
My rating: 5 of 5 stars
"Spiral staircases rise up to halt completely in mid-air, some only ten feet off the ground, some twenty or thirty. There is something faintly osseous about them, resembling the rippled horns of some massive, exotic ruminant"
TENETE D'OCCHIO LE SCALE, A LORO PIACE TERMINARE NEL VUOTO
Primo capitolo della trilogia The Divine Cities, "City of Stairs" funziona perfettamente anche come un autoconclusivo: nel finale l'autore concludere gli intrecci principali di questo volume e lascia solo qualche spunto minore per i seguiti, che dovrebbero vedere come protagonisti gli altri due personaggi principali di questa storia.
Il volume parte come un murder mystery ambientato in un mondo fittizio; Efrem Pangyui, uno storico Saypuri interessato alle divinità che dominavano il Continente fino a qualche decennio prima, viene brutalmente assassinato nel suo studio. La risoluzione del delitto non è affatto semplice perché a Bulikov, l'ex città santa in cui si svolge la maggior parte della storia, molti lo disprezzavano per aver letto antichi testi sacri proibiti perfino ai fedeli durante le sue ricerche.
Per indagare sull'omicidio arriva in città Ashara "Shara" Komayd, amica dello studioso di cui condivide la passione per il passato del Continente, prima che la scomparsa degli dei ne provocasse il crollo; il suo è il POV principale, ma ne abbiamo molti altri, tra cui quelli dei coprotagonisti Turyin Mulaghesh, un tempo ufficiale dell'esercito Saypuri ora governatrice di Bulikov, e Sigrud, presentato da Shara come il suo segretario ma decisamente più simile ad un implacabile hitman.
Pur non dimenticando mai la parte relativa all'investigazione, il romanzo si sviluppa in molte altre direzioni, andando ad analizzare il passato dei protagonisti, il conflitto secolare tra il Continente e Saypur, la natura delle sei divinità principali e la complessa mitologia che ruotava attorno ad esse. La narrazione è inoltre caratterizzata da diversi colpi di scena dall'ottima tempistica e da un ritmo non troppo affrettato: l'autore accelera decisamente il passo nelle scene d'azione in cui vediamo inseguimenti o combattimenti, ma sa anche prendersi i suoi spazi quando si focalizza sulle relazioni tra i personaggi o sui loro ragionamenti.
Proprio i personaggi sono uno degli aspetti più riusciti del romanzo. Innanzitutto apprezzo che siano tutti adulti e maturi, ma non per questo incapaci di far sorridere il lettore con battute nei momenti più leggeri; ho trovato tutti estremamente carismatici e capaci di rimanere impressi a dispetto dei nomi alquanto ostici. Anche le comparse alle quali Bennett dedica dei punti di vista servono ad arricchire la storia e darci qualche elemento in più sul world building.
Un world building che inizialmente potrebbe intimorire per quanto sembra vasto e complesso, ma con il quale si prendere confidenza andando avanti nella lettura. L'autore si è ispirato evidentemente alla Russia per creare il Continente e all'India per la nazione di Saypur, e questa scelta si riflette perfettamente nei nomi, nelle tradizioni, negli edifici... addirittura nella cucina di questi luoghi! Tutte queste informazioni non vengono riversate sul lettore tramite fastidiosi infodump, ma inserite abilmente nella narrazione per creare un'ambientazione viva e credibile.
Il meglio di sé l'autore lo da però nelle tematiche che il romanzo affronta, sempre con rispetto per le tempistiche narrative. Il focus principale è quello della fede religiosa: si parla dell'estremismo con cui alcuni la vivono e della sofferenza di quanti si vedono negato il diritto a professarla. Il volume si sofferma anche sul tema dell'omofobia, e più in generale della discriminazione verso il diverso, dell'oppressione e della velata autocrazia di Saypur, che inizialmente riteniamo completamente in torto per poi scoprire che fino a qualche anno prima erano loro ad essere schiavi: in questo senso il libro fa un ottimo lavoro nel portare sempre entrambi i punti di vista e mostrare come nessuno sia privo di colpe in un conflitto.
Avrete capito quanto ho amato questo romanzo, ma la mia onestà intellettuale mi obbliga a segnalare qualche piccolo difetto che ho notato. La storia di Sigrud è molto prevedibile, tanto che credo non fosse neppure pensata per essere una vera rivelazione, e il suo personaggio è indubbiamente il più stereotipato e sopra le righe: io lo adoro, ma qualcuno potrebbe esserne infastidito. Abbiamo poi le date, che sono utili per avere un quadro chiaro del passato, peccato che non si capisca da quale evento sia calcolato il tempo. E sempre in relazione al tempo, gli eventi narrati nel libro mancano di riferimenti: tra una scena e l'altra non viene mai specificato se passino minuti o settimane intere.
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