mercoledì 31 luglio 2019

Wrap-Up - Letture di luglio 2019

Wrap-Up - Letture di luglio 2019


Caratterizzate da ambientazioni fantastiche o surreali, le tante letture di questo mese mi hanno generalmente intrattenuto positivamente, ma purtroppo nessuna si è meritata il massimo dei voti.

Il primo libro letto a luglio è stato “The Fate of the Tearling” di Erika Johansen. Avendo così concluso questa trilogia, ho deciso di scriverne un commento dettagliato e con spoiler per la rubrica Lettura d'Insieme, che potete leggere QUI. Valutando questo volume in modo individuale, posso dire che ripresenta molti dei difetti riscontrati negli altri capitoli, aggiungendone purtroppo di nuovi.
Innanzitutto, sebbene la storia riprenda precisamente dal finale di “The Invasion of the Tearling” (ne parlo QUI), all'inizio l'autrice piazza un prologo del tutto sconclusionato che si rivela essere un enorme infodump. Tra una contraddizione e un no sense, la trama scorre comunque abbastanza bene fino all'ultima parte, quando l'autrice piazza una conclusione a dir poco forzata che non solo non da risposta a molte domande, ma anzi cancella del tutto il percorso fatto dai personaggi in tre volumi!
Alcune scelte narrative sfiorano poi il ridicolo, come gli eventi collegati al Nido -prima temutissimo e segreto, ora noto a tutti e facilmente debellabile- o il passo indietro quando Javel assiste all'arrivo di Kelsea a Demesne, mentre poco prima veniva detto che lei era già rinchiusa nelle segrete. Non ho apprezzato troppo neanche gli spunti presi da altri franchisee di successo, come il personaggio di Aisa copiato da Arya Stark, i bambini vampirizzati di The Strain o il dialogo tra William e una Kelsea in punto di morte... chi ha detto Silente ed Harry?
Per quanto riguarda l'edizione, dovrei poi fare le mie scuse a Matteo Strukul, che incolpavo per i refusi dei primi due libri; qui ci sono due nuovi revisori, ma gli errori non mancano di certo soprattutto nei nomi propri dei personaggi, per non parlare delle ripetizioni, sia dei concetti (colpa dell'autrice) sia delle singole parole (colpa del traduttore).
Il mio voto è di due stelline e mezza.

La seconda lettura del mese è stato “L’uomo che voleva essere colpevole” di Henrik Stangerup, una storia ambientata in un futuro distopico seppur non prepotentemente totalitario, dove le persone si vedono alienate anche delle loro colpe individuali e dove la scienza viene considerata una soluzione valida ai problemi morali.
Potete leggere la mia recensione completa QUI, ma già vi anticipo che ho valutato questo romanzo con quattro stelline e mezza.

Sono poi passata ad una lettura in inglese, iniziando tra l’altro una nuova serie, con “Who Could That Be at This Hour?” di Lemony Snicket l’autore -o come lui stesso si definisce, “colpevole”- di Una serie di sfortunati eventi.
Nella tetralogia All the Wrong Questions torniamo nel mondo già conosciuto con le avventure degli orfani Baudelaire, ma parecchi anni prima e con lo stesso Lemony come protagonista; lo vediamo dodicenne iniziare l'apprendistato nei VFD (solo VF nelle edizioni italiane) sotto la guida decisamente migliorabile della chaperone S. Theodora Markson.
Il primo incarico poterà Snicket lontano dalla città, nella località morente di Stain'd-by-the-Sea, dove dovrà indagare su una misteriosa statua che potrebbe essere o non essere stata rubata.
Ci sono varie motivazioni che mi hanno convinto ad iniziare questa serie, e sono le stesse ragioni che mi spingono a consigliarla anche a voi: innanzitutto si tratta di romanzi a target middle-grade, quindi con un livello di inglese assolutamente affrontabile, inoltre ci sono diverse illustrazioni che possono aiutare nella comprensione del testo e lo stesso autore spesso spiega il significato delle parole più inusuali; in secondo luogo, sebbene la Salani abbia iniziato al pubblicazione della tetralogia, in Italia sono arrivati soltanto i primi due libri e per poter leggere tutta la storia avrei comunque dovuto prendere gli altri in lingua; infine, per chi come me ha amato la serie originale, qui ci sono parecchi riferimenti ad essa, come versioni più giovani di personaggi che già conosciamo o spiegazioni di alcuni misteri rimasti irrisolti.

Continuando con la mia TBR, ho letto “Lui è tornato” di Timur Vermes, romanzo che si basa sull'ipotetica ricomparsa di Adolf Hitler nella Germania dei giorni nostri. Per questo titolo ho scritto una recensione esaustiva che potete trovare QUI, mentre posso dire da subito che la mia valutazione è stata di quattro stelline.

Con la lettura successiva ho concluso un'altra serie, in particolare la trilogia ideale -o ciclo compiuto, come lo definisce lo stesso autore- I nostri antenati di Italo Calvino. “Il cavaliere inesistente” è un racconto che pesca a piene mani dal tradizionale ciclo carolingio, riprendendo anche personaggi molto noti come Orlando ed Astolfo, i quali rimangono comunque poco più di comparse.
La storia si concentra invece sul nobile cavaliere Agilulfo, che non esiste sul piano della tangibilità ma solo in virtù della sua mera volontà, e riesce in questo modo a muovere un’armatura sempre immacolata. Per poter dimostrare la bontà dei suoi innumerevoli titoli, il cavaliere è costretto ad affrontare un lungo viaggio tra Europa e Nord Africa, sempre attorniato da una folta schiera di personaggi dalle storie al limite del reale.
Confrontato con agli altri romanzi della trilogia, questo è indubbiamente il più divertente con delle scene surreali, come quando il giovane Rambaldo si presenta presso un apposito ufficio per poter far richiesta di un duello contro un moro al fine di riparare l’onore della sua famiglia. Il tema centrale del libro è però la ricerca della propria identità, ricerca che impegna non soltanto l’inesistente Agilulfo ma tutti gli altri personaggi principali, dal sempliciotto Gurdulù -promosso per dispetto da Carlomagno a scudiero di Agilulfo- agli abitanti della Curvaldia, che riescono infine a prendere coscienza di sé ed a instaurare una sorta di repubblica dove prima il dominio dei nobili era incontestabile.
Il mio voto è di quattro stelline e mezza.

La scelta della lettura successiva non è stata per nulla facile perché, sebbene avessi in libreria un paio dei suoi libri, questa autrice mi aveva deluso parecchio un paio d'anni fa con “La sposa dell’inquisitore” (QUI la recensione); ho voluto comunque dare una seconda chance a Jeanne Kalogridis e leggere “Il labirinto delle streghe”, altro romanzo storico che mescola però parecchi elementi fantastici.
La trama segue la storia di Sybille dal racconto che lei stessa fa della sua vita al monaco Michel; accusata di stregoneria, per la giovane donna è già pronta una condanna a morte, ma lei è comunque determinata a raccontare la sua versione di quanto accaduto dal giorno della sua nascita, e soprattutto della lotta tra la sua Razza e il Nemico che la vuol tenere separata dal suo Amore.
Mi rendo conto di non essere in grado di riassumere decentemente la sinossi, ma in questo libro la confusione regna sovrana: vengono mescolati assieme elementi New Age che rimandano alla Wicca, riferimenti religiosi dell'Ebraismo e del Cristianesimo e l'esoterismo dei Cavalieri Templari. Come se non bastasse, non è mai ben chiarito se la magia in questo romanzo sia reale o meno, perché ad esclusione di chi la pratica essa ha ripercussioni quasi nulle sul mondo esterno e si parla principalmente di sogni profetici ed amuleti non sempre efficaci. Per non parlare di quando queste visioni servono a giustificare azioni decisamente riprovevoli, come il rapimento di una neonata o lo stupro di una ragazzina incosciente.
Neppure i personaggi mi hanno particolarmente colpita, specie perché sono poco approfonditi e ricalcano delle macchiette collaudate. Non mi sento di salvare neppure la protagonista che si dimostra priva di carattere e sempre in balia degli eventi, con la “scusa” di dover compiere il volere della Dea.
Lo stile della Kalogridis è buono ma del tutto dimenticabile, e mi ha divertito solo per le descrizioni contraddittorie (l'omone... basso?) e la scelta di inserire sempre dei colori accostati (nero-bluastro, rosso-dorato, verde-grigio, ecc.).
Di questo romanzo promuovo però l'accurato lavoro di ricerca per la parte storica; nella descrizione delle malattie del passato e delle battaglie l'autrice da il meglio di sé, scivolando in alcuni casi nello splatter senza un valido motivo.
Ultima nota, l'edizione italiana targata Newton Compton ha stravolto il titolo originale “The Burning Times” (letteralmente, L'epoca dei roghi) in favore di uno del tutto fuori contesto: quelli che in questa storia vengono definiti streghe o stregoni non amano detti appellativi, ma soprattutto non c'è nessunissimo labirinto!
Il mio voto è di due stelline.

In seguito ho iniziato una nuova serie, ossia la Tetralogia di Bartimeus di Jonathan Stroud, con “L'anello di Salomone” anche se fino all'ultimo sono rimasta combattuta se fosse il volume giusto dal quale cominciare: in teoria questo è un prequel alla trilogia originale scritto anni dopo la sua conclusione, ma nel volume unico edito da Salani viene messo all'inizio ed indicato come primo libro.
A conti fatti credo che entrambi gli ordini di lettura possano essere validi, perché la trama è comprensibilissima già da questo libro e non ho trovato nessun riferimento oscuro. La storia vede come protagonista Bartimeus, un jinn abbastanza forte ma soprattutto molto astuto che come molti suoi simili è al servizio di uno dei maghi supremi di Gerusalemme; la città è diventata il punto di convergenza per i più potenti stregoni degli Stati limitrofi in virtù dell’Anello indossato da re Salomone, capace di convocare in un attimo un esercito di spiriti ai suoi comandi.
Sebbene la trama sia uno dei punti deboli del libro a causa della sua prevedibilità, non voglio dire nulla di più per evitare spoiler; anticipo soltanto che il libro vede come coprotagonista Asmira, una guerriera proveniente dalla lontana Saba con la missione di proteggere il suo regno dalla minaccia dell’Anello. Lei è decisamente l’altro punto debole, perché ha una storia personale già letta decine di volte e perché il suo personaggio mantiene un comportamento detestabile per buona parte del volume, così che la svolta finale risulta troppo affrettata.
Ma veniamo agli aspetti positivo del romanzo. Innanzitutto il personaggio di Bartimeus è caratterizzato in modo geniale e assolutamente accattivante, con la giusta miscela di sarcasmo e sagacia: i suoi capitoli POV -gli unici ad essere narrati in prima persona- sono decisamente i più godibili. Un’altra nota positiva è data dall’interessante sistema magico collegato ad oggetti incantati e all’evocazione degli spiriti; promuovo a pieni voti anche la scelta di dare un taglio molto maturo a questo libro per ragazzi, affrontando anche tematiche come la perdita, la lotta spietata per il potere e lo sfruttamento degli schiavi.
Il mio voto è di quattro stelline e mezza.

Mi rimaneva ancora un libro per poter concludere la mia TBR, quindi ho successivamente letto il classico “La donna in bianco” di Wilkie Collins. Per questo romanzo potete leggere QUI la mia recensione completa, mentre già vi anticipo che l’ho valutato con quattro stelline.

Ho poi continuato la serie All the Wrong Questions con “When Did You See Her Last?”, sempre di Lemony Snicket; questo romanzo presenta un nuovo caso per il duo Lemony / Theodora, in particolare l’indagine verte sulla scomparsa di una giovane e talentuosa chimica, unica speranza di poter ridare lustro alla cittadina ormai quasi disabitata di Stain’d-by-the-Sea.
Ben presto diventa chiaro che a questa indagine sono collegati strettamente altri personaggi già incontrati nel primo volume, come il malvagio Hangfire o Ellington Feint, ragazza tanto affascinante quanto indecifrabile. In questo secondo capitolo tornano anche alcuni personaggi secondari che penso ci accompagneranno ormai per tutta la tetralogia, oltre ad altri presi direttamente dalla serie precedente dell’autore.
Ovviamente continuo a consigliare questa opera, che a mio avviso dosa con accortezza riferimenti alla letteratura e al mondo della musica nella trama principalmente investigativa; valuto positivamente anche la scelta di concentrarsi su uno sviluppo verticale della storia, vista la relativa brevità della serie.
Non mi sento di dare un voto convenzionale al volume, ma posso dire che la storia mi sta coinvolgendo molto e i personaggi di Moxie e Kit (seppur “fuori campo”) si stanno dimostrando degli eccellenti esempi di modelli femminili per le lettrici di ogni età.

L’ultima lettura mi ha portato verso un tipo di narrazione che solitamente evito, ossia le short stories. Dopo anni di sosta nella mia libreria ho deciso che era arrivato il momento per “Cari mostri” di Stefano Benni, appunto una raccolta di ben venticinque racconti brevi, in alcuni casi brevissimi.
Si parla principalmente di mostri, ma non (solo) nel senso convenzionale del termine: l’autore cerca di mostrare in chiave parodistica vari aspetti della società attuale che non approva, sostanzialmente punendo i malvagi attraverso le figure dei mostri che si trasformano quindi da creature spaventose ad angeli vendicatori.
Purtroppo non ho apprezzato particolarmente questo libro, soprattutto perché non credo che sia stato chiarito il target di riferimento; alcune delle storie sono fiabesche e sembrano prese da una raccolta per bambini mentre altre sono decisamente mature, piene di blasfemia, volgarità e violenza ai limiti del descrivibile. Insomma, contenuti che potrebbero turbare anche un lettore adulto uniti a dei messaggi perlopiù infantili, come sii gentile verso il tuo prossimo o rispetta l’ambiente che ti circonda.
Di questa raccolta salvo unicamente la critica all’eccessiva sterilità delle relazioni d’oggi, i riferimenti ad alcuni mostri classici della letteratura come Dracula e, aspetto decisamente più superficiale, la suggestiva copertina. Del resto, questo libro non mi ha per nulla spaventato e le uniche risate sono state provocate dalle citazioni alla contemporaneità, perché non credo si possa trovare nulla di divertente in temi seri come la dipendenza da droghe o la pedofilia, se trattati in modo così superficiale.
Il mio voto è di tre stelline.

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