Il maiale cattivo e i tre contadini (sempre cattivi)
Recensione a "La fattoria degli animali" di George Orwell
LA SCHEDA TECNICA
TITOLO: La fattoria degli animali
AUTORE: George Orwell (aka Eric A. Blair)
TITOLO ORIGINALE: Animal Farm
TRADUTTORE: Guido Bulla
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar Moderni
PAGINE: 130
TRADUTTORE: Guido Bulla
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar Moderni
PAGINE: 130
IL COMMENTO
Iniziata con
“Noi” (QUI la recensione) di Zamjatin e la sua società futuristica, in cui
imperava un rigido governo comunista, e continuata con l’utopia fordista de “Il
mondo nuovo” (QUI la recensione) di Huxley, oggi la nostra analisi dei classici
distopici si arricchisce di un nuovo -ed originale- tassello.
Lo si può
vedere come un ritorno alle origini, in quanto anche in questo caso la critica
è rivolta al regime stalinista, ma ne “La fattoria degli animali” Orwell
presenta la sua distopia in una formula del tutto inusitata, trasformandola in
una moderna favola esopica.
Protagonisti
del romanzo sono appunto degli animali dai tratti antropomorfi, in quanto sanno
parlare ed alcuni anche camminare eretti; la storia non ha però nulla a che
spartire con un classico disneyano, sebbene a me abbia ricordato nella parte
iniziale il famoso lungometraggio “La carica del 101”, con il fattore Jones
(novello Crudelia de Mon) messo nel sacco da quelli che ritiene degli ottusi
animali.
La vicenda ha
inizio qualche tempo prima della cacciata di Jones, precisamente una notte in
cui l’anziano e saggio maiale noto con il nome di Maggiore convoca gli altri
animali per illustrare loro il suo utopistico sogno: un mondo in cui tutti gli
animali siano liberi dal giogo dell’uomo e possano lavorare insieme in una
società priva di disuguaglianze. Il Maggiore si dice inoltre certo che prima o
poi questo progetto diverrò realtà e si adopera per insegnare agli astanti
l’inno “Bestie d’Inghilterra”.
Non passa
molto tempo prima che, come accennato pocanzi, l’indolenza di Jones e le scarse
razioni di mangime portino gli animali a volersi ribellare ai padroni umani,
scacciando non solo il signor Jones e la moglie ma anche i suoi dipendenti.
La fattoria
padronale viene quindi rinominata fattoria degli animali e il sogno del
Maggiore sembra davvero prossimo alla realizzazione. Dopo un primo periodo di
prosperità ed armonia però i maiali, acclamati come la specie più intelligente,
assumono il governo della fattoria trasformandola poco alla volta in una loro
attività su cui comandano con pugno di ferro, soprattutto per merito del
braccio armato composto dai cani da guardia.
In questa
brillante satira del totalitarismo sovietico, ogni animale o gruppo di animali
(ad esempio, pecore e galline sono quasi sempre prive di individualità)
rappresenta in modo marcato un personaggio storico o una categoria di individui
protagonisti della Rivoluzione Russa; tra tutti, i personaggi che meglio
evocano e rielaborano le loro controparti storiche sono il cavallo stakanovista
Boxer, il corvo predicatore Mosè con la sua promessa della Montagna di Zucchero
Candito ed il maiale Clarinetto, voce della propaganda “animalista”.
Il romanzo può
annoverare tra i suoi personaggi altri contadini, oltre al già fin troppo
citato Jones, personificazioni dei governi degli Stati europei, che in un primo
frangente sono spaventati all’idea che l’”animalismo” si estenda alle loro
fattorie, ma poi ne comprendono i vantaggi grazie ai maiali e stabiliscono con
essi un’alleanza.
E fu proprio l’alleanza
tra Inghilterra ed URSS a creare tanti problemi alla pubblicazione del romanzo.
La narrazione diretta e chiara di Orwell non lascia infatti nessun dubbio su
quale regime sia l’oggetto della sua critica, che i suoi conterranei valutarono
come offensiva specie per l’associazione tra i comunisti ed i maiali.
È necessario
tenere a mente che Orwell non rinnega affatto gli ideali del comunismo bensì la
loro corruzione ad opera di Stalin e dei suoi fedelissimi; ne sono prove
lampanti l’armonia con cui prospera inizialmente la fattoria e le regole che
gli animali si auto impongono sulla base del discorso del Maggiore.
In conclusione, mi sento in dovere di
elogiare l’ottima edizione targata Mondadori, casa editrice che sovente
bistratto, ma non questa volta: la traduzione è resa più completa ed efficace
grazie alle utili nota esplicative; l’introduzione è chiara e serve sicuramente
per fornire al lettore un quadro generale sulla vita dell’autore e, soprattutto,
sulla genesi dell’opera; la prefazione infine risulta ottima per comprendere in
quale situazione versava l’editoria britannica negli anni Quaranta.
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