Un classico al mese
"La donna in bianco" di Wilkie Collins
TITOLO: La donna in bianco
AUTORE: William "Wilkie" Collins
TITOLO ORIGINALE: The Woman in White
TRADUTTORE: Fedora Dei
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Mammut Gold
PAGINE: 360
VOTO: 4 stelline
TRADUTTORE: Fedora Dei
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Mammut Gold
PAGINE: 360
VOTO: 4 stelline
“La donna in bianco” è uno dei primi esempi
letterari di detective novel, ossia di romanzo incentrato su un mistero o un
delitto che viene risolto attraverso accurate ed audaci indagini da un
personaggio non sempre collegato al mondo della polizia ordinaria, spesso si
tratta anzi di investigatori dilettati o persone comuni che si trovano loro
malgrado coinvolte in un crimine.
Per la prima volta compaiono espressioni
tipiche del gergo poliziesco, come indagine, indizi e sospetti, inoltre il
protagonista si impegna in dei veri e propri interrogatori con vari personaggi
e formula delle ipotesi basate sull’osservazione diretta dell’ambiente
«[...] mi venne fatto di osservare
il basamento della grande croce bianca, dal lato dove c’era l’iscrizione… Vi si
notava, fatto abbastanza curioso, una larga zona ripulita di fresco, proprio
nel bel mezzo. [...] Avevo deciso di ritornare al cimitero sul far della sera:
se la mia ipotesi era quella giusta avrei sorpreso all’opera la persona che si
era sobbarcata l’incarico di ripulire quel particolare monumento funebre.»
Scritta nel 1859 e pubblicata a puntate,
com’era in uso per molti romanzi dell’epoca, questa è indubbiamente una delle
opere più note di William “Wilkie” Collins. Con questo volume viene “inventata”
anche la sensation novel, ossia il genere basato sulla capacità dell’autore di
creare un’atmosfera di tensione continua e crescente, e vengono inoltre inseriti
diversi riferimenti alle sue esperienze personali: sono presenti personaggi di
origine italiana e scene ambientate in Francia, entrambi Paesi nei quali
l’autore viaggiò di frequente durante la giovinezza,
«L’Italia è indubbiamente il paese
più affascinante che ci sia al mondo e Laura vi troverà i più svariati motivi
di distrazione e di interesse, [...]»
ma anche diversi
avvocati ed elementi collegati alla giurisprudenza, campo dei suoi studi
universitari, seppur mai diventato la sua professione.
Amico e collaboratore di Charles Dickens, in
questa narrazione Collins si avvicina idealmente ad altri autori: per
ambientazione e personaggi mi ha ricordato Jane Austen, nello specifico
“L’abbazia di Northanger” (QUI la recensione), mentre le indagini svolte dal
protagonista posso benissimo aver gettato le basi per quelle del detective di
Arthur Conan Doyle, Sherlock Holmes.
Il romanzo presenta una struttura molto
originale, risultando in sostanza una sorta di memoir redatto dal protagonista
unendo le trascrizioni delle sue esperienze alle testimonianze degli altri
personaggi, in forma di deposizioni, diari o certificati ufficiali. Un plauso
va alla bravura di Collins nel saper intrecciare abilmente i vari registri
narrativi e dar voce di volta in volta ai diversi personaggi in modo
assolutamente credibile.
La storia prende l’avvio quando al maestro di
disegno Walter Hartright viene offerta la possibilità di insegnare alle giovani
nipoti di un ricco possidente, tale Mr Fairlie; la sera stessa, il protagonista
incontra in modo fortuito anche la misteriosa donna in bianco che dà il titolo
al romanzo, portatrice di oscuri presagi proprio sul nuovo lavoro di Walter. Da
questo spunto iniziale si sviluppa una trama davvero complessa e ricca di colpi
di scena, dove il personaggio di Walter viene di frequente accantonato per dar
spazio alle altre storie, espediente che però impedisce al lettore di
affezionarsi al protagonista.
In generale nessuno dei personaggi di
dimostra particolarmente incisivo, anzi alcuni sono decisamente snervanti come
Laura, ma mi sento comunque in dovere di citare tra i miei favoriti la
determinata Miss Halcombe, unico personaggio femminile che tenta di ottenere un
ruolo che sia paritario, anche durante le indagini, pur non riuscendo sempre
nell’intento,
«Doveva esserci un motivo preciso,
per tanta confidenzialità. Il conte non faceva mai nulla senza uno scopo...
Al momento non potevo perdermi in
queste congetture, perciò scacciai il pensiero e mi interessai soltanto alla
contessa che stava facendo i suoi soliti interminabili giri attorno alla vasca
dei pesci rossi.»
e l’ambiguo conte
Fosco la cui astuzia gli è valsa la mia simpatia a dispetto del ruolo da
antagonista.
Per quanto riguarda i personaggi secondari,
alcuni sono puramente macchiettistici e mi hanno ricordato ancora una volta la
Austen; ad esempio la placida governante, Mrs Vesey
«C’è chi attraversa la vita correndo
e chi va a passo lento. Mrs Vesey, nella vita, ci stava seduta!»
o anche Frederick
Fairlie, sempre preoccupato per i suoi poveri nervi
«Il giorno del mio [di Mr Gilmore]
arrivo non ebbi il piacere di esser ricevuto da Mr Fairlie. Da anni egli era, o
credeva di essere, un povero invalido cui non era possibile intrattenere
facilmente dei visitatori, specie per colloqui d’affari.»
Oltre al senso di distanza rispetto ai
personaggi, gli altri elementi che non mi hanno convinta del tutto sono il
finale che risolve le varie problematiche in modo troppo fortuito e le
spiegazioni eccessive dei vari misteri: molte risposte erano davvero facili da
intuire per il lettore, non era affatto necessario specificare tutto più volte.
Nessun commento:
Posta un commento