Storia di chi fugge e di chi resta by Elena Ferrante
My rating: 5 of 5 stars
"Eravamo diventate l'una per l'altra entità astratte, tanto che adesso io potevo inventarmela sia come un'esperta di calcolatori, sia come una guerrigliera urbana decisa e implacabile, mentre lei, con tutta probabilità, poteva vedermi sia come lo stereotipo dell'intellettuale di successo, sia come una signora colta e agiata ... Avevamo entrambe bisogno di nuovo spessore, di corpo, e tuttavia c'eravamo allontanate e non riuscivamo più a darcelo"
LE LODI NON POSSONO MANCARE
Preceduto dalla copertina (forse) meno inguardabile tra i quattro orrori sfornati da E/O, sono approdata al capitolo più valido della celeberrima tetralogia di Ferrante. Almeno per ora, perché il mio inguaribile ottimismo mi spinge ovviamente a sperare che l'ultimo volume sappia non solo concludere la serie in modo magistrale, ma anche superare in bellezza "Storia di chi fugge e di chi resta". Un terzo libro che mi ha quindi soddisfatta appieno -dal contenuto alla forma-, riuscendo perfino a rendermi gradevole il punto di vista di Lenù. Non sempre, ma lo considero già un bel passo in avanti.
Dopo un prologo ambientato nel presente, la narrazione ci riporta nella Napoli a cavallo tra la fine degli anni Sessanta ed una metà abbondante degli anni Settanta. Dopo il successo ottenuto con la pubblicazione del suo esordio narrativo, Lenù è in procinto di sposarsi con Pietro Airota, pur continuando ad essere segretamente infatuata della sua cotta adolescenziale Nino; poco prima del matrimonio, una visita imprevista la porta però a riavvicinarsi a Lila, scoprendo com'è cambiata nel frattempo la sua vita. Sullo sfondo, assistiamo alle piccole beghe tra le famiglie del rione, ma anche ai macro contrasti socio-politici in atto in Italia ed in Europa in quel periodo.
I difetti in questo testo sono a dir poco marginali, nonché ampiamente compensati dai suoi pregi. Ho trovato un po' di confusione negli spostamenti fatti dai personaggi, perché in alcuni casi li reputo mal motivati, specie considerando le difficoltà di muoversi da una regione all'altra ai tempi; anche l'utilizzo ridondante di certi termini e strutture (ad esempio, ho perso il conto di quante volte venga usato un verbo poco comune come lodare) poteva essere in parte limitato in fase di editing. In generale ci sono poi diverse coincidenze fin troppo fortuite -e penso in particolare al fatto che tutti finiscano per realizzare di conoscersi tra loro-, ma possono essere giustificate in parte con la sospensione dell'incredulità ed in parte con una sorta di metafora che porta il rione napoletano ad ingigantirsi, accorpando nelle proprie dinamiche interne l'intera Nazione.
Ma passiamo senza indugio ai punti di forza, primo tra tutti la caratterizzazione dei personaggi; non parlo solo delle due protagoniste (sempre raccontate in modo magistrale nelle loro motivazioni, nelle loro paure, nella loro rabbia), ma del cast nel suo insieme perché nessun comprimario per quanto poco presente viene descritto in modo approssimativo o sciatto. E se il mio apprezzamento per Lila è ormai cosa nota, in questo terzo capitolo anche Lenù ha saputo stupirmi, infatti è migliorata come personaggia in generale e come voce narrante in particolare: risulta più autocritica verso di sé e consapevole degli altri con il passare del tempo, e nonostante una sua certa ottusità rallenti l'arrivo di determinate rivelazioni, ho trovato il suo POV sicuramente più piacevole in questo volume rispetto ai precedenti.
L'altro grande pregio sono chiaramente le tematiche, che mai come in questo volume si concentrano sulla femminilità e sui ruoli di genere, raccontando la frustrazione di tante donne imprigionate in relazioni infelici. Ferrante riesce inoltre ad inglobare questo tema all'interno del contesto storico e sociale -mostrando un carosello di situazioni in cui ci si può rivedere oppure scoprire una prospettiva inedita-, senza però accantonare il fattore emotivo che rende tanto verosimili i suoi caratteri. E nonostante questa non sia palesemente una tetralogia da leggere per la sua trama, reputo molto interessante come la premessa del volume permetta di contestualizzare in modo più solido la serie intera, seppure l'intreccio non diventi mai la priorità.
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venerdì 29 marzo 2024
martedì 26 marzo 2024
"La metà oscura" di Stephen King
La metà oscura by Stephen King
My rating: 4 of 5 stars
"Nel conoscerlo, le persone che avevano letto i suoi libri restavano invariabilmente deluse ... Invece di una divinità si trovavano davanti ad un uomo comune, alto un metro e ottantacinque, con gli occhiali, una stempiatura incipiente e l'inveterata abitudine di andare a sbattere contro i mobili"
BACHMAN L'AVEVA PRESA MEGLIO
Pur apprezzandone gli spunti inusitati, i libri pubblicati da King con il nome Richard Bachman non rientrano tra i miei preferiti dell'autore; allo pseudonimo va però dato del credito, perché ha chiaramente ispirato la trama de "La metà oscura", una storia talmente autoreferenziale da far impallidire perfino la self-insert presente in The Dark Tower. Per quanto mi riguarda trovo brillante il modo in cui il caro Stephen ha saputo mettere a frutto perfino lo smascheramento del suo alter ego, ricavandone una narrazione che ben bilancia horror paranormale e mystery thriller.
Dopo le tragiche vicende di "Cujo", torniamo per la prima volta con un romanzo completo nei pressi della cittadina di Castle Rock, dove il protagonista Thaddeus "Thad" Beaumont e la moglie Elizabeth "Liz" hanno la loro residenza estiva. Come molti altri personaggi kinghiani, l'uomo è uno scrittore di talento che ha raggiunto la fama pubblicando diversi libri sotto lo pseudonimo di George Stark; quando il collegamento tra lui e la sua controparte fittizia sta per essere svelato da un fan eccessivamente zelante (e con non troppo vaghe tendenze ricattatorie), Thad decide di seppellire metaforicamente e non solo Stark nel cimitero di Castle Rock, per poi riprendere a scrivere con il suo vero nome. Da subito diventa chiaro che l'alter ego -ben più di un nome di fantasia stampato sulla copertina dei suoi romanzi!- non ha alcuna intenzione di farsi da parte, e vuole anzi rivalesti contro chi ha contribuito alla sua eliminazione.
La narrazione acquisisce quindi una piega spaventosa abbastanza in fretta, e devo dire che questo elemento è stato gestito decisamente bene: anche per merito di alcuni espedienti fantastici, si vengono a creare dei validi momenti di tensione legati alle scoperte a cui approdano i protagonisti oppure alla vendetta di Stark. Ho apprezzato anche la scelta di includere alcuni capitoli dal punto di vista di quest'ultimo, perché così si riesce sia a capire meglio la sua prospettiva sugli eventi che a leggere una stessa scena da due angolazioni contrapposte.
Tra i pregi non potevano che ricadere poi i personaggi, tra i quali la mia preferenza va ad Alan J. Pangborn -nuovo sceriffo di Castle Rock, che sicuramente avrò occasione di incontrare in altre storie- ed a Rawlie DeLesseps, collega di Thad dalla personalità più interessante di quanto non appaia ad una prima occhiata ed al quale viene affidato un ruolo a dir poco vitale per l'economia della narrazione. Inoltre, i nomi di protagonisti e comprimari porteranno i lettori kinghiani a delle simpatiche associazioni d'idee con altre sue opere; sempre in tema di citazioni, a parte gli ovvi riferimenti alla località fittizia nel Maine, è poi presente una generosa strizzata d'occhio che ho molto apprezzato, ad un personaggio decisamente importante nella serie The Dark Tower.
Quello che ho apprezzato un po' meno è invece la gestione delle tempistiche narrative: in più punti ho avuto l'impressione ci fossero delle scene fuori posto, o meglio che inserite in un altro punto del volume avrebbero dato un risultato migliore. Un esempio su tutti è rappresentato dal prologo stesso, in cui non solo si spiega nel dettaglio tutto quello che Pangborn scoprirà soltanto verso il finale, ma viene anche posto in evidenza il collegamento tra la carriera di Thad come scrittore e lo sviluppo dell'identità di George Stark. L'indagine di Alan risulta quindi infruttuosa per il lettore, ma anche poco utile per i personaggi stessi, i quali ottengono solo una conferma tardiva delle loro supposizioni; questo rappresenta un altro dei difetti del romanzo, ossia la scarsa utilità di buona parte del cast alla risoluzione dell'intreccio. Capisco che il focus dovesse essere sull'antagonismo tra Thad e George, ma così si sviliscono terribilmente gli altri caratteri, specie quello di Liz che più volte tenta di rendesi utile senza ottenere nessun risultato concreto.
Personalmente ho individuato poi un deciso rallentamento del ritmo nella parte centrale, causato in parte dalle già citate scene in "disordine", perché al lettore sono già state fornite le informazioni necessarie per capire bene dove si andrà a parare, e diventa quindi noioso dover aspettare che anche i personaggi ci arrivino a loro volta. Pur non essendo affatto schizzinosa, credo poi che alcuni degli elementi horror presenti qui rasentino il gore tipico della prosa di Bachman: aka, un filino troppi dettagli disgustosi fini a se stessi. Non si tratta propriamente di un difetto, ma trovo infine necessario tenere conto che questa è una delle storie ambientate a Castle Rock -che non formano propriamente una serie, ma sono collegate tra loro-, e se da un lato questo è un punto a favore perché permette al lettore di scoprire un microcosmo formato da personaggi e luoghi ricorrenti, dall'altro nasconde una piccola insidia: si rischia di incappare in spoiler indesiderati leggendo i volumi senza seguire l'ordine di pubblicazione.
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My rating: 4 of 5 stars
"Nel conoscerlo, le persone che avevano letto i suoi libri restavano invariabilmente deluse ... Invece di una divinità si trovavano davanti ad un uomo comune, alto un metro e ottantacinque, con gli occhiali, una stempiatura incipiente e l'inveterata abitudine di andare a sbattere contro i mobili"
BACHMAN L'AVEVA PRESA MEGLIO
Pur apprezzandone gli spunti inusitati, i libri pubblicati da King con il nome Richard Bachman non rientrano tra i miei preferiti dell'autore; allo pseudonimo va però dato del credito, perché ha chiaramente ispirato la trama de "La metà oscura", una storia talmente autoreferenziale da far impallidire perfino la self-insert presente in The Dark Tower. Per quanto mi riguarda trovo brillante il modo in cui il caro Stephen ha saputo mettere a frutto perfino lo smascheramento del suo alter ego, ricavandone una narrazione che ben bilancia horror paranormale e mystery thriller.
Dopo le tragiche vicende di "Cujo", torniamo per la prima volta con un romanzo completo nei pressi della cittadina di Castle Rock, dove il protagonista Thaddeus "Thad" Beaumont e la moglie Elizabeth "Liz" hanno la loro residenza estiva. Come molti altri personaggi kinghiani, l'uomo è uno scrittore di talento che ha raggiunto la fama pubblicando diversi libri sotto lo pseudonimo di George Stark; quando il collegamento tra lui e la sua controparte fittizia sta per essere svelato da un fan eccessivamente zelante (e con non troppo vaghe tendenze ricattatorie), Thad decide di seppellire metaforicamente e non solo Stark nel cimitero di Castle Rock, per poi riprendere a scrivere con il suo vero nome. Da subito diventa chiaro che l'alter ego -ben più di un nome di fantasia stampato sulla copertina dei suoi romanzi!- non ha alcuna intenzione di farsi da parte, e vuole anzi rivalesti contro chi ha contribuito alla sua eliminazione.
La narrazione acquisisce quindi una piega spaventosa abbastanza in fretta, e devo dire che questo elemento è stato gestito decisamente bene: anche per merito di alcuni espedienti fantastici, si vengono a creare dei validi momenti di tensione legati alle scoperte a cui approdano i protagonisti oppure alla vendetta di Stark. Ho apprezzato anche la scelta di includere alcuni capitoli dal punto di vista di quest'ultimo, perché così si riesce sia a capire meglio la sua prospettiva sugli eventi che a leggere una stessa scena da due angolazioni contrapposte.
Tra i pregi non potevano che ricadere poi i personaggi, tra i quali la mia preferenza va ad Alan J. Pangborn -nuovo sceriffo di Castle Rock, che sicuramente avrò occasione di incontrare in altre storie- ed a Rawlie DeLesseps, collega di Thad dalla personalità più interessante di quanto non appaia ad una prima occhiata ed al quale viene affidato un ruolo a dir poco vitale per l'economia della narrazione. Inoltre, i nomi di protagonisti e comprimari porteranno i lettori kinghiani a delle simpatiche associazioni d'idee con altre sue opere; sempre in tema di citazioni, a parte gli ovvi riferimenti alla località fittizia nel Maine, è poi presente una generosa strizzata d'occhio che ho molto apprezzato, ad un personaggio decisamente importante nella serie The Dark Tower.
Quello che ho apprezzato un po' meno è invece la gestione delle tempistiche narrative: in più punti ho avuto l'impressione ci fossero delle scene fuori posto, o meglio che inserite in un altro punto del volume avrebbero dato un risultato migliore. Un esempio su tutti è rappresentato dal prologo stesso, in cui non solo si spiega nel dettaglio tutto quello che Pangborn scoprirà soltanto verso il finale, ma viene anche posto in evidenza il collegamento tra la carriera di Thad come scrittore e lo sviluppo dell'identità di George Stark. L'indagine di Alan risulta quindi infruttuosa per il lettore, ma anche poco utile per i personaggi stessi, i quali ottengono solo una conferma tardiva delle loro supposizioni; questo rappresenta un altro dei difetti del romanzo, ossia la scarsa utilità di buona parte del cast alla risoluzione dell'intreccio. Capisco che il focus dovesse essere sull'antagonismo tra Thad e George, ma così si sviliscono terribilmente gli altri caratteri, specie quello di Liz che più volte tenta di rendesi utile senza ottenere nessun risultato concreto.
Personalmente ho individuato poi un deciso rallentamento del ritmo nella parte centrale, causato in parte dalle già citate scene in "disordine", perché al lettore sono già state fornite le informazioni necessarie per capire bene dove si andrà a parare, e diventa quindi noioso dover aspettare che anche i personaggi ci arrivino a loro volta. Pur non essendo affatto schizzinosa, credo poi che alcuni degli elementi horror presenti qui rasentino il gore tipico della prosa di Bachman: aka, un filino troppi dettagli disgustosi fini a se stessi. Non si tratta propriamente di un difetto, ma trovo infine necessario tenere conto che questa è una delle storie ambientate a Castle Rock -che non formano propriamente una serie, ma sono collegate tra loro-, e se da un lato questo è un punto a favore perché permette al lettore di scoprire un microcosmo formato da personaggi e luoghi ricorrenti, dall'altro nasconde una piccola insidia: si rischia di incappare in spoiler indesiderati leggendo i volumi senza seguire l'ordine di pubblicazione.
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venerdì 22 marzo 2024
"La donna della cabina numero 10" di Ruth Ware
La donna della cabina numero 10 by Ruth Ware
My rating: 3 of 5 stars
"Stavo girando pagina, quando mi giunse all'orecchio qualcos'altro, un rumore ... Trattenni il fiato, tendendo al massimo le orecchie. E poi ci fu un tonfo. Non un piccolo tonfo"
CHISSÀ PERCHÉ NON HA FATTO CARRIERA...
Se errare è umano e perseverare è diabolico, allora chiamatemi Diavolina! non perché io abbia delle capacità pirocinetiche, ma per la frequenza con cui riesco ad incappare in libri pieni di elementi che so da principio finirò col detestare. È il caso de "La donna della cabina numero 10", il titolo più celebre di Ware, un'autrice britannica di suspense (il mio primo campanello d'allarme!); gli altri trigger per la sottoscritta sono la protagonista giornalista non troppo professionale (come nel terribile "Le sorelle" di Douglas), vittima di un recente shock (come nel discutibile "La ragazza di prima" di Delaney) e per questo considerata inaffidabile (come nel narcolettico "La moglie imperfetta" di Paris). A dispetto di questi e molti altri precedenti, la cara Ruth sarà riuscita a convincermi?
Per capirlo partiamo dall'intreccio, che ha a sua volta un celebre precedente -anche se positivo, in questo caso- con "Istantanea di un delitto" di Christie perché, come la svampita Mrs Elspeth McGillicuddy, la trentaduenne Laura "Lo" Blacklock è la sola testimone di un omicidio del quale non ha nessuna prova tangibile, motivo per cui non viene presa sul serio dagli altri personaggi. A differenza della personaggia creata dalla cara Agatha, Lo non ha per amica la formidabile Miss Jane Marple, quindi deve impegnarsi personalmente in quello che è anche un ambiente ostile a suo modo: la donna si trova infatti a bordo della lussuosa Aurora Borealis -una nave da crociera in scala ridotta per ricconi- dove, anziché scrivere articoli sul viaggio inaugurale come dovrebbe, cerca di capire se nella cabina vicina alla sua sia stato commesso un delitto.
Al termine di ognuna delle sette parti in cui il volume è suddiviso sono inoltre presenti dei documenti di diversa natura (si spazia dai commenti sui social alle e-mail, fino ad arrivare agli articoli dei quotidiani locali) che servono a fornire una sorta di prolessi; il lettore viene così informato che, dopo essersi imbarcata sulla Aurora Borealis, Lo non ha dato più notizie di sé a familiari ed amici, e per questo viene ritenuta scomparsa. Più del mistero sul delitto avvenuto a bordo della nave, questi brevi scorci nel futuro hanno giovato a tenere viva la mia curiosità verso la storia, e sono senza dubbio un escamotage narrativo valido.
Tra i punti di forza del romanzo annovero inoltre la prosa, che riesce a mantenere un buon equilibrio tra divertimento e tensione, e la costruzione del cast. Pur non andando ad approfondire troppo nessun personaggio, Ware riesce a rendere tutti un po' sospetti ed ambigui; ecco perché il lettore non arriva subito ad individuare il colpevole, anche se impiega sicuramente meno tempo di quanto ne serva alla protagonista. Promuovo inoltre il tentativo (non riuscitissimo, ma sorvoliamo) di includere delle tematiche meno superficiali e la scelta dell'ambientazione: trovo che un mistero risulti molto più interessante quando vengono limitati gli spostamenti degli indiziati, e per ottenere questo risultato la nave da crociera funziona ottimamente.
Purtroppo per me il volume non supera però il minimo sindacale, e mi sembra di essere stata perfino generosa se penso a quanto risulta anticlimatico e stucchevole l'epilogo, considerando che si tratta di una vicenda abbastanza cruda fino a quel punto. Ancor prima di arrivare al finale, avevo poi individuato dei difetti nel modo caotico in cui viene portata avanti l'indagine (forse per distrarre l'attenzione del lettore sugli indizi giusti?) e nella leggerezza con cui si sorvola su una scena di tentata violenza sessuale.
Come in molti altri titoli di questo genere, il vero scoglio insuperabile è stato però la caratterizzazione della protagonista. Penso che l'intenzione fosse quella di rendere Lo una personaggia un po' spiacevole -come capita spesso di leggere nei thriller psicologici degli ultimi anni- ma personalmente l'ho trovata solo estremamente miope (in tutti i sensi!) nonché molto svogliata ed inadatta al suo lavoro: qualunque giornalista avrebbe subito cominciato a buttar giù delle bozze per una dozzina di articoli da quanto le succede in questo libro! c'è davvero da meravigliarsi che Lo non abbia ottenuto alcuna promozione in dieci anni di "duro lavoro"?
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My rating: 3 of 5 stars
"Stavo girando pagina, quando mi giunse all'orecchio qualcos'altro, un rumore ... Trattenni il fiato, tendendo al massimo le orecchie. E poi ci fu un tonfo. Non un piccolo tonfo"
CHISSÀ PERCHÉ NON HA FATTO CARRIERA...
Se errare è umano e perseverare è diabolico, allora chiamatemi Diavolina! non perché io abbia delle capacità pirocinetiche, ma per la frequenza con cui riesco ad incappare in libri pieni di elementi che so da principio finirò col detestare. È il caso de "La donna della cabina numero 10", il titolo più celebre di Ware, un'autrice britannica di suspense (il mio primo campanello d'allarme!); gli altri trigger per la sottoscritta sono la protagonista giornalista non troppo professionale (come nel terribile "Le sorelle" di Douglas), vittima di un recente shock (come nel discutibile "La ragazza di prima" di Delaney) e per questo considerata inaffidabile (come nel narcolettico "La moglie imperfetta" di Paris). A dispetto di questi e molti altri precedenti, la cara Ruth sarà riuscita a convincermi?
Per capirlo partiamo dall'intreccio, che ha a sua volta un celebre precedente -anche se positivo, in questo caso- con "Istantanea di un delitto" di Christie perché, come la svampita Mrs Elspeth McGillicuddy, la trentaduenne Laura "Lo" Blacklock è la sola testimone di un omicidio del quale non ha nessuna prova tangibile, motivo per cui non viene presa sul serio dagli altri personaggi. A differenza della personaggia creata dalla cara Agatha, Lo non ha per amica la formidabile Miss Jane Marple, quindi deve impegnarsi personalmente in quello che è anche un ambiente ostile a suo modo: la donna si trova infatti a bordo della lussuosa Aurora Borealis -una nave da crociera in scala ridotta per ricconi- dove, anziché scrivere articoli sul viaggio inaugurale come dovrebbe, cerca di capire se nella cabina vicina alla sua sia stato commesso un delitto.
Al termine di ognuna delle sette parti in cui il volume è suddiviso sono inoltre presenti dei documenti di diversa natura (si spazia dai commenti sui social alle e-mail, fino ad arrivare agli articoli dei quotidiani locali) che servono a fornire una sorta di prolessi; il lettore viene così informato che, dopo essersi imbarcata sulla Aurora Borealis, Lo non ha dato più notizie di sé a familiari ed amici, e per questo viene ritenuta scomparsa. Più del mistero sul delitto avvenuto a bordo della nave, questi brevi scorci nel futuro hanno giovato a tenere viva la mia curiosità verso la storia, e sono senza dubbio un escamotage narrativo valido.
Tra i punti di forza del romanzo annovero inoltre la prosa, che riesce a mantenere un buon equilibrio tra divertimento e tensione, e la costruzione del cast. Pur non andando ad approfondire troppo nessun personaggio, Ware riesce a rendere tutti un po' sospetti ed ambigui; ecco perché il lettore non arriva subito ad individuare il colpevole, anche se impiega sicuramente meno tempo di quanto ne serva alla protagonista. Promuovo inoltre il tentativo (non riuscitissimo, ma sorvoliamo) di includere delle tematiche meno superficiali e la scelta dell'ambientazione: trovo che un mistero risulti molto più interessante quando vengono limitati gli spostamenti degli indiziati, e per ottenere questo risultato la nave da crociera funziona ottimamente.
Purtroppo per me il volume non supera però il minimo sindacale, e mi sembra di essere stata perfino generosa se penso a quanto risulta anticlimatico e stucchevole l'epilogo, considerando che si tratta di una vicenda abbastanza cruda fino a quel punto. Ancor prima di arrivare al finale, avevo poi individuato dei difetti nel modo caotico in cui viene portata avanti l'indagine (forse per distrarre l'attenzione del lettore sugli indizi giusti?) e nella leggerezza con cui si sorvola su una scena di tentata violenza sessuale.
Come in molti altri titoli di questo genere, il vero scoglio insuperabile è stato però la caratterizzazione della protagonista. Penso che l'intenzione fosse quella di rendere Lo una personaggia un po' spiacevole -come capita spesso di leggere nei thriller psicologici degli ultimi anni- ma personalmente l'ho trovata solo estremamente miope (in tutti i sensi!) nonché molto svogliata ed inadatta al suo lavoro: qualunque giornalista avrebbe subito cominciato a buttar giù delle bozze per una dozzina di articoli da quanto le succede in questo libro! c'è davvero da meravigliarsi che Lo non abbia ottenuto alcuna promozione in dieci anni di "duro lavoro"?
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martedì 19 marzo 2024
"La corona di mezzanotte" di Sarah J. Maas
La corona di mezzanotte by Sarah J. Maas
My rating: 3 of 5 stars
"Il cuore gli batteva così forte che pensò di sentirsi di nuovo male. Le mani gli tremavano e non solo di paura. No, c'era ancora quella forza dentro di lui che lo pregava di essere liberata di nuovo, di essere sbloccata..."
T-R-A-M-E! (NEL CASO VI FOSSE SFUGGITO)
Tra innumerevoli alzate di occhi al cielo, continua la mia esplorazione del continente fantastico di Erilea con il secondo volume della saga Throne of Glass. Devo dire che pur impegnandosi ben poco per mettere una pezza alle mancanze della serie, "La corona di mezzanotte" risulta a mio avviso una lettura d'intrattenimento più valida del precedente capitolo; un po' perché avevo già grossomodo un'idea del tono non troppo impegnativo dato alla storia, un po' perché l'intreccio si dimostra un filino meno prevedibile.
Intreccio che ci ricongiunge ai protagonisti due mesi dopo il duello grazie al quale Celaena è stata nominata ufficialmente paladina del re di Adarlan, ruolo nel quale viene incaricata di eliminare figure scomode ed invise al sovrano; la ragazza attua però una ribellione silenziosa, aiutando a scappare le sue presunte vittime, come una versione al femminile del cacciatore di Biancaneve. Superata questa premessa, nel corso del volume vediamo svilupparsi tre sottotrame parallele: la nascita di una nuova romance per la protagonista, il continuo delle sue indagini magiche (e non solo, dal momento che si accenna anche a vari complotti politici) e la scoperta di presunti poteri magici da parte del principe Dorian.
Proprio questa storyline è diventata il primo tra i pregi del volume, in modo alquanto inaspettato -visto che la caratterizzazione del personaggio di Dorian non mi fa propriamente impazzire-, ora posso almeno sperare migliori in futuro; speranza alla quale si aggiunge quella che Roland si dimostri più di un carattere ancor più frivolo e cascamorto del cugino, introdotto solo per mettere quest'ultimo in una luce migliore. Rimanendo nell'ambito dei personaggi, ho apprezzato che Maas cercasse un po' meno di farci piacere a tutti i costi la sua protagonista self-insert, nonché l'introduzione di nuovi caratteri grazie ai quali la narrazione si sposta in parte fuori dai confini stantii del castello. Pur essendo (per ora) un personaggio del tutto inutile al proseguo della trama, promuovo magnanimamente anche Mort: non dirò chi sia per evitare spoiler, ma l'ho trovato davvero brillante sia nella sua ideazione che nelle linee di dialogo.
Un altro punto a favore è dato dalla presenza di alcuni momenti più seri e riflessivi, come i confronti tra Celaena e Chaol; forse non saranno riuscitissimi se consideriamo il tono leggero dato alla serie, però contribuiscono a dare più equilibro al ritmo. Mi piace molto anche come si sta espandendo pian piano il world building, aggiungendo nuovi luoghi, creature ed oggetti incantati: nulla di troppo originale o coerente (specie a livello di sistema magico), ma sto trovando davvero divertente calarmi in questo mondo fantastico. È approvata in parte anche la sottotrama romance: per me rimane inspiegabile il modo in cui è stata risolta, però di base è un rapporto strutturato in modo credibile ed equilibrato; peccato che poi Celaena venga colpita da un attacco di visione tubulare dal quale non rinsavisce neppure davanti alle prove provate.
Le altre debolezze del volume riguardano principalmente l'intreccio, che nel primo capitolo era solo terribilmente scontato mentre qui manca proprio di solidità, oltre ad essere farcito da momenti in cui i personaggi sembrano regredire allo stato infantile, perché altrimenti si arriverebbe subito alla risoluzione. In particolare, si ricorre a forzature che poi devono pure essere giustificate: è il caso della capatina notturna di Celaena in biblioteca -dopo aver passato tutta la giornata a fare acquisti di libri nuovi!-, solo per farle incontrare un certo personaggio. Abbiamo poi scene come il confronto tra il re e la cantante che dimostrano come lo stesso ruolo di paladina ricoperto dalla protagonista (sul quale poggia l'intera serie!) sia alla fin fine inutile, ed altre in cui i personaggi ottengono informazioni in modo troppo fortuito o senza prove tangibili.
In ambito stilistico abbiamo poi un sostanzioso punto a sfavore, sia perché la cara Sarah si dilunga in descrizione di luoghi che definire inverosimili -e quindi impossibili da immaginare- è un garbato eufemismo, sia per l'utilizzo eccessivo del corsivo per enfatizzare determinate parole; come non bastasse, questo espediente porta spesso a puntare l'attenzione sul termine sbagliato all'interno della frase. In realtà quest'ultima osservazione potrebbe riguardare solo l'edizione italiana, la cui cura grafica e contenutistica non è affatto aumentata; abbondano infatti refusi grammaticali ed errori di digitazione, e non solo: perfino un appunto della traduttrice è finito nella stampa definitiva!
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Il cuore gli batteva così forte che pensò di sentirsi di nuovo male. Le mani gli tremavano e non solo di paura. No, c'era ancora quella forza dentro di lui che lo pregava di essere liberata di nuovo, di essere sbloccata..."
T-R-A-M-E! (NEL CASO VI FOSSE SFUGGITO)
Tra innumerevoli alzate di occhi al cielo, continua la mia esplorazione del continente fantastico di Erilea con il secondo volume della saga Throne of Glass. Devo dire che pur impegnandosi ben poco per mettere una pezza alle mancanze della serie, "La corona di mezzanotte" risulta a mio avviso una lettura d'intrattenimento più valida del precedente capitolo; un po' perché avevo già grossomodo un'idea del tono non troppo impegnativo dato alla storia, un po' perché l'intreccio si dimostra un filino meno prevedibile.
Intreccio che ci ricongiunge ai protagonisti due mesi dopo il duello grazie al quale Celaena è stata nominata ufficialmente paladina del re di Adarlan, ruolo nel quale viene incaricata di eliminare figure scomode ed invise al sovrano; la ragazza attua però una ribellione silenziosa, aiutando a scappare le sue presunte vittime, come una versione al femminile del cacciatore di Biancaneve. Superata questa premessa, nel corso del volume vediamo svilupparsi tre sottotrame parallele: la nascita di una nuova romance per la protagonista, il continuo delle sue indagini magiche (e non solo, dal momento che si accenna anche a vari complotti politici) e la scoperta di presunti poteri magici da parte del principe Dorian.
Proprio questa storyline è diventata il primo tra i pregi del volume, in modo alquanto inaspettato -visto che la caratterizzazione del personaggio di Dorian non mi fa propriamente impazzire-, ora posso almeno sperare migliori in futuro; speranza alla quale si aggiunge quella che Roland si dimostri più di un carattere ancor più frivolo e cascamorto del cugino, introdotto solo per mettere quest'ultimo in una luce migliore. Rimanendo nell'ambito dei personaggi, ho apprezzato che Maas cercasse un po' meno di farci piacere a tutti i costi la sua protagonista self-insert, nonché l'introduzione di nuovi caratteri grazie ai quali la narrazione si sposta in parte fuori dai confini stantii del castello. Pur essendo (per ora) un personaggio del tutto inutile al proseguo della trama, promuovo magnanimamente anche Mort: non dirò chi sia per evitare spoiler, ma l'ho trovato davvero brillante sia nella sua ideazione che nelle linee di dialogo.
Un altro punto a favore è dato dalla presenza di alcuni momenti più seri e riflessivi, come i confronti tra Celaena e Chaol; forse non saranno riuscitissimi se consideriamo il tono leggero dato alla serie, però contribuiscono a dare più equilibro al ritmo. Mi piace molto anche come si sta espandendo pian piano il world building, aggiungendo nuovi luoghi, creature ed oggetti incantati: nulla di troppo originale o coerente (specie a livello di sistema magico), ma sto trovando davvero divertente calarmi in questo mondo fantastico. È approvata in parte anche la sottotrama romance: per me rimane inspiegabile il modo in cui è stata risolta, però di base è un rapporto strutturato in modo credibile ed equilibrato; peccato che poi Celaena venga colpita da un attacco di visione tubulare dal quale non rinsavisce neppure davanti alle prove provate.
Le altre debolezze del volume riguardano principalmente l'intreccio, che nel primo capitolo era solo terribilmente scontato mentre qui manca proprio di solidità, oltre ad essere farcito da momenti in cui i personaggi sembrano regredire allo stato infantile, perché altrimenti si arriverebbe subito alla risoluzione. In particolare, si ricorre a forzature che poi devono pure essere giustificate: è il caso della capatina notturna di Celaena in biblioteca -dopo aver passato tutta la giornata a fare acquisti di libri nuovi!-, solo per farle incontrare un certo personaggio. Abbiamo poi scene come il confronto tra il re e la cantante che dimostrano come lo stesso ruolo di paladina ricoperto dalla protagonista (sul quale poggia l'intera serie!) sia alla fin fine inutile, ed altre in cui i personaggi ottengono informazioni in modo troppo fortuito o senza prove tangibili.
In ambito stilistico abbiamo poi un sostanzioso punto a sfavore, sia perché la cara Sarah si dilunga in descrizione di luoghi che definire inverosimili -e quindi impossibili da immaginare- è un garbato eufemismo, sia per l'utilizzo eccessivo del corsivo per enfatizzare determinate parole; come non bastasse, questo espediente porta spesso a puntare l'attenzione sul termine sbagliato all'interno della frase. In realtà quest'ultima osservazione potrebbe riguardare solo l'edizione italiana, la cui cura grafica e contenutistica non è affatto aumentata; abbondano infatti refusi grammaticali ed errori di digitazione, e non solo: perfino un appunto della traduttrice è finito nella stampa definitiva!
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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giovedì 14 marzo 2024
"Il pericolo senza nome" di Agatha Christie
Il pericolo senza nome by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars
"«Volete che vi dica uno strano desiderio che ho sempre avuto? Amo molto la Casa Solitaria e ho sempre desiderato mettere in scena un dramma tra quelle pareti ... E adesso è come se un dramma si stesse svolgendo là dentro, ma non sono io a metterlo in scena, io sono tra gli attori, ma forse sono soltanto quella che muore nel primo atto»"
QUATTRO INCIDENTI FANNO UN DELITTO
Nella mia vita da lettrice, i romanzi della cara Agatha sono l'equivalente di una droga leggera: mi stampano un sorriso ebete sulla faccia appena ne comincio uno, cerco di spacciare i miei preferiti a chiunque mi dia ascolto, e dopo qualche settimana di astinenza vado in crisi. Ergo, anche quest'anno non potevo che dare spazio ai suoi libri, ed in particolare alle narrazioni che vedono come risolutori Miss Jane Marple ed Hercule Poirot. Proprio quest'ultimo è protagonista ne "Il pericolo senza nome", dove lo troviamo nuovamente affiancato dalla sua storica spalla, e nostro esilarante narratore, il capitano Arthur Hastings.
Il duo (che per me fa le scarpe ai più noti Sherlock e Watson) si trova nella città di Saint Loo, in Cornovaglia. Qui incrociano in modo fortuito la strada di Magdala "Nick" Buckley, giovane proprietaria della misteriosa Casa Solitaria e -negli ultimi giorni- vittima di una serie a dir poco sospetta di incidenti quasi mortali. Convinto che non si tratti affatto di incidenti, il detective belga smette momentaneamente i panni del pensionato (cosa che si rifiutava di fare perfino per il ministro dell'interno!) per svelare l'identità dell'aspirante omicida prima che questi porti a compimento i suoi piani delittuosi.
Da queste premesse scaturisce una trama mystery a dir poco brillante, con una folta schiera di potenziali colpevoli e dei moventi credibili, ma abbastanza nebulosi da far vacillare anche la sicurezza del buon Hercule. La narrazione si sviluppa in un crescendo di misteri irrisolti, con una carrellata di imprevedibili colpi di scena che -anziché far scemare la tensione- la accrescono ancor di più perché fino all'ultima riga rimangono delle risposte da ottenere. Questo intreccio a livelli mi è sembrato davvero ben congegnato nonché stupefacente, e non è poco considerando che finora ho letto ben venticinque dei gialli di Christie ed un paio dei suoi escamotage ormai me li aspetto.
Oltre ad una storia strutturata con cura, questo romanzo può vantare un cast variegato e non troppo prevedibile, nonché alcuni tra i migliori dialoghi di Poirot ed Hastings: possiamo godere delle stroncature ciniche dell'immodesto investigatore e dei commenti fuoriluogo del capitano, il tutto mentre prosegue la loro indagine per scoprire chi si nasconda dietro gli attentati. Personalmente ho apprezzato che Poirot fosse presente per tutto il libro, dalla primissima pagina; e penso che questa scelta narrativa renda ancor più soddisfacente la risoluzione finale. Mi sono inoltre piaciuti i riferimenti alle precedenti opere della cara Agatha, e penso in primis ai diversi casi di Poirot ma non solo: un piccolo accenno ad un certo Sir Henry fa subito correre il pensiero all'altra investigatrice christiana per antonomasia!
Una volta tanto anche l'edizione mi ha convinto, specialmente per merito dei validi contenuti extra ad opera del critico letterario Julian Symons, che danno un maggior senso di completezza alla lettura; fanno perfino chiudere un occhio sui refusi, in questo caso rappresentati dalle tante virgolette che compaiono casualmente alla fine di frasi in cui non ci sono dialoghi. Altre sviste minori sono il pretesto iniziale -un po' troppo conveniente per essere credibile- ed il modo parecchio superficiale con cui vengono affrontate certe tematiche, come quella della dipendenza da sostanze: inserite con nonchalance tra una riga e l'altra, quasi non fossero argomenti seri, e subito accantonate. Meglio spendere qualche parola in più su un argomento serio, oppure non includerlo proprio.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"«Volete che vi dica uno strano desiderio che ho sempre avuto? Amo molto la Casa Solitaria e ho sempre desiderato mettere in scena un dramma tra quelle pareti ... E adesso è come se un dramma si stesse svolgendo là dentro, ma non sono io a metterlo in scena, io sono tra gli attori, ma forse sono soltanto quella che muore nel primo atto»"
QUATTRO INCIDENTI FANNO UN DELITTO
Nella mia vita da lettrice, i romanzi della cara Agatha sono l'equivalente di una droga leggera: mi stampano un sorriso ebete sulla faccia appena ne comincio uno, cerco di spacciare i miei preferiti a chiunque mi dia ascolto, e dopo qualche settimana di astinenza vado in crisi. Ergo, anche quest'anno non potevo che dare spazio ai suoi libri, ed in particolare alle narrazioni che vedono come risolutori Miss Jane Marple ed Hercule Poirot. Proprio quest'ultimo è protagonista ne "Il pericolo senza nome", dove lo troviamo nuovamente affiancato dalla sua storica spalla, e nostro esilarante narratore, il capitano Arthur Hastings.
Il duo (che per me fa le scarpe ai più noti Sherlock e Watson) si trova nella città di Saint Loo, in Cornovaglia. Qui incrociano in modo fortuito la strada di Magdala "Nick" Buckley, giovane proprietaria della misteriosa Casa Solitaria e -negli ultimi giorni- vittima di una serie a dir poco sospetta di incidenti quasi mortali. Convinto che non si tratti affatto di incidenti, il detective belga smette momentaneamente i panni del pensionato (cosa che si rifiutava di fare perfino per il ministro dell'interno!) per svelare l'identità dell'aspirante omicida prima che questi porti a compimento i suoi piani delittuosi.
Da queste premesse scaturisce una trama mystery a dir poco brillante, con una folta schiera di potenziali colpevoli e dei moventi credibili, ma abbastanza nebulosi da far vacillare anche la sicurezza del buon Hercule. La narrazione si sviluppa in un crescendo di misteri irrisolti, con una carrellata di imprevedibili colpi di scena che -anziché far scemare la tensione- la accrescono ancor di più perché fino all'ultima riga rimangono delle risposte da ottenere. Questo intreccio a livelli mi è sembrato davvero ben congegnato nonché stupefacente, e non è poco considerando che finora ho letto ben venticinque dei gialli di Christie ed un paio dei suoi escamotage ormai me li aspetto.
Oltre ad una storia strutturata con cura, questo romanzo può vantare un cast variegato e non troppo prevedibile, nonché alcuni tra i migliori dialoghi di Poirot ed Hastings: possiamo godere delle stroncature ciniche dell'immodesto investigatore e dei commenti fuoriluogo del capitano, il tutto mentre prosegue la loro indagine per scoprire chi si nasconda dietro gli attentati. Personalmente ho apprezzato che Poirot fosse presente per tutto il libro, dalla primissima pagina; e penso che questa scelta narrativa renda ancor più soddisfacente la risoluzione finale. Mi sono inoltre piaciuti i riferimenti alle precedenti opere della cara Agatha, e penso in primis ai diversi casi di Poirot ma non solo: un piccolo accenno ad un certo Sir Henry fa subito correre il pensiero all'altra investigatrice christiana per antonomasia!
Una volta tanto anche l'edizione mi ha convinto, specialmente per merito dei validi contenuti extra ad opera del critico letterario Julian Symons, che danno un maggior senso di completezza alla lettura; fanno perfino chiudere un occhio sui refusi, in questo caso rappresentati dalle tante virgolette che compaiono casualmente alla fine di frasi in cui non ci sono dialoghi. Altre sviste minori sono il pretesto iniziale -un po' troppo conveniente per essere credibile- ed il modo parecchio superficiale con cui vengono affrontate certe tematiche, come quella della dipendenza da sostanze: inserite con nonchalance tra una riga e l'altra, quasi non fossero argomenti seri, e subito accantonate. Meglio spendere qualche parola in più su un argomento serio, oppure non includerlo proprio.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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venerdì 8 marzo 2024
"Legend" di V.E. Schwab
Legend by V.E. Schwab
My rating: 2 of 5 stars
"Il coltello fece una specie di trucco di magia. Si separò nelle sue mani e quella che era stata un'unica lama diventarono due, immagini speculari sottili e dritte come rasoi. Lila toccò la perla d'olio e passò il dito lungo il retro di entrambi i coltelli... Le fiamme si diffusero finché non coprirono le lame dall'impugnatura alla punta, bruciando di una luce dorata.
Questo non l'aveva visto fare a nessuno"
LE OLIMPIADI DELLA COINCIDENZA
Pur avendolo trovato molto divertente come avventura fantasy, "Magic" non mi aveva sicuramente folgorato per merito di una trama particolarmente elaborata o di tematiche troppo profonde. Cionondiméno ho deciso di continuare abbastanza velocemente la trilogia con il secondo volume, e questo perché i diversi spunti lasciati in sospeso nel finale mi sembravano parecchio promettenti. Purtroppo la cara Victoria si è dimostrata determinata nel proseguire il trend inaugurato con il capitolo precedente: preferire linee narrative pretestuose e personaggi stereotipati rispetto ad un intreccio solido ed a dei caratteri meno convenzionali. Per fortuna, non è ancora detta l'ultima parola!
In "Legend" la narrazione riprende quattro mesi dopo l'epilogo del primo volume, con Kell impegnato a trovare un nuovo equilibrio con il fratello adottivo Rhy e riacquistare la fiducia dei sovrani di Londra Rossa, mentre Lila ha realizzato il suo sogno piratesco a bordo della Saren Noche (anche nota come Pinnacolo Notturno), la nave corsara di Alucard "Luc" Emery; sullo sfondo vengono mostrati degli sviluppi magici anche nelle vicine realtà Bianca e Grigia. Il pretesto che porta i personaggi a rincontrarsi è però il torneo degli Essen Tasch, una competizione magica nella quale si affrontato i più talentuosi maghi del mondo Rosso.
A dispetto di queste intriganti premesse, il romanzo non mi ha convinto quanto speravo, pur rimanendo un buon prodotto d'intrattenimento. Il merito di ciò va in primis al ritmo narrativo sempre incalzante, ma anche alle interessanti sottotrame dedicate alla rinascita di Londra Bianca ed al potenziale risveglio della magia a Londra Grigia. Ho trovato poi estremamente positivo che venissero mostrate le conseguenze di quanto successo nel primo libro, conclusosi in modo abbastanza affrettato: qui vediamo invece come i protagonisti risentano di quegli avvenimenti, dovendo fare i conti sia con le incertezze personali sia con il biasimo degli altri.
Personalmente ho apprezzato poi la scelta di esplorare maggiormente il mondo Rosso, fornendo anche qualche informazione in più su quanto successo in quello Nero; si rimane in realtà ad un livello grosso modo superficiale, in particolare per quanto riguarda i Paesi confinanti con Arnes, ma ho trovato comunque questi sviluppi interessanti. Posso solo sperare che vengano sfruttati nell'ultimo capitolo, e non tenuti da parte per prequel e sequel assortiti!
Ma ora passiamo purtroppo agli aspetti meno riusciti di questo titolo. Ed il primo tra questi non può che essere l'intreccio, estremamente sciocco e terribilmente prevedibile, riesce a rendere a tratti noiosa una storia tanto ricca d'azione: conoscendo i personaggi e leggendo poche battute diventa subito chiaro in quale direzione si stia andando, e veder sprecati capitoli su capitoli in svolte scontate è davvero tedioso. Se poi nel primo volume l'azione era mossa da azioni stupide ed immotivate, ma per lo meno ad opera degli antagonisti -per i quali non è necessario fare il tifo-, qui sono le scelte di Kell, Lila e Rhy a dare il via alla trama, e sono scelte di un'inconsistenza totale. Inoltre gli eventi essenziali per il proseguo della trilogia sono soltanto tre: Lila impara a padroneggiare la magia, il nuovo re di Londra Bianca stringe un patto pericoloso ed il colpo di scena finale; quest'ultimo è il solo che viene mostrato direttamente, mentre gli altri vengono solo riassunti nei flashback.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale con il romanzo, ho trovato inoltre un po' fastidioso l'espediente di ricorrere a parolacce ed allusioni sessuali random per ricordare al lettore che si tratta di una serie adult: basterebbe adeguare il lessico ed i ragionamenti dei personaggi, nonché trattare tematiche più mature. Anche l'edizione nostrana finisce tra i difetti di questo libro, specialmente perché non capisco come mai parole come drink, feeling e round -che hanno dei validi e chiari equivalenti nella lingua italiana- siano state lasciate in inglese mentre ci si è presi la briga di tradurre una parte dei nomi propri.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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My rating: 2 of 5 stars
"Il coltello fece una specie di trucco di magia. Si separò nelle sue mani e quella che era stata un'unica lama diventarono due, immagini speculari sottili e dritte come rasoi. Lila toccò la perla d'olio e passò il dito lungo il retro di entrambi i coltelli... Le fiamme si diffusero finché non coprirono le lame dall'impugnatura alla punta, bruciando di una luce dorata.
Questo non l'aveva visto fare a nessuno"
LE OLIMPIADI DELLA COINCIDENZA
Pur avendolo trovato molto divertente come avventura fantasy, "Magic" non mi aveva sicuramente folgorato per merito di una trama particolarmente elaborata o di tematiche troppo profonde. Cionondiméno ho deciso di continuare abbastanza velocemente la trilogia con il secondo volume, e questo perché i diversi spunti lasciati in sospeso nel finale mi sembravano parecchio promettenti. Purtroppo la cara Victoria si è dimostrata determinata nel proseguire il trend inaugurato con il capitolo precedente: preferire linee narrative pretestuose e personaggi stereotipati rispetto ad un intreccio solido ed a dei caratteri meno convenzionali. Per fortuna, non è ancora detta l'ultima parola!
In "Legend" la narrazione riprende quattro mesi dopo l'epilogo del primo volume, con Kell impegnato a trovare un nuovo equilibrio con il fratello adottivo Rhy e riacquistare la fiducia dei sovrani di Londra Rossa, mentre Lila ha realizzato il suo sogno piratesco a bordo della Saren Noche (anche nota come Pinnacolo Notturno), la nave corsara di Alucard "Luc" Emery; sullo sfondo vengono mostrati degli sviluppi magici anche nelle vicine realtà Bianca e Grigia. Il pretesto che porta i personaggi a rincontrarsi è però il torneo degli Essen Tasch, una competizione magica nella quale si affrontato i più talentuosi maghi del mondo Rosso.
A dispetto di queste intriganti premesse, il romanzo non mi ha convinto quanto speravo, pur rimanendo un buon prodotto d'intrattenimento. Il merito di ciò va in primis al ritmo narrativo sempre incalzante, ma anche alle interessanti sottotrame dedicate alla rinascita di Londra Bianca ed al potenziale risveglio della magia a Londra Grigia. Ho trovato poi estremamente positivo che venissero mostrate le conseguenze di quanto successo nel primo libro, conclusosi in modo abbastanza affrettato: qui vediamo invece come i protagonisti risentano di quegli avvenimenti, dovendo fare i conti sia con le incertezze personali sia con il biasimo degli altri.
Personalmente ho apprezzato poi la scelta di esplorare maggiormente il mondo Rosso, fornendo anche qualche informazione in più su quanto successo in quello Nero; si rimane in realtà ad un livello grosso modo superficiale, in particolare per quanto riguarda i Paesi confinanti con Arnes, ma ho trovato comunque questi sviluppi interessanti. Posso solo sperare che vengano sfruttati nell'ultimo capitolo, e non tenuti da parte per prequel e sequel assortiti!
Ma ora passiamo purtroppo agli aspetti meno riusciti di questo titolo. Ed il primo tra questi non può che essere l'intreccio, estremamente sciocco e terribilmente prevedibile, riesce a rendere a tratti noiosa una storia tanto ricca d'azione: conoscendo i personaggi e leggendo poche battute diventa subito chiaro in quale direzione si stia andando, e veder sprecati capitoli su capitoli in svolte scontate è davvero tedioso. Se poi nel primo volume l'azione era mossa da azioni stupide ed immotivate, ma per lo meno ad opera degli antagonisti -per i quali non è necessario fare il tifo-, qui sono le scelte di Kell, Lila e Rhy a dare il via alla trama, e sono scelte di un'inconsistenza totale. Inoltre gli eventi essenziali per il proseguo della trilogia sono soltanto tre: Lila impara a padroneggiare la magia, il nuovo re di Londra Bianca stringe un patto pericoloso ed il colpo di scena finale; quest'ultimo è il solo che viene mostrato direttamente, mentre gli altri vengono solo riassunti nei flashback.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale con il romanzo, ho trovato inoltre un po' fastidioso l'espediente di ricorrere a parolacce ed allusioni sessuali random per ricordare al lettore che si tratta di una serie adult: basterebbe adeguare il lessico ed i ragionamenti dei personaggi, nonché trattare tematiche più mature. Anche l'edizione nostrana finisce tra i difetti di questo libro, specialmente perché non capisco come mai parole come drink, feeling e round -che hanno dei validi e chiari equivalenti nella lingua italiana- siano state lasciate in inglese mentre ci si è presi la briga di tradurre una parte dei nomi propri.
Voto effettivo: due stelline e mezza
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lunedì 4 marzo 2024
"Come equilibristi" di Caterina Fiume
Book 9788832816488 by unknown author
My rating: 4 of 5 stars
Era il 18 luglio e il sole sembrava volesse inghiottire tutto: la terra, le pietre, i rami rachitici degli alberi, ma non riuscì a seccare le lacrime che i due ragazzi versarono tornando a casa in motorino
PERDENDO L'EQUILIBRIO
Nel corso del 2023 ho riscoperto la narrativa italiana, leggendo diversi autori tra firme note ed esordienti, e mi sembrava doveroso portare avanti questa bella abitudine nel nuovo anno. Ergo, non potevo che essere felice della collaborazione propostami da Scatole Parlanti per leggere "Come equilibristi" -loro recente pubblicazione nonché primo romanzo della scrittrice pugliese Caterina Fiume- la storia di un tormentato legame di amicizia sullo sfondo della Bari passata e presente.
La narrazione è divisa infatti in due linee temporali: il prologo ci lascia sbirciare un frammento della contemporaneità, con l'architetto Paolo che viene contattato dal suo amico d'infanzia Giacomo "Gico", per una sorta di reunion assieme a Giovanni "Vanni" e Fabio, gli altri membri del loro gruppetto. È chiaro che qualcosa li ha separati, e per far luce su questo mistero la vicenda si sposta nel 1983, dove ha luogo la porzione più corposa del volume e dove assistiamo ad una particolare estate durante la quale il rapporto tra i quattro amici cambia in modo definitivo. La seconda parte è dedicata invece al presente, ed alla risoluzione di questo conflitto.
La presenza di una doppia timeline mi ha convinto, sia perché permette di provare ad indovinare quali eventi abbiano portato al futuro che vediamo all'inizio, sia per la capacità dell'autrice nel mostrarci un'effettiva crescita nella caratterizzazione dei protagonisti. A livello narrativo mi sono poi piaciute la parentesi dedicata alla figura di Isabella "Isa" -la moglie di Giacomo- perché riesce a veicolare un messaggio positivo senza ricorrere a retorica o pedanteria, e la svolta che segna idealmente la metà della storia: sicuramente contribuisce a dare un taglio più maturo e concreto ad una vicenda fino a quel punto dal tono abbastanza adolescenziale.
Posso dire di aver apprezzato anche l'ambientazione, immersiva tanto in senso geografico quanto dal punto di vista storico, e come Fiume tratti il tema della dipendenza mettendo in correlazione quella più concreta e palese (rappresentata dall'alcolismo e dalla tossicodipendenza) con la ricerca di una sicurezza emotiva; questo non serve ovviamente ad assolvere i personaggi, ma solo a mettere in luce quali mancanze li abbiano condizionati. A mio avviso il principale pregio di questo titolo è dato però dai suoi personaggi principali, analizzati a fondo come singoli ed a confronto con gli altri, che si tratti di relazioni sentimentali, amicali o di veri e propri conflitti. In tutti questi casi, ritengo che la cara Caterina abbia fatto un buon lavoro nel creare dei caratteri verosimili e con delle motivazioni chiare.
E proprio perché reputo valido il suo lavoro dal punto di vista della caratterizzazione, non mi spiego il pasticcio che è stato fatto con i POV. Il testo passa infatti dalla narrazione in prima persona di Paolo a quella in terza persona affidata ad un narratore onnisciente, passando per una quantità di prospettive diverse tra protagonisti e personaggi secondari: una scelta inspiegabile che crea non poca confusione durante la lettura; a mio avviso sarebbe stato preferibile mantenere la narrazione in prima persona a più voci, così anche le espressioni dialettali presenti nel testo avrebbero avuto ragion d'essere. In fase di pubblicazione si sarebbe poi potuto fare qualcosa di più per migliorare l'impaginazione, così da non avere delle facciate quasi completamente vuote a fine capitolo.
Passando al contenuto, avrei qualcosa da ridire sull'eccessiva rapidità con cui si sviluppa la storia, che incide per assurdo sia sulla parte iniziale (dove mi aspettavo venissero mostrate più ampliamente le dinamiche interne del gruppo protagonista) sia la conclusione, in cui molto viene lasciato alla fantasia del lettore. Per quanto riguarda il finale, avrei inoltre apprezzato che le varie personagge ottenessero più spazio, almeno per capire come le loro vite fossero state influenzate dalla svolta principale, al pari di quelle dei quattro amici.
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My rating: 4 of 5 stars
Era il 18 luglio e il sole sembrava volesse inghiottire tutto: la terra, le pietre, i rami rachitici degli alberi, ma non riuscì a seccare le lacrime che i due ragazzi versarono tornando a casa in motorino
PERDENDO L'EQUILIBRIO
Nel corso del 2023 ho riscoperto la narrativa italiana, leggendo diversi autori tra firme note ed esordienti, e mi sembrava doveroso portare avanti questa bella abitudine nel nuovo anno. Ergo, non potevo che essere felice della collaborazione propostami da Scatole Parlanti per leggere "Come equilibristi" -loro recente pubblicazione nonché primo romanzo della scrittrice pugliese Caterina Fiume- la storia di un tormentato legame di amicizia sullo sfondo della Bari passata e presente.
La narrazione è divisa infatti in due linee temporali: il prologo ci lascia sbirciare un frammento della contemporaneità, con l'architetto Paolo che viene contattato dal suo amico d'infanzia Giacomo "Gico", per una sorta di reunion assieme a Giovanni "Vanni" e Fabio, gli altri membri del loro gruppetto. È chiaro che qualcosa li ha separati, e per far luce su questo mistero la vicenda si sposta nel 1983, dove ha luogo la porzione più corposa del volume e dove assistiamo ad una particolare estate durante la quale il rapporto tra i quattro amici cambia in modo definitivo. La seconda parte è dedicata invece al presente, ed alla risoluzione di questo conflitto.
La presenza di una doppia timeline mi ha convinto, sia perché permette di provare ad indovinare quali eventi abbiano portato al futuro che vediamo all'inizio, sia per la capacità dell'autrice nel mostrarci un'effettiva crescita nella caratterizzazione dei protagonisti. A livello narrativo mi sono poi piaciute la parentesi dedicata alla figura di Isabella "Isa" -la moglie di Giacomo- perché riesce a veicolare un messaggio positivo senza ricorrere a retorica o pedanteria, e la svolta che segna idealmente la metà della storia: sicuramente contribuisce a dare un taglio più maturo e concreto ad una vicenda fino a quel punto dal tono abbastanza adolescenziale.
Posso dire di aver apprezzato anche l'ambientazione, immersiva tanto in senso geografico quanto dal punto di vista storico, e come Fiume tratti il tema della dipendenza mettendo in correlazione quella più concreta e palese (rappresentata dall'alcolismo e dalla tossicodipendenza) con la ricerca di una sicurezza emotiva; questo non serve ovviamente ad assolvere i personaggi, ma solo a mettere in luce quali mancanze li abbiano condizionati. A mio avviso il principale pregio di questo titolo è dato però dai suoi personaggi principali, analizzati a fondo come singoli ed a confronto con gli altri, che si tratti di relazioni sentimentali, amicali o di veri e propri conflitti. In tutti questi casi, ritengo che la cara Caterina abbia fatto un buon lavoro nel creare dei caratteri verosimili e con delle motivazioni chiare.
E proprio perché reputo valido il suo lavoro dal punto di vista della caratterizzazione, non mi spiego il pasticcio che è stato fatto con i POV. Il testo passa infatti dalla narrazione in prima persona di Paolo a quella in terza persona affidata ad un narratore onnisciente, passando per una quantità di prospettive diverse tra protagonisti e personaggi secondari: una scelta inspiegabile che crea non poca confusione durante la lettura; a mio avviso sarebbe stato preferibile mantenere la narrazione in prima persona a più voci, così anche le espressioni dialettali presenti nel testo avrebbero avuto ragion d'essere. In fase di pubblicazione si sarebbe poi potuto fare qualcosa di più per migliorare l'impaginazione, così da non avere delle facciate quasi completamente vuote a fine capitolo.
Passando al contenuto, avrei qualcosa da ridire sull'eccessiva rapidità con cui si sviluppa la storia, che incide per assurdo sia sulla parte iniziale (dove mi aspettavo venissero mostrate più ampliamente le dinamiche interne del gruppo protagonista) sia la conclusione, in cui molto viene lasciato alla fantasia del lettore. Per quanto riguarda il finale, avrei inoltre apprezzato che le varie personagge ottenessero più spazio, almeno per capire come le loro vite fossero state influenzate dalla svolta principale, al pari di quelle dei quattro amici.
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venerdì 1 marzo 2024
"Amabili resti" di Alice Sebold
Amabili resti by Alice Sebold
My rating: 3 of 5 stars
"Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre 1973 ... quando ancora la gente non pensava che cose simili potessero accadere"
UN MYSTERY SENZA MISTERI
Edizioni E/O ha una gran fortuna: che tanti lettori parlino bene dei romanzi da loro pubblicati e mi incoraggino spesso e volentieri a recuperarli; perché se al contrario dovessi basare il mio interesse soltanto sulle copertine che propongono, mi terrei ben lontana dalle loro edizioni. Questo mi è successo di recente con la serie L'amica geniale, ed è ricapitato ancora con "Amabili resti", un titolo che certamente affronta temi molto pesanti ma non credo proprio si meriti una cover capace di far scappare a gambe levate il potenziale acquirente nella direzione opposta. Anche se avessi voglia di leggere una storia più seria, credo che mi terrei alla larga da un volume presentato in questo modo! Per merito di alcune recensioni favorevoli mi sono però fatta forza, e ora non posso che esserne... moderatamente felice.
La narrazione ci porta nella città di Philadelphia, nella Pennsylvania del dicembre 1973, quando la quattordicenne Suzanne "Susie" Salmon scompare in modo repentino e misterioso. Nonostante la sinossi prometta di assistere ad un'intricata indagine, il lettore viene informato fin dalle primissime pagine che la ragazza è stata adescata da un vicino, tale George Harvey; l'uomo, che si rivela essere un serial killer, le fa violenza, la uccide e ne fa a pezzi il cadavere, per poi sbarazzarsi abilmente delle prove ed allontanare da sé ogni sospetto. Il punto di vista non è però quello dell'omicida, né delle forze dell'ordine impegnate ad investigare o della famiglia Salmon, ma della stessa Susie; dal suo Cielo personale, la ragazza continua a seguire le vicende terrene, mentre attende di raggiungere una sorta di pace interiore.
E partiamo quindi dai dolorosi punti a favore del romanzo (dolorosi perché vengono pian piano spodestati da altrettanti punti a sfavore), dal momento che la partenza d'impatto rientra sicuramente in questa categoria: raramente ho letto incipit tanto riusciti, nonché abbastanza crudi e diretti! forse solo "Rose Madder" è riuscito ad ispirarmi una reazione simile. Da subito scopriamo anche l'insolito POV, che da ricercatrice dell'originalità non potevo che apprezzare, sia per il tono scelto per Susie sia per le possibilità offerte a livello narrativo. Ho apprezzato molto anche il modo in cui vengono raccontate le reazioni dei vari personaggi, in particolare della famiglia Salmon: magari non saranno sempre in linea con i desideri del lettore, ma le ho trovate decisamente verosimili.
Per quanto riguarda le tematiche affrontate, ritengo che l'autrice sia stata molto coraggiosa nel parlare tanto chiaramente e senza remore di violenza sessuale, un tema delicato di per sé e ancor più pesante se si considera la sua storia personale. A livello di prosa invece il mio elogio è frenato da una sorta di riserva; perché se da un lato ho adorato l'ottimo uso delle metafore fatto da Sebold, che rendono estremamente potenti alcune scene -nonché più digeribile la violenza-, dall'altro non mi è piaciuta la scelta di mantenere la narrazione non sempre lineare. Questo senso di confusione permea anche i dialoghi, dove abbondano i sottintesi lasciati alla libera interpretazione del lettore; inoltre l'idea di realizzare dei capitoli tematici, in cui si parte da un luogo o da un evento per seguire più personaggi o scene, per quanto carina rende l'esperienza di lettura caotica senza ragione.
Altri difetti soggettivi riguardano la visione un po' stereotipata della vita in Cielo (mi sembra sia la stessa di tanti film basati sullo stesso concept), alcune scelte narrative relative al finale che ho trovato di cattivo gusto, ed un contesto storico non sempre reso al meglio: più volte mi sono proprio dimenticata che la storia era ambientata dai primi anni Settanta in poi. Personalmente reputo poi poco coerente la scelta di permettere a Susie di vedere anche eventi passati, pensieri e ricordi dei vari personaggi.
Il problema principale è però nella dispersività della trama, che racconta semplicemente le vicende successive alla tragedia iniziale, senza mai focalizzarsi su un intreccio specifico. L'unico filone con un minimo di concretezza è quello della missione auto-assegnatasi da Jack Salmon per smascherare l'assassino della figlia, e anche quella perde progressivamente d'importanza; la narrazione lascia poi intendere un ruolo più centrale per la figura di Ruth Connors -in quanto unica personaggia ad essere stata in contatto diretto con l'anima di Susie-, ma anche lei ha un ruolo circoscritto e marginale. Del contributo dato dalle forze dell'ordine, non parliamo neanche!
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre 1973 ... quando ancora la gente non pensava che cose simili potessero accadere"
UN MYSTERY SENZA MISTERI
Edizioni E/O ha una gran fortuna: che tanti lettori parlino bene dei romanzi da loro pubblicati e mi incoraggino spesso e volentieri a recuperarli; perché se al contrario dovessi basare il mio interesse soltanto sulle copertine che propongono, mi terrei ben lontana dalle loro edizioni. Questo mi è successo di recente con la serie L'amica geniale, ed è ricapitato ancora con "Amabili resti", un titolo che certamente affronta temi molto pesanti ma non credo proprio si meriti una cover capace di far scappare a gambe levate il potenziale acquirente nella direzione opposta. Anche se avessi voglia di leggere una storia più seria, credo che mi terrei alla larga da un volume presentato in questo modo! Per merito di alcune recensioni favorevoli mi sono però fatta forza, e ora non posso che esserne... moderatamente felice.
La narrazione ci porta nella città di Philadelphia, nella Pennsylvania del dicembre 1973, quando la quattordicenne Suzanne "Susie" Salmon scompare in modo repentino e misterioso. Nonostante la sinossi prometta di assistere ad un'intricata indagine, il lettore viene informato fin dalle primissime pagine che la ragazza è stata adescata da un vicino, tale George Harvey; l'uomo, che si rivela essere un serial killer, le fa violenza, la uccide e ne fa a pezzi il cadavere, per poi sbarazzarsi abilmente delle prove ed allontanare da sé ogni sospetto. Il punto di vista non è però quello dell'omicida, né delle forze dell'ordine impegnate ad investigare o della famiglia Salmon, ma della stessa Susie; dal suo Cielo personale, la ragazza continua a seguire le vicende terrene, mentre attende di raggiungere una sorta di pace interiore.
E partiamo quindi dai dolorosi punti a favore del romanzo (dolorosi perché vengono pian piano spodestati da altrettanti punti a sfavore), dal momento che la partenza d'impatto rientra sicuramente in questa categoria: raramente ho letto incipit tanto riusciti, nonché abbastanza crudi e diretti! forse solo "Rose Madder" è riuscito ad ispirarmi una reazione simile. Da subito scopriamo anche l'insolito POV, che da ricercatrice dell'originalità non potevo che apprezzare, sia per il tono scelto per Susie sia per le possibilità offerte a livello narrativo. Ho apprezzato molto anche il modo in cui vengono raccontate le reazioni dei vari personaggi, in particolare della famiglia Salmon: magari non saranno sempre in linea con i desideri del lettore, ma le ho trovate decisamente verosimili.
Per quanto riguarda le tematiche affrontate, ritengo che l'autrice sia stata molto coraggiosa nel parlare tanto chiaramente e senza remore di violenza sessuale, un tema delicato di per sé e ancor più pesante se si considera la sua storia personale. A livello di prosa invece il mio elogio è frenato da una sorta di riserva; perché se da un lato ho adorato l'ottimo uso delle metafore fatto da Sebold, che rendono estremamente potenti alcune scene -nonché più digeribile la violenza-, dall'altro non mi è piaciuta la scelta di mantenere la narrazione non sempre lineare. Questo senso di confusione permea anche i dialoghi, dove abbondano i sottintesi lasciati alla libera interpretazione del lettore; inoltre l'idea di realizzare dei capitoli tematici, in cui si parte da un luogo o da un evento per seguire più personaggi o scene, per quanto carina rende l'esperienza di lettura caotica senza ragione.
Altri difetti soggettivi riguardano la visione un po' stereotipata della vita in Cielo (mi sembra sia la stessa di tanti film basati sullo stesso concept), alcune scelte narrative relative al finale che ho trovato di cattivo gusto, ed un contesto storico non sempre reso al meglio: più volte mi sono proprio dimenticata che la storia era ambientata dai primi anni Settanta in poi. Personalmente reputo poi poco coerente la scelta di permettere a Susie di vedere anche eventi passati, pensieri e ricordi dei vari personaggi.
Il problema principale è però nella dispersività della trama, che racconta semplicemente le vicende successive alla tragedia iniziale, senza mai focalizzarsi su un intreccio specifico. L'unico filone con un minimo di concretezza è quello della missione auto-assegnatasi da Jack Salmon per smascherare l'assassino della figlia, e anche quella perde progressivamente d'importanza; la narrazione lascia poi intendere un ruolo più centrale per la figura di Ruth Connors -in quanto unica personaggia ad essere stata in contatto diretto con l'anima di Susie-, ma anche lei ha un ruolo circoscritto e marginale. Del contributo dato dalle forze dell'ordine, non parliamo neanche!
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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