Io che non ho conosciuto gli uomini by Jacqueline Harpman
My rating: 5 of 5 stars
"In ogni caso, fui quella che si adattò meglio, dal momento che, probabilmente, non avevo conosciuto niente di diverso e nessun rimpianto mi tormentava"
TITOLO CLICKBAIT
Come lettori contemporanei è inevitabile lasciarsi influenzare dalla popolarità di un dato romanzo, anche se spesso il nostro parere finisce poi per differire parecchio da quello della maggioranza. Mi è capitato anche con la mia ultima lettura, ossia "Rebel. La nuova alba", dalla quale sono stata a dir poco delusa nonostante la media più che buona di cui gode su Goodreads. Per fortuna ci sono anche casi opposti, in cui sottoscrivo l'apprezzamento di cui gode il volume in questione appena letta l'ultima pagina, com'è successo per "Io che non ho sconosciuto gli uomini"; titolo arrivato quest'anno in Italia, con un risibile ritardo di trent'anni dalla pubblicazione originale.
Già dalla forma narrativa, si può intuire la peculiarità del romanzo: privo di paragrafi o capitoli, il testo è infatti un unico e lunghissimo flusso di coscienza attraverso il quale l'anonima protagonista narra in retrospettiva la sua vita. Dal suo presente di donna anziana e malata, rivive quindi gli eventi più significativi, a cominciare dall'infanzia trascorsa all'interno di una cella sotterranea assieme a trentanove estranee. Una premessa decisamente insolita che, unita alla struttura scelta, mi ha portato alla mente lo stupendo e sfidante "Cecità".
La prosa di Harpman è però parecchio lontana da quello di Saramago, ma non meno valida; la voce scelta per la protagonista risulta infatti curata ed emozionante, in grado di mettere in scena delle immagini potenti a livello simbolico senza per questo puntare su inutili e ridondanti complessità stilistiche. E sicuramente non sarà stato facile decidere il linguaggio da adottare per una personaggia del genere, anzi al di fuori di qualunque genere. La narratrice è infatti la sola a non avere alcun ricordo della vita prima della gabbia, la sola a non aver mai interagito direttamente con un uomo, la sola a non desiderare alcun contatto umano, la sola a poter chiamare casa lo strano mondo in cui si svolge la vicenda.
Seppur lei brilli per la sua unicità, anche alcune delle coprotagoniste dimostrano una solida caratterizzazione. In particolare devo dire che il legame con l'ex infermiera Théa mi ha commossa in diverse scene: lei è indubbiamente la compagna di prigionia più affine alla protagonista a livello intellettuale, oltre a dimostrarsi capace di supportarla moralmente e di ricoprire il ruolo più simile a quello di una madre che questa ragazza conoscerà mai. Rimanendo su un piano soggettivo, il libro mi ha convinto nella sua componente survival -tropo che io adoro (quasi) sempre!-, realistica e lontana da inopportune esagerazioni.
Al fianco della protagonista, l'altro pregio più evidente del romanzo è da ricercare nelle tematiche scelte. Il contesto stesso permette alla cara Jacqueline di introdurre riflessioni sui concetti di civiltà ed umanità, che in questa realtà presumibilmente postapocalittica vengono meno: che bisogno c'è di rispettare determinate convenzioni sociali quando si è le sole abitanti del pianeta? come si può preoccuparsi del proprio aspetto se non si ha neppure mai visto uno specchio? perché non sottrarre ciò che serve ai morti in caso manchino anche i generi di prima necessità? Su un piano più personale, la protagonista ci parla anche dell'identità individuale che in lei fatica non poco a formarsi, nonché dei legami relazionali verso i quali rimane sempre diffidente non riuscendo a dare il giusto grado di fiducia al prossimo. O meglio, alla prossima.
Una storia quindi molto lontana dalle nostre vite quotidiane, che è riuscita comunque a farmi provare delle sensazioni e ad ispirarmi ragionamenti, grazie anche ad un crescendo emotivo che purtroppo non và di pari passo con il ritmo narrativo. Se dovessi indicare il punto debole di questa lettura, nominerei proprio l'assenza di un intreccio solido, nonché l'impressione di non aver ottenuto abbastanza; e penso specialmente al world building in cui molti dettagli sono lasciati volutamente all'interpretazione del lettore. Lettore che potrebbe comunque risentirsi per le risposte negate! pertanto il mio consiglio è di immergersi in questa storia senza farsi condizionare troppo dal titolo o dalla sinossi, perché potrebbero portarvi ad avere aspettative errate.
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martedì 7 gennaio 2025
venerdì 3 gennaio 2025
"Rebel. La nuova alba" di Alwyn Hamilton
Rebel: La nuova alba by Alwyn Hamilton
My rating: 1 of 5 stars
"Conoscevo meglio di chiunque altro la distanza tra verità e leggenda, e sapevo che le storie non venivano mai raccontate per intero. Ma con alcune cose era meglio non scherzare, e la Devastatrice di Mondi era la prima della lista"
ED ECCO PERCHÈ NON HO PIÙ FIDUCIA NELLO YA
Da anni non mi capitava di essere così poco produttiva a livello di serie letterarie; e non contenta di averne terminate giusto una manciata in tutto il 2024, mi sono pure penalizzata a livello qualitativo. Temo infatti che Rebel of the Sands entrerà nell'Ade delle serie peggiori mai lette dalla sottoscritta, e vi assicuro che non sarei mai riuscita ad intuito a priori. Risulta ben chiaro quindi che "Rebel. La nuova alba" non è riuscito a salvare la sua trilogia; un'impresa senza dubbio improba, ma si può effettivamente parlare di fallimento quando non ci si prova neppure?
Proprio com'era successo tra i primi due libri, un elissi temporale ci dà il benvenuto dopo un breve primo capitolo. È passato un mese dal finale di "Rebel. Il tradimento" e la città di Izman è sotto assedio da parte dell'esercito gallan; a proteggerla c'è però una barriera infuocata eretta grazie alla magia dei Djinni, abilmente sfruttata dal Sultano. Amani ed i pochi ribelli rimasti cercano quindi un modo per aggirare questo muro di fuoco e seguire la bussola di Jin, con l'obiettivo di ritrovare Ahmed e scacciare una volta per tutte le forze straniere che mirano al controllo del Miraji.
Com'era prevedibile Amani prende in mano la rivoluzione, e com'era ancora più prevedibile questo si dimostra essere uno dei maggiori difetti del romanzo. Se già la trovavo irritante in qualità di ribelle testarda ed impulsiva, vi lascio immaginare cosa penso di lei in qualità di leader testarda, impulsiva e pure piagnona! sì perché i suoi pensieri per buona parte del volume ruotano attorno a quanto si senta inadeguata in confronto con il Principe Ribelle, con Shazad o con Rahim. Precisamente in quest'ordine, ogni volta. Nel frattempo, prende una decisione sbagliata dopo l'altra, rendendo la trama ancor più sciocca ed incoerente di quanto non fosse nei capitoli precedenti.
E non illudetevi che io tenga in serbo parole gentili per i suoi comprimari. Già poco caratterizzati, qui i personaggi regrediscono ulteriormente diventando delle vere e proprie macchiette, o meglio delle pedine che l'autrice muove in base alle necessità della trama senza alcuna considerazione per la verosimiglianza; di conseguenza anche le morti alle quali assistiamo sono prive di impatto emotivo. Perfino Jin, il grande amore di Amani, è carente in quanto a carisma e si limita a restare sullo sfondo dando blandi incoraggiamenti. La loro romance poi si conferma decisamente fuoriluogo, oltre ad essere basata su delle dinamiche a mio avviso discutibili, con lui che scappa davanti alle difficoltà e lei che lo vincola a sé senza riflettere o chiedere il suo benestare.
Cosa dire poi del sistema magico? tra espedienti convenienti, regole cambiate tra una scena e l'altra ed un utilizzo casuale dei poteri: la cara Alwyn ha fornito i Demdji di così tante capacità, che poi ha dovuto renderli scemi in modo da non dovervi ricorrere sempre, ma solo quando era necessario per far proseguire la storia. Un lavoro di scrittura decisamente infantile, che si riflette com'è logico nello stile, nell'intreccio e nella costruzione dell'universo narrativo; a risentirne in particolare questa volta è l'aspetto geopolitico, gestito con la stessa credibilità di chi si mette a dieta il primo di gennaio. Personalmente non ho apprezzato neppure i chiari tentativi di manipolare il lettore, ricorrendo tra l'altro ad un urticante femminismo di facciata: quando si tratta di giudicare l'operato degli antagonisti si adotta la morale contemporanea, mentre quando a commettere azioni discutibili è Amani tutto le viene condonato perché il suo mondo è brutto e lei deve fare tutto il possibile per sopravvivere.
Solitamente mi sforzo per trovare dei pregi da menzionare nelle recensioni, ma in questo caso non so proprio cosa dire. Forse potrei concentrarmi sugli elementi non negativi, come l'assenza di refusi nel testo, di violenza gratuita o di momenti fiacchi. Per lo meno non mi posso lamentare dell'edizione nostrana, alla quale riconosco anzi l'astuzia di aver omesso la mappa; fosse stata presente, i lettori italiani si sarebbero resi conto che gli spostamenti fatti dai protagonisti in giro per il Miraji non stanno né in cielo né in terra!
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My rating: 1 of 5 stars
"Conoscevo meglio di chiunque altro la distanza tra verità e leggenda, e sapevo che le storie non venivano mai raccontate per intero. Ma con alcune cose era meglio non scherzare, e la Devastatrice di Mondi era la prima della lista"
ED ECCO PERCHÈ NON HO PIÙ FIDUCIA NELLO YA
Da anni non mi capitava di essere così poco produttiva a livello di serie letterarie; e non contenta di averne terminate giusto una manciata in tutto il 2024, mi sono pure penalizzata a livello qualitativo. Temo infatti che Rebel of the Sands entrerà nell'Ade delle serie peggiori mai lette dalla sottoscritta, e vi assicuro che non sarei mai riuscita ad intuito a priori. Risulta ben chiaro quindi che "Rebel. La nuova alba" non è riuscito a salvare la sua trilogia; un'impresa senza dubbio improba, ma si può effettivamente parlare di fallimento quando non ci si prova neppure?
Proprio com'era successo tra i primi due libri, un elissi temporale ci dà il benvenuto dopo un breve primo capitolo. È passato un mese dal finale di "Rebel. Il tradimento" e la città di Izman è sotto assedio da parte dell'esercito gallan; a proteggerla c'è però una barriera infuocata eretta grazie alla magia dei Djinni, abilmente sfruttata dal Sultano. Amani ed i pochi ribelli rimasti cercano quindi un modo per aggirare questo muro di fuoco e seguire la bussola di Jin, con l'obiettivo di ritrovare Ahmed e scacciare una volta per tutte le forze straniere che mirano al controllo del Miraji.
Com'era prevedibile Amani prende in mano la rivoluzione, e com'era ancora più prevedibile questo si dimostra essere uno dei maggiori difetti del romanzo. Se già la trovavo irritante in qualità di ribelle testarda ed impulsiva, vi lascio immaginare cosa penso di lei in qualità di leader testarda, impulsiva e pure piagnona! sì perché i suoi pensieri per buona parte del volume ruotano attorno a quanto si senta inadeguata in confronto con il Principe Ribelle, con Shazad o con Rahim. Precisamente in quest'ordine, ogni volta. Nel frattempo, prende una decisione sbagliata dopo l'altra, rendendo la trama ancor più sciocca ed incoerente di quanto non fosse nei capitoli precedenti.
E non illudetevi che io tenga in serbo parole gentili per i suoi comprimari. Già poco caratterizzati, qui i personaggi regrediscono ulteriormente diventando delle vere e proprie macchiette, o meglio delle pedine che l'autrice muove in base alle necessità della trama senza alcuna considerazione per la verosimiglianza; di conseguenza anche le morti alle quali assistiamo sono prive di impatto emotivo. Perfino Jin, il grande amore di Amani, è carente in quanto a carisma e si limita a restare sullo sfondo dando blandi incoraggiamenti. La loro romance poi si conferma decisamente fuoriluogo, oltre ad essere basata su delle dinamiche a mio avviso discutibili, con lui che scappa davanti alle difficoltà e lei che lo vincola a sé senza riflettere o chiedere il suo benestare.
Cosa dire poi del sistema magico? tra espedienti convenienti, regole cambiate tra una scena e l'altra ed un utilizzo casuale dei poteri: la cara Alwyn ha fornito i Demdji di così tante capacità, che poi ha dovuto renderli scemi in modo da non dovervi ricorrere sempre, ma solo quando era necessario per far proseguire la storia. Un lavoro di scrittura decisamente infantile, che si riflette com'è logico nello stile, nell'intreccio e nella costruzione dell'universo narrativo; a risentirne in particolare questa volta è l'aspetto geopolitico, gestito con la stessa credibilità di chi si mette a dieta il primo di gennaio. Personalmente non ho apprezzato neppure i chiari tentativi di manipolare il lettore, ricorrendo tra l'altro ad un urticante femminismo di facciata: quando si tratta di giudicare l'operato degli antagonisti si adotta la morale contemporanea, mentre quando a commettere azioni discutibili è Amani tutto le viene condonato perché il suo mondo è brutto e lei deve fare tutto il possibile per sopravvivere.
Solitamente mi sforzo per trovare dei pregi da menzionare nelle recensioni, ma in questo caso non so proprio cosa dire. Forse potrei concentrarmi sugli elementi non negativi, come l'assenza di refusi nel testo, di violenza gratuita o di momenti fiacchi. Per lo meno non mi posso lamentare dell'edizione nostrana, alla quale riconosco anzi l'astuzia di aver omesso la mappa; fosse stata presente, i lettori italiani si sarebbero resi conto che gli spostamenti fatti dai protagonisti in giro per il Miraji non stanno né in cielo né in terra!
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