«Tutto il mondo è un teatro, mia cara ragazza, e qui si conclude una delle nostre scene»
Un classico al mese
"Senza nome" di Wilkie Collins
LA SCHEDA TECNICA
TITOLO: Senza nome
AUTORE: William "Wilkie" Collins
TITOLO ORIGINALE: No Name
TRADUTTORE: Adriana Altavilla
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Mammut Gold
PAGINE: 440
VOTO: 5 stelline
TRADUTTORE: Adriana Altavilla
EDITORE: Newton Compton
COLLANA: I Mammut Gold
PAGINE: 440
VOTO: 5 stelline
"Senza nome" è tra le opere meno
note di Collins, forse proprio perché si discorsa in parte dagli altri titoli
dell'autore britannico. Durante la lettura l'ho più volte confrontato con
"La donna in bianco" (QUI la recensione), constatando la totale
assenza delle atmosfere cupe e a tratti gotiche che pullulavano invece
nell'altro romanzo; anche il genere di riferimento di Collins -la sensation
novel- in questo caso viene ribaltato: nel volume precedente i protagonisti
dovevano venire a capo di un mistero e sbrogliare una rete di complotti abilmente
tesa ai loro danni, mentre qui seguiamo il punto di vista di coloro che tendono
questa rete per raggiungere i propri scopi.
In generale, possiamo dire che in questo
romanzo il mistero venga utilizzato come spunto della trama, e non ne sia il
focus principale.
«[...] la verità nel loro caso, come
in molti altri, rimase sepolta finché la casualità non la fece venire a galla.»
Infatti, il passato
dei coniugi Vanstone viene rivelato già nella prima parte dell'opera e serve
poi da avvio per la vera storia sulla quale l'autore si vuole concentrare.
Il romanzo comincia proponendoci l'idilliaca
vita della famiglia Vanstone, in una serie di situazioni quotidiane che
ricordano quasi "Mansfield Park" di Jane Austen (QUI la recensione);
una lettera arriva però dagli Stati Uniti per gettare un'ombra sulla loro
felicità, e sarà solo la prima avvisaglia di molte future tragedie. In questo,
Collins dimostra un sadismo quasi martiniano (da George R.R. Martin, ndR):
nell'arco di un centinaio di pagine le sorelle Vanstone si ritrovano senza
genitori, cacciate dalla loro stessa casa e private del loro nome.
E mentre la pacata Norah subisce tutto questo
con stoica rassegnazione, Magdalen è decisa a riprendersi quello che sente suo
di diritto, se non legale almeno morale, ricordando a più riprese una Eva Kant
d'altri tempi (riferito al suo passato pre-Diabolik).
«"[...] Avete già patito
abbastanza per noi; è arrivato il momento di imparare a soffrire per conto
nostro. Io ho imparato. E Norah sta imparando".»
Sulla forza e la
determinazione di questa giovane donna ruota l'intera vicenda, che segue i suoi
tentativi per riottenere l'eredità del padre, da spartire con la sorella. Il
legame tra le due rimane per tutta la storia ciò che àncora Magdalen al suo
lato più buono,
«Non farò mai del male al tuo
cuore.»
impedendole così di
spingersi troppo oltre in alcune situazioni decisamente estreme; la
protagonista dimostra infatti una sorprendete caratterizzazione quando la
vediamo vacillare prima di compiere determinati gesti, sempre in bilico tra il
desiderio di vendetta e i ricordi del suo passato felice.
Pilastro della narrazione, Magdalen si
dimostra da subito una figura ben diversa da tante sue omologhe nei libri di
quell'epoca. Perduta la sua ricchezza, si risolve a sfruttare al meglio le
capacità personali, come il talento per la recitazione:
«Ha un’abilità innata nell’imitare i
comportamenti delle persone, che non mi è mai capitato di vedere eguagliata in
una donna; si è esibita in pubblico finché non si è resa conto del proprio
potere e ha capito di aver potenziato al massimo il proprio talento.»
Il suo carattere
emerge al meglio nei confronti con gli altri personaggi, come il capitano
Wragge o la cameriera Louisa, quando usa le parole per dare voce a dei pensieri
decisamente anticonformisti che non mancano di stupire i suoi interlocutori.
Sicuramente degno di nota il suo dialogo con Mrs Lecount, dove la sua
determinazione viene paragonata ad un castello di carte,
«"[...] La sua mano è più ferma
di quel che penso e immagino che deciderà di aggiungerla quell’altra
carta".
"Farà crollare il
castello", disse Mrs Lecount.
"E lo rimetterà di nuovo in
piedi", ribatté Magdalen.»
Gli altri personaggi non sono da meno: se in
"La donna in bianco" mi ero lamentata della monodimensionalità dei
comprimari, qui mi sono felicemente ricreduta perché anche le figure inserite
con intento umoristico risultano dotate di profondità. Il miglior esempio è
sicuramente Mr Clare senior, presentato inizialmente come una macchietta,
«Quando i ragazzi andarono al
college, Mr Clare li salutò con un "arrivederci", e tra sé e sé si
disse: "Grazie a Dio".»
riesce poi a dare
vita ad un paio di momenti toccanti, nei quali tratta Magdalen con affetto
rude, ma quasi paterno.
Devo concedere uno spazio a parte per quello
che è il migliore tra i personaggi secondari: il capitano Wragge. Presentato
come una versione migliorata del conte Fosco, quest'uomo non prova alcuna
vergogna nel definirsi un delinquente, anzi ne fa quasi un vanto,
«"Truffatore non è nient’altro
che una parola di quattro sillabe: t, r, u, f, f, a: truffa; t, o, r, e: tore.
Definizione: un contadino morale, un uomo che ara il campo della fiducia umana.
Io sono quel contadino morale, quell’uomo che ara.»
In paragone al suo
omologo in "La donna in bianco", abbiamo un individuo più carismatico
e capace di bilanciare la sua dedizione alla truffa con dei sentimenti
decisamente umani. Il suo duello a distanza con Mrs Lecount è incredibilmente
emozionante, nonché studiato alla perfezione per tenere il lettore sempre in bilico
perché in qualunque momento un'azione imprevista può capovolgere l'esito della
sfida.
«"Scacco matto a Mr Bygrave [Mrs
Wragge, ndR]!" pensò Mrs Lecount, mentre chiudeva la busta e apponeva
l’indirizzo. "Fine dei giochi, questa è la mossa vincente".»
Strutturato in otto scene divise da degli
intermezzi nei quali la storia continua in forma epistolare, il romanzo è
dotato di una forte componente autobiografica; da un lato abbiamo gli elementi
legali, sempre presenti nell'opera di Collins, dall'altro il tema
dell'illegittimità altrettanto caro all'autore che, proprio come il generoso
Andrew Vanstone visse per trent'anni con la vedova Caroline Graves senza mai
sposarla.
Ho solo lodi per questo titolo? In teoria sì,
dal momento che dopo un inizio un po' lento la storia e i personaggi catturano
anche il lettore più esigente. Purtroppo mi ritrovo con un'edizione targata
Newton Compton particolarmente scomoda e che presenta anche parecchi refusi, ma
se ho perdonato la Garzanti per "Via dalla pazza folla" (QUI la
recensione del romanzo di Thomas Hardy) posso di certo chiudere un occhi anche
adesso.
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