«I quattro amici ripeterono a una voce sola la formula di d'Artagnan: "Tutti per uno, uno per tutti"»
Un classico al mese
"I tre moschettieri" di Alexandre Dumas padre
LA SCHEDA TECNICA
TITOLO: I tre moschettieri
AUTORE: Alexandre Dumas padre
TITOLO ORIGINALE: Les Trois Mousquetaires
TRADUTTORE: Giuseppe Aventi
EDITORE: Rizzoli
COLLANA: Grandi classici BUR
PAGINE: 690
VOTO: 4 stelline e mezza
TRADUTTORE: Giuseppe Aventi
EDITORE: Rizzoli
COLLANA: Grandi classici BUR
PAGINE: 690
VOTO: 4 stelline e mezza
"I tre moschettieri" è uno dei
primi esempi di feuilleton, ossia di quello che da questo lato delle Alpi è
conosciuto come il romanzo d'appendice; si tratta di storie caratterizzate da
un netta contrapposizione tra buoni e cattivi, pubblicate ad episodi su alcuni
quotidiani, anziché in un unico volume. Questo aspetto fa sì che la vicenda non
risulti del tutto omogenea, ma si percepisca la volontà dell'autore di
raccontare diverse avventure, collegate dalla presenta degli stessi personaggi
che di volta in volta si trovano a dover svolgere una nuova missione o
affrontare un determinato antagonista.
In piena corrente letteraria romantica, Dumas
scrive una storia contenente molti dei capisaldi del filone, come la marcata
nostalgia nei confronti del mondo cavalleresco medioevale
«"Sfortunatamente non siamo più
ai tempi del grande imperatore [Carlomagno, NdR]. Viviamo nel tempo di
monsignor cardinale [...]."»
dove tutto si poteva
risolvere con un onesto duello, o anche il leggero alone del misticismo che si
palesa -ad esempio- nella scena in cui la regina Anna e il duca di Buckingham
confessano di aver fatto lo stesso sogno. In questa ambientazione storica,
seppur arricchita (o impoverita, a mio modesto parere) da diversi rumours
dell'epoca ai quali Dumas da ciecamente credito,
«"Sì, il signor cardinale, a
quanto sembra, la perseguita e la tormenta [la regina Anna] più che mai. Non
può perdonarle la storia della sarabanda. Sapete la storia della
sarabanda?"»
comincia la storia
dell'aspirante moschettiere D'Artagnan, giovane guascone che negli anni Venti
del Seicento lascia la casa paterna per raggiungere Parigi ed inseguire il suo
sogno; fin dalle prime pagine vediamo delinearsi il suo rapporto di amicizia
con i tre moschettieri del titolo, così come l'antagonismo marcato con il
"misterioso" uomo di Meung e Milady.
Per presentare il suo romanzo, Dumas sfrutta
un escamotage caro -tra gli altri- a Hawthorne ne "La lettera
scarlatta" (QUI la recensione), fingendo di aver ritrovato una sorta di
memoriale del nostro D'Artagnan. Purtroppo l'incredulità del lettore rimane
sospesa decisamente per poco, dal momento che parecchie scene non possono
proprio essere descritte dal punto di vista del protagonista, e neppure
raccontate a lui da terzi.
Un problema che affligge la ricchissima trama
è il voler proseguire in una determinata direzione a prescindere da tutto: ciò
va spesso a sacrificare il realismo del romanzo, sia in termini di balzi
temporali e spaziali inspiegabili sia di personaggi stravolti nella loro
caratterizzazione. Ed è un peccato, visto che proprio i personaggi sono uno
degli aspetti più rilevanti e positivi del titolo.
Ho apprezzato l'evoluzione genuina del
rapporto tra D'Artagnan e i moschettieri, come pure con i loro valletti, seppur
in un primo momento si abbia una sensazione di forzatura. In particolare la
relazione con il fido Planquet risulta bilanciata e molto divertente.
«"Hai paura, Planquet?"
"No, soltanto faccio osservare
al signore che la notte sarà freddissima, che il freddo dà i reumatismi, e che
un valletto reumatizzato diventa un buono a nulla [...]."»
Si nota anche come
Dumas non dipinga i suoi eroi come perfetti: pur essendo dalla parte del
"bene", ci vengono spesso rimarcati i lati peggiori dei loro
caratteri, come la strafottenza nel caso di Buckingham:
«Così, sicuro di se stesso, convinto
del suo potere, certo che le leggi che reggono il comune degli uomini non
potevano valere per lui, egli andava diritto allo scopo che si era prefisso,
[...].»
La mia preferenza va però agli antagonisti,
per la loro maggior sfaccettatura, con la sola eccezione del conte di
Rochefort. Il cardinale si dimostra estremamente abile nell'influenzare
l'opinione altrui, soprattutto quando si tratta di convincere re Luigi XIII
della propria ritrosia nel fare ciò che si era ripromesso fin dal primo
momento:
«"Veramente", disse il
cardinale "per quanto mi ripugni fermare il pensiero sopra un tradimento
simile, la Maestà Vostra mi ci fa pensare [...]."»
E cosa dire di
Milady? non mi aspettavo avrebbe ottenuto così tanto spazio nella narrazione,
diventando quasi una seconda protagonista. Ho ammirato moltissimo la sua
determinazione ed il suo coraggio,
«"Il mio Dio", disse.
"Fanatico insensato che sei. Sono io stessa il mio Dio, io e colui che mi
aiuterà a vendicarmi."»
che mi hanno
ricordato la mia adorata Magdalen da "Senza nome" di Wilkie Collins (QUI
la recensione), soltanto con degli obiettivi meno condivisibili.

«Planchet, due ore prima, era venuto
a chieder da mangiare al suo padrone, il quale gli aveva risposto col
proverbio: "Chi dome pranza". E Planquet pranzava dormendo.
Un uomo entrò, d'aspetto
sempliciotto e che sembrava un borghese. Planchet avrebbe sì voluto sentire la
conversazione, che sarebbe stata come la frutta del suo pranzo,[...].»
volte in alcuni casi
a criticare la società, sia essa accostata al potere temporale del sovrano o a
quello (per nulla) spirituale della Chiesa.
Aspetto meno gradevole è la netta separazione
tra narrazione e dialoghi, che quasi sempre sono dei blocchi continui privi di
indicazioni sui personaggi o l'intonazione; credo che questo potrebbe essere
collegato all'attività di Dumas come drammaturgo, ma ciò non toglie sia
fastidioso e crei confusione.
Ciò che più mi ha deluso è però l'edizione
della Rizzoli, casa editrice generalmente valida per quanto riguarda le sue
edizioni dei classici; in questo caso mi sono trovata con un volume privo di
revisione -lo si nota per i tantissimi errori di battitura come segni grafici
assenti o parole storpiate- e con una traduzione decisamente aggiornabile,
specie quando il povero Patrick, uomo di fiducia di Buckingham, viene
italianizzato senza alcun motivo
«"Chi devo annunciare a
milord?", domandò PATRIZIO.[...]»
seppur per una sola
volta. E pensare che avevo snobbato la mia vecchia edizione Newton Compton e
comprato questa nuova di proposito!
Ciao! Anche io in questa primavera mi sono decisa a leggere un po' di classici ed ho preparato qualche recensione :-) Questo è un titolo che mi attrae un bel po', ma mi manca ancora! Mi sembra una storia forse un po' dispersiva, ma di sicuro avventurosa ed affascinante :-)
RispondiElimina