Dark Matter by Blake Crouch
My rating: 3 of 5 stars
"Vedo me stesso uscire barcollando dalla scatola e crollare a terra, quasi come se fossi stato spinto fuori ... Non riesco a riprendermi dalla sensazione assolutamente surreale di rivedere le immagini del momento esatto in cui ha avuto inizio l'incubo che la mia vita adesso è. I miei primi secondi in questo mondo nuovo e assurdo"
NOLAN SENPAI, NOTICE ME!
Per quanto possiamo sforzarci di non avere troppe aspettative sul libro che stiamo per cominciare, un'idea a grandi linee dell'eventuale apprezzamento (oppure della critica) non manca mai. Ad esempio, prima di iniziare "Dark matter" io oscillavo tra l'entusiasmo per un potenziale nuovo preferito ed il terrore, nel caso il romanzo sul quale riponevo tante speranze si fosse rivelato una schifezza. Crudele ironia, il titolo più famoso di Crouch mi ha lasciata quasi indifferente: gli spunti carini vengono compensati dalle sviste narrative, andando a formare una storia che non mi ha neppure fatto arrabbiare a sufficienza da demolirla.
L'intreccio in realtà parte da premesse niente male, con il professore liceale Jason Ashley Dessen che conduce una vita prevedibile e tranquilla a Chicago. Durante una passeggiata serale, l'uomo viene rapito da un individuo mascherato che lo costringe a raggiungere una zona industriale dismessa per poi iniettargli una misteriosa sostanza; dopo aver ripreso conoscenza, Jason capisce di essere finito in un luogo del tutto nuovo, e probabilmente ostile. Questo evento dà il via alla lunga missione del protagonista per ritornare a casa e ricongiungersi con l'amata moglie Daniela.
Ah! anche con il figlio Charlie, la cui stessa esistenza sarebbe in teoria alla base dell'intera trama ma al quale i suoi stessi genitori sembrano del tutto disinteressati. Chiaramente il caro Blake intendeva puntare l'attenzione sulla storia d'amore tra Jason e Daniela, ma avrei preferito vederli preoccuparsi un po' più per il figlio e un po' meno per chi ha tradito chi, specie considerando che nel caso di lui si trattava di una scelta mentre in quello di lei di una violenza. In generale, la morale portata avanti dal protagonista traballa non poco, e lo si nota soprattutto nelle battute finali, quando l'autore ignora senza troppi crucci ogni dubbio etico espresso dai suoi stessi personaggi.
Personaggi che allo stesso modo non mi sento di annoverare tra i punti di forza del romanzo, perché rimangono tutti ad un livello di introspezione molto superficiale. Jason è l'unico sul quale Crouch si sforza più evidentemente per creare una personalità definita; sforzo apprezzabile, che purtroppo viene svilito da un eccesso di tell e d'infallibilità. All'interno del cast danno poi da pensare Leighton Vance ed i suoi collaboratori: capisco l'interesse di non far trapelare informazioni su una ricerca segreta, ma perché non assumere Ryan Holder? perché non tentare di ottenere informazioni con la manipolazione anziché con la violenza? perché lasciar partire in una missione suicida il loro personale Albert Einstein? perché collegare le credenziali d'accesso ad una qualunque tessera magnetica?
Quest'ultima domanda mi porta a parlare delle convenienze di trama, o meglio delle spintarelle con cui l'autore fa procedere un protagonista altrimenti destinato ad arenarsi a più riprese; una su tutte la porta di casa lasciata aperta prima di partire per un viaggio senza un termine definito. L'altro grosso problema dell'intreccio è rappresentato dalla sua prevedibilità, che il caro Blake tenta di arginare inserendo scene d'azione, durante le quali è però impossibile essere davvero in ansia per la sorte dei protagonisti. Sul piano dello stile non andiamo meglio: mi è sembrato parecchio svogliato e non ho apprezzato la scelta di troncare diversi dialoghi con un cambio di scena, perché questo toglie forza ai conflitti.
Cosa c'è di salvabile quindi in questo titolo? senza dubbio il lato fantascientifico, che non sarà niente di avveniristico ma ha il pregio di essere illustrato in modo chiaro ed onesto nei confronti dell'intelligenza del lettore. Ho molto apprezzato anche il ritmo davvero incalzante con cui procede la storia, grazie al quale si riesce a avanzare spediti anche nella prima parte, che è di certo quella più scontata a livello narrativo. Pur non essendo convintissima del modo in cui è stato sfruttato, promuovo anche il concept alla base del romanzo.
Allo stesso modo la conclusione finisce tra i pregi, perché tutto considerato funziona e rappresenta forse la svolta meno scontata dell'intero volume. Mi è piaciuto anche il taglio molto cinematografico dato a tante scene, che immagino sarà tornato utile al momento di redigere la sceneggiatura della recente serie TV.
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giovedì 27 giugno 2024
venerdì 21 giugno 2024
"L'occhio del male" di Richard Bachman
L'occhio del male by Richard Bachman
My rating: 4 of 5 stars
"In quel momento, d'improvviso, in tutta semplicità, credette. Credette tutto. Lo zingaro gli aveva lanciato addosso una maledizione, ma non era cancro; sarebbe stato troppo rapido e troppo gentile. Era qualcos'altro e stava solo cominciando a mostrare i suoi effetti"
SPARISCI NON RENDE L'IDEA
Il mio rapporto con le narrazioni di Bachman non è partito con il piede giusto, e conservo ancora un ricordo svilente de "La lunga marcia"; le cose sono però migliorate con "L'uomo in fuga", specialmente per la scelta di porre l'attenzione soltanto sui personaggi adulti. Con un'incerta aspettativa sono quindi approdata a "L'occhio del male", forse il titolo bachmaniano sul quale riponevo maggiori speranze. Speranze assai ben riposte dal momento che tra i tre è il titolo più marcatamente kinghiano, ed anche per questo il mio preferito.
Alla base del romanzo c'è una vicenda di sopravvivenza in condizioni anomale, che lo accomuna appunto a molte opere del caro Stephen. L'avvocato William "BIlly" J. Halleck conduce una vita all'insegna dell'agiatezza nella borghese Fairview, cittadina immaginaria nel Connecticut, fino a quando causa la morte di una zingara mentre è alla guida dell'automobile. Per merito delle sue conoscenze BIlly riesce ad evitare una condanna per omicidio colposo, ma non la maledizione che Taduz Lemke -il terrificante padre della donna- sembra avergli lanciato ed a causa della quale diventa sempre più magro.
Lo spunto potrebbe sembrare un po' infantile, ma vi garantisco che getta le basi per una storia ricca di tensione ed angoscia, nonostante l'elemento horror sia più psicologico che visivo. In generale, non si tratta di una lettura in cui la violenza è descritta in modo troppo grafico, con sovrabbondanza di dettagli (come invece capita in altri libri di Bachman); questo non esclude però diversi aspetti triggeranti, soprattutto nelle scene in cui si fa riferimento a malattie mortali.
Per questa ragione, ammetto non si tratti di un romanzo adatto a tutti. Eppure io l'ho davvero apprezzato, anche più di quanto le prime pagine lasciassero presagire: più ci si addentra nella narrazione, più si può gustare il gioco di parallelismi creato da King, in cui vengono posti a confronto razionalità e superstizione, vita cittadina e vita nomade, giustizia e vendetta. Il protagonista diventa il perno su cui ruotano queste contraddizioni, ed infatti si dimostra un personaggio dalla psiche davvero interessante da conoscere pian piano; Billy pensa di essere nel giusto, e perfino quando si trova materialmente colpito per le sue colpe è pronto a riversare i problemi sugli altri, senza particolare preoccupazione delle conseguenze a lungo termine.
Accanto ad un protagonista caratterialmente mastodontico, gli altri personaggi rischiano di sparire (perdonate il gioco di parole!), ma non in questo caso. L'autore ha saputo infatti dipingere un cast di comprimari detestabili ma non macchiettistici, che formano un contorno di certo non amabile però sicuramente adatto alle sventure di Billy.
A discapito del mio apprezzamento, per tutta la lettura ho avuto però l'impressione che qualcosa non andasse e alla fine ho capito: la trama è prevedibile. L'intera storia è priva di colpi di scena e guizzi narrativi che la rendano intrigante, e -a dispetto della sua componente thriller- non c'è un solo avvenimento che il lettore non riesca ad indovinare dopo aver letto qualche capitolo per avere un quadro di partenza sull'indole dei personaggi e la premessa di base. Un difetto che comunque non influenza più di tanto la lettura, anche perché a risollevarlo c'è comunque un finale piacevolmente angosciante.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"In quel momento, d'improvviso, in tutta semplicità, credette. Credette tutto. Lo zingaro gli aveva lanciato addosso una maledizione, ma non era cancro; sarebbe stato troppo rapido e troppo gentile. Era qualcos'altro e stava solo cominciando a mostrare i suoi effetti"
SPARISCI NON RENDE L'IDEA
Il mio rapporto con le narrazioni di Bachman non è partito con il piede giusto, e conservo ancora un ricordo svilente de "La lunga marcia"; le cose sono però migliorate con "L'uomo in fuga", specialmente per la scelta di porre l'attenzione soltanto sui personaggi adulti. Con un'incerta aspettativa sono quindi approdata a "L'occhio del male", forse il titolo bachmaniano sul quale riponevo maggiori speranze. Speranze assai ben riposte dal momento che tra i tre è il titolo più marcatamente kinghiano, ed anche per questo il mio preferito.
Alla base del romanzo c'è una vicenda di sopravvivenza in condizioni anomale, che lo accomuna appunto a molte opere del caro Stephen. L'avvocato William "BIlly" J. Halleck conduce una vita all'insegna dell'agiatezza nella borghese Fairview, cittadina immaginaria nel Connecticut, fino a quando causa la morte di una zingara mentre è alla guida dell'automobile. Per merito delle sue conoscenze BIlly riesce ad evitare una condanna per omicidio colposo, ma non la maledizione che Taduz Lemke -il terrificante padre della donna- sembra avergli lanciato ed a causa della quale diventa sempre più magro.
Lo spunto potrebbe sembrare un po' infantile, ma vi garantisco che getta le basi per una storia ricca di tensione ed angoscia, nonostante l'elemento horror sia più psicologico che visivo. In generale, non si tratta di una lettura in cui la violenza è descritta in modo troppo grafico, con sovrabbondanza di dettagli (come invece capita in altri libri di Bachman); questo non esclude però diversi aspetti triggeranti, soprattutto nelle scene in cui si fa riferimento a malattie mortali.
Per questa ragione, ammetto non si tratti di un romanzo adatto a tutti. Eppure io l'ho davvero apprezzato, anche più di quanto le prime pagine lasciassero presagire: più ci si addentra nella narrazione, più si può gustare il gioco di parallelismi creato da King, in cui vengono posti a confronto razionalità e superstizione, vita cittadina e vita nomade, giustizia e vendetta. Il protagonista diventa il perno su cui ruotano queste contraddizioni, ed infatti si dimostra un personaggio dalla psiche davvero interessante da conoscere pian piano; Billy pensa di essere nel giusto, e perfino quando si trova materialmente colpito per le sue colpe è pronto a riversare i problemi sugli altri, senza particolare preoccupazione delle conseguenze a lungo termine.
Accanto ad un protagonista caratterialmente mastodontico, gli altri personaggi rischiano di sparire (perdonate il gioco di parole!), ma non in questo caso. L'autore ha saputo infatti dipingere un cast di comprimari detestabili ma non macchiettistici, che formano un contorno di certo non amabile però sicuramente adatto alle sventure di Billy.
A discapito del mio apprezzamento, per tutta la lettura ho avuto però l'impressione che qualcosa non andasse e alla fine ho capito: la trama è prevedibile. L'intera storia è priva di colpi di scena e guizzi narrativi che la rendano intrigante, e -a dispetto della sua componente thriller- non c'è un solo avvenimento che il lettore non riesca ad indovinare dopo aver letto qualche capitolo per avere un quadro di partenza sull'indole dei personaggi e la premessa di base. Un difetto che comunque non influenza più di tanto la lettura, anche perché a risollevarlo c'è comunque un finale piacevolmente angosciante.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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martedì 18 giugno 2024
"Mezzo mondo" di Joe Abercrombie
Mezzo mondo by Joe Abercrombie
My rating: 3 of 5 stars
"Era un tipo maligno, veloce e scaltro, ma lei era più veloce, più scaltra e molto più maligna quando voleva, inoltre Skifr le aveva insegnato trucchi che lui non si sognava neppure. Gli danzò intorno, sfinendolo, riversandogli addosso una pioggia di fendenti finché questi non seppe quasi più da che parte la stesse fronteggiando"
PADRE YARVI È IL PIÙ SCALTRO, L'HO CAPITO
Quest'anno sto dedicato decisamente poco spazio alle serie, rispetto ai volumi autoconclusivi, però ci tengo per lo meno a continuare quelle già cominciate. Tra le altre, è il caso della trilogia Il Mare Infranto, cominciata lo scorso febbraio con "Il mezzo re"; un inizio più entusiasmante di quanto la premessa lasciasse intendere, soprattutto per la presenza di una trama chiara e grossomodo solida da seguire, elemento non scontato nella prosa del caro Joe. Ironicamente una trama -fosse anche oscura e traballante- è proprio ciò di cui si sente la mancanza in "Mezzo mondo", in cui i personaggi sembrano mossi da tutto fuorché dalla loro volontà.
Il nuovo romanzo si ambienta tre anni dopo lo stupefacente finale del primo volume e porta con sé anche due nuovi punti di vista, dei quali leggiamo a capitoli alterni. Da un lato abbiamo Hild "Thorn" Bathu, una giovane determinata a diventare una guerriera rinomata come suo padre, e dall'altro Brand, un tempo apprendista fabbro ma ora diventato a sua volta aspirante combattente; i sogni di entrambi vengono però contrastati dal dispotico Maestro Hunnan, e questo li fa finire sotto l'ala (non troppo) protettrice di Padre Yarvi. Il Ministrante del Gettland ha infatti bisogno di persone coraggiose che lo accompagnino in una missione verso sud, dove spera di trovare potenti alleati nella guerra imminente contro il Gran Re.
La sarcastica e parecchio sopra le righe prosa di Abercrombie non piacerà a tutti, ma io la trovo sempre divertente, specialmente quando si arriva alle esagerate prove di forza fisica date dai suoi personaggi. Ed anche questi ultimi si confermano un solido punto a favore: ho trovato apprezzabili sia i vecchi caratteri che tornano in scena sia i nuovi entrati, perché tutti riescono a ritagliarsi uno spazio per quanto piccolo ed a risultare memorabili per le loro particolarità. Sull'intero cast brillano però i due protagonisti, ai quali viene riservato un approfondimento psicologico molto più curato, facendo pian piano chiarezza sul loro passato e su quale sia il ruolo adatto a loro all'interno del tumultuoso Gettland.
Altro punto a favore è l'ambientazione, che in confronto al capitolo precedente ottiene una sostanziosa espansione. Al fianco dei personaggi usciamo dai confini del Mare Infranto per esplorare i territori dell'impervio principato di Kalyiv e dell'afoso Impero del Sud; luoghi che non si limitano a fare da sfondo inconsistente alle vicende ma diventano parte fondamentale di esse, anche perché veniamo messi a conoscenza di nuove usanze e ammiriamo architetture inedite, tra gli altri dettagli. Fra i pregi mi sento poi di includere il tono più maturo dato alla narrazione, seppur con una piccola riserva: il target infatti non è cambiato, e per questo alcune delle scene risultano a mio avviso eccessive.
Passando ai motivi per cui, pur reputando godibile la lettura, non l'ho trovata all'altezza del primo libro, troviamo la già citata trama. Nonostante sia Thorn sia Brand compiano una crescita personale durante l'anno in cui si ambienta la storia, ciò che fanno non è quasi mai una conseguenza delle loro intenzioni: si trovano ad essere delle marionette nelle mani di Maestro Hunnan, Padre Yarvi, antagonisti assortiti e -più in generale- dell'autore, il quale li fa spesso arrivare in luoghi dove non avrebbero davvero ragione di trovarsi se non per la necessità di piazzarvi un POV all'uopo.
A questo intreccio poco omogeneo si aggiungono poi dei passaggi esageratamente repentini tra un capitolo e l'altro (non si tratta più di lasciar passare qualche giorno, ma mesi interi!) ed un'attenzione eccessiva nei confronti della sottotrama romantica. Quest'ultima ha inoltre il demerito di focalizzare il proprio conflitto su delle incomprensioni degne di una commedia degli equivoci, che personalmente mi hanno trasmesso un forte second hand embarrassment.
Come ultimamente sembra capitarmi una volta sì e l'altra pure, l'edizione italiana rappresenta un ulteriore ostacolo all'apprezzamento di questo romanzo. Il lavoro di traduzione si dimostra di nuovo approssimativo -in particolare nella coniugazione dei verbi- e costellato da refusi, perfino nei nomi dei luoghi riportati sulla mappa! mappa che tra l'altro non troverete aggiornata per includere le nuove ambientazioni, come invece è stato fatto nella versione inglese. E per ultimo voglio menzionare un elemento che si trova invece ancor prima dell'inizio, ossia la sinossi; oltre ad essere immotivatamente lunga, quella scelta da Mondadori semplicemente non presenta la storia in modo adeguato, ponendo l'attenzione su Yarvi ed in parte su Thorn mentre Brand (il coprotagonista!) viene appena nominato. Costava tanto mettere un po' di attenzione in più e scrivere un'introduzione coincisa e veritiera?
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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My rating: 3 of 5 stars
"Era un tipo maligno, veloce e scaltro, ma lei era più veloce, più scaltra e molto più maligna quando voleva, inoltre Skifr le aveva insegnato trucchi che lui non si sognava neppure. Gli danzò intorno, sfinendolo, riversandogli addosso una pioggia di fendenti finché questi non seppe quasi più da che parte la stesse fronteggiando"
PADRE YARVI È IL PIÙ SCALTRO, L'HO CAPITO
Quest'anno sto dedicato decisamente poco spazio alle serie, rispetto ai volumi autoconclusivi, però ci tengo per lo meno a continuare quelle già cominciate. Tra le altre, è il caso della trilogia Il Mare Infranto, cominciata lo scorso febbraio con "Il mezzo re"; un inizio più entusiasmante di quanto la premessa lasciasse intendere, soprattutto per la presenza di una trama chiara e grossomodo solida da seguire, elemento non scontato nella prosa del caro Joe. Ironicamente una trama -fosse anche oscura e traballante- è proprio ciò di cui si sente la mancanza in "Mezzo mondo", in cui i personaggi sembrano mossi da tutto fuorché dalla loro volontà.
Il nuovo romanzo si ambienta tre anni dopo lo stupefacente finale del primo volume e porta con sé anche due nuovi punti di vista, dei quali leggiamo a capitoli alterni. Da un lato abbiamo Hild "Thorn" Bathu, una giovane determinata a diventare una guerriera rinomata come suo padre, e dall'altro Brand, un tempo apprendista fabbro ma ora diventato a sua volta aspirante combattente; i sogni di entrambi vengono però contrastati dal dispotico Maestro Hunnan, e questo li fa finire sotto l'ala (non troppo) protettrice di Padre Yarvi. Il Ministrante del Gettland ha infatti bisogno di persone coraggiose che lo accompagnino in una missione verso sud, dove spera di trovare potenti alleati nella guerra imminente contro il Gran Re.
La sarcastica e parecchio sopra le righe prosa di Abercrombie non piacerà a tutti, ma io la trovo sempre divertente, specialmente quando si arriva alle esagerate prove di forza fisica date dai suoi personaggi. Ed anche questi ultimi si confermano un solido punto a favore: ho trovato apprezzabili sia i vecchi caratteri che tornano in scena sia i nuovi entrati, perché tutti riescono a ritagliarsi uno spazio per quanto piccolo ed a risultare memorabili per le loro particolarità. Sull'intero cast brillano però i due protagonisti, ai quali viene riservato un approfondimento psicologico molto più curato, facendo pian piano chiarezza sul loro passato e su quale sia il ruolo adatto a loro all'interno del tumultuoso Gettland.
Altro punto a favore è l'ambientazione, che in confronto al capitolo precedente ottiene una sostanziosa espansione. Al fianco dei personaggi usciamo dai confini del Mare Infranto per esplorare i territori dell'impervio principato di Kalyiv e dell'afoso Impero del Sud; luoghi che non si limitano a fare da sfondo inconsistente alle vicende ma diventano parte fondamentale di esse, anche perché veniamo messi a conoscenza di nuove usanze e ammiriamo architetture inedite, tra gli altri dettagli. Fra i pregi mi sento poi di includere il tono più maturo dato alla narrazione, seppur con una piccola riserva: il target infatti non è cambiato, e per questo alcune delle scene risultano a mio avviso eccessive.
Passando ai motivi per cui, pur reputando godibile la lettura, non l'ho trovata all'altezza del primo libro, troviamo la già citata trama. Nonostante sia Thorn sia Brand compiano una crescita personale durante l'anno in cui si ambienta la storia, ciò che fanno non è quasi mai una conseguenza delle loro intenzioni: si trovano ad essere delle marionette nelle mani di Maestro Hunnan, Padre Yarvi, antagonisti assortiti e -più in generale- dell'autore, il quale li fa spesso arrivare in luoghi dove non avrebbero davvero ragione di trovarsi se non per la necessità di piazzarvi un POV all'uopo.
A questo intreccio poco omogeneo si aggiungono poi dei passaggi esageratamente repentini tra un capitolo e l'altro (non si tratta più di lasciar passare qualche giorno, ma mesi interi!) ed un'attenzione eccessiva nei confronti della sottotrama romantica. Quest'ultima ha inoltre il demerito di focalizzare il proprio conflitto su delle incomprensioni degne di una commedia degli equivoci, che personalmente mi hanno trasmesso un forte second hand embarrassment.
Come ultimamente sembra capitarmi una volta sì e l'altra pure, l'edizione italiana rappresenta un ulteriore ostacolo all'apprezzamento di questo romanzo. Il lavoro di traduzione si dimostra di nuovo approssimativo -in particolare nella coniugazione dei verbi- e costellato da refusi, perfino nei nomi dei luoghi riportati sulla mappa! mappa che tra l'altro non troverete aggiornata per includere le nuove ambientazioni, come invece è stato fatto nella versione inglese. E per ultimo voglio menzionare un elemento che si trova invece ancor prima dell'inizio, ossia la sinossi; oltre ad essere immotivatamente lunga, quella scelta da Mondadori semplicemente non presenta la storia in modo adeguato, ponendo l'attenzione su Yarvi ed in parte su Thorn mentre Brand (il coprotagonista!) viene appena nominato. Costava tanto mettere un po' di attenzione in più e scrivere un'introduzione coincisa e veritiera?
Voto effettivo: tre stelline e mezza
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mercoledì 12 giugno 2024
"The Very Secret Society of Irregular Witches" di Sangu Mandanna
The Very Secret Society of Irregular Witches by Sangu Mandanna
My rating: 4 of 5 stars
"It was an old, two-storied structure, with gabled roofs and windows, walls built out of warm, brownish grey brick and covered in vines of flowering ivy, and a merrily smoking chimney ... It looked, frankly, like a small piece of heaven"
IL ROMANTASY (QUASI) PERFETTO
Se state leggendo questo commento, probabilmente vi piace spulciare recensioni librose online, e pertanto avrete di certo notato come queste tendano spesso alla polarizzazione: ogni romanzo ha i suoi fan sfegatati ed i suoi acerrimi detrattori, con qualche parere più tiepido nel mezzo. Per "The Very Secret Society of Irregular Witches" invece non mi sono mai imbattuta in recensioni totalmente negative, e per questo -volendo dare un po' di spazio al genere romance nelle mie letture- ho scelto di puntare su questo titolo. E, una volta tanto, l'azzardo mi ha ripagato.
La trama sembra essere la quintessenza della zuccherosità con la protagonista Mika Moon (una strega trentenne particolarmente versata per le pozioni) a cui viene proposto di lavorare presso la deliziosa Nowhere House. In questa magione sulla costa del Norfolk vivono infatti tre giovanissime streghe carenti in quanto ad istruzione magica, e per questo le persone che si occupano di loro hanno individuato in Mika l'istruttrice perfetta. Mentre è impegnata ad insegnare alle ragazzine come tenere a bada i loro poteri, la donna inizia a sentirsi sempre più a casa in questo angolo bucolico e ad innamorarsi del bibliotecario James "Jamie" Kelly.
La prosa è glicemica quanto l'intreccio, ma in senso positivo! Mandanna si dimostra capace di bilanciare con gusto l'umorismo all'interno della narrazione, con qualche punta di stucchevolezza soltanto nei primi capitoli. Altrettanto affascinante è l'ambientazione, che viene descritta in modo così vivido da permettere subito al lettore di sentirsi trasportato all'interno della storia. Di conseguenza, potreste aspettarvi un sistema magico appena accennato, invece l'autrice ha saputo anche delineare delle regole abbastanza concrete in questo contesto fantastico, pur conservando buona parte dell'atmosfera sognante.
Tra tanta dolcezza non possono però mancare degli aspetto meno riusciti, come le svolte di trama: tutte tranquillamente prevedibili e carenti in quanto a coraggio nel movimentare l'intreccio; in pratica in nessuna scena si prova preoccupazione per le sorti dei protagonisti o per la buona riuscita dei loro progetti. Mi sarei aspettata maggiore impegno anche nella caratterizzazione dei personaggi secondari, i quali vengono presentati in maniera parecchio stereotipata e tali rimangono fino all'ultima pagina, con la sola eccezione della mentore di Mika, Primrose.
Per contro trovo che i due protagonisti siano stati tratteggiati con grande cura, e questo si evince sia dall'evoluzione che compiono come singoli individui, sia dal percorso grazie al quale arrivano a formare una coppia molto affiatata e ben assortita. Ovviamente a Mika viene concesso parecchio più spazio: è lei che deve superare i traumi passati, è lei che deve scegliere il proprio posto nel mondo, è lei che deve trovare il coraggio di dare concretezza ai suoi sogni. Penso che la cara Sangu sia stata poi molto abile nel delineare una protagonista che affronta la vita con uno spirito allegro e solare, senza farne un cliché pollyannesco.
L'altro grande pregio del romanzo si può individuare nelle sue tematiche, che spaziano da ambiti un po' specifici come le difficoltà incontrate nell'integrazione o nel mondo lavorativo, ad altri quasi universali tra i quali spiccano il pregiudizio e gli schemi relazionali disfunzionali. Non si tratta certamente di argomenti avveniristici nella narrativa di genere, ma penso che in questa storia siano stati inclusi in maniera ottima: senza mai risultare retorici o fini a se stessi, e riuscendo invece a veicolare dei messaggi positivi ed incoraggianti.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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My rating: 4 of 5 stars
"It was an old, two-storied structure, with gabled roofs and windows, walls built out of warm, brownish grey brick and covered in vines of flowering ivy, and a merrily smoking chimney ... It looked, frankly, like a small piece of heaven"
IL ROMANTASY (QUASI) PERFETTO
Se state leggendo questo commento, probabilmente vi piace spulciare recensioni librose online, e pertanto avrete di certo notato come queste tendano spesso alla polarizzazione: ogni romanzo ha i suoi fan sfegatati ed i suoi acerrimi detrattori, con qualche parere più tiepido nel mezzo. Per "The Very Secret Society of Irregular Witches" invece non mi sono mai imbattuta in recensioni totalmente negative, e per questo -volendo dare un po' di spazio al genere romance nelle mie letture- ho scelto di puntare su questo titolo. E, una volta tanto, l'azzardo mi ha ripagato.
La trama sembra essere la quintessenza della zuccherosità con la protagonista Mika Moon (una strega trentenne particolarmente versata per le pozioni) a cui viene proposto di lavorare presso la deliziosa Nowhere House. In questa magione sulla costa del Norfolk vivono infatti tre giovanissime streghe carenti in quanto ad istruzione magica, e per questo le persone che si occupano di loro hanno individuato in Mika l'istruttrice perfetta. Mentre è impegnata ad insegnare alle ragazzine come tenere a bada i loro poteri, la donna inizia a sentirsi sempre più a casa in questo angolo bucolico e ad innamorarsi del bibliotecario James "Jamie" Kelly.
La prosa è glicemica quanto l'intreccio, ma in senso positivo! Mandanna si dimostra capace di bilanciare con gusto l'umorismo all'interno della narrazione, con qualche punta di stucchevolezza soltanto nei primi capitoli. Altrettanto affascinante è l'ambientazione, che viene descritta in modo così vivido da permettere subito al lettore di sentirsi trasportato all'interno della storia. Di conseguenza, potreste aspettarvi un sistema magico appena accennato, invece l'autrice ha saputo anche delineare delle regole abbastanza concrete in questo contesto fantastico, pur conservando buona parte dell'atmosfera sognante.
Tra tanta dolcezza non possono però mancare degli aspetto meno riusciti, come le svolte di trama: tutte tranquillamente prevedibili e carenti in quanto a coraggio nel movimentare l'intreccio; in pratica in nessuna scena si prova preoccupazione per le sorti dei protagonisti o per la buona riuscita dei loro progetti. Mi sarei aspettata maggiore impegno anche nella caratterizzazione dei personaggi secondari, i quali vengono presentati in maniera parecchio stereotipata e tali rimangono fino all'ultima pagina, con la sola eccezione della mentore di Mika, Primrose.
Per contro trovo che i due protagonisti siano stati tratteggiati con grande cura, e questo si evince sia dall'evoluzione che compiono come singoli individui, sia dal percorso grazie al quale arrivano a formare una coppia molto affiatata e ben assortita. Ovviamente a Mika viene concesso parecchio più spazio: è lei che deve superare i traumi passati, è lei che deve scegliere il proprio posto nel mondo, è lei che deve trovare il coraggio di dare concretezza ai suoi sogni. Penso che la cara Sangu sia stata poi molto abile nel delineare una protagonista che affronta la vita con uno spirito allegro e solare, senza farne un cliché pollyannesco.
L'altro grande pregio del romanzo si può individuare nelle sue tematiche, che spaziano da ambiti un po' specifici come le difficoltà incontrate nell'integrazione o nel mondo lavorativo, ad altri quasi universali tra i quali spiccano il pregiudizio e gli schemi relazionali disfunzionali. Non si tratta certamente di argomenti avveniristici nella narrativa di genere, ma penso che in questa storia siano stati inclusi in maniera ottima: senza mai risultare retorici o fini a se stessi, e riuscendo invece a veicolare dei messaggi positivi ed incoraggianti.
Voto effettivo: quattro stelline e mezza
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venerdì 7 giugno 2024
"Ciatu mei" di Stefania Tedesco
Ciatu mei by Stefania Tedesco
My rating: 4 of 5 stars
"Non conoscono il mondo che ho dentro, fatto di lacrime, insicurezza, empatia oltre il consentito. Questo lato lo devo tenere nascosto, sia per il lavoro che svolgo sia come forma di autoprotezione. Meno le persone ti conoscono e meno possono ferirti"
SPERIAMO CHE NINO SI RIMETTA PRESTO...
Ormai diversi mesi fa lessi "Nuvole grigie", il romanzo d'esordio di Tedesco, e pur evidenziando alcune sviste ne ebbi un'impressione grosso modo positiva. Il mistero al centro della narrazione veniva risolto in ogni suo aspetto entro la fine del volume, ma l'autrice ha deciso di dare ancora voce al commissario Cecilia Orlandi con la sua seconda opera "Ciatu mei", che si discorsa in più punti dal capitolo precedente e cerca nel contempo di rammendare le sopraccitate sviste.
Questa volta Cecilia è l'unico punto di vista all'interno della storia, che riprende un paio di mesi più avanti e si concentra su un nuovo caso, legato alla morte sospetta del giovane Beniamino "Mino" Gallo, allo spaccio di sostanze stupefacenti e ad altre azioni criminose. L'indagine si sviluppa nel corso di una settimana, e nel mentre l'autrice si prende del tempo per approfondire la storia personale della protagonista, come anche quelle dei suoi colleghi al commissariato di Roccia Marina, cittadina fittizia sulla costa cosentina.
Devo ammettere che la scelta di cambiare in modo netto il taglio del giallo mi ha un po' spiazzata: se nel primo libro Cecilia sembrava quasi la versione contemporanea di un detective classico, che dalla comodità del suo ufficio è in grado di scovare la verità senza particolari affanni, qui la vediamo molto più impegnata nell'azione sul campo. Un'altra sostanziale differenza nell'intreccio mystery si individua nella moltitudine dei crimini commessi, infatti i protagonisti non sono chiamati soltanto ad smascherare il colpevole del delitto di Mino, tanto che in più punti la quantità di sottotrame e personaggi secondari mi ha lasciata in parte confusa, specie quando cominciano a sbucare parentele imprevedibili e soprannomi da far invidia ai classici russi.
Non si tratta però di veri e propri difetti, quanto di una mia aspettativa sbagliata. A livello più oggettivo mi sento invece di segnalare la caratterizzazione un po' superficiale dei comprimari, che spesso risultato molto polarizzati nei loro comportamenti -forse con l'intento di ispirare simpatia o antipatia nel lettore- e per questo meno credibili. Penso che sfoltire almeno in parte il cast avrebbe aiutato a dare il giusto spazio ai personaggi effettivamente importanti, come Renato "Reno" Serra del quale dopo due libri ho ancora l'impressione di sapere troppo poco. Pur apprezzandolo a livello emotivo, il finale mi ha poi lasciata interdetta per le frequenti battute che in un contesto quasi drammatico mi sono sembrate evitabili.
La prosa della cara Stefania nel suo insieme invece mi ha convinto, perché ha acquistato molta personalità, oltre ad aver incorporato decisamente meglio nel testo le espressioni dialettali ed i commenti a margine di Cecilia, che a questo punto è diventata una divertente commentatrice delle sue stesse disavventure. Il lavoro fatto sul suo personaggio è forse l'elemento più apprezzabile del romanzo: l'autrice riesce a tratteggiare un carattere tridimensionale ed umano, consapevole dei suoi difetti senza sfociare nell'insicurezza cronica e determinato a migliorarsi senza arrivare a risoluzioni tanto rapide quanto improbabili. Il giusto tempo viene dato anche all'analisi del disturbo alimentare che affligge la protagonista, qui trattato in maniera parecchio dettagliata e forse per alcuni triggerante, anche se io ho trovato quest'analisi sempre rispettosa e verosimile.
In parte per il trascorso della protagonista, in parte per la piega presa dall'indagine, vengono incluse parecchie altre tematiche nel romanzo, dalla criminalità organizzata all'immigrazione clandestina, dalla violenza domestica agli stereotipi di genere; che forse non saranno introdotte in modo particolarmente sottile (specie quando è il momento delle riflessioni di Cecilia a riguardo), ma toccano di certo argomenti attuali e sentiti. Personalmente ho apprezzato un po' di più la parentesi legata ad un trauma nel passato della protagonista -soltanto menzionato nel precedente libro-, perché sono convinta che in quelle pagine Tedesco sia stata in grado di trasmettere con una forza incredibile tanto il dolore della perdita quanto la dolcezza del ricordo.
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My rating: 4 of 5 stars
"Non conoscono il mondo che ho dentro, fatto di lacrime, insicurezza, empatia oltre il consentito. Questo lato lo devo tenere nascosto, sia per il lavoro che svolgo sia come forma di autoprotezione. Meno le persone ti conoscono e meno possono ferirti"
SPERIAMO CHE NINO SI RIMETTA PRESTO...
Ormai diversi mesi fa lessi "Nuvole grigie", il romanzo d'esordio di Tedesco, e pur evidenziando alcune sviste ne ebbi un'impressione grosso modo positiva. Il mistero al centro della narrazione veniva risolto in ogni suo aspetto entro la fine del volume, ma l'autrice ha deciso di dare ancora voce al commissario Cecilia Orlandi con la sua seconda opera "Ciatu mei", che si discorsa in più punti dal capitolo precedente e cerca nel contempo di rammendare le sopraccitate sviste.
Questa volta Cecilia è l'unico punto di vista all'interno della storia, che riprende un paio di mesi più avanti e si concentra su un nuovo caso, legato alla morte sospetta del giovane Beniamino "Mino" Gallo, allo spaccio di sostanze stupefacenti e ad altre azioni criminose. L'indagine si sviluppa nel corso di una settimana, e nel mentre l'autrice si prende del tempo per approfondire la storia personale della protagonista, come anche quelle dei suoi colleghi al commissariato di Roccia Marina, cittadina fittizia sulla costa cosentina.
Devo ammettere che la scelta di cambiare in modo netto il taglio del giallo mi ha un po' spiazzata: se nel primo libro Cecilia sembrava quasi la versione contemporanea di un detective classico, che dalla comodità del suo ufficio è in grado di scovare la verità senza particolari affanni, qui la vediamo molto più impegnata nell'azione sul campo. Un'altra sostanziale differenza nell'intreccio mystery si individua nella moltitudine dei crimini commessi, infatti i protagonisti non sono chiamati soltanto ad smascherare il colpevole del delitto di Mino, tanto che in più punti la quantità di sottotrame e personaggi secondari mi ha lasciata in parte confusa, specie quando cominciano a sbucare parentele imprevedibili e soprannomi da far invidia ai classici russi.
Non si tratta però di veri e propri difetti, quanto di una mia aspettativa sbagliata. A livello più oggettivo mi sento invece di segnalare la caratterizzazione un po' superficiale dei comprimari, che spesso risultato molto polarizzati nei loro comportamenti -forse con l'intento di ispirare simpatia o antipatia nel lettore- e per questo meno credibili. Penso che sfoltire almeno in parte il cast avrebbe aiutato a dare il giusto spazio ai personaggi effettivamente importanti, come Renato "Reno" Serra del quale dopo due libri ho ancora l'impressione di sapere troppo poco. Pur apprezzandolo a livello emotivo, il finale mi ha poi lasciata interdetta per le frequenti battute che in un contesto quasi drammatico mi sono sembrate evitabili.
La prosa della cara Stefania nel suo insieme invece mi ha convinto, perché ha acquistato molta personalità, oltre ad aver incorporato decisamente meglio nel testo le espressioni dialettali ed i commenti a margine di Cecilia, che a questo punto è diventata una divertente commentatrice delle sue stesse disavventure. Il lavoro fatto sul suo personaggio è forse l'elemento più apprezzabile del romanzo: l'autrice riesce a tratteggiare un carattere tridimensionale ed umano, consapevole dei suoi difetti senza sfociare nell'insicurezza cronica e determinato a migliorarsi senza arrivare a risoluzioni tanto rapide quanto improbabili. Il giusto tempo viene dato anche all'analisi del disturbo alimentare che affligge la protagonista, qui trattato in maniera parecchio dettagliata e forse per alcuni triggerante, anche se io ho trovato quest'analisi sempre rispettosa e verosimile.
In parte per il trascorso della protagonista, in parte per la piega presa dall'indagine, vengono incluse parecchie altre tematiche nel romanzo, dalla criminalità organizzata all'immigrazione clandestina, dalla violenza domestica agli stereotipi di genere; che forse non saranno introdotte in modo particolarmente sottile (specie quando è il momento delle riflessioni di Cecilia a riguardo), ma toccano di certo argomenti attuali e sentiti. Personalmente ho apprezzato un po' di più la parentesi legata ad un trauma nel passato della protagonista -soltanto menzionato nel precedente libro-, perché sono convinta che in quelle pagine Tedesco sia stata in grado di trasmettere con una forza incredibile tanto il dolore della perdita quanto la dolcezza del ricordo.
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lunedì 3 giugno 2024
"Dark" di V.E.Schwab
Dark by V.E. Schwab
My rating: 2 of 5 stars
"C'era solo un modo perché il trono passasse di mano: con la forza. Un sovrano indossava la corona finché riusciva a tenerla sulla propria testa ... Il potere richiedeva corruzione, e la corruzione premiava il potere"
HASTRA IN MODALITÀ PREZZEMOLINO
Dopo due volumi ricchi di potenziale ma alquanto deludenti nell'esecuzione, le mie aspettative nei confronti del capitolo conclusivo della trilogia Shades of Magic erano decisamente basse. E le prime cento pagine di "Dark" non hanno di certo contribuito ad alzarle, dal momento che hanno praticamente annullato gli unici tre eventi rilevanti in "Legend": gli esercizi magici di Lila si dimostrano inutili quando la vediamo operare senza alcun addestramento incantesimi per lei nuovi, il piano di Osaron si dimostra inutile quando lui stesso capisce di poter semplicemente sfruttare Holland ed il pericolo corso da Kell e Rhy si dimostra inutile quando il lettore si rende conto che i protagonisti sono forniti di una plot armor inscalfibile.
Ma facciamo un passo indietro, riassumendo la trama. A differenza del capitolo precedente, qui la narrazione riprende subito, concludendo quindi la scena del rapimento di Kell; si passa poi alla minaccia principale del romanzo -ovvero il potente oshoc Osaron- che, raggiunta Londra rossa, decide di autoproclamarsi sovrano di questa realtà in quanto essa è ben più ricca di magia in confronto a quella bianca. Messi da parte gli screzi passati e siglata perfino un'improbabile alleanza con Holland, i protagonisti si operano per fermare il mostruoso nemico che minaccia la sicurezza di tutte le dimensioni.
O piuttosto, della città di Londra, e solo nelle immediate vicinanze del Tamigi. Tra i tanti difetti del romanzo, questa scelta narrativa è forse il peggiore perché comporta una quantità di problemi: le azioni eroiche di alcuni personaggi sembrano prive di utilità, l'angoscia data dal potenziale pericolo scende al minimo ed Osaron risulta nel complesso un avversario di scarsa rilevanza, quasi una versione in scala leggermente più grande di uno degli antagonisti affrontati nel primo capitolo. Capisco la necessità di creare dei picchi di tensione all'interno di una narrazione, ma mi sarei aspettata di vederlo orchestrare qualche attacco più credibile mentre i protagonisti cercavano un modo per eliminarlo; in questo modo, anche la loro vittoria sarebbe sembrata un traguardo emozionante anziché una conclusione inevitabile.
Con un cattivo tanto deludente, non potevo aspettarmi granché di meglio sul fronte dei personaggi positivi. In realtà ho apprezzato abbastanza l'approfondimento sul passato di Holland -visto che questo doveva essere in parte il volume dedicato a lui- e credo gli sia stata data una giusta conclusione, ma allo stesso tempo trovo il resto del cast molto più caricaturale rispetto ai primi due libri. Questa problematica è data soprattutto dall'infantilismo che permea i dialoghi, dalla frettolosità con cui vengono chiuse (o del tutto ignorate) certe sottotrame e dalla superficialità nelle relazioni, evolutesi in modo così veloce da risultare fasulle.
Come si sarà già capito, la trama non mi ha convinto per nulla, e non solo perché sembra in parte una copia di "Magic". Tutti gli avvenimenti sono causati da forzature, casualità o decisioni illogiche ed avventate dei personaggi, tanto che per venire a capo della missione principale l'autrice deve ricorrere ad artefatti e caratteri mai menzionati prima, o in alternativa a retcon imbarazzanti. Inoltre, diversi misteri e difficoltà sorti in precedenza sembrano dimenticati dai personaggi stessi, quando non risolti con giustificazioni inconsistenti; e mi riferisco anche a rivelazioni teoricamente cruciali come il modo in cui Kell è finito alla corte dei Maresh.
Sul fronte della prosa, Schwab tenta in svariate occasioni di adottare un linguaggio più poetico ed evocativo, fallendo due volte su tre, e dando così vita a metafore improbabili. Qualcuno dovrebbe poi farle presente che i puntini di sospensione sono utili a creare tensione solo se non vengono usati ogni tre frasi! Per quanto riguarda il mondo fantastico che ha ideato, rimangono valide le mie precedenti osservazioni: una buona idea per il world building (seppur dopo tre libri sono giunta a chiedermi se ci fosse davvero bisogno di quattro realtà parallele...) ed una confusa rappresentazione per il sistema magico.
Come capita fin troppo spesso di recente, dedico queste ultime righe ad una critica verso l'edizione nostrana, anche se nel frattempo la serie è stata ripubblicata da un'altra CE. Non contenta di aver cambiato formato per questo ultimo volume della trilogia, Newton Compton ci regala qui l'ennesima traduzione qualitativamente rabberciata, l'ennesima immagine di copertina deformata e l'ennesimo titolo tradotto in modo casuale. Si aggiunga l'aumento di prezzo del tutto inspiegabile, e avremo un quadro completo del perché quest'esperienza di lettura sia stata per me una vera sofferenza.
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My rating: 2 of 5 stars
"C'era solo un modo perché il trono passasse di mano: con la forza. Un sovrano indossava la corona finché riusciva a tenerla sulla propria testa ... Il potere richiedeva corruzione, e la corruzione premiava il potere"
HASTRA IN MODALITÀ PREZZEMOLINO
Dopo due volumi ricchi di potenziale ma alquanto deludenti nell'esecuzione, le mie aspettative nei confronti del capitolo conclusivo della trilogia Shades of Magic erano decisamente basse. E le prime cento pagine di "Dark" non hanno di certo contribuito ad alzarle, dal momento che hanno praticamente annullato gli unici tre eventi rilevanti in "Legend": gli esercizi magici di Lila si dimostrano inutili quando la vediamo operare senza alcun addestramento incantesimi per lei nuovi, il piano di Osaron si dimostra inutile quando lui stesso capisce di poter semplicemente sfruttare Holland ed il pericolo corso da Kell e Rhy si dimostra inutile quando il lettore si rende conto che i protagonisti sono forniti di una plot armor inscalfibile.
Ma facciamo un passo indietro, riassumendo la trama. A differenza del capitolo precedente, qui la narrazione riprende subito, concludendo quindi la scena del rapimento di Kell; si passa poi alla minaccia principale del romanzo -ovvero il potente oshoc Osaron- che, raggiunta Londra rossa, decide di autoproclamarsi sovrano di questa realtà in quanto essa è ben più ricca di magia in confronto a quella bianca. Messi da parte gli screzi passati e siglata perfino un'improbabile alleanza con Holland, i protagonisti si operano per fermare il mostruoso nemico che minaccia la sicurezza di tutte le dimensioni.
O piuttosto, della città di Londra, e solo nelle immediate vicinanze del Tamigi. Tra i tanti difetti del romanzo, questa scelta narrativa è forse il peggiore perché comporta una quantità di problemi: le azioni eroiche di alcuni personaggi sembrano prive di utilità, l'angoscia data dal potenziale pericolo scende al minimo ed Osaron risulta nel complesso un avversario di scarsa rilevanza, quasi una versione in scala leggermente più grande di uno degli antagonisti affrontati nel primo capitolo. Capisco la necessità di creare dei picchi di tensione all'interno di una narrazione, ma mi sarei aspettata di vederlo orchestrare qualche attacco più credibile mentre i protagonisti cercavano un modo per eliminarlo; in questo modo, anche la loro vittoria sarebbe sembrata un traguardo emozionante anziché una conclusione inevitabile.
Con un cattivo tanto deludente, non potevo aspettarmi granché di meglio sul fronte dei personaggi positivi. In realtà ho apprezzato abbastanza l'approfondimento sul passato di Holland -visto che questo doveva essere in parte il volume dedicato a lui- e credo gli sia stata data una giusta conclusione, ma allo stesso tempo trovo il resto del cast molto più caricaturale rispetto ai primi due libri. Questa problematica è data soprattutto dall'infantilismo che permea i dialoghi, dalla frettolosità con cui vengono chiuse (o del tutto ignorate) certe sottotrame e dalla superficialità nelle relazioni, evolutesi in modo così veloce da risultare fasulle.
Come si sarà già capito, la trama non mi ha convinto per nulla, e non solo perché sembra in parte una copia di "Magic". Tutti gli avvenimenti sono causati da forzature, casualità o decisioni illogiche ed avventate dei personaggi, tanto che per venire a capo della missione principale l'autrice deve ricorrere ad artefatti e caratteri mai menzionati prima, o in alternativa a retcon imbarazzanti. Inoltre, diversi misteri e difficoltà sorti in precedenza sembrano dimenticati dai personaggi stessi, quando non risolti con giustificazioni inconsistenti; e mi riferisco anche a rivelazioni teoricamente cruciali come il modo in cui Kell è finito alla corte dei Maresh.
Sul fronte della prosa, Schwab tenta in svariate occasioni di adottare un linguaggio più poetico ed evocativo, fallendo due volte su tre, e dando così vita a metafore improbabili. Qualcuno dovrebbe poi farle presente che i puntini di sospensione sono utili a creare tensione solo se non vengono usati ogni tre frasi! Per quanto riguarda il mondo fantastico che ha ideato, rimangono valide le mie precedenti osservazioni: una buona idea per il world building (seppur dopo tre libri sono giunta a chiedermi se ci fosse davvero bisogno di quattro realtà parallele...) ed una confusa rappresentazione per il sistema magico.
Come capita fin troppo spesso di recente, dedico queste ultime righe ad una critica verso l'edizione nostrana, anche se nel frattempo la serie è stata ripubblicata da un'altra CE. Non contenta di aver cambiato formato per questo ultimo volume della trilogia, Newton Compton ci regala qui l'ennesima traduzione qualitativamente rabberciata, l'ennesima immagine di copertina deformata e l'ennesimo titolo tradotto in modo casuale. Si aggiunga l'aumento di prezzo del tutto inspiegabile, e avremo un quadro completo del perché quest'esperienza di lettura sia stata per me una vera sofferenza.
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