lunedì 30 dicembre 2024

"Delitto in cielo" di Agatha Christie

Delitto in cieloDelitto in cielo by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"Proprio in fondo, al posto n° 2, la testa di Madame Giselle ciondolò, cadendo lievemente in avanti. Chiunque avrebbe pensato che stava dormendo. Invece non era addormentata. Non parlava, non pensava. Madame Giselle era morta..."


MA CHE TENEREZZA LA COPPIA RAZZISTA E GRASSOFOBA!

Quest'anno non sono stata particolarmente produttiva su diversi fronti letterari: ho cominciato pochissime serie, ho scovato più delusioni che capolavori ed ho a malapena raggiunto l'obiettivo della Reading Challenge di Goodreads. Su un proposito però mi posso dire soddisfatta, perché ho continuato con profitto il recupero delle opere della cara Agatha; sono arrivata quasi alla fine con le indagini di Miss Marple, mentre per quanto riguarda le avventure di Poirot sono ancora in alto mare (ci credo, con più di trenta romanzi ed una quantità di racconti!) ma nondimeno andiamo avanti, in questo caso con "Delitto in cielo".

Dopo aver rischiato la vita in "Tragedia in tre atti", il buon Hercule qui mette a repentaglio addirittura la sua fama! L'investigatore si trova infatti a bordo dell'aereo Prometheus sulla tratta Parigi-Londra, quando l'anziana usuraia francese nota con il nome di Madame Giselle viene assassinata e -per una serie di coincidenze ed indizi fuorvianti- i sospetti ricadono su di lui. Toltosi senza sforzo dall'elenco degli indiziati, Poirot è determinato a capire chi abbia cercato di incastralo; il suo non è però l'unico POV del romanzo, dove troviamo anche le prospettive degli altri passeggeri, con tanto di intrighi sentimentali da telenovela.

E già qui posso togliermi un sassolino dalla scarpa, perché non ho mai fatto mistero del mio scarso apprezzamento delle romance imbastite da Christie. Qui sono presenti ben due triangoli, soltanto in minima parte collegati alla trama mystery, nonché del tutto privi di appeal dal momento che l'approfondimento psicologico e relazionale di questi individui è rasente lo zero. In generale, la caratterizzazione non spicca come punto di forza in questa narrazione: dopo una decina di avventure, la personalità di Poirot è ormai consolidata, ma i suoi comprimari fanno parecchia fatica da accattivarsi il lettore.

Come i personaggi, anche le ambientazioni peccano della cura necessaria per renderle più che fondali insignificanti. Pur scegliendo location molto diverse tra loro -dalla cabina di un aereo all'aula di un tribunale inglese, fino alla hall di un hotel parigino- la cara Agatha non si impegna granché nel distinguere l'una dalle altre, e questo toglie parecchia potenza all'elemento atmosferico, che in altri suoi lavori era centrale ed affascinante. Mi sento di includere tra i difetti anche la presenza di alcuni commenti decisamente infelici (senza dubbio figli dell'epoca storica in cui il romanzo è stato scritto) e la poca cura dell'edizione; questo potrebbe non significare nulla se avete una copia diversa, però io ho trovato molto spiacevoli l'assenza dei titoli nei capitoli e della piantina dell'aereo, oltre alla scarsa attenzione complessiva della traduzione.

Ma bando alle delusioni e parliamo degli elementi che funzionano meglio. Come sempre, la personalità di Poirot ha saputo conquistarmi, tanto con le sue bizzarre abitudini quanto con il suo piglio risoluto ed appassionato, verso il giallo da risolvere ma non solo. È stato indubbiamente piacevole ritrovare al suo fianco l'ispettore Japp, una spalla meno ottusa del capitano Hastings e perfino più spiritosa; più in generale, il testo presenta diversi momenti genuinamente divertenti, oltre ad un paio di guizzi stilistici niente male nella prima parte. La presenza dell'uomo di legge inglese non è poi l'unico riferimento agli altri capitoli della serie poirotiana, tutti molto apprezzati dalla sottoscritta.

Come capita quasi sempre nelle opere christieane però, il pregio maggiore del volume è rappresentato dall'intreccio. L'autrice si è dimostrata particolarmente abile, sia nell'assegnare qualche dettaglio sospetto ad ognuno dei passeggeri che nel palesare le sue stesse false piste al momento migliore per stupire il lettore. Lettore che avrebbe comunque tutti gli indizi necessari per seguire l'indagine, ma non può neppure tentare di indovinare l'identità del colpevole perché è del tutto avvinto dal ritmo incalzante della narrazione: le scene si susseguono senza nessun momento morto, fino alla brillante risoluzione finale. Rimane solo da capire perché durante le filippiche di Poirot gli assassini non provino mai a scappare, ma aspettino buoni e tranquilli di essere smascherati.

View all my reviews

martedì 24 dicembre 2024

"Il cuore di Derfel" di Bernard Cornwell

Il cuore di DerfelIl cuore di Derfel by Bernard Cornwell
My rating: 3 of 5 stars

"Quanto sangue ha inzuppato la nostra terra a causa della gelosia! Ma poi, quando giungiamo alla fine della vita, che importanza ha? Diventiamo vecchi e i giovani ci guardano e non capiscono che un tempo, per amore, abbiamo messo a soqquadro regni interi"


PIÙ PUTTANE A PAROLE CHE NEI FATTI

La lettura de "Il cuore di Derfel" mi ha dato l'ennesima conferma (nel caso ne avessi ancora bisogno!) che lasciar trascorrere tanto tempo tra un volume e l'altro di una serie è una pessima idea. Per fortuna nelle prime pagine viene fornito un utile riassunto degli avvenimenti principali ne "Il re d'inverno", che mi spinge a dare del credito all'edizione italiana, nonostante la maniera indecente con cui hanno pasticciato spezzettando senza vergogna i tre libri originali. Questo romanzo è composto infatti dalle ultime due parti di "The Winter King", alle quali viene aggiunta la prima di "Enemy of God", incidendo ovviamente sul ritmo e sulla tensione.

La narrazione riprende con il ritorno del narratore Derfel Cadarn in Dumnonia, dove si prepara la guerra tra Artù e Gorfyddyd, scatenata sulla carta dall'onta patita dalla figlia di quest'ultimo Ceinwyn, ma che in realtà è il sintomo di una lotta intestina tra i vari sovrani per il controllo della Britannia. Nel mentre, il protagonista si impegna nel salvataggio della sacerdotessa Nimue imprigionata sull'Isola dei Morti e ritrova Merlino, ancora alla ricerca dei tredici artefatti magici detti Tesori della Britannia necessari per riportare in auge il culto degli dèi, scacciando sassoni e cristiani dall'isola.

Tutte le vicende sono ancora una volta veicolate attraverso le parole del Derfel anziano, ormai diventato un monaco cristiano del Powis; la sua voce narrante puntuale ed ironica è sicuramente uno degli aspetti più riusciti della serie. Infatti lo stile di Cornwell risulta molto piacevole e riesce ad intrattenere senza sforzo il lettore; e questo nonostante l'accuratezza storica del contesto, che dovrebbe in teoria appesantire la prosa. In alcune scene sono presenti perfino degli spazzi di umorismo, in gran parte merito di Merlino e Galahad, personaggi che spero continuino ad avere un ruolo centrale nella serie.

Parlando di personaggi apprezzabili, non posso che citare Nimue e Ceinwyn; la prima già mi aveva colpito in positivo nel primo romanzo e qui si è confermata essere una figura estremamente intrigante nella sua ambiguità, mentre sulla seconda il caro Bernard ha fatto un ottimo lavoro verso il finale per darle parecchia autonomia e rilevanza senza arrivare a stravolgere la caratterizzazione sua e di chi interagisce con lei. Tra i pregi del volume si conferma l'intelligente utilizzo del foreshadowing -che pur anticipando una quantità di informazioni, non fa diminuire la curiosità del lettore-, ma voglio includere anche l'elemento soprannaturale; non si tratta di un sistema magico vero e proprio, quanto più di una commistione tra la credulità dei personaggi e l'astuzia dei druidi, che ho trovato perfetta per l'ambientazione.

L'edizione nostrana si pone invece a metà strada, tra gli elementi più validi e quelli... meno piacevoli. Se da un lato la cura grafica e contenutistica si mantiene davvero alta (specie se messa a confronto con certi costosissimi abomini pubblicati di recente!), dall'altro la scelta di suddividere la serie mostra qui tutti i suoi svantaggi. In particolare, troviamo un climax significativo a metà volume dato dalla conclusione di "The Winter King", che cozza nettamente con il ben più debole finale; anche a livello di ritmo e coinvolgimento le ripercussioni sono negative, seppur l'esperienza di lettura rimanga abbastanza gradevole nel suo insieme.

Passando agli aspetti negativi in toto, mi sento di menzionare l'eccessiva semplicità con cui vengono risolte diverse problematiche: a livello relazionale ma anche militare, ci sono dinamiche estremamente squilibrate che trovano poi delle soluzioni fin troppo facili. L'esempio principe è dato dalla battaglia nella Valle di Lugg, che in un primo momento sembra un'inevitabile disfatta per le forze fedeli ad Artù, eppure si trasforma nella sua più celebre vittoria in poche pagine. Anche la componente romance -molto più rilevante rispetto al libro precedente- non mi ha convinto appieno, un po' per il cambio repentino di interesse amoroso da parte di Derfel, un po' perché non vengono mostrate interazione sufficienti a giustificare il legame che si forma tra loro.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

View all my reviews

venerdì 20 dicembre 2024

"Storie della tua vita" di Ted Chiang

Storie della tua vitaStorie della tua vita by Ted Chiang
My rating: 3 of 5 stars

"Mettiamo che una certa persona si trovi davanti al Libro delle Ere, una cronaca che riporta per iscritto qualsiasi evento, passato o futuro che sia ... Ne risulta una contraddizione: il Libro delle Ere deve essere giusto, per definizione, eppure per quanto ci sia scritto che una certa persona farà una certa cosa, essa potrà comunque scegliere di fare altrimenti. Come possono conciliarsi questi due aspetti? La risposta più scontata è che non possono. Un libro simile è impossibile a livello logico"


TANTA SCIENCE, POCA FICTION

Delle narrazioni raccolte ad inizio Duemila nell'antologia "Storie della nostra vita" avevo sentito spesso tessere le lodi da altri lettori, specialmente di lingua inglese. Purtroppo per parecchio tempo questo titolo è stato introvabile in edizione italiana, quindi quando è tornato misteriosamente disponibile come remainder alcuni mesi fa mi sono fiondata a recuperarlo, piena di genuina curiosità. E non sapendo bene in cosa mi stessi imbarcando.

In questa raccolta, Chiang ha riunito sette storie pubblicate originariamente tra gli anni Novanta e gli albori del nuovo millennio, aggiungendo in coda un testo inedito. Storie molto diverse tra loro per forma e contenuto, ma associate dall'idea di immaginare come si potrebbero sviluppare delle ipotesi teoriche o come potrebbero influire sulla realtà delle credenze se fossero vere: cosa succederebbe se la Torre di Babele dell'Antico Testamento avesse effettivamente raggiunto la volta celeste? come si comporterebbe una persona trattata con un farmaco che ne potenzia esponenzialmente l'intelligenza? in che modo si potrebbe reagire di fronte ad una totale ed immutabile consapevolezza della propria esistenza?

Queste e molte altre domande fanno da trampolino di lancio ai diversi racconti, promettendo delle letture stimolanti sia da un punto di vista letterario che intellettivo. A dispetto dei tanti pareri entusiasti, non penso che il caro Ted sia riuscito a centrare quest'obiettivo, o almeno non sempre. Ci sono casi nei quali il world building è semplicemente troppo ingombrante per una narrazione tanto breve, come nel caso di "Settantadue lettere"; ci sono poi storie quali "Divisione per zero" dove la componente nozionistica è così predominante da svilire i personaggi ed il lettore stesso: la sensazione di non capire appieno i tecnicismi matematici rende a mio avviso impossibile interessarsi alla vicenda anche su un piano narrativo.

Le spiegazioni che l'autore si degna di fornire sono inoltre poche e troppo rapide, quindi se non le si afferra al volo ci si sente obbligati a rileggere neanche si trattasse di un testo scolastico. E se sperate di ottenere maggiori (e più accessibili) chiarimenti nelle note a fondo volume, dissuadetevi! lì infatti Chiang si limita a raccontare quali avvenimenti o teorie lo hanno ispirato a livello creativo. Su un piano più soggettivo, mi sento di includere tra i punti deboli del volume anche la caratterizzazione dei personaggi -quasi sempre non pervenuta: i protagonisti sembrano solo degli strumenti al servizio della storia, infatti abbondano i comportamenti forzati ed innaturali- e l'eccessiva presenza dell'elemento religioso, che davvero non mi sarei aspettata di trovare in un titolo simile.

In tutta onestà non posso però demolire questa lettura solo perché è per molti versi lontana dai miei gusti. La prosa del caro Ted infatti è promossa senza dubbio: l'ho trovata puntuale e curata, nonché ricca di scelte stilistiche per nulla scontate da un autore che chiaramente punta soprattutto sui concetti. Posso poi affermare con gioia che (una volta tanto!) l'edizione italiana mi ha convinto, con una traduzione davvero ben fatta e scevra da refusi, e non penso sia stato affatto facile considerando il testo di partenza.

Pur restando convinta che un maggiore sviluppo avrebbe giovato all'apprezzamento delle storie, piazzo gli spunti ed i quesiti tra i pregi del volume; è inevitabile per il lettore cominciare a ragionare sulle bizzarre dinamiche messe in scena, chiedendosi quale sarebbe il suo comportamento nei panni di un dato personaggio o quali sviluppi si immagina per una certa realtà. Personalmente ho trovato stimolanti soprattutto i dilemmi etici, come quelli proposti in "Amare ciò che si vede: un documentario", che per merito della sua inaspettata attualità è senza dubbio il racconto più apprezzato dalla sottoscritta. Dovendo segnalare un'ulteriore preferenza, ritengo che anche "L'inferno è l'assenza di Dio" ponga delle ipotesi niente male, oltre ad essere meno ostico grazie alla lontananza dal fattore matematico.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

View all my reviews

venerdì 13 dicembre 2024

"Il regno di cenere" di Sarah J. Maas

Il regno di cenere (Throne of Glass, #7)Il regno di cenere by Sarah J. Maas
My rating: 4 of 5 stars

"Una colonna di fuoco le si levò intorno, sollevandole i capelli. L'onda ruggiva e ruggiva verso di lei, verso l'esercito alle sue spalle ... Nel cuore ardente del mondo. Il castello tremò, questa volta più violentemente. La colonna di fuoco venne risucchiata dentro Aelin. Lei teneva una mano davanti a sé, il pugno chiuso. Come se dovesse fermare l'onda"


REDENZIONE DI VECCHI STRONZI, REDENZIONE DI VECCHI STRONZI OVUNQUE...

Mi sono serviti ben undici mesi, ma alla fine sono riuscita a completare Throne of Glass, vincendo questa gara improba tra il mio stoico livello di sopportazione e le manie di protagonismo di Aelin. Non nego che affrontare l'enciclopedico "Il regno di cenere" sia stata un'impresa, e sarei stupida di scoprire che gli editor tanto ringraziati dalla cara Sarah a fine volume abbiano svolto effettivamente il loro lavoro; però lo reputo un finale coerente con il tono ed i temi evidenziati nel corso della saga. Motivo per cui mi lasciano un po' perplessa le reazioni sbigottite di altri lettori: servono davvero otto libri da 600 pagine l'uno (in media) per capire quale sia l'effettiva qualità di una serie?

Ma torniamo a quest'ultimo capitolo, cercando di evitare spoiler fastidiosi. Ovviamente il focus del romanzo è rappresentato dalla resa dei conti tra le forze riunite da Aelin ed i demoni Valg nei regni settentrionali dell'Erilea. Per arrivare allo scontro definitivo, passiamo però tra una quantità incredibile di POV diversi -tra i quali spicca uno nuovo, quello della piccola Evangeline!- e parecchie sottotrame romantiche. Queste ultime non riescono però a soverchiare la trama principale, che vede inizialmente quattro prospettive distinte: quella della squadra di streghe affiancante da Dorian nella loro missione per reclutare le Crochan, quella delle truppe arrivate dal Continente Meridionale grazie a Chaol, quella del gruppo di salvataggio diretto alla capitale fatata Doranelle e quella dell'esercito ribelle capitanato tra gli altri da Aedion.

E parlando di personaggi, andiamo a vedere quello che è a mio avviso il maggior pregio del libro, e della serie nel suo insieme: le relazioni interpersonali. Salvo poche eccezioni, ritengo che tutte siano state ideate e messe in scena con grande cura, strutturando rapporti solidi e credibili di affetto ma anche di natura conflittuale. Questo porta il lettore ad affezionarsi inevitabilmente ai protagonisti, ed a tal proposito le mie preferenze non sono granché cambiate: continuo ad adorare Lysandra, Elide, Yrene, Manon, più diverse personagge secondarie che a tratti rubano la scena perfino all'egomaniaca Aelin. Tra i maschi (come si diverte ad appellarli l'autrice) promuovo invece Rowan, Chaol e Lorcan, mentre Aedion -dopo essere scivolato decisamente in basso nella mia stima- non ha fatto sforzi sufficienti per recuperare.

Una volta tanto ho un paio di parole gentili anche per gli antagonisti! nulla di veramente rivoluzionario beninteso, ma finalmente in questa saga ho letto del vero impegno a rendere più approfonditi i cattivi di turno, senza però volerli redimere a caso come purtroppo era successo con un altro villain. Per quanto riguarda gli altri pregi del volume, sono grossomodo gli stessi dei capitoli precedenti, ma un'attenzione in più del solito è stata data all'elaborazione dei traumi, creando delle scene introspettive per nulla malvagie. Vorrei dirmi felice anche per altri aspetti come il ruolo giocato dagli dèi, ma ancora una volta mi hanno lascia tiepida: a livello concettuale avevano il potenziale per rendere più interessante il world building, invece a conti fatti sembrano dei burattinai poco lungimiranti che tolgono autonomia ai protagonisti.

A gettare veramente ombra sulla maggior parte del cast è in realtà la stessa Aelin, che la cara Sarah non si accontenta di rendere perfetta in tutto, priva di colpe e carismatica come leader solo sulla carta, ma deve anche farne la causa una quantità di eventi vitali per le sorti degli altri personaggi; l'esempio più palese è la ribellione di Fenrys, che avrebbe avuto più senso se fosse stata collegata alla sorte del gemello, magari. Ho trovato molto frustrante anche la gestione casuale della magia, questa volta ancor più palese e fastidiosa che mai: tutto risulta estremamente facile per i protagonisti, che apprendono nuove doti e battono gli avversari con la stessa rapidità con cui io scoppio a ridere ogni volta che Aelin comincia a parlare di democrazia.

Gli altri elementi più deboli sono riferiti soprattutto alla prosa ed alla (mancata) revisione. Il testo è costellato da scene noiose nella loro ripetitività, specialmente nelle relazioni romantiche che-dopo gli allontanamenti avvenuti ne "L'impero delle tempeste"- si risolvono praticamente tutte con lo stesso escamotage narrativo. Una bella sfoltita sarebbe stata utile anche alle prospettive, perché alcune sono quasi imbarazzanti nella loro inutilità; non mi posso dire una fan neppure delle scene di battaglia scritte da Maas, ma in questo caso avevo aspettative pari a zero quindi poco male. Molto male invece per le chiare manipolazioni con cui l'autrice prova in più punti a far empatizzare con personaggi discutibili e per l'ennesima traduzione lacrimevole. Sì, perché leggere tutti quei superlativi assoluti mi ha fatto piangere dallo sconforto!

View all my reviews

martedì 10 dicembre 2024

"Labirinti" di Franck Thilliez

LabirintiLabirinti by Franck Thilliez
My rating: 4 of 5 stars

"Proseguì, entrò nell'ultima stanza. Anche lì si dispiegava il labirinto. Come un fungo della casa gigante, aveva colonizzato ogni centimetro di muro della stanza. Lysine si sentiva sempre più oppressa nonostante la luce che filtrava dalla finestra lercia. Stava respirando troppo in fretta e faceva troppo rumore"


PIÙ UNA MATRIOSKA CHE UN LABIRINTO

Nel 2023 "Il manoscritto" era riuscito a stupirmi ed intrattenermi, ma questa primavera "C'era due volte" non è stato in grado di replicare la magia del primo libro, per quanto rimanga un titolo apprezzabile sotto diversi aspetti. Per capire se la serie stesse davvero prendendo una brutta china, ho deciso di recuperare entro l'anno "Labirinti", un capitolo conclusivo in cui ritornano con ancor più forza tutti gli elementi caratteristici della trilogia: persone affette da amnesia, ragazzine rapite, bande di criminali sociopatici e forze dell'ordine non proprio competenti.

La prima scena è ambientata all'interno di un ospedale, dov'è stata ricoverata una donna non ancora identificata dopo che le autorità l'hanno trovata sulla scena di un delitto bizzarro. Veniamo subito introdotti alla prospettiva della poliziotta Camille Nijnski, che interroga il dottor Marc Fibonacci a riguardo; l'uomo spiega che la paziente ha perso la memoria, ma non prima di avergli confidato tutto. Per illustrare al meglio gli eventi, si passa alla narrazione alternata di tre storie: quella della giornalista freelance Lysine, della psichiatra elettroipersensibile Véra e dell'adolescente rapita Julie. A queste si aggiungiono poi altre figure femminili, ed ovviamente ritorna anche lo scrittore Caleb Traskman.

Il tutto si delinea all'interno di una struttura narrativa solida e mai noiosa: il rapido passaggio da un POV all'altro potrebbe lasciare frustrati a volte -quando si è in prossimità di una rivelazione importante, ad esempio- ma permette al volume di mantenere un ritmo ed un dinamismo eccellenti. Il lettore viene letteralmente trascinato verso un finale sorprendente ma non incredibile; e lo dico in senso positivo, perché gli indizi nel corso della lettura vengono forniti, quindi per quanto ci si muova in un contesto inusuale i colpi di scena non sono mai campati per aria. Tutto considerato, mi è sembrata una conclusione soddisfacente anche nell'ottica della serie, perché mantiene una nota agrodolce in linea con le vicende raccontate.

Come già accennato, nel volume abbondano i rimandi ai due capitoli precedenti, che per quanto possa sembrare un escamotage paraculo è una decisione autoriale valida e coerente, tesa a tracciare un filo conduttore all'interno della trilogia, elemento che personalmente ho molto apprezzato. Allo stesso modo mi è piaciuta la scelta di presentare ai lettori parecchi quesiti di tipo etico e morale, primo fra tutti la legittimità del delitto con cui si apre la storia, che in un primo momento sembra il risultato del raptus di una squilibrata per poi assumere i contorni di una vendetta forse più che giusta.

La presenza di questi livelli introspettivi è resa possibile grazie all'approfondimento psicologico relativo non tanto ai singoli caratteri quanto ad un'analisi più ampia della mente umana e dei suoi meccanismi. Purtroppo questo svilisce i personaggi, che non vengono caratterizzati in modo adeguato ma rimangono un'incarnazione della loro condizione psicologica, la quale ne influenza la personalità nonché qualunque azione compiano. Sembra un paradosso, ma per quanto la condizione mentale dei personaggi sia attenta e rilevante, non sono riuscita ad individuare carisma o emotività in nessuno di loro, e questo mi ha tenuto distaccata dalle vicende pur reputando intrigante l'intreccio.

Tra i punti a sfavore del romanzo troviamo inoltre l'elemento horror, un po' eccessivo e ridondante a mio avviso: personalmente non mi faccio alcun problema con le scene splatter, però leggerne così tante le priva di rilevanza ed impatto. In modo simile, penso che il caro Franck si sia giocato una buona fetta della tensione a causa della premessa iniziale, perché anticipando la conclusione ha reso impossibile per il lettore preoccuparsi della sorte di alcuni personaggi. Non ho gradito poi le numerose convenienze di trama, sicuramente utili a far progredire la storia, ma al contempo capaci di depotenziarne la credibilità.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

View all my reviews

giovedì 5 dicembre 2024

"Desdemona and the Deep" di C.S.E. Cooney

Desdemona and the DeepDesdemona and the Deep by C.S.E. Cooney
My rating: 3 of 5 stars

"Crowning its sculpted white curls was a towering tangle of antler horns. Tier upon tier burst from its skull like the chandelier in H.H.'s hunting lodge, a great circle of elk, whitetail, and mule deer antlers that dominated the ceiling. It was the Antler Crown"


PIÙ FIABA CHE FANTASY

Ho deciso scientemente di iniziare un'altra storia sulle fatine appena terminata la lettura de "Il principe crudele"? assolutamente no. Eppure eccomi approdata a "Desdemona and the Deep", un romanzo breve dai toni fortemente fiabeschi ispirato al folklore britannico in generale ed al poema "Goblin Market" di Rossetti in particolare. E forse il suo più grosso limite è proprio la brevità del testo: so per certo che l'autrice ha imbastito in seguito una serie di racconti e novelle attorno al mondo fantasy in cui è ambientata questa narrazione, ma avrei preferito di gran lunga una storia corposa e solida seppure singola.

L'universo narrativo immaginato da Cooney si compone di tre realtà poste idealmente l'una sopra l'altra: nel livello più alto troviamo il mondo degli esseri umani detto Athe, quello centrale è occupato dal Valwode delle creature gentili (molto simili ai membri del Piccolo Popolo), mentre l'ultimo livello è abitato dai goblin del regno delle ossa Bana. Questi ultimi sono governati da Erl-Lord Kalos Kantzaros, che tempo addietro ha stretto un patto con Harlan Hunt "H.H." Mannering; secondo questo accordo l'uomo può chiedere qualunque prodigio al re dei Kobolds, fintantoché compensa con una congrua offerta. Quando la figlia Desdemona "Desi" scopre che il padre si è arricchito immolando le vite dei suoi stessi minatori, decide di scendere nel mondi sottostanti per annullare il sacrificio.

Parte così un'avventura fantasy che in realtà a ben poco di avventuroso; la maggior parte del testo è dedicata alle descrizioni dettagliate e fantasiose del world building, che si pone in questo modo come principale pregio del titolo, nella sua compente fantastica ma anche in quella mortale. A differenza del solito ho infatti apprezzato la scelta di creare una realtà alternativa anche per le scene più quotidiane, perché in un testo tanto stringato sarebbe stato impossibile esplorare al meglio le conseguenze della magia nel nostro mondo. Al fianco dell'ambientazione troviamo ovviamente l'estetica, che è molto particolare e ricercata: principalmente gotica, con qualche tocco di grottesco che ben si accosta ad una fiaba oscura.

Così come ho apprezzato un livello mortale più contenuto, mi ha convinto l'utilizzo limitato ma puntuale della magia. Di mio ho già un debole per i patti di stampo faustiano, ma qui troviamo addirittura una versione rovesciata, dove è il diavolo tentatore di turno a volersi svincolare. Anche gli altri elementi fantastici sono interessanti e per nulla scontati: metamorfosi complete, abiti dalle capacità paranormali e rituali onirici rendono il testo -già graziato dai dialoghi estremamente brillanti- intrigante ed immersivo. Con qualche piccola riserva, potremmo includere anche le tematiche tra i punti di favore del volume; non posso dirmi convinta al cento per cento del modo in cui vengono sviluppate (specialmente pensando all'epilogo), ma ho senza dubbio apprezzato la scelta dell'autrice di contestualizzare ed attualizzare temi come l'emancipazione femminile ed i diritti individuali.

La rappresentazione LGBT+ risulta essere un altro elemento in forse, infatti mi è piaciuto vederla presente e soprattutto presente in modo naturale, ma reputo che la cara Claire abbia puntato parecchio sulla quantità e ben poco sull'effettivo approfondimento: non è necessario intavolare un saggio sociologico ogni volta che si mette in scena un personaggio queer, ma neppure far spuntare relazioni poliamorose a casaccio mi sembra una buona idea, soprattutto se l'obiettivo è dimostrare che sono valide e stabili tanto quanto quelle monogame.

Come accennato, la brevità del libro limita molto lo sviluppo dell'intreccio, e la decisione di dare spazio a descrizioni assortire peggiora ancor di più la situazione. La trama risulta così estremamente scarna e semplicistica: tutto ciò che la protagonista riesce a fare è di una facilità imbarazzante, e non dà di certo l'idea di un'avventura vera, quanto piuttosto di un percorso preimpostato sul quale lei si trova catapultata volente o nolente. Il ritmo inoltre è parecchio rapido, e per questo il lettore non ha modo di affezionarsi ai personaggi o di preoccuparsi per le loro problematiche. A farne maggiormente le spese è Desdemona stessa, le cui azioni (quando volontarie) sembrano casuali e sciocche; nel finale l'autrice prova a darle una motivazione più profonda, ma non è sufficiente per cancellare le sue uscite retoriche e la frivolezza generale.

View all my reviews

venerdì 22 novembre 2024

"Il principe crudele" di Holly Black

Il principe crudele (Il Popolo dell'Aria, #1)Il principe crudele by Holly Black
My rating: 2 of 5 stars

"La cosa peggiore è l'espressione assente di Cardan, i suoi occhi spenti come il piombo. È diventato crudele grazie agli insegnamenti di Balekin. È stato lui a educarlo, a istruirlo nei dettagli, a perfezionarne la pratica. Per quanto orribile possa essere Cardan, ora mi rendo conto di come potrebbe diventare e ho veramente paura"


IL PRINCIPE PORA STELLA

Quest'anno non solo ho letto molti meno libri in senso lato, ma sono stata particolarmente improduttiva sul fronte delle serie letterarie. Mi sembrava quindi una buona idea rimediare cominciando Il Popolo dell'Aria, sia per la popolarità di cui gode questa trilogia (a dispetto dei pareri altalenanti) sia perché l'ho lasciata fin troppi anni a stagionare in libreria, perfino per i miei standard! Con la mente priva di informazioni pertinenti ma stipata con più fanart del necessario, ho quindi affrontato "Il principe crudele".

Prima di iniziare la lettura, l'autrice sembra chiederci di fare uno sforzo di immaginazione per accettare il modo alieno di pensare delle creature fatate, che essendo immortali e dotate di poteri magici non possono ovviamente avere gli stessi valori degli umani. Con questa premessa approdiamo al prologo, in cui assistiamo all'omicidio dei genitori della protagonista Jude Duarte da parte dell'essere fatato Madoc -un tempo marito della madre-, che poi porta lei e le sorelle Taryn e Vivienne "Vivi" nella Terra degli Elfi, per occuparsi di loro. Le ragazze crescono così tra i membri del Popolo sull'isola di Insmire, fino a quando la rinuncia al trono del Sommo Re Eldred Greenbriar porta alla luce le animosità tra i suoi figli, l'ultimo dei quali è il tormentatore della stessa Jude, il principe Cardan.

I preamboli da fare sarebbe molti di più in realtà, perché Black introduce una buona quantità di sottotrame più o meno rilevanti, ma diciamo che il fulcro della vicenda è rappresentato dagli intrighi alla corte di Faerie, nella quale troviamo emissari degli altri regni fatati, umani più o meno consenzienti e le spie della Corte delle Ombre. Tra tanti caratteri risulta impossibile non sviluppare delle preferenze, ed io ammetto di essere stata colpita in particolare dall'ambiguo Madoc e da Vivi, per la propensione a preferire il lato mortale della sua esistenza. A conti fatti, tutti i membri del Popolo avrebbero in fondo del potenziale per risultare intrigati, per merito della loro natura così diversa e degli escamotage che devono inventare per sopperire all'incapacità di mentire.

Anche per questo motivo, mi sento di includere tra i pregi il sistema magico, nonostante non sia granché approfondito; vediamo a sprazzi come gli umani siano vulnerabili alle parole ed al cibo fatato, ed assistiamo ad alcune piccole magie di ispirazione folkloristica davvero affascinanti. Questo perché l'estetica in generale è molto curata, e mi riferisco ovviamente alle descrizioni (ad esempio, quelle dei particolari cibi o dei ricchi abiti indossati dai personaggi) ma anche al volume in sé: dalla copertina alle illustrazioni ad inizio capitolo, fino alla stupenda mappa, tutto è gradevole ed in linea con il tema.

Il world building rientra quindi tra i punti a favore del romanzo? non proprio, perché la cara Holly arricchisce il suo mondo con tantissimi esseri bizzarri, senza però fornire alcuna descrizione. Ad esempio, quando Jude incontra un goblin pensa tra sé di non potersi fidare così su due piedi, ma non chiarisce se la ragione della sua titubanza sia la natura dei goblin in generale o la poca fiducia che le ispira questo in particolare. La Terra degli Elfi sembra poi meno magica di quanto ci si potrebbe aspettare, tanto che ci sono molte scene in cui i protagonisti seguono delle lezioni scolastiche come in un teen drama qualunque.

E tutto questo viene mostrato al lettore tramite la voce di Jude, che adotta un lessico estremamente informale e spesso infrange la quarta parete senza alcun motivo; la prosa abbastanza elementare non supporta la narratrice, che in ogni caso non è all'altezza neppure come singolo personaggio. Jude non è brillante, impiega secoli ad elaborare informazioni basilari e nel complesso risulta più confusa che tormentata. Con il resto del cast le cose non vanno meglio: il testo è a dir poco affollato da un gran numero di personaggi, che per ovvie ragioni sono descritti in modo approssimativo, come la famiglia della protagonista che non ha il tempo per essere introdotta perché subito bisogna lasciare spazio ai vari principi o al gruppo dei bulli. Ad uscirne peggio sono Oriana (la matrigna di Jude, da lei odiata perché sì), la sciapa Taryn e Valerian, forse il teppista fatato con le motivazioni meno credibili.

Il medesimo problema riguarda le vicende, che la frettolosa narrazione non concede il tempo di analizzare, in relazione tanto alle regole fantastiche quanto nelle singole svolte; come conseguenza, tutte le azioni compiute dalla protagonista sono di una facilità estrema, ma il lettore non può capire se lei sia fin troppo talentuosa oppure sono le creature fatate ad essere parecchio rintronate e distratte. Non mancano inoltre ripetizioni continue delle frasi dette in precedenza (così Jude ricorda di dover reagire a tono) e scene puramente funzionali, come la festa a corte nei primissimi capitoli.

A questo punto potreste pensare che perlomeno il ritmo renda la lettura godibile. Ma vi sbagliereste! e non solo per la presenza di parecchi dialoghi tronchi. A fare da scoglio è l'edizione italiana, con una delle traduzioni più atroci in cui sia mai incappata; in più punti i refusi rendono realmente ostica la lettura, oltre a far diventare i personaggi ancor più scemi di quanto già non fossero nel testo originale. Sempre più spesso ho la sensazione che la cura nei libri per ragazzi tenda a mancare, quando invece sarebbero proprio le storie sulle quali impegnarsi un po' di più.

View all my reviews

mercoledì 20 novembre 2024

"Gli ospiti paganti" di Sarah Waters

Gli ospiti pagantiGli ospiti paganti by Sarah Waters
My rating: 5 of 5 stars

"Ma la fine, voleva dirle Frances, era impossibile da immaginare. Era come l'idea che si debba invecchiare quando si è ancora legati alla gioventù da un filo robustissimo; come la consapevolezza che si deve morire quando ci si sente pieni di vita fino alla radice dei capelli"


SE MORISSE MIO MARITO... MA DAVVERO!

Adesso ho letto tutti i libri di Waters, e non so proprio se essere felice per aver recuperato l'intera produzione della (forse) mia autrice preferita, oppure disperata perché nel mio futuro -nei miei autunni futuri- non ci saranno più le sue storie. Ammenoché non si decida prima o poi a pubblicarne di nuove, cosa che purtroppo non fa da un intero decennio, ossia dall'uscita in lingua inglese de "Gli ospiti paganti". In diversi aspetti, si tratta di un romanzo simile ai suoi precedenti lavori (per l'ambientazione storica o per la romance queer, ad esempio) eppure risulta molto difficile inquadrarlo, perché tocca elementi parecchio diversi.

Questa volta il periodo scelto dalla cara Sarah è il primo dopoguerra, ma la location rimane la sua amata Londra. Nel quartiere di Camberwell la precaria situazione economica -data dai cattivi investimenti del padre defunto e dalla morte in battaglia dei fratelli- convince Frances Wray e sua madre Emily ad affittare alcune stanze; stanze nelle quali si trasferiscono ad inizio volume Leonard "Len" e Lilian "Lil" Barber, una giovane coppia. Stanca di una routine domestica fatta di piccole economie e tristi uscite con la madre, Frances si fa coinvolgere sempre più nella vita dei ben più vivaci inquilini, subendo in particolare il fascino della bella Lil.

Un intreccio quindi abbastanza lineare e prevedibile, seppur colorato da un paio di svolte per nulla scontate. Nonostante ciò, la trama rimane il tallone d'Achille in questa narrazione, con una prima metà composta soprattutto da semplici episodi domestici ed una seconda in cui l'autrice tenta di dare un guizzo alle vicende senza però pestare abbastanza il piede sul pedale del ritmo, che rimane parecchio fiacco per tutto il volume. L'altro limite del libro si cela nella scelta di mescolare due generi (il romance ed il thriller) molto distanti tra loro; non si tratta di una scelta sbagliata a prescindere, perché le commistioni di storie diverse possono portare a risultati interessanti, Waters non trova però il coraggio di stravolgere l'attitudine dei protagonisti, ed è questo a rendere la miscellanea poco efficacie.

Eppure io mi sono sentita incredibilmente coinvolta nella storia di Frances e Lil: la travolgente prosa della cara Sarah mi ha trasportata all'interno del libro, facendomi avere davvero a cuore le sorti dei personaggi. Una gran parte del merito và sicuramente all'ambientazione, che non solo è inappuntabile dal punto di vista storico -senza per questo sfociare nella pedanteria-, ma risulta anche di vitale importanza per fornire un contesto socioeconomico rilevante e per motivare le azioni degli stessi protagonisti. La Londra dei primi anni Venti non rimane quindi un fondale impersonale delle vicende raccontate ma le influenza direttamente, e l'autrice sottolinea in più passaggi come diverse azioni cruciali siano da imputare tanto all'indole del carattere che le compie quanto alla condizione (dettata dal potere economico, dal genere di appartenenza o perfino dalla mera apparenza fisica) in cui la società lo ha relegato: in un'altra epoca Len sarebbe meno strafottente, Emily meno pedante, Lil meno ritrosa e Frances meno impaurita.

Parlando quindi dei personaggi, non si può che sottolineare come tutti siano scritti con grande attenzione e coerenza; per quanto riguarda le due protagoniste, assistiamo inoltre ad un corposo percorso di crescita personale, costellato da incertezze ed ostacoli reali. Ciò rende estremamente soddisfacente assistere alla loro maturazione, anche in un'ottica relazionale. In realtà, penso che tutti i rapporti descritti nel volume siano validi -perfino quelli maggiormente fatalisti e distruttivi- perché rendono credibile l'evoluzione delle vicende e toccanti le scene più emotive.

Per quanto mi riguarda, ritengo impossibile restare indifferenti di fronte allo stile sempre curato e piacevole di Waters, soprattutto quando arriva a toccare degli argomenti molto rilevanti e delicati, come l'emancipazione, il senso di colpa o l'aborto. In quest'ultimo caso, viene presentata una descrizione parecchio cruda nella sua verosimiglianza, che non escludo possa mettere a disagio il lettore. Allo stesso modo, il finale potrebbe lasciare interdetti dal momento che non fornisce una chiusura definitiva a tutte le sottotrame; non posso però dire che abbia infastidito me, perché l'ho trovato semplicemente perfetto per il tono della storia.

View all my reviews

martedì 12 novembre 2024

"Minaccia dal sottosuolo" di Francesca Pasqualone

Minaccia dal sottosuoloMinaccia dal sottosuolo by Francesca Pasqualone
My rating: 3 of 5 stars

"Man mano che si allontanava da casa, la folla cominciava a sfoltirsi. Le famiglie, imbellettate con gioielli vistosi, pellicce e bastoni d'ebano, immerse nelle luci dei teatri, dei ristoranti alla moda e degli spettacoli di strada, lasciarono il posto a viandanti svelti ... Alla fine, arrivarono i vicinati bui e umidi della periferia, che sapevano del sale del pesce sotto conservazione, di fango e di escrementi"


DES E GINNY: IN DUE S'INDAGA MEGLIO

C'è gente che aspetta soltanto il primo freddo autunnale per appendere dei decori spooky e dare il via alla stagione halloweeniana, e poi ci sono io che non appena canottiere e teli da mare vengono riposti nell'armadio sono pronta a far partire il conto alla rovescia fino al 25 dicembre. E senza dubbio "Minaccia dal sottosuolo" mi ha aiutata ad entrare con un po' di anticipo nel mood giusto, perché a dispetto del titolo non propriamente allegro è una narrazione dalla perfetta atmosfera natalizia, sia nell'ambientazione che nelle sensazioni.

Un anno è passato dall'uscita del primo libro, ed un anno è passato anche nella storia dal momento della risoluzione del mistero legato alla famiglia Taylor. Siamo agli ultimi giorni del 1903 e ritroviamo Desmond "Des" T. Wilder ormai divenuto un celebre detective privato, felice di impegnarsi con passione in questa attività; un simile interesse per il mistero sta al contempo nascendo in sua moglie Guinevere "Ginny". I due trovano ben presto l'occasione di mettere a frutto le rispettive competenze quando il capitano Harry Roberts li mette al corrente di una serie di lettere minatorie inviate al consigliere della Contea di Londra Matthew Morris. I coniugi Wilders sono chiamati a svelare l'identità del mittente, e nel farlo scoprono diversi altri segreti legati alla vita di Morris.

Il primo pregio che balza all'occhio è quindi la strutturazione di un giallo più solido e ricco di svolte rispetto a quello su cui si basava "L'eredità dei Taylor": da amante del genere, mi azzardo a dire che il colpevole non sia troppo difficile da individuare, però il percorso seguito dai protagonisti è più corposo e motivato. Desmond e Guinevere poi funzionano molto bene come squadra, perché hanno dei caratteri che compensano l'uno le lacune dell'altra; ho apprezzato in particolare le scene in cui portano avanti in modo parallelo degli interrogatori, perché l'alternarsi dei loro POV rende davvero interessante seguire l'indagine.

Tra i punti a favore di questo secondo romanzo possiamo poi includere la caratterizzazione dei personaggi, in senso lato. Indubbiamente, il duo protagonista ottiene un focus più sostanzioso, infatti ho apprezzato la loro crescita come singoli individui e come coppia: le scene romantiche o familiari risultano molto piacevoli, forse le migliori dell'intero volume. Anche tra i comprimari c'è qualche figura interessante, che dimostra di andare oltre il mero ruolo assegnatogli nell'intreccio, come il socialista Garland Ross o l'affabile Susan Xu. Infine, ricadono tra i meriti i collegamenti al primo volume, la rappresentazione degli attacchi di panico (nonché delle altre barriere che i protagonisti devono superare) e la maggior definizione data a Desmond nel suo ruolo di detective, sempre più personale e slegata da individui simili, come può essere Sherlock Holmes.

Pur avendo apprezzato grossomodo il contenuto, devo invece includere la forma tra gli aspetti meno riusciti. Un buon esempio di questo sono le tematiche che l'autrice vuole veicolare tramite Desmond e Guinevere, che sono tante e valide, ma all'interno della storia danno l'impressione di essere dei predicozzi o delle lezioncine da impartire a chi legge, tramite i personaggi che ascoltano diligentemente. Più in generale, ho individuato parecchi dialoghi artificiosi e retorici, non solo in contesti formali nei quali un linguaggio simile sarebbe consono; il risultato è straniante, tanto da distrarre l'attenzione del lettore dalla narrazione, perché nessuno -nemmeno nel 1903- partirebbe con delle simili filippiche spontaneamente.

In modo simile, i flashback sembrano mal posizionati nel testo: ce ne sono diversi, e non sempre risultano piazzati nei momenti più adatti per integrarsi alla vicenda nel presente. Magari avrebbe giovato separali in modo più netto, non fosse che al momento della stampa non sono stati inclusi neppure dei segni grafici ad indicare il cambio di prospettiva tra una pagina e l'altra. E non è purtroppo la mia sola lamentela verso l'edizione, infatti sono presenti dei refusi, l'impaginazione andrebbe migliorata (non si può andare alla pagina successiva per stampare solo due righe!), avrei preferito trovare i trigger warning ad inizio volume e la cover... be', diciamo che non vado pazza per l'operato dell'AI in questo settore. La prima copertina, per quanto semplice, era molto più distintiva ed accattivante.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

View all my reviews

giovedì 7 novembre 2024

"Una di famiglia" di Freida McFadden

Una di famigliaUna di famiglia by Freida McFadden
My rating: 3 of 5 stars

"Lavoro a casa dei Winchester solo da sette giorni, ma mi sembra siano trascorsi anni. Anzi, secoli. L'umore di Nina è altalenante e imprevedibile ... Volubile è dire poco. Cecelia, poi, è una ragazzina viziata che non sopporta la mia presenza. Se avessi alternative, me ne andrei. E invece devo rimanere qui"


TANTA POLARIZZAZIONE PER NULLA

Da quando è stato pubblicato in Italia, mi è capitato spessissimo di vedere online la copertina di "Una di famiglia", solitamente in recensioni pronte ad elogiarlo come capolavoro assoluto oppure a demolirlo neanche fosse l'ottava piaga d'Egitto. In tutta onestà, il mio unico pensiero è stato: ecco l'ennesima cover poraccia di Newton Compton! ma come fa un libro presentato in modo così amatoriale ad attirate il pubblico? Ebbene, mi sbagliavo e non poco, perché nonostante sembri proprio la tipica copertina rabberciata di questa particolare CE, si tratta invece del design originale. Ed alla fin fine ho poco da fare la splendida visto che tanto hype ha finito per convincere anche me a recuperare questo chiacchieratissimo romanzo.

La narrazione è divida in due POV ma, essendo il secondo un po' spoileroso, mi concentrerò sul primo; ossia quello di Wilhelmina "Millie" Calloway, una giovane donna che si trova in una situazione economica davvero precaria, tanto da dover vivere nella sua automobile. Per questo motivo, quando Nina Winchester le offre un posto come governante nella ricca dimora in cui vive con il marito Andrew "Andy" e la figlioletta Cecelia "Cece", lei accetta immediatamente. Da subito, Millie capisce che lavorare per i Winchester non sarà affatto semplice, soprattutto per le continue pretese e gli sbalzi d'umore di Nina, la quale sembra fare di tutto per metterla in difficoltà.

La trama ci fornisce già un primo spunto per affrontare i (parecchi) difetti; che comunque non sono così marcati da giustificare i commenti al vetriolo che mi sono capitati sott'occhio. Purtroppo devo giustamente sottolineare la prevedibilità della storia, perché ogni singola svolta è intuibile con decine, se non centinaia di pagine d'anticipo; al massimo si possono fare un paio di previsioni, e solitamente la più deludete è quella giusta. In un genere che poggia soprattutto sui colpi di scena e sull'effetto sorpresa, penso sia un problema molto grave, e la scarsa caratterizzazione dei protagonisti non permette di farsi catturare dalla lettura neppure in virtù del loro carisma.

Se sperate che almeno la prosa possa compensare, dissuadetevi! perché la cara Freida sfoggia uno stile a dir poco elementare, con descrizioni ridotte all'osso, dialoghi privi di profondità e delle voci narranti che si rivolgono in modo diretto al lettore per nessun valido motivo. Voci che comunque, nonostante siano di personaggi del tutto diversi, risultano indistinguibili: per fortuna all'inizio di una parte o di un capitolo viene specificato chi sia a narrare in quel momento! L'ultimo tasto dolente è rappresentato dall'epilogo, nel quale una quantità di eventi fortuiti giungono improvvisamente a sistemare ogni cosa in modo anticlimatico, nonché poco verosimile.

Ci troviamo però di fronte ad un concept non inedito, ma sicuramente con del buon potenziale. Anche una volta terminata la lettura, continuo a pensare che l'idea alla base del volume sia valida; McFadden ha inoltre saputo svilupparla in modo abbastanza credibile: un minimo di sospensione dell'incredulità è richiesta, ma nel complesso ogni quesito proposto all'interno della vicenda ottiene una risposta che mi sento di definire per lo meno plausibile.

In realtà il titolo più popolare della cara Freida non ha tanti altri pregi da poter vantare. Sicuramente il ritmo della narrazione è piacevole e molto incalzante -per merito dell'utilizzo intelligente di capitoli brevi e di una quantità di picchi nella tensione-, inoltre con me l'umorismo dell'autrice ha funzionato: non mi sono propriamente rotolata dalle risate ad ogni pagina, ma ho trovato le battute adeguate al tono ed alle tempistiche della storia. Non sono convintissima che il cozy thriller faccia per me, ma potrei comunque darle una seconda occasione di perorare la sua causa.

View all my reviews

giovedì 31 ottobre 2024

"La donna che visse due volte" di Boileau-Narcejac

La donna che visse due volteLa donna che visse due volte by Boileau-Narcejac
My rating: 4 of 5 stars

"Madeleine non era malata, ma non era neanche del tutto normale. Le piacevano la vita, la folla, i posti movimentati, era allegra ... questo era il suo lato luminoso, solare. Ma c'era anche l'altro lato, quello notturno, misterioso"


MA VOGLIA DI VOLARE (O STRANGOLARE)

Dopo aver completato miracolosamente un'epopea di puntini lunga quasi settecento pagine, non capisco perché il karma debba infierire sulla sottoscritta con un altro libro composto da una quantità indegna di frasi lasciate in sospeso. Per lo meno il celebre titolo del duo composto da Pierre Boileau e Thomas Narcejac è parecchio più compatto rispetto a "La torre dell'alba"! Questo non mi ha impedito di alzare più volte gli occhi al cielo durante la lettura de "La donna che visse due volte", un romanzo con tante qualità, una buona parte delle quali non rientra purtroppo nei miei gusti.

La narrazione ci trasporta inizialmente nella Parigi della strana guerra, con la popolazione francese che affronta in modi molto diversi la minaccia dell'invasione nazista: c'è chi lascia la città in preda al panico e chi continua ad ignorare gli allarmi notturni. È in questo momento storico che si ritrovano due vecchi amici, ovvero l'imprenditore di successo Paul Gévigne e l'ex poliziotto diventato avvocato Roger Flavières; il primo incarica il secondo di avviare un'indagine nei confronti di sua moglie Madeleine, che da qualche tempo si comporta in modo bizzarro. Flavières inizia così a pedinare la donna, scoprendo il suo inspiegabile interesse nei confronti della bisnonna Pauline Lagerlac, e diventandone a sua volta ossessionato.

L'intreccio mystery si può già indovinare da queste poche righe, ma nei fatti lo sviluppo della trama è ben più ampio ed intricato, mescolando con attenzione tocchi di noir, thriller ed horror fino ad arrivare alla rivelazione finale. Una rivelazione che ammetto sia riuscita a stupirmi, nonostante i suoi settant'anni! un po' per merito della poca affidabilità del POV scelto, un po' perché non ho mai avuto l'occasione di vedere l'adattamento diretto da Hitchcock. La narrazione è stata inoltre supportata in maniera efficacie dai suoi protagonisti, a dispetto dei loro caratteri poco definiti.

Tra i pregi del volume posso far poi rientrare l'ambientazione, sia a livello storico (perché i periodi scelti riflettono bene lo stato d'animo dei personaggi in scena) sia nelle descrizioni dei singoli ambienti o paesaggi: il duo Boileau-Narcejac dimostra un vero talento nel delineare delle immagini evocative nella loro semplicità, nonché capaci di adattarsi bene all'atmosfera greve che permea l'intero romanzo. Il senso di disagio provato dal protagonista si estende infatti al lettore, che allo stesso modo non è più certo di quanto ci sia di reale nelle vicende descritte, né quale genere di sentimenti gli trasmetta il comportamento di Flavières.

Per mia preferenza, questo è stato invece un punto non propriamente a favore: la prospettiva del protagonista mi è risultata davvero spiacevole da seguire; inoltre non sono una grande fan delle narrazioni in cui la chiarezza si fa desiderare. E se è vero che l'epilogo fornisce una risposta al mistero in generale, alcuni aspetti specifici continuano a sembrarmi forzati ed approssimativi. Un difetto un po' più soggettivo è individuabile verso il finale, dove sono presenti diversi confronti molto importanti, per i quali non viene fornita poi una conclusione soddisfacente: ho avuto quasi la sensazione di essermi persa delle scene, tanto da dover tornare indietro a controllare e rileggere! In fondo, chi mai passerebbe dal rifiutare le avances di uno sconosciuto al frequentarlo stabilmente da una pagina all'altra?

View all my reviews

venerdì 25 ottobre 2024

"La torre dell'alba" di Sarah J. Maas

La torre dell'alba (Il Trono di Ghiaccio, #6)La torre dell'alba by Sarah J. Maas
My rating: 3 of 5 stars

"La costruzione ... era enorme, sembrava quasi un castello, ma tondeggiante, smussato. Vari edifici la circondavano da tutti i lati, collegati tra loro ai piani più bassi. Il tutto era circondato da mura bianche e impenetrabili, mentre i cancelli di ferro, che componevano l'immagine di una civetta con le ali spiegate, erano aperti"


SGUARDI SEMPRE PIÙ CIARLIERI

Voglio mettere subito in chiaro che, tra tutti i volumi della serie Throne of Glass, "La torre dell'alba" è quello per cui forse provavo meno interesse. In realtà, una volta superato lo scoglio de "Il trono di ghiaccio" e preso confidenza con la prosa di Maas, immaginavo una lettura tutta in discesa per i seguiti; soltanto dopo ho scoperto che mi aspettava un mattone di oltre 600 pagine interamente dedicato alla quest secondaria di Chaol nel Continente Meridionale. Ed in effetti la lettura è stata sfiancante come temevo, seppur la colpa non sia tutta della cara Sarah: sono io quella che ogni due frasi sente la necessità di fermarsi per alzare gli occhi al cielo esasperata.

Come accennato, la narrazione si sposta interamente nel cosiddetto Continente Meridionale, su gran parte del quale governa una sorta di imperatore chiamato khagan, con il quale Chaol e Nesryn sperano di potersi alleare per contrastare l'avanzata di Erawan. Al contempo, l'ex capitano delle guardie di Adarlan chiede l'aiuto dei magici guaritori di Torre Cesme, e questo riporta in scena il personaggio di Yrene Towers, già al centro di una delle novelle prequel. Ben presto i protagonisti si ritrovano coinvolti nelle trame di corte, ed iniziano anche a sospettare di essere stati preceduti dai demoni Valg nella capitale Antica.

Si ritorna quindi al tono dei primi libri, e questo non mi entusiasmava granché: la cara Sarah non si è mai dimostrata troppo portata per trattare intrighi politici e misteri da risolvere, e con il passare del tempo non ho visto migliorie su questo fronte. Inoltre un po' mi dispiaceva che le battaglie e la magia venissero lasciate da parte, ma non mi rendevo conto che il problema sarebbe stato un altro, ovvero la totale assenza di tensione narrativa. Chaol e Nesryn sembrano sapere a loro volta che alla fine il khagan passerà dalla parte dei buoni, e quindi non provano neppure a convincerlo della minaccia rappresentata dai Valg. Da lettori, è logico immaginare che i protagonisti porteranno a casa la vittoria finale, ma raramente ho letto storie in cui suddetti personaggi si impegnassero così poco per un obiettivo che la quarta di copertina stessa definisce «l'ultima speranza per l'Erilea».

Si arriva al punto in cui i caratteri stessi affermano di non avere le idee chiare su cosa stanno facendo in un dato momento, e sperano soltanto ci possano essere dei risvolti positivi. Risvolti che logicamente non mancano, ma ciò rende la struttura della serie stessa ancora più debole; in questo senso le numerose retcon non aiutano! danno anzi l'idea di una storia sistemata in corso d'opera. La narrazione è particolarmente fiacca nei primi capitoli, pieni di name dropping e di spiegoni talmente prolissi e noiosi da rendere quasi impossibile per il lettore seguire il filo dei dialoghi; a quanto parte anche per l'autrice stessa si è trovata a sbadigliare sonoramente, viste le battute insensate e contraddittorie che fa pronunciare ad alcuni personaggi.

Purtroppo lo stile non sopperisce alle mancanze del contenuto. In questo romanzo, i segni distintivi della prosa di Maas mi hanno fatto raggiungere vette di frustrazione sulla quali mai mi sarei avventurata di mia sponte; sono arrivata perfino a chiedermi se per avere l'altra metà delle battute dovessi acquistare un volume a parte! Le frasi lasciate in sospeso non si contano, così come le ridondanti descrizioni dei bellissimi protagonisti e gli inutili dettagli sull'abbigliamento, gli arredi ed il cibo. Presumo che obiettivo fosse creare un'atmosfera distinta rispetto agli altri luoghi della saga, ma si tratta di tentativi davvero fiacchi quando poi si scivola ogni due per tre in locuzioni moderne e stonate.

Una mia lamentela personale riguarda invece il POV di Nesryn, che ho trovato a dir poco soporifero e spesso fuori luogo. Di lei non sappiamo quasi nulla quando inizia il volume, e ben poco arrivati alla fine: essere legati alla propria famiglia e voler combattere contro i Valg a colpi di freccie non sono dei tratti così intriganti. Per lo stesso motivo reputo poco convincente la sua nuova romance (viene chiaramente detto che è stato un instalove!) e tutti i comportamenti pretestuosi che spingono lei e Chaol ad allontanarsi e cercare nuovi interessi amorosi. Non sia mai che un protagonista maasiano rimanga senza partner per più di qualche pagina!

Pretesto a parte, ho apprezzato il conflitto alla base della romance principale, perché ha delle solide basi e non viene portato avanti più del necessario. In realtà, se dovessi valutare questa storia unicamente come un romanzo rosa, potrebbe guadagnare anche una stellina in più perché questo aspetto è trattato con parecchia cura dall'autrice... peccato per la pretesa di imbastirci attorno un'avventura fantasy! Sono tiepidamente convinta anche dalla rappresentazione della disabilità: si degenera prevedibilmente nell'abilismo, ma sul finale la cara Sarah è riuscita fortunatamente a correggere almeno un po' il tiro su questo aspetto.

L'altro pregio più rilevante del volume è rappresentato dalle tematiche attuali -come discriminazione e pregiudizi, superamento di un trauma fisico e psicologico, violenza di genere e femminismo-, che l'autrice tratta adattandole come può al contesto magico. Anche in questo caso, non penso di aver riscontrato dei risultati entusiasmanti (la battuta sulla madre che solleva la carrozza per salvare il figlio, in particolare, mi ha stesa) perché è difficile coniugare ambientazione fantasy e situazioni contemporanee, però l'intento è indubbiamente positivo e fornisce una valida chiusura agli archi narrativi dei personaggi di Chaol ed Yrene.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

View all my reviews

mercoledì 23 ottobre 2024

"Miss Marple al Bertram Hotel" di Agatha Christie

Miss Marple al Bertram HotelMiss Marple al Bertram Hotel by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"Persone anziane, gente all'antica, di mezza età, tutti molto distinti ... Nessuna persona di cattivo gusto, nessuno fuori posto; la maggior parte era lì per godersi un pomeriggio inglese d'altri tempi. Poteva veramente esserci qualcosa che non andava in un luogo che serviva il tè del pomeriggio secondo le più antiche consuetudini?"


SORA IMPICCETTA AL BERTRAM HOTEL

Arrivata ormai alle ultime avventure della sempre affabile zia Jane, pensavo che Christie non sarebbe di certo riuscita a stupirmi con questo personaggio, specie in una storia all'apparenza tanto tradizionale come "Miss Marple al Bertram Hotel". Invece il decimo romanzo della pseudo-serie mette in scena una narrazione insolita per i canoni marpleiani, con un taglio decisamente più poliziesco e senza la struttura del murder mystery classico. Ciononostante, anche in quest'occasione, Miss Marple riesce a rendersi indispensabile per portare avanti le indagini: cosa farebbero a Scotland Yard, senza di lei?

Già dal titolo è chiaro che le storie dei personaggi -per quanto sembrino distanti tra loro- sono collegate dal Bertram Hotel, una struttura d'altri tempi sia per l'arredamento scelto sia per il tipo di clientela: tutto sembra essere cristallizzato all'epoca di Edoardo VII. Qui soggiorna Jane Marple, qualche tempo dopo le vicende narrate in "Miss Marple nei Caraibi", grazie alla generosità del nipote Raymond. Una coincidenza a dir poco fortuita, perché nell'albergo sembrano succedere eventi sospetti che portano perfino all'intervento delle forze dell'ordine, in particolare quando l'anziano canonico Pennyfather scompare nel nulla.

In realtà la narrazione poggia su molti altri spunti (furti diaboliki e ghiotte eredità), che nel corso della lettura possono anche lasciare interdetti perché non se ne coglie facilmente il nesso. Però il finale riesce come sempre a fornire una chiara risposta a tutti i quesiti disseminati nel testo, anche se forse con un paio di forzature che trovano giustificazione parziale nelle informazioni che mancano al lettore e nello spazio insufficiente assegnato allo sviluppo dei personaggi. In questo più che in altri romanzi christieani si sente infatti la mancanza di una caratterizzazione degna, specialmente per le figure di Lady Bess Segdwick e della giovane Elvira Blake, che avrebbero giovato di un maggiore approfondimento.

Del resto non ho grandi critiche da muovere a questo volume, in cui perfino l'edizione italiana non regala scivoloni degni di nota. Al massimo potrei evidenziare l'ennesimo caso di finale affrettato, che pur non lasciando misteri irrisolti, non si impegna eccessivamente per chiudere le sottotrame secondarie: una volta individuato il colpevole, la cara Agatha sembra avere sempre una gran fretta di scivere la parola fine, quindi non c'è tempo per conoscere nei dettagli la sorte del canonico Pennyfather o quali siano le prove scovate da Scotland Yard per incastrare la banda dietro le rapine spettacolari.

Questo non fa allontanare però la trama dalla categoria dei pregi, perché l'intreccio si conferma studiato molto bene nel suo insieme. È anzi estremamente soddisfacente vedere i diversi caratteri in gioco interagire tra loro per capire quali legami li uniscano, e come queste relazioni andranno ad influire sulla storia. I migliori confronti sono senza dubbio quelli tra Miss Marple e l'ispettore capo Fred "papà" Davy, sia quando si scambiano indizi sul mistero principale, sia quando discutono in senso più ampio sull'ineluttabilità del cambiamento o su come una medesima indole viene percepita in modi tanto diversi a seconda dell'epoca storica.

A sostenere questa lettura c'è poi l'ambientazione, quella londinese in generale (la scena nella nebbia raggiunge quasi delle note horror) e quella del Bertram in particolare. L'atmosfera vintage che trasmette la struttura è sottolineata fin dalle prime pagine e si rivela un elemento fondamentale tanto per fornire un contesto solido quanto per la risoluzione effettiva del giallo. Immaginare nei dettagli questo hotel, e la storia dietro ad esso, è a mio avviso una delle migliori idee che l'autrice abbia avuto nella sua produzione più matura.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

View all my reviews

venerdì 18 ottobre 2024

"Demon Copperhead" di Barbara Kingsolver

Demon CopperheadDemon Copperhead by Barbara Kingsolver
My rating: 4 of 5 stars

"Era quella, la vita che mi aspettava? Infilarmi dove la gente non mi voleva? Una volta ero qualcuno e poi ero andato a male, come il latte ... Un pezzetto marcio della torta americana che tutti avrebbero voluto semplicemente far sparire"


I RETELLING NON (MI) HANNO ANCORA STANCATO

Quando tutti sembrano star leggendo un determinato romanzo, quello è proprio il momento in cui la sottoscritta decide di evitarlo. In seguito, le strade percorribili sono due: mi intestardisco nel non voler recuperare il libro in questione mai e poi mai (com'è capitato negli anni con i famosissimi "Eragon", "Il cacciatore di aquiloni" o "I sette mariti di Evelyn Hugo", solo per nominarne alcuni) oppure capitolo dopo aver lasciato scemare l'hype rimanendo quasi sempre delusa dal risultato. Entrambe le alternative non sono il massimo, quindi quando ho ricevuto in regalo una copia di "Demon Copperhead" per il mio ultimo compleanno ho preso la saggia decisione di leggerlo entro la fine di questo poco soddisfacente 2024 letterario.

Ispirandosi per il titolo e non solo al "David Copperfield" di Dickens, Kingsolver racconta la vita di Damon Fields, nato sul finire degli anni Ottanta nella Lee Country in Virginia, da una madre tossicodipendente ed un padre morto diversi mesi prima. Narrato dal protagonista stesso, il romanzo ripercorre la vita del cosiddetto Demon Copperhead, dalla difficile nascita alla troppo breve infanzia, fino ad un'età adulta raggiunta ben prima di aver compiuto diciott'anni. Nel mentre vediamo l'alternarsi di fortune e sciagure, con il desiderio di far parte di una famiglia senza vincoli o date di scadenza sempre sullo sfondo.

Un altro cardine dell'intreccio è la dipendenza da sostanze, analizzata dall'autrice nei giusti tempi e dando ai risvolti più tragici il peso che meritano. La tematica della tossicodipendenza si collega bene agli altri argomenti toccati nel testo -come l'inadeguatezza dei servizi sanitario ed assistenziale, la dispersione scolastica, le disparità sociali- e riesce al tempo stesso a farsi allegoria di quella necessità trascendentale di affetto che caratterizza l'intera esistenza di Demon. Un bisogno che lo porta a compiere gesti tanto eclatanti quanto autodistruttivi, incapace di vedere delle vere alternative al suo declino.

Il tutto è convogliato tramite la prosa curata ed incalzante della cara Barbara, una narratrice capace di donare al lettore delle metafore dalla rara potenza letteraria. Le sue descrizioni genuine e particolareggiate rendono poi l'ambientazione un membro a pieno titolo del cast, permettendo una facile immedesimazione nelle vite dei personaggi. Tra tante esistenze disgraziate, a spiccare è ovviamente la figura di Demon, con la sua voce disinvolta e sagace ci accompagna attraverso dei momenti genuinamente emozionanti, ma privi di quella retorica e di quel patetismo che un po' temevo sarebbero stati presenti.

Una spinta empatica non indifferente verso il protagonista, che si conferma il più grande punto di forza del titolo. A differenza del personaggio dickensiano medio, Demon risulta estremamente sfaccettato sul fronte caratteriale: capace tanto di impegnarsi in risoluzione positive, quanto di cedere alla tentazione delle scorciatoie e di farsi abbindolare dal prossimo. Una personalità molto più adatta ad un contesto contemporaneo -in cui la linea tra giusto e sbagliato non è mai netta-. resa ancor più incisiva dalla sua spigliata ed autocritica voce interiore, che si percepisce con chiarezza nelle sue battutine rivolte ai lettori.

Le stesse lodi non si possono però estendere ad una buona fetta dei comprimari, e penso specialmente ai personaggi adulti. C'è ben poca sottigliezza nella loro caratterizzazione: Mrs Peggot è buona e cara e tale rimane a prescindere da quante disgrazie le capitino, mentre Porta-Qui viene descritto come viscido ed infido sempre, non tenendo in considerazione che per la maggior parte del tempo lui ignora del tutto Demon. Tra i più giovani c'è un maggiore approfondimento, merito del percorso di crescita nel quale li vediamo impegnati; anche così non mancano comunque gli stereotipi indice di pigrizia narrativa, come quello del ragazzo emo-goth autolesionista.

In generale, questo libro non ha tanto degli evidenti difetti, quanto delle mancanze minori: il ritmo non è abbastanza incalzante, i commenti di Demon non sono abbastanza presenti, il comportamento del protagonista non è abbastanza in linea con la sua età anagrafica. La grande assente è però la trama, dal momento che la narrazione si limita ad essere una versione più attuale del romanzo di Dickens, con qualche piccola variazione; sono inoltre presenti diverse svolte all'apparenza molto importanti, ma nei fatti di ben poco conto tanto da venire riprese solo parecchi capitoli più avanti. Ed è così che difficoltà presentate come insormontabili vengono superate con grande facilità, incidendo sulla tensione narrativa.

Il problema dietro queste scelte autoriali poco convincenti è dato senza dubbio dalla volontà di rimanere fedele al materiale di partenza, un difetto comune a molte rivisitazioni di leggende mitologiche e di romanzi classici. In questo modo risultano depotenziati, ad esempio, l'antagonismo con Porta-Qui (che pur avendo libertà d'azione e molte leve a sua disposizione, agisce in modo caotico) o le relazioni romantiche che Demon intreccia nel corso della storia: prive di una solida base sentimentale, si concretizzano soltanto perché la sua controparte dickensiana aveva quei medesimi interessi amorosi. Per questo aspetto, un po' di coraggio narrativo in più non sarebbe affatto guastato.

View all my reviews

martedì 15 ottobre 2024

"Rebel. Il tradimento" di Alwyn Hamilton

Rebel: Il tradimento (Rebel of the Sands #2)Rebel: Il tradimento by Alwyn Hamilton
My rating: 2 of 5 stars

"Quello che ad Ahmed mancava in forza era compensato dalla sua bontà. Era un uomo migliore di gran parte di noi ... ma mi sembrava che senza obbedienza un sovrano non potesse definirsi tale. Come avrebbe fatto Ahmed a governare il paese?"


LA CARA ALWYN NON PERDE NEPPURE IL PELO

Quando una serie comincia con un titolo debole come "Rebel. Il deserto in fiamme", le mie aspettative rispetto ai seguiti vengono notevolmente ridimensionate, così come l'interesse per la lettura degli stessi. Lasciata passare l'intera estate, mi sono però decisa a proseguire con "Rebel. Il tradimento", un secondo capitolo che conferma in toto i difetti del suo predecessore riuscendo comunque a fare qualche timido passo in avanti.

Dopo un salto temporale di ben sei mesi ritroviamo Amani come membro a pieno titolo della rivolta capeggiata dal cosiddetto Prinicipe Ribelle Ahmed contro lo strapotere del Sultano. Una serie di circostanze porta però la ragazza proprio all'interno dell'harem del sovrano, dal quale tenta di lavorare come spia a favore dei ribelli. Questa missione le permette di ritrovare alcune vecchie conoscenze e di scoprire quali siano i progetti del loro antagonista sul lungo periodo.

A fare da intercalare tra un'avventura e l'altra troviamo dei racconti folkloristici che -sebbene didascalici- risultano molto piacevoli ed in linea con il contesto scelto. Un altro elemento a favore del romanzo che però avrei voluto venisse trattato in maniera meno superficiale è quello delle tematiche; in primis, la violenza domestica e di genere: un po' di sottigliezza avrebbe giovato alla godibilità del contenuto, ma trovo comunque positivo impegnarsi per introdurre un pubblico giovane a determinati argomenti.

Tra i pregi di questo seguito mi sento di includere le nuove ambientazioni che risultano affascinanti ed abbastanza dettagliate, pur privandoci di una buona parte delle creature fantastiche presentate nel primo libro. Questo aspetto si compensa in parte con l'approfondimento fatto sui djinni e sulla loro mitologia di base, collegata ovviamente a quanto accade nel presente. Su un piano più soggettivo, ho gradito anche la minor presenza della componente romance, seppur sia necessario precisare che le poche scene romantiche sono quanto di più fuori luogo si potesse desiderare!

E passiamo dagli incerti punti a favore ai sicuri punti a sfavore. Come accennato, la maggior parte dei vecchi difetti è tutt'ora presente: svenimenti convenienti della narratrice, scene soltanto raccontate o lasciate all'interpretazione del lettore, intreccio banale, prosa infantile, descrizioni limitate, personaggi stereotipati, poca rilevanza per le scene traumatiche ed un'edizione italiana di certo rivedibile. Non escludo che la cara Alwyn si sia adoperata per migliorare, ma questo risultato fa capire quanta strada abbia ancora da percorrere.

Gli aspetti meno riusciti di questo capitolo nello specifico riguardano quasi esclusivamente l'intreccio, partendo proprio dagli eventi alla base dello stesso: l'allontanamento tra Amani e Jin da un lato, e la necessità di avere una spia a palazzo dall'altro. Il primo è causato da una serie di avvenimenti che non soltanto sono preclusi a noi lettori (visto che avvengono prima dell'inizio del volume), ma anche alla stessa protagonista che nel mentre era in fin di vita! Per quanto riguarda lo spionaggio, si tratta di uno dei tanti motivi per cui la strategia militare in questa storia fa ridere i polli: che bisogno c'è di una spia sempre in pericolo quando hai a tua disposizione dei demdji in grado di indovinare cosa fa il nemico e due mutaforma da poter inviare a palazzo con l'aspetto di animali?

Altri néi contenutisti (in)degni di nota sono le tante coincidenze -che permettono alla protagonista di incrociare sempre facce note in un regno vastissimo-, le dinamiche rubate ad un qualunque teen drama ambientato in un liceo americano, le regole magiche cambiate a seconda delle necessità autoriali, un'infelice scelta narrativa nel finale, l'assurdità di ogni elemento medico, le snervanti ripetizioni di nomi e parentele, e la presenza di scene del tutto immotivate. In quest'ultima categoria ricadono per esempio lo scambio fatto da Ayet per le forbici o Uzma che scopre la cicatrice di Amani giusto in tempo perché qualcuno la noti; la regola di fondo sembra essere: se è utile per la trama, per quanto improbabile succederà.

E come poteva la protagonista non rientrare nella categoria dei demeriti? Amani è fornita di una caratterizzazione a dir poco ballerina, che come tutto il resto varia per servire la narrazione. Hamilton cerca di spacciarla per una personaggia umile, che si incolpa in continuazione; peccato che le presunte colpe riguardino sempre elementi estranei, mentre le azioni per le quali si potrebbe in effetti chiederle conto e ragione vengano sapientemente glissate. È il caso del suo comportamento verso la cugina Shira (che cerca solo quando ne ha bisogno, senza preoccuparsi mai realmente per lei) e l'amico Tamid, con il quale dice di voler far pace ma si pone sempre in modo molto aggressivo. Le protagoniste imperfette mi piacciono, quelle passivo-aggressive molto meno.

View all my reviews

mercoledì 9 ottobre 2024

"La custode di mia sorella" di Jodi Picoult

La custode di mia sorellaLa custode di mia sorella by Jodi Picoult
My rating: 3 of 5 stars

"La maggior parte della gente mette al mondo un figlio per caso, o perché una certa sera ha bevuto troppo, o perché il controllo delle nascite non è sicuro al cento per cento, o per mille altre ragioni non proprio lodevoli. Io, invece, ero nata per uno scopo ben preciso"


UN FIGLIO PREFERITO C'È SEMPRE

Quando ho cominciato la lettura de "La custode di mia sorella" ero tanto esaltata per il titolo in sé (che continuo comunque a considerare una scelta geniale!) quanto dubbiosa del contenuto effettivo. Non si può negare che lo spunto sia decisamente interessante, ma capita spesso di leggere buone idee svilite in trame poco solide; da questo punto di vista, Picoult non mi ha propriamente deluso, ma ciò non toglie che da una premessa simile si potesse ricavare un romanzo più coerente e lineare.

La narrazione si apre su Upper Darby, città fittizia nello Stato del Rhode Island; qui vive tra molte difficoltà la famiglia Fitzgerald, causate soprattutto dall'aggressiva forma di leucemia che anni prima è stata diagnosticata alla figlia mediana Katherine "Kate". Letteralmente concepita per essere la donatrice perfetta per la sorella, la tredicenne Andromeda "Anna" si trova di fronte all'ennesima richiesta dei genitori: donare uno dei suoi reni per salvare ancora una volta la vita a Kate. In questo caso Anna decide però di opporsi, assumendo l'avvocato Campbell Alexander per intentare una causa di emancipazione medica contro la sua stessa famiglia.

Il volume è narrato in prima persona, alternando però diversi POV che mostrano le riflessioni di tutti i Fitzgerald, oltre a quelle di Campbell e della tutrice ad litem Julia Romano. Questa decisione inizialmente non mi convinceva troppo (specie per l'eccessiva retorica nei capitoli di Anna), ma pian piano ho realizzato che la cara Jodi era riuscita a rendere ben distinguibili le voci dei protagonisti. In generale, ho trovato caratterizzati in modo solido tutti i personaggi, attorno ai quali si sviluppano delle affascinanti dinamiche relazioni disfunzionali che sono forse il maggior pregio del libro.

Il volume è molto interessante anche per gli ottimi quesiti etici che suggerisce al lettore, a prescindere dal modo in cui l'intreccio li sfrutta: è giusto fare pressione morale su un donatore? o anteporre il benessere di una persona sana alla possibilità di salvarne una malata? oppure ancora concentrare la propria attenzione in via prioritaria su uno soltanto dei propri figli? Un altro pregio -decisamente inaspettato- si nasconde nella traduzione, che fornisce al lettore nostrano una gran quantità di utili informazioni socioculturali tramite note a fondo pagina. E per concludere questa carrellata di punti a favore, devo assolutamente nominare la partenza: le prime scene sono molto incisive, con Anna che prova a racimolare qualche soldo per poi presentarsi a Campbell, dando già un'idea della sua determinazione.

Questo incipit incisivo non viene però supportato dal resto della trama, anzi si percepisce quasi una lentezza narrativa, che si scontra nettamente con la teorica urgenza della donazione alla base della storia. Il rallentamento è dovuto in parte alla volontà dell'autrice di rendere ad ogni costo sensazionalistiche le sue scelte narrative, ma anche alla quantità di sottotrame inserite successivamente. Alcune di queste servono soltanto a distrarre e fuorviare (come nel caso del padre abusivo di Campbell), altre avrebbero effettivamente beneficiato di maggior attenzione per potersi amalgamare al resto dell'intreccio -e penso in particolare a quanto viene mostrato sul personaggio di Jesse, il figlio maggiore dei Fiztgerald-, e poi c'è Julia. L'inutile Julia, con i suoi immotivati pipponi moralisti, con l'ancor più inutile sorella gemella e con una delle romance più casuali e fuori luogo di cui abbia letto recentemente.

Altri demeriti a margine sono le battute inadatte al contesto (quella del cane guida soprattutto diventa fastidiosa dopo un po'), l'esasperazione delle disgrazie che capitano alla famiglia protagonista, la presenza ridottissima della prospettiva di Kate -di cui capisco la ragione, ma ritengo ugualmente che avrebbe meritato più spazio- e la scelta di limitare quasi sempre al passato il POV della madre Sara: sarebbe stato interessante scoprire i suoi pensieri prima del finale, anche perché gli altri protagonisti raccontano dei flashback senza per questo interrompere la narrazione al presente. E proprio l'epilogo condensa l'altra grossa critica al romanzo, perché a quel punto Picoult ha deciso di immolare sull'altare della commozione ad ogni costo tutte le riflessioni fatte prima sull'autodeterminazione; e le tirate paternalistiche ed inconcludenti durante il processo fanno da adeguato contorno.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

View all my reviews

venerdì 4 ottobre 2024

"L'uomo che morì due volte" di Richard Osman

L'uomo che morì due volteL'uomo che morì due volte by Richard Osman
My rating: 4 of 5 stars

"Elizabeth sta portando dei fiori per Marcus Carmichael. Il morto. Il cadavere annegato ... L'uomo che lei aveva sepolto in un cimitero dello Hampshire, attualmente impegnato ad aprire le scatole del trasloco e a bisticciare con il nuovo wi-fi"


QUESTO È IL MIO COMMENTO?

Solitamente l'annuncio di un adattamento letterario non mi trasmette particolari emozioni, ma quando ho visto il cast scelto per portare sullo schermo la storia de "Il Club dei delitti del giovedì" sono rimasta senza parole: sono semplicemente perfetti per i loro ruoli! Inoltre da un po' speravo traessero un film oppure una serie da quel romanzo, vista anche la recente moda dei cozy mystery. Con questo rinnovato entusiasmo per la tetralogia mi sono quindi approcciata a "L'uomo che morì due volte", un secondo capitolo leggibile e comprensibile in modo indipendente, tenendo però conto che spoilera in parte le rivelazioni del precedente romanzo.

Sulla scena tornano i membri del Club che dà il titolo alla serie: gli ultra settantenni Elizabeth, Joyce, Ibrahim e Ron; oltre al tuttofare Bogdan, agli agenti di polizia Chris e Donna, e ad un nutrito gruppo di nuovi caratteri che danno il via alla seconda indagine. Nella residenza per anziani di Coopers Chase arriva infatti Marcus Carmichael, una vecchia conoscenza di Elizabeth: si tratta di uno pseudonimo utilizzato dal suo ex marito Douglas Middlemiss, che cerca un nascondiglio sicuro dopo aver rubato venti milioni in diamanti ad un criminale locale. Mentre il Club si attrezza per proteggere l'uomo, vengono portate avanti in parallelo un'indagine a carico della narcotrafficante Connie Johnson e la vendetta contro il teppista Ryan Baird.

Un bel po' di grattacapi in quel di Fairhaven! a mio avviso troppi per analizzare tutti nel modo migliore. Infatti, la linea di trama collegata a Douglas occupa la maggior parte della narrazione, e le altre sono costrette a convergervi a forza. Questo incide soprattutto sulla sottotrama dedicata ad Ibrahim, che per l'appunto ottiene solo una manciata di scene di sviluppo ed una risoluzione fuori pagina a dir poco frustrante, specie perché si dovrebbe parlare con più cognizione di PTSD. La stessa frettolosità superficiale ricade anche sui flashback di Bodgan e la (presumo) depressione di Donna: tutto sistemato tra una battuta e l'altra.

Anche a livello di trama avrei alcune note non proprio positive. In linea generale, ho trovato l'intreccio meno coinvolgente e misterioso del previsto; memore della complessità e dell'inventiva dimostrate dal caro Richard nel suo debutto, mi sarei aspettata un giallo più articolato, e sicuramente meno ripetitivo nelle dinamiche. Per quanto mi riguarda, la ricerca dei diamanti rubati non mi è sembrata un innesco abbastanza convincente -in fin dei conti i protagonisti non sono i derubati e per loro ritrovare il maltolto significa ben poco-, mentre lo smascheramento dell'assassino sarebbe stato entusiasmante se le vittime non fossero state tanto ambigue per buona parte del volume.

In compenso, trovo che il finale sia stato decisamente soddisfacente, sia per l'escamotage che viene ideato da Ron per far giustizia, sia per come viene spiegato il piano del colpevole. Mi è piaciuta parecchio anche la conclusione data alla romance di Chris: una relazione credibile e dolce senza sfociare in un'eccessiva zuccherosità. Tra i pregi finisce ovviamente la caratterizzazione sopra le righe dei personaggi che rende la lettura piacevolmente esilarante, si tratti dell'adorabile svampitaggine di Joyce o delle priorità tutte sfasate di Lomax.

Tra un'avventura e l'altra, Osman riesce ad includere anche qualche parentesi di serietà, infatti in questo libro si torna a parlare di Alzheimer, di confronto generazionale e dei diversi modi in cui le persone anziane si pongono rispetto al mondo contemporaneo. Si tratta di parentesi molto ridotte ma assai gradite, perché riescono a fornire un quadro abbastanza verosimile nel quale racchiudere delle vicende che spesso non lo sono neanche lontanamente.

View all my reviews

venerdì 27 settembre 2024

"La mezza guerra" di Joe Abercrombie

La Mezza Guerra (Trilogia del Mare Infranto, #3)La Mezza Guerra by Joe Abercrombie
My rating: 5 of 5 stars

"Le fiamme fuori delle finestre anguste gettarono ombre sul pavimento cosparso di paglia. Ombre affilate come pugnali. Udì urla di panico ... Un martellare pesante, come per un albero abbattuto. Come di asce contro la porta"


RARO ESEMPLARE DI GRIMDARKROMANTASY

Confesso che "Mezzo mondo" aveva notevolmente raffreddato il mio entusiasmo verso la serie per ragazzi di Abercrombie. Ed a gettar acqua sul fuocherello delle mie aspettative c'era anche la media delle valutazione assegnate a "La mezza guerra", molto più bassa rispetto a quella del secondo capitolo. Però con un ribaltamento degno di Alessandro Borghese, vi informo che questo libro non solo mi è piaciuto, ma è riuscito perfino a diventare il mio preferito della trilogia.

La trama ci porta due anni in avanti e ad un totale di ben tre POV tra i quali destreggiarsi. Quello principale è affidato sicuramente a Skara, nipote ed erede di re Fynn, che all'inizio del romanzo vede il Throvenland cadere sotto l'attacco di Yilling lo Splendente; dopo aver chiesto l'aiuto dei sovrani vicini, la ragazza assume un ruolo di comando nella guerra contro il Gran Re con il fine di riscattare il suo regno. Fortemente collegato al suo, troviamo il punto di vista di Raith -un guerriero del Vansterland tormentato dalla sua stessa propensione per la violenza-, mentre la terza prospettiva ha una maggiore autonomia, oltre ad essere un gradito ritorno: si tratta di Koll, il giovane liberato dalla schiavitù per merito di Padre Yarvi, che ora lui sta addestrano per farne a sua volta un ministrante.

Chiaramente il conflitto contro il Gran Re e la sua ministrante Wexen rappresenta ancora una volta l'obiettivo finale della narrazione, ma questo non impedisce all'autore di dedicare ad ognuno dei protagonisti parecchio spazio; sia per esplorare i loro trascorsi, sia per crescere e superare le situazioni di stallo in cui si trovano imprigionati. Skara, Raith e Koll sono infatti combattuti tra una sorta di obbligo che sentono di dover rispettare e la propria indole personale, ed i loro percorsi individuali li portano a capire come potersi liberarsi delle pressioni esterne e scegliere in modo indipendente. Non tutte le risoluzioni sono però felici, perché il caro Joe ha ben pensato di donarci un finale dolceamaro, eppure molto soddisfacente.

La presa di coscienza non è l'unica tematica del romanzo perché, in particolar modo attraverso la prospettiva di Skara, si affronta l'argomento delle responsabilità, delle quali la ragazza deve farsi carico in quanto sovrana. Sempre tramite il suo POV, ma anche quello di Raith, si parla del modo in cui elaborare un trauma subito; affrontare le consegue delle proprie azioni è invece il tema principale nel punto di vista di Koll. Tutti questi spunti non solo sono perfettamente adeguati per gli adolescenti che costituiscono il target di riferimento (sì, sto ancora rosicando per colpa di "Graceling"!), ma vengono anche declinati in diverse prospettive, portando a delle conclusioni per nulla scontate.

Tra i pregi del romanzo voglio includere anche i personaggi, senza troppe distinzioni: che si tratti di caratteri già presentati nei capitoli precedenti (e penso specialmente al burbero Jenner il Gramo) oppure figure del tutto nuove -come la protettiva Madre Owd-, tutti ottengono una caratterizzazione più che degna e coerente. L'unico aspetto negativo su questo frangete è rappresentato dalla rapidità, che incide sia sulla partenza in cui non si fa in tempo ad inquadrare bene i nuovi personaggi, sia su alcune morti molto affrettate a livello narrativo, seppur non pecchino di incisività emotiva.

Pur avendo apprezzato molto come l'autore ha portato a compimento la trilogia, voglio togliermi qualche altro sassolino dalla scarpa. Per i miei gusti, la componente romance è eccessiva: non dico andasse esclusa, ma di certo non avrei sentito la mancanza di un soapoperistico quadrangolo amoroso. Non posso dirmi un'entusiasta neppure delle scene di battaglia -che in alcuni casi risultano un po' noiose a causa della loro lunghezza- e della sinossi scelta dalla CE italiana, ancora una volta falsa come una moneta da tre euro ed incapace di rendere il contenuto del volume.

Concludiamo però su delle note positive, date in particolare dal world building e dal foreshadowing. Come nel secondo libro, sono presenti degli sviluppi del mondo immaginato da Abercrombie, ma in questo caso arriviamo a delle rivelazioni estremamente interessi, che gettano un'ombra del tutto nuova sull'ambientazione; il tutto rimanendo allo stesso tempo fedeli a quanto mostrato finora. Mi è piaciuto molto anche il modo in cui tanti dettagli dei primi libri sono stati qui ripescati, diventando utili all'intreccio e mostrando un'evoluzione di storie e caratteri che farebbe una figura di tutto rispetto anche in una narrazione per lettori adulti.

View all my reviews