Un classico al mese
"Il giovane Holden" di J.D. Salinger
TITOLO: Il giovane Holden
AUTORE: Jerome David Salinger
TITOLO ORIGINALE: The Catcher in the Rye
TRADUTTORE: Adriana Motti
EDITORE: Einaudi
COLLANA: Super ET
PAGINE: 230
VOTO: 5 stelline
TRADUTTORE: Adriana Motti
EDITORE: Einaudi
COLLANA: Super ET
PAGINE: 230
VOTO: 5 stelline
“Il giovane Holden” è il solo romanzo
pubblicato da Salinger, e spicca quindi nella sua produzione letteraria
composta prevalentemente da racconti, come “Alzate l’architrave, carpentieri” e
“Seymour. Introduzione” (QUI la recensione).
Questa opera è peculiare già dall'edizione.
Oltre alla richiesta dell'autore di omettere sia la sinossi che la copertina
(sebbene alcune edizioni estere presentino comunque della immagini sulla cover),
la Einaudi ha dovuto faticare parecchio anche con il titolo che, risultando
alla fin fine intraducibile -o meglio, traducibile a discapito del senso
logico-, è stato completamente stravolto.
Il volume si presenta come romanzo di
formazione, narrato in prima persona dal protagonista stesso che parla
direttamente al lettore come in un monologo teatrale o in una sorta di stand-up
comedy. Nulla di preparato e fasullo comunque, infatti il tono è colloquiale e
non mancano degli errori già dall'incipit
«Se davvero avete voglia di sentire
questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è
stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia
bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield,
ma a me non mi va proprio di parlarne.»
Holden va quindi a ripercorrere uno specifico
momento della sua vita -un lungo week-end- arricchendo però il racconto con
molti aneddoti sulla sua infanzia o sulle persone che ha incontrato; questa
peculiare narrazione da vita a continui salti temporali, dei quali il
protagonista si rende ben conto
«[Spencer] Sapeva che non sarei
tornato a Pencey.
Questo mi ero dimenticato di
dirvelo. Mi avevano sbattuto fuori.»
e mi ha ricordato
l'anonimo protagonista de “Le notti bianche” di Fëdor M. Dostoevskij (QUI la
recensione): entrambi sognatori pronti a creare lunghi racconti partendo da
fatti per gli altri irrilevanti, e poi ad essere ritrascinati bruscamente nella
realtà.
Durante questo fine settimana, Holden lascia
il collegio Pencey di nascosto e si reca a New York, dove abitano i genitori e
la sorella minore, con l'animo in bilico tra il desiderio di tornare a casa -ed
affrontare le conseguenze dell'espulsione- o di scappare verso ovest sperando
di potersi nascondere.
Come già detto nella prima recensione dei
suoi lavori, ciò che maggiormente apprezzo nella scrittura di Salinger è la sua
capacità unica di mutare del tutto lo stile per adattarlo al suo protagonista;
questo dona al lettore la sensazione di trovarsi a leggere le parole dello
stesso Holden, senza pensare che dietro ad esse ci sia la mano di uno
scrittore. Buoni esempi di ciò sono le ripetizioni, sia nelle riflessioni del
protagonista, sia nei dialoghi
«-Perché diavolo vi siete
scazzottati, insomma?- disse Ackley, forse per la cinquantesima volta. In
questo era senza dubbio un rompiscatole.»
o anche la scelta di
inserire molto frequentemente delle espressioni colloquiale come “eccetera
eccetera”, “e compagnia bella” o “e vattelapesca”.
Un altro tratto peculiare della narrazione è
dato dal carattere stesso di Holden, che sa essere molto sarcastico
«Si gridava sempre, in quella casa.
Era perché quei due [i signori Antolini] non stavano mai contemporaneamente
nella stessa stanza. Una cosa un po' buffa.»
nonché un bugiardo
dotato di grande inventiva. Purtroppo le sue relazioni con gli altri personaggi
sono inficiate dalla sua incapacità di adattarsi alle convenzioni sociali e di
relazionarsi con il prossimo come questo si aspetterebbe; lui riflette a lungo
sui problemi dati dall'incomunicabilità
«[...] -non so spiegare quello che
ho in mente. E anche se sapessi farlo, non sono sicuro che ne avrei voglia.»
che risultano molto
evidenti quando pensa di fare o dire qualcosa per poi decidere subito dopo che
è meglio rimandare il tutto.
Oltre all'incomunicabilità, l'altro grande
tema affrontato da Holden nelle sue riflessioni è quello della morte, in particolare
del venire a patti con il lutto per una persona cara. Il protagonista parla a
più riprese della prematura scomparsa del fratello minore, con in quale aveva
un rapporto molto stretto
«-Lo so che [Allie] è morto! Credi
che non lo sappia? Ma mi può ancora piacere, no? Non è mica che uno non ti
piace più solo perché è morto, Dio santo, specie se è mille volte meglio della
gente viva che conosci e compagnia bella.»
e per la perdita del
quale continua a soffrire, presentando al lettore un quadro familiare che per
parecchi aspetti ricorda quello dei fratelli Glass, protagonisti della maggior
parte dei racconti di Salinger.
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