Senza colpa non può esserci assoluzione
Recensione a "L'uomo che voleva essere colpevole" di Henrik Stangerup
TITOLO: L'uomo che voleva essere colpevole
AUTORE: Henrik Stangerup
TITOLO ORIGINALE: Manden der ville væres skyldigTRADUTTORE: Anna Cambieri
EDITORE: Iperborea
COLLANA: Luci
PAGINE: 170
VOTO: 4 stelline e mezza
“L’uomo che voleva essere colpevole” è uno dei romanzi più noti
dell’autore danese Henrik Stangerup; scritto agli inizi degli anni Settanta,
questo volume arrivò nelle librerie italiane solo nel 1990, anno in cui l’opera
fu portata sul grande schermo dal film omonimo di Ole Ross.
La storia è
ambientata in Danimarca, o meglio in una sua possibile versione futura in cui il
governo ha gradualmente imposto alcune leggi atte a limitare le libertà
individuali in nome del bene comune. Ci sono alcune norme “tipiche” dei romanzi
distopici, come quelle contro la libertà di stampa, mentre altre sono invece particolari
di questo mondo e si focalizzano principalmente sull’educazione dei bambini:
per poter diventare genitori si devono superare diversi test per dimostrare la
propria idoneità, d’altro canto chi ha già dei figli può vederseli sottratti da
un momento all’altro se lo Stato -nelle persone dei cosiddetti Assistenti- non
lo ritiene un individuo economicamente e mentalmente stabile.
Com’è evidente queste leggi di base non
sembrano totalmente sbagliate,
«Le proposte erano semplicemente
studiate per il bene dei bambini: non desideravano forse tutti vedere intorno a
sé bambini felici e senza angosce?»
ma
vanno pian piano a limitare sempre più il numero di persone alle quali viene
permesso di diventare genitori.
In questo contesto di tensione continua si
apre la storia di Torben, ex scrittore di successo ora costretto a ripiegare su
un lavoro impiegatizio
«Torben fu costretto ad accettare un
lavoro a mezza giornata all'INRL (Istituto Nazione per la Razionalizzazione
della Lingua). [...] Un lavoro deprimente che consisteva nel far di tutto per
impoverire la lingua e che lo metteva appena in condizione di vivere senza
debiti.»
che
per molti aspetti ricorda quello Winston Smith, protagonista di “1984” (QUI la
recensione), seppur in questo caso non si tratti tanto di cancellare delle
parole dal linguaggio comune quanto di edulcorare delle espressioni dalla
connotazione negativa,
«Questa semplificazione del
linguaggio era appunto il compito principale dell'INRL, [...] tutte le parole
sarebbero state suddivise in due soli gruppi: parole positive e parole
negative.»
alla
fine il risultato è comunque analogo a quello del mondo immaginato da Orwell:
libri, vocabolari e quotidiani vengono ristampati per adattarsi alle modifiche,
che sono così subito recepite dalla popolazione.
Torben non riesce però ad adeguarsi a questa
società caratterizzata da programmi TV vuoti, romanzi sempre uguali e cittadini
stipati in super condomini di cemento, e quando realizza che la moglie Edith si
è invece perfettamente integrata la uccide brutalmente. Lo Stato non può però
riconoscere la sua colpa, impegnato com’è a cancellare il concetto di
egocentrismo dalle menti, ed ecco quindi che l’omicidio si trasforma prima in
un mancato adattamento sociale e poi in un banale incidente.
Il protagonista è deciso a far ammettere allo
Stato l’esistenza del suo crimine, perché senza la colpa non ci può essere
neppure il perdono, che nel suo caso vorrebbe dire poter riottenere
l’affidamento dal figlio Jesper.
I punti deboli di questo romanzo si possono
riscontrare nella trama troppo scarna, seppur con un ottimo finale, ma
soprattutto nei coprotagonisti che ripresentano sempre uno schema fisso: in un
primo momento sembrano avere idee contrarie a quelle imposte dalla società, poi
non osano far nulla di concreto contro di essa.
Cover danese |
«Lo psichiatra era noto anche fuori
dalla sua cerchia, per i suoi studi e articoli sulla letteratura danese, un
interesse a volte criticato dai colleghi, che ritenevano che avrebbe fatto
meglio a limitarsi a pubblicazioni specializzate.»
Come
detto, questo governo parte da dei principi all’apparenza giusti e
condivisibili
«Lo stato non aveva forse per motto:
“Il bene comune
dalla Culla alla Tomba”?
E allora perché nessuno era felice? E cos'era poi la felicità? Nessuno lo
sapeva.»
che
però trasformano in pochi anni la società, con la presenza sempre incombente
degli Assistenti nelle super comunità e le loro attività AA (Anti-Aggressività),
come la corsa dell’odio che richiama ancora una volta a “1984” dov’erano
presenti invece i due minuti d’odio sempre atti a svuotare i cittadini dai
sentimenti negativi.
Stangerup immagina anche uno Stato dove la
popolazione ha perso ogni interesse nei confronti della democrazia diretta
«Eppure sembrava che ogni passo
nella direzione giusta ne determinasse molti in quella sbagliata. A che serviva
il diritto di voto a diciott'anni e poi a sedici se a nessuno importava di
votare?»
come
afferma anche Torben, quando pensa al direttore del Reparto Rilascio e Ritiro
delle Tessere Mammaepapà
«Se ancora votava alle elezioni era
sicuramente per il centrosinistra o i radicali, ma con ogni probabilità, come
quasi tutti del resto, non credeva più che mettere una croce su un simbolo ogni
quattro anni avesse il benché minimo significato.»
Oltre alla distopia, mi ha colpito molto
anche lo stile dal ritmo molto rapido, che può dare la stessa sensazione di
angoscia provato con “Cecità” di José Saramango (QUI la recensione), e dalla
narrazione zeppa di interrogative, rimando evidente alla filosofia di
Kierkegaard come lo sono pure il concetto di colpa e i riferimenti
all’estetismo.
Nessun commento:
Posta un commento