui verrò da te? Che cosa dirà il
cielo?»
ed
ecco che i colori assumono tutta un'altra rilevanza nelle descrizioni, come
questa:
«Raccolsi la sua anima assieme alle
altre e ci allontanammo. L’orizzonte aveva il colore del latte fresco, freddo,
versato su tutto, fra i cadaveri.»
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Cover araba |
A dispetto di queste premesse, come ho già
anticipato la Morte nei panni della narratrice non mi ha convinto:
innanzitutto, ho trovato irritante la scelta di spoilerare continuamente degli
eventi futuri, perché dopo una frase del genere:
«Facciamo un salto avanti, nel
settembre 1943, nello scantinato.
[...]
Papà siede con la fisarmonica ai
piedi.»
il
lettore non potrà mai preoccuparsi per la sorte di Hans, anche se si trovasse
in situazioni pericolose; ed è ancora peggio quanto va a narrare più volte lo
stesso avvenimento, creando uno strano senso di déjà vu.
Ciò che mi ha lasciato maggiormente
spaesata è invece la caratterizzazione della Morte. L’avrei preferita cinica e
distaccata rispetto agli eventi ai quali assiste, mentre in più scene la
vediamo esprimere dei pensieri fin troppo umani,
«Un gerarca in camicia bruna, un
grassone che senza dubbio NON RISENTIVA DEL RAZIONAMENTO ALIMENTARE, informò il
gruppo che rimaneva da percorrere un giro; [...]»
che
vanno a collidere con la sua natura stessa.
Da ultimo, qualcosa di positivo e qualcosa di
negativo. Ho adorato le descrizioni di questo romanzo, composte da parole
scelto con molta cura ed a tratti quasi poetiche,
«Nelle strade c’erano pochissime
persone. Pioggia come trucioli di matita grigia.»
mentre
ancora non mi spiego le pagine del racconto “L’uomo che sovrasta”: se vengono
strappate da un’edizione di “Mein Kampf” (saggio in lingua tedesca) e sono
scritte da Max (cittadino tedesco di Stoccarda), perché le scritte sono
in inglese? e, sotto la vernice, anche il testo del saggio è in inglese?
Una disattenzione che va a penalizzare un
romanzo altrimenti molto accurato dal punto di vista dei dettagli linguistici.
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