sabato 30 novembre 2019

Wrap-Up - Letture di novembre 2019

Wrap-Up - Letture di novembre 2019


Un mese di letture piacevoli seppur non eccezionali, ma soprattutto un mese di letture cinematografiche: ben cinque dei titoli dei quali vi parlo di seguito sono stati adattati per il grande schermo, in alcuni casi anche molto recentemente.

La prima lettura che ho completato questo mese non ha nulla da spartire con la mia TBR, ma sono scusata dal momento che ho iniziato questo libro a fine ottobre.
Pomodori verdi fritti” è un volume al quale mi sono inizialmente interessata solo perché mi sembrava simile a “The Help” di Kathryn Stockett (QUI la recensione), e dopo averlo letto vi posso dire che in certi aspetti la somiglianza e molto forte anche se qui la struttura narrativa è completamente diversa.
Anticipandovi che il mio voto è stato di quattro stelline, potete andare QUI e leggere il commento dettagliato.

Il secondo libro letto è stato il capitolo (quasi) finale della serie Cronache Lunari di Marissa Meyer; dico quasi perché “Winter” è teoricamente seguito da una novella conclusiva presente nella raccolta di cui parlerò a breve.
In questo capitolo la fiaba di partenza è Biancaneve, ma il romanzo ha l’arduo compito di portare a compimento gli avvenimenti della trama orizzontale, ovvero la lotta degli eroi protagonisti contro la regina Levana: questo va automaticamente ad accantonare la storia della principessa Winter che ottiene uno spazio decisamente più contenuto rispetto alle altre protagoniste della serie.
La storia riprende a qualche settimana dalla conclusione di “Cress” (ne parlo QUI), con il gruppo degli eroi a bordo della Rampion, intenti a pianificare una strategia per fermare le mire di conquista di Levana, mentre Scarlet è ancora rinchiusa nel serraglio lunare con Winter e il lupo Ryu come sola compagnia.
Il volume scorre un po' lentamente nei primi capitoli per poi accelerare decisamente nella parte conclusiva, dove il finale conclude la tetralogia in maniera convincente e, pur mantenendo fede al concetto dell'happy ending fiabesco, credibile. L'unico aspetto che mi ha lasciata perplessa è lo scontro tra Cinder e Levana (non ditemi che è spoiler, dai!), perché nel complesso è stata deludente rispetto al tanto hype creato e subito dopo c'è un salto temporale fin troppo repentino.
Promuovo invece la relazione tra Winter e Jacin: rispetto alle altre si basa su un sentimento duraturo e su anni di esperienze in comune, quindi risulta un'evoluzione spontanea della loro amicizia. Positivo anche che l'autrice si sia ricordata di alcuni personaggi secondari degli altri volumi per dar loro qui un meritato epilogo.
Ultimo appunto solitario: la traduzione italiana non sarebbe sgradevole se non venisse inserito continuamente -e a sproposito- il verbo accartocciarsi. Just... why?
Il mio voto è di quattro stelline.

Ho continuato poi la mia TBR con “5cm al secondo” di Makoto Shinkai, il secondo libro dell'autore e regista giapponese letto quest'anno che, proprio come “your name.” (ne parlo QUI), è in sostanza la versione cartacea ed ampliata del suo omonimo film d'animazione del 2007.
La storia è incentrata sul personaggio di Takaki, del quale seguiamo la vita dall’infanzia fino all’età adulta; il volume è infatti suddiviso in tre episodi (in origine era stato pubblicato in forma seriale su una rivista) che vanno a focalizzarsi su altrettanti periodi della vita del protagonista. La prima parte è narrata da Takaki stesso in una sorta di mémoir che racconta degli anni delle elementari e del suo primo incontro con Akari, compagna di scuola della quale si innamorerà; la seconda è narrata sempre in prima persona ma da Kanae, compagna di Takaki al liceo e appassionata di surf, che da sempre ha una cotta segreta per il ragazzo; la terza è invece narrata in terza persona e, pur seguendo principalmente il protagonista, ci offre anche qualche breve scorcio sulla vita adulta di Akari.
Nel complesso la storia di Takaki è molto attuale e può risultare istruttiva sia per dei ragazzi, sia per un pubblico più maturo. Mi è impossibile non fare un confronto con “your name.” e sentire la mancanza dell’elemento fantastico che arricchiva quel romanzo; qui la storia è decisamente più concreta e lascia anche una velata tristezza di fondo.
Per quanto riguarda lo stile, qui sono quasi assenti le onomatopee nella narrazione e, in generale, il testo è molto scarno di dialoghi. L’edizione è abbastanza curata, ma c’è qualche refuso e molte espressioni giapponesi non vengono spiegate con delle note.
Il mio voto è di tre stelline e mezza.

È arrivato poi il turno del classico di questo mese, anche se in questo caso “classico” è un’etichetta un po’ discutibile dal momento che Ray Bradbury ha pubblicato “Fahrenheit 451” nel 1953; penso si possa comunque considerarlo uno dei pilastri del genere distopico, e come tale l’ho affrontato.
Per leggere la mia opinione dettagliata di quest’opera potete andare QUI, mentre già vi anticipo che la valutazione è stata di quattro stelline e mezza.

E continuiamo a parlare di libri bruciati (ma anche salvati dalle fiamme), ma in un libro di tutt'altro genere letterario ed ambientazione con “Storia di una ladra di libri”, sicuramente il titolo più noto dell'autore australiano Markus Zusak.
Questo romanzo storico si è guadagnato quattro stelline, e dal momento che aspettava da diversi anni sullo scaffale della mia libreria mi sono sentita in dovere di dedicargli una recensione completa, che potete leggere QUI.

Ho concluso poi la mia TBR di questo mese con “The Midnight Sea”, primo romanzo della trilogia Il quarto elemento, scritta dall’autrice newyorkese Kat Ross, che presenta una classica storia fantasy nell’ambientazione inusitata del Mediterraneo orientale. O meglio, di una sua versione fantastica di oltre 2300 anni fa.
La trama segue la giovane Nazafareen che, decisa a vendicare la tragica morte della sorella per mano di un Druj, lascia il suo clan per unirsi ai Water Dogs, dei guerrieri impegnati proprio nella caccia a queste creature malvagie. Seguiamo quindi l'addestramento della ragazza sotto la guida del capitano Ilyas, compreso il momento cruciale in cui sarà vincolata al suo daeva, Darius. Una missione all'apparenza semplice stravolgerà però le loro vite, e tutto quello in cui hanno sempre creduto.
Devo ammettere di essere partita un po' prevenuta con questo romanzo, e forse proprio per questo ne sono rimasta colpita in senso positivo. È innegabile che ci siano dei difetti, ma nel complesso la storia risulta interessante -specie per merito dell'originale setting- e lo stile dell'autrice è gradevole.
Punto forte del romanzo sono sicuramente i suoi personaggi, in particolare le relazioni che intrecciano tra di loro; sebbene il libro sia breve, viene dato il giusto tempo ai protagonisti per conoscersi meglio, evitando così delle forzature narrative. Ho apprezzato il particolare la costruzione del personaggio di Tijah (una back story un po' irrealistica, ma accettabile) e il suo rapporto di amicizia sia con Nazafareen che con la sua daeva Myrri. Molto interessante anche l'arco narrativo di Ilyas, che compie una metamorfosi inaspettata in questo volume.
Sull'altro piatto della bilancia ci sono certamente alcuni cliché, riconducibili sia al genere fantasy sia al romance (anche se l'autrice evita abilmente insta-love e triangolo amoroso), e dei colpi di scena molto prevedibili, ma soprattutto i primi capitoli in cui sono presenti troppi salti temporali: personalmente avrei preferito iniziare con la narrazione al presente, per poi inserire le varie informazioni in qualche flash back.
Il mio voto è di tre stelline e mezza.

Come anticipato qualche riga fa, ho letto successivamente la raccolta di racconti “Stars Above: A Lunar Chronicles Collection”, sempre di Marissa Meyer; il volume include nove storie brevi, alcune già pubblicate nei precedenti libri della serie per l'edizione originale, mentre in Italia l'intera raccolta è tutt'ora inedita.
La racconta è composta da otto racconti prequel, rispetto a “Cinder” (ne parlo QUI), e un ultimo racconto collocato cronologicamente due anni dopo quanto successo in “Winter”. Tra le storie prequel, abbiamo le prime sei che vanno ad illustrarci come i nostri protagonisti si siano ritrovati nelle situazioni in cui li incontriamo alla loro prima apparizione nella storia principale (con l’eccezione di Thorne per il quale si è scelto un episodio di parecchi anni prima); questi racconti sono semplicemente delle versioni estese di scene che già erano state accennate dagli stessi personaggi. L’unica storia che fornisce qualche informazione utile (e mia preferita) è “Glitches”, perché ci mostra in modo più chiaro i motivi dell’astio di Adri nei confronti di Cinder; ho trovato invece abbastanza ridicolo “The Keeper”, dove scopriamo che Logan ha affidato la vita della sua legittima regina ad una donna con cui ha avuto una storia durata qualche giorno trent’anni prima! Un altro genio incompreso...
Troviamo poi “The Little Android”, rivisitazione della fiaba La sirenetta in cui sono di scena dei personaggi completamente inediti ad eccezione di un breve cameo. Pur presentando delle grosse ingenuità narrative, la storia nel complesso è molto piacevole e va a riscrivere questo classico dell’infanzia mantenendone lo spirito originale, senza gli sdolcinati edulcoramenti della Disney.
L’ultimo prequel presenta in realtà una scena già vista proprio all’inizio di “Cinder”, con la semplice inversione del POV dalla nostra eroina all’insopportabile Kai, che anche qui fa mostra di riflessioni degne di un cliché vivente (lei è diversa da tutte le altre... certo!).
Da più parti ho sentito definire la lettura di questa racconta imprescindibile per completare la serie, ma non mi trovo troppo d’accordo: pur dando un ulteriore epilogo alla storia -in particolare per quanto riguarda la coppia principale-, questi racconti non hanno aggiunto nessun elemento completamente nuovo, e a mio avviso ci si può fermare senza rimorsi a “Winter”.

Cambiando completamente genere, sono tornata dopo ben due anni da Chuck Palahniuk con il suo romanzo d’esordio (nonché la sua opera più celebre), ossia “Fight Club”.
La trama viene illustrata in modo parecchio frammentario, con diversi salti sia in avanti sia in dietro nel tempo fra una scena e l’altra: il nostro anonimo protagonista soffre di insonnia e -su consiglio del suo medico- inizia a frequentare dei gruppi di ascolto per diverse patologie molto gravi, dove trova una valvola di sfogo alla propria situazione; la riacquistata serenità viene però distrutta dalla comparsa di Marla Singer che come lui partecipa a questi incontri senza essere realmente una malata terminale. È a questo punto che fa la sua comparsa il terzo protagonista della storia, l’enigmatico Tyler Durden con cui il protagonista fa presto amicizia, tanto che assieme fonderanno il Fight Club, circolo di lottatori clandestini che da il nome al romanzo.
A partire da questo incipit, prende il via una storia densa di eventi all’apparenza scollegati tra di loro ma che pian piano acquistano un senso, e portano il protagonista e Tyler a creare una sorta di squadra paramilitare determinata a scardinare ogni struttura sociale del passato.
Devo ammettere di non ricordare nel dettaglio tutti gli avvenimenti di “Invisible Monsters” (QUI la recensione), ma riconosco comunque la presenza di molti elementi in comune come il primo capitolo che anticipa quanto avverrà nell’epilogo o il personaggio principale che narra le vicende nascondendo volontariamente al lettore alcuni elementi della storia per poi stupirlo con rivelazioni inaspettate. Lo stile di Palahniuk continua però a non convincermi del tutto e lo trovo estremamente difficoltoso da leggere, se non si presta molta attenzione.
Il libro presenta una struttura molto cinematografica, che sicuramente ha determinato il successo del film, ma anche questa può creare un po’ di confusione nel lettore alla minima distrazione. Quindi nel complesso è un romanzo dagli spunti molto interessanti, ma probabilmente non è una lettura che appassionerà tutti.
Il mio voto è di quattro stelline.

Con l’ultima lettura del mese ho voluto continuare (o forse, iniziare?) la serie dedicata allo spassoso jinn Bartimeus -scritta da Jonathan Strout- con “L’amuleto di Samarcanda”.
La storia è ambientata questa volta nella Londra contemporanea, dove però maghi e demoni di vario ordine e grado non solo bazzicano tranquillamente per le strade della capitale britannica ma addirittura governano il Paese attraverso centinaia di ministeri. In una città divisa quindi tra maghi benestanti e i comuni (ossia i “babbani” potteriani) che loro disprezzano, il nostro Bartimeus si vede convocato controvoglia da un ragazzino di nome Nathaniel che subito gli ordina di rubare per lui un prezioso e potete artefatto magico; quella che era iniziata come una banale vendetta tra maghi assume ben presto dei contorni decisamente più ampi e pericolosi.
Nel complesso, ritengo questo volume nettamente superiore al primo letto. L’ambientazione è decisamente più interessante per la presenza di una società governata dai maghi nel mondo contemporaneo (si parla di auto, telefoni e computer), inoltre Nathaniel come coprotagonista si è dimostrano caratterizzato in modo ben più accurato rispetto ad Asmira. Lo stile di Stroud si riconferma estremamente piacevole ed il modo in cui ha unito alla trama di questo romanzo degli spunti per continuare la serie è brillante.
Relativamente alla sequenza di lettura, rimane sempre il dubbio se questo romanzo debba essere considerato il primo della serie; infatti “L’anello di Salomone” (ne parlo QUI) è un prequel a quanto succede in questo romanzo, seppur scritto diversi anni dopo. Credo che l’ordine di lettura sia abbastanza soggettivo, perché la trilogia che inizia con questo libro è completamente slegata dal precedente, con le eccezioni di Bartimeus e il suo collega Faquarl, nonché di Salomone che viene nominato in un paio di occasioni.
Il mio voto è di cinque stelline.

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