giovedì 30 aprile 2020

Wrap-Up - Letture di aprile 2020

Wrap-Up - Letture di aprile 2020


In questo mese sono stata leggermente più produttiva -dal punto di vista del numero di libri letti- rispetto ai precedenti, riuscendo anche a mantenere una buona media per quanto riguarda i voti assegnati.

Come promesso in un post di qualche mese fa, ho voluto dare un'ultima chance a Jeanne Kalogridis con uno dei suoi titoli più apprezzati: "Alla corte dei Borgia", che ci racconta una versione romanzata della vita di Sancia d'Aragona. Pur rimanendo determinata a non leggere altro di suo, questo libro ha meritato tre stelline per avermi intrattenuto e (involontariamente) divertito; andate QUI per leggere la recensione completa.

Con la seconda lettura ho continuato la serie Il quarto elemento, lasciata in sospeso ormai da diversi mesi. "Blood of the Prophet" è il secondo capitolo della trilogia fantasy scritta da Kat Ross ed ambientata nell'antica Persia, tra figure storiche come Alessandro Magno e creature soprannaturali come i dæva.
La trama di questo libro è abbastanza limitata, perché si focalizza soprattutto sulla missione dei protagonisti (nonché del negromante Balthazar) per trovare il Profeta, da secoli ormai prigioniero dei magi a Karnopolis -la capitale d'inverno- mentre l'intero impero lo crede morto e lo venera come un santo. Il ritmo è parecchio lento senza però risultare fastidioso, almeno fino alla parte conclusiva del volume in cui ci ha invece una brusca accelerazione che cerca di chiudere la maggior parte delle vicende in poche pagine; la differenza è davvero netta e crea un senso di smarrimento nel lettore, fino a quel punto cullato da una narrazione più descrittiva.
I personaggi si riconfermano l'aspetto migliore di questa serie, e ho molto apprezzato la scelta di seguire da vicino anche i POV degli antagonisti Araxa e Balthazar (seppur in terza persona), dei quali tra l'altro ho adorato il confronto diretto in cui ognuno riconosce la crudeltà dell'altro. In generale trovo ben strutturate e credibili tutte le relazioni interpersonali in questa trilogia, e confermo la mia approvazione per la scelta dell'autrice di sfruttare i suoi personaggi senza remore o con il timore di sconvolgere i lettori.
Molta cura è stata riservata anche all'ambientazione, che si fa sempre più ricca e dettagliata; a mio parere, con un mondo tanto complesso a disposizione l'autrice poteva ambire a scrivere delle storie più lunghe e dense di avvenimenti. Per restare in tema, un plauso alla Dunwich per aver inserito un glossario dettagliato a fine volume: con tanti luoghi e creature, spesso ci si può sentire effettivamente persi.
Il mio voto è di quattro stelline.

Ho completato poi la lettura di un libro in inglese, etichettato come retelling femminista di Biancaneve, e posso dire che questa definizione calza a pennello a "Girls Made of Snow and Glass" di Melissa Bashardoust. Sotto ogni punto di vista l'ho trovata un'ottima lettura, consigliata soprattutto a chi vuole una storia autoconclusiva con un livello di inglese non troppo alto. Potete trovare QUI il mio commento dettagliato per questo libro che si è guadagnato ben cinque stelline.

Dopo aver quasi plagiato "Notre-Dame de Paris" in "Chocolat" (ne parlo QUI), la cara Joanne Harris ci delizia ancora con le avventure di Vianne Rocher nel seguito "Le scarpe rosse" che va invece a scomodare il povero Stendhal, soprattutto per la presenza del più inutile e tedioso triangolo amoroso degli ultimi anni.
La storia si sposta per l'occasione in un quartiere alla periferia di Parigi, luogo molto influenzato dalla quotidianità moderna e quindi quanto mai inadatto per un romanzo di realismo magico; sono passati quattro anni e Vianne, dopo aver cambiato identità, tiene un profilo il più possibile discreto ed ha rinunciato alle vecchie magie. A sconvolgere la sua precaria tranquillità è Zozie de l'Alba, un'altra strega decisamente più estroversa e ambiziosa che si insinuerà pian piano nella vita sua, delle figlie e della piccola cerchia di clienti ed amici.
A differenza del primo volume, qui seguiamo anche il POV di Anouk (per l'occasione ribattezzata Annie), oltre a quelli di Vianne e Zozie, e in tutti e tre i casi i personaggi tengono un registro narrativo a dir poco creativo, alternando momenti in cui sembrano scrivere un diario, altri in cui si rivolgono direttamente al lettore ed altri ancora in cui parlano tra di loro. Nella parte di Anouk l'autrice tenta di immedesimarsi nella mentalità di una ragazzina, sfruttando unicamente degli stereotipi collaudati ed usando ogni due per tre la parola "okay", che secondo lei dovrebbe dare l'idea del lessico giovanile. Zozie sarebbe il personaggio più interessante, peccato che le sue motivazioni rimangano poco chiare e prive di credibilità fino alla fine. Vianne poi non capisco davvero come possa ambire al ruolo di protagonista, vista la sua inattività per buona parte del volume, senza dimenticare i suoi piagnistei per il sacrificio di dover sposare un uomo che non ama... senza pensare però alla crudeltà con cui sta ingannando lui!
In generale, la morale in questo romanzo è alquanto aleatoria; lo si vede nel rapimento di Vianne da bambina o nella sua decisione monolaterale di crescere da sola Rosette. Tutto questo contrasta direttamente con gli avvenimenti di "Chocolat", dove lei non sembrava per nulla innamorata di Roux, che anzi era evidentemente interessato a Josephine (tra l'altro, che fine ha fatto Josephine?).
Nemmeno l'edizione Garzanti ha migliorato la situazione: vista la presenza di molti termini e frasi francesi nel testo, a mio parere avrebbero dovuto includere delle note esplicative, perché così il volume non risulta del tutto comprensibile.
Il mio voto è di due stelline e mezzo.

Questo mese ho anche terminato una serie che mi portavo dietro da ben quattro anni, ovvero la pentalogia Magisterium scritta in collaborazione da Holly Black e Cassandra Clare. "La torre d'oro" ha avuto una conclusione abbastanza degna e si è mantenuto grosso modo in linea con quanto già raccontato nel resto dei volumi.
Dal momento che non pubblicherò una Lettura d'Insieme, volevo riepilogare brevemente qui gli aspetti -sia in positivo, sia in negativo- a serie conclusa. Mi è piaciuto lo spunto iniziale (ossia, ciò che mi ha spinto ad intraprendere questo luuungo viaggio) e i molti plot twist ben inseriti; ho adorato il personaggio di Jasper -che tra l'altro andata sfruttato maggiormente- come anche la naturalezza con cui vengono accettate le diversità di ogni tipo. Ho trovato interessanti alcuni aspetti del sistema magico, in particolare i Divorati, ma credo che potesse essere spiegato molto meglio, nonché mantenersi più coerente nel corso della serie. Non ho gradito neppure l'eccessiva frettolosità con cui si sviluppa la trama ed il tono troppo infantile dei dialoghi: capisco che il target di riferimento è il middle grade, ma come autore devi adeguare i comportamenti dei protagonisti se li fai diventare dei diciassettenni. In generale, ho avuto l'impressione che le autrici avessero delle buone idee in partenza, ma si siano stancate della storia e dei personaggi con l'andare avanti dei volumi.
Per quanto riguarda questo volume, la storia si focalizza sulla risoluzione delle due questioni generate dal finale di "La maschera d'argento" (ne parlo QUI), quindi la lotta contro il redivivo Alex e la ricerca di un corpo per l'anima di Aaron, oltre alle varie sottotrame -in prevalenza a sfondo romantico. Si tratta del capitolo più breve della serie, ma sono comunque presenti delle scene dalla dubbissima utilità che sarebbero potute essere sostituite da un maggiore sviluppo delle relazioni tra i personaggi.
Il romanzo giunge presto a conclusione grazie a dei convenientissimi deus ex machina (in primis, il povero Alistair) e alle abilità che dimostrano i protagonisti, senza però averle mai apprese o esercitate. Diciamo che il target ti suggerisce di passare sopra alle molte incongruenze, ma se si cerca una buona serie per ragazzi ci sono opzioni ben più appetibili.
Il mio voto è di tre stelline e mezzo.

La successiva lettura è stata una novella in lingua inglese, purtroppo ancora inedita in Italia, "Keturah and Lord Death" della canadese Martine Leavitt. Presentata come una fiaba d'altri tempi, quest'opera si propone di riscrivere il mito greco di Ade e Persefone, ossia il rapimento della dea della primavera da parte del dio degli inferi, e il successivo innamoramento tra i due.
A conti fatti, la novella si ispira anche alla storia di base della raccolta Le mille e una notte dal momento che, all'inizio della storia, vediamo la sedicenne Keturah Reeves perdersi nel bosco -per aver voluto seguire un cervo fatato- e qui incontrare la Morte personificata in un avvenente uomo a cavallo; per ottenere un altro giorno di vita, la protagonista inizia a narrare una storia che interrompe sul più bello per poi promettere di continuarla la notte seguente. Con questo espediente, che già aveva salvato la vita di Sherazad, Keturah riesce a guadagnare diversi giorni durante i quali è determinata a trovare il suo Vero Amore nonché ad impedire che un'epidemia colpisca il suo amato villaggio.
La natura stessa della novella impone di sospendere del tutto l'incredulità ed accettare gli elementi tipici delle fiabe, improponibili in un contesto più realistico, come i non-nomi dei personaggi secondari, la ripetizione di diverse scene o la presenza di tanti caratteri stereotipati. Se ci si sofferma su questi dettagli fiabeschi, si rischia di perdere di vista i temi principali della storia: l'accettazione della morte come parte imprescindibile dell'esistenza umana e la ricerca di una relazione genuina tra tante artefatte o basate su impressioni sbagliate. Molto interessante il collegamento che unisce Keturah e la Morte, tanto da permettere alla ragazza di vedere e conversare con questa entità ultraterrena nel momento in cui una persona sta morendo.
Il formato del volume invece non mi ha soddisfatto, perché avrei preferito una graphic novel data la brevità della storia; in alternativa, la buona idea di partenza poteva essere meglio sfruttata per scrivere un romanzo ben più lungo.
Il mio voto è di quattro stelline.

Come classico per questo mese ho letto un nuovo pilastro del genere distopico, in particolare quello più recente (la pubblicazione risale infatti al relativamente vicino 1954): "Il Signore delle Mosche" di William Golding. Ho assegnato cinque stelline a questo romanzo e, per una recensione più dettagliata sul contenuto e le tematiche vi rimando QUI, al post dedicato.

L'ultimo libro letto ad aprile è stato "Il nemico di Cesare" di Andrea Frediani, secondo capitolo nella trilogia Dictator incentrata sull'ascesa al potere di Giulio Cesare, anche se questo volume in particolare non concede troppo spazio al conquistatore romano, preferendo focalizzarsi sulle storyline dei personaggi secondari e -in alcuni casi- fittizi.
La trama segue i primi anni della guerra civile, che vede combattersi principalmente Cesare e Pompeo sui territori dell'Italia e della penisola balcanica, mentre i loro alleati si fronteggiavano nelle altre regioni conquistate da Roma. La descrizione delle scene di battaglia rimane l'unico aspetto positivo di questa serie, assieme alla fedeltà storica agli eventi; purtroppo questi due elementi non bastano certo per creare un romanzo soddisfacente.
Come anticipato, nel romanzo viene dato ben poco spazio ai POV di Cesare, come pure a quelli di Labieno (che dovrebbe essere il coprotagonista, basandosi sui titoli dei libri) e di Servilia, anche se in quest'ultimo caso trovo sia stata una scelta corretta. Lasciando da parte le battaglie, il grosso del volume si concentra su Quinto, Veleda e Ortwin, ossia uno dei triangoli amorosi più disturbanti di sempre; a onor del vero anche Aulo Irzio ottiene un po' di spazio a metà volume, ma le ripercussioni per il suo personaggio sono praticamente nulle nei capitoli successivi, quindi non capisco a cosa sia servito seguire il suo POV.
Mentre Ortwin ancora si dimostra un personaggio grosso modo apprezzabile, Quinto qui diventa ancora più detestabile: leggere i suoi pensieri è disgustoso e trovo assurdo come l'autore -per essere fedele alla figura storica- gli permetta sempre di cavarsela. Per Veleda volevo sinceramente provare simpatia, ma rispetto a "L'ombra di Cesare" (ne parlo QUI) sfodera una presunta determinazione che sfocia però nella totale stupidità e non si riesce proprio a giustificare le sue azioni.
Lo stile è un'altra nota dolente: sono presenti molte espressioni colloquiali come "D'accordo,... Del resto,... Ad ogni modo,..." inserite come fossero pensieri dei personaggi nella narrazione in terza persona; un altro aspetto migliorabile riguarda i dialoghi, che spesso risultano artificiosi e zeppi di infodump. Inoltre, tutti parlano con lo stesso tono e lessico a prescindere dallo status sociale o dal grado di istruzione, e ci sono termini come bluff o raid che stonano nettamente con l'ambientazione perché acquisiti dall'inglese ed entrati nel lessico italiano solo negli ultimi decenni.
Il mio voto è di due stelline.

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