Il coraggio di perdere
Recensione a "Storia parziale delle cause perse" di Jennifer duBois
TITOLO: Storia parziale delle cause perse
AUTORE: Jennifer duBois
TITOLO ORIGINALE: A Partial History of Lost CausesTRADUTTORE: Silvia Pareschi
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar contemporanea
PAGINE: 400
VOTO: 5 stelline
“Storia
parziale delle cause perse” è un romanzo di narrativa generale che unisce le
storie dei due protagonisti, quella del genio degli scacchi Aleksandr e quella
della studiosa Irina, mantenendo i capitoli alternati; storie che troveranno però
un punto d’incontro nella Russia teoricamente democratica sotto il rigido giogo
di Putin.
Irina è una
trentenne americana affetta dalla corea di Huntington, una patologia ereditata
dal padre; nel romanzo ci sono frequenti riferimenti alla malattia
«[...]ti prego, fammi ammalare di
Aids così posso morire di polmonite, così il mio cervello sarà l’ultima cosa ad
andarsene, così quando morirò sarò io a morire,e non qualcun altro.»
ma
ciò non rendere affatto la narrazione ridondante, perché la duBois riesce a
trovare sempre dei modi diversi per illustrare i sintomi e le conseguenze, sia
per il corpo del malato sia per chi gli sta vicino. In questo aspetto, il
volume mi ha ricordato con prepotenza “Io prima di te” di Jojo Moyes (QUI la
recensione), benché si parli di situazioni diametralmente opposte: infatti, dal
un lato abbiamo Will incapace di muoversi eppure del tutto lucido, mentre
dall’altro il padre di Irina con un corpo in buone condizioni ma una mente
sempre più debole e incapace di trattenere i ricordi.
L’interesse del padre per gli scacchisti
russi convincerà Irina a lasciare una vita placida e sostanzialmente vuota a
Boston e partire per Mosca, dove spera di incontrare l’ex campione Aleksandr e
trovare risposta ad domanda decisiva per chi è affetto da una malattia
terminale, ossia come affrontare una partita impossibile da vincere.
Anche Aleksandr è protagonista di una vita
difficile, trascorsa a barcamenarsi tra la dissidenza e il desiderio ad
un’esistenza normale, e in parte simile a quella del protagonista de “Il
meteorologo” di Olivier Rolin (QUI la recensione). Dotato di una fervida
immaginazione,
«Aleksandr spiegava e spiegava, ma
Ivan, a quanto pareva, non lo ascoltava. Di certo non gli rispose mai.»
giunge
a Leningrado alla fine degli anni Settanta, dove si fa ben presto conoscere per
la sua abilità di scacchista senza per questo cedere alle lusinghe del partito,
aiutando invece un gruppo di giovani ribelli nella diffusione di una rivista
contraria alle direttive del Partito. Lo seguiamo per tutta la sua vita, fino ai
primi anni 2000 con il tentativo di candidarsi alla guida del Paese e,
soprattutto, all’incontro con Irina.
La trama di questo romanzo è ben più ampia e
va esplorata dal lettore senza ulteriori informazioni. Mi sembra comunque utile
sottolineare l’importanza di questa lettura per il suo lato storico; può
sembrare strano parlare di storia vista l’ambientazione, ma sono convinta che
la seconda metà del ventesimo secolo sia purtroppo uno dei periodi meno studiati
nelle scuole italiane proprio perché così vicino a noi.
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Cover canadese |
Al fianco di due protagonisti tanto complessi
ed affascinanti, troviamo dei personaggi descritti con altrettanta cura e tridimensionalità;
in questo cast eterogeneo spiccano Lars, vecchio scacchista e millantatore
seriale, e l’antica fiamma di Aleksandr, Elizaveta. La duBois si spende con energia
anche nella descrizione delle ambientazioni, in particolare delle città russe,
«A Leningrado - nei lunghi viali,
nei sinuosi canali - si poteva trovare speranza del passato per il futuro. A
Mosca il futuro era stato catturato, demolito e piegato al volere del
presente.»
dove
si esprimono al meglio le splendide metafore che riempiono l’intero volume,
rendendolo un susseguirsi di citazioni memorabili.
All’autrice va riconosciuto anche un
apprezzamento per l’enorme lavoro di ricerca che ha sicuramente preceduto la
stesura del romanzo, sia per gli aspetti storici sia per quelli geopolitici.
Particolare anche la scelta di ricorrere a frequenti ripetizioni delle stesse
espressioni o delle singole parole, come “polvere” usata in contesti molto
diversi:
«[...] di quanti mesi avrebbe
impiegato l’esercito sovietico a sottomettere un territorio e un popolo così
incolti e polverosi.»
A dispetto dell’asprezza dei temi trattati,
ho apprezzato moltissimo questa lettura, ma questo non mi ha impedito di
individuare con oggettività un paio di problemi: la decisione di adottare la
narrazione in prima persona nei capitoli di Irina (troppo emotivi) e della
terza persona in quelli di Alexsandr (troppo asettici) è un po’ azzardata e
avrei trovato più adatta una scelta omogenea. L’altro problema riguarda invece
l’edizione italiana, perché le molte parole e frasi russe presenti nel testo,
seppur in gran parte comprensibili, non sono state tradotte e questo può rallentare
a tratti la lettura.
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