giovedì 30 ottobre 2025

"Leggende di Terramare" di Ursula K. Le Guin

Leggende di EarthseaLeggende di Earthsea by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"Questo dunque è il resoconto delle mie esplorazioni e delle mie scoperte: racconti di Terramare per chi ha amato o pensa di poter amare il luogo, ed è disposto ad accettare queste ipotesi: le cose cambiano, autori e maghi non sono sempre affidabili, nessuno può spiegare un drago"


GOODREADS 1 : MONDADORI -2

Detto e fatto: non ho lasciato passare neppure un mese dalla lettura dell'ultimo romanzo ambientato nell'universo narrativo di Terramare per fiondarmi sulla raccolta "Leggende di Terramare" e poter così mettere la parola fine a questa soporifera saga. Una conclusione che non rispetta l'ordine di lettura originale (sì, avrei dovuto tenere per ultimo "I venti di Terramare", ma per questa scelta infelice scaricherò integralmente il barile su Mondadori!) eppure mi libera non di meno da un impegno libroso che ho avuto la sciagurata idea di voler portare a termine entro l'anno. E sono pronta a scommettere che la prosa un po' chirurgica e un po' delirante della cara Ursula sia in parte responsabile del mio netto peggioramento a livello di libri letti, e soprattutto di libri apprezzati.

Prima che incolpi questa serie pure del maltempo, passiamo al contenuto effettivo del volume. Si tratta di cinque racconti presentati in ordine cronologico ma ben poco omogenei a livello di lunghezza -alcuni sembrano quasi delle novelle o dei romanzi brevi-, e di un'appendice parecchio sostanziosa nella quale l'autrice si concentra sulle peculiarità geografiche, sociologiche e storiche del mondo da lei creato. Tutto questo viene preceduto da una prefazione dal tono fortemente supercazzoloso, dove una retorica infantile dovrebbe convincere il lettore che le contraddizioni presenti nella serie non sono dovute all'incapacità dell'autrice di mantenere fede a quanto scritto in precedenza bensì alla reale esistenza di Terramare, un mondo dove Le Guin accede in veste di umile cronista, del tutto titolata quindi a commettere piccoli errori e grosse incoerenze.

Ambientata trecento anni prima della storia di Ged (oppure quattrocento, oppure più di seicento, a seconda di cosa passa per la testa all'autrice), la narrazione di partenza è decisamente la più corposa e mira a raccontare le origini della scuola di magia sull'isola di Roke e delle sue tradizioni, salvo la più importante: dovremo aspettare l'ultima pagina delle appendici per sapere come questo organismo si sia trasformato da comune hippy basata sulla condivisione e l'inclusione, a simil-convento di clausura per soli uomini celibi. Ne "Il trovatore", la prospettiva principale è quella di Medra (più una carrellata di altri nomi, come sempre), umile costruttore di navi di Havnor che scopre una grande predisposizione per l'arte magica, attitudine grazie alla quale viaggia per tutto il Terramare fino ad approdare a Roke, dove già vive un nutrito gruppo di streghe e stregoni; il suo desiderio di condividere le conoscenze magiche però è tale che riprende il mare per radunare altri "dotati" e recuperare libri antichi. La sua iniziativa attira purtroppo l'attenzione dell'ambizioso mago Early, mettendo a repentaglio il futuro della loro comunità.

In questo racconto mi sento di poter salvare soltanto il personaggio di Segugio, ovvero un raro carattere leguinano fornito di buon senso e di un percorso credibile e propositivo; in confronto Medra è un protagonista scialbo, privo di legami solidi o costruiti con cura. Non mancano poi le contraddizioni rispetto agli altri capitoli della serie, le svolte di trama basate sul mero caso e delle risoluzioni fin troppo rapide e semplici, che privano il testo di ogni genere di tensione narrativa. La prosa estremamente riassuntiva della cara Ursula qui si accorda meglio al formato rispetto ai romanzi, ma rimane sempre parecchio frustrante: è quasi faticoso seguire gli eventi perché mancano dei passaggi fondamentali, come nel caso della ricerca del Libro dei Nomi, iniziata e conclusa da Medra senza condividere con i lettori alcunché sull'importanza di questo testo.

Non indicato nell'indice e privo di un qualsiasi tipo di intestazione (almeno nella mia edizione), "Rosascura e Diamante" è invece una storia sentimentale tra il figlio di un ricco mercante di Havnor e l'umile figlia della strega locale. La loro romance viene in teoria ostacolata dal severo padre di lui -contrario anche al sogno del figlio di diventare musicista-, ma a conti fatti il loro unico problema è la ben meno intrigante mancanza di comunicazione, oltre alla visione tubulare di lui che per ragioni mistiche si convince di non poter avere una famiglia o coltivare un hobby senza trascurare tragicamente il lavoro.

Cronologicamente ci spostiamo di parecchi decenni in avanti, anche se nulla nella realtà terramarina sembra minimamente cambiato: tradizioni, economia, e struttura sociale qui sono imperturbabili al passare del tempo. Come avrete intuito, Diama e Rosa non mi hanno fatta impazzire come personaggi, con lui privo di spina dorsale e pure un po' tossico, e lei che sembra avere quasi dell'amor proprio per poi capitolare in due righe così da arrivare al lieto fine. Come se non bastasse, questo racconto non fornisce alcuna informazione in più, ruota attorno a dinamiche già viste, e riguarda personaggi irrilevanti per il resto della serie.

Per fortuna questo non è vero per "Le ossa della Terra", il racconto più breve e vicino agli eventi dei romanzi, tanto che Nemmerle è già diventato l'Arcimago di Roke. L'episodio centrale in questo caso è il terremoto di Gont accennato dalla zia di Ged ne "Il mago", in teoria bloccato da Ogion, impresa alla quale deve gran parte della sua fama; la prospettiva del suo maestro Dulse racconta qui una versione leggermente diversa, concentrandosi anche sulla formazione di Ogion e sui diversi tipi di magia. Ergo, nuove informazioni con pochissimi chiarimenti e nuove contraddizioni rispetto a quanto detto in precedenza: ormai le incoerenze sembrano essere diventate la regola.

In questo caso trovo che il formato stringato funzioni abbastanza bene, anche perché la vita di Dulse non è tanto interessante da meritare ulteriori spiegazioni; sono inoltre presenti dei piccoli easter eggs legati al carattere e alle abitudini di Ogion. Il rapporto tra i due viene appena accennato eppure risulta abbastanza verosimile, ma lo stesso non si può dire di quello tra Dulse e la sua insegnante Ard: le ragioni dietro la scelta di una strega come maestra sarebbero state affascinanti da esplorare, dal momento che questa specifica formazione si dimostra vitale per la risoluzione finale, invece rimangono appena accennate. Tutto considerato, potrebbe comunque essere il testo migliore dell'antologia.

Con "Nell'Alta Palude" si arriva direttamente nelle vicende dei romanzi, in particolare poco tempo prima dell'inizio de "Il signore dei draghi", anche se nulla di quanto avviene qui verrà mai menzionato, ad esempio quando comincia a scomparire la magia. L'ambientazione è l'isola di Semel, una landa placida fino alla nausea dove perfino il vulcano locale è inattivo; una moria colpisce il bestiame -principale fonte di reddito del luogo-, quindi l'arrivo di un misterioso guaritore chiamato Otak viene accolto con gioia. L'uomo sembra trovarsi a proprio agio con gli animali e il lavoro prosegue bene, ma il passato non tarda a farsi vivo per smascherare la sua vera natura.

Questo racconto rimane fedele alle linee guida della serie: personaggi bidimensionali, relazioni forzate, sistema magico volubile e morale ballerina; specialmente nell'epilogo, che mostra una situazione da brividi fatta passare per ultra-romantica, dove un compagno potenzialmente violento viene preferito a un fratello sicuramente avvinazzato. Peccato, perché il personaggio di Dote aveva alcuni spunti niente male (oltre a pronunciare la battuta migliore della serie!) e la struttura del testo un po' diversa dal solito sembrava promettente, inoltre poteva essere il momento giusto per approfondire il retroscena di Thorion, una figura molto importante per la conclusione della saga.

Guarda caso, Thorion torna a farsi notare in "Libellula", titolo del racconto nonché nome comune dell'effettiva protagonista, la figlia poco amata di un proprietario terriero di Way caduto in disgrazia. La ragazza percepisce in sé un Potere immenso, senza però avere i mezzi per comprenderlo appieno; l'incontro con il giovane apprendista mago Avorio le fornisce l'occasione che cerca per conoscere la Scuola di Roke, dove pensa di trovare una soluzione ai suoi dilemmi. La vicenda si colloca cronologicamente qualche tempo dopo l'epilogo de "Il signore dei draghi" ed è collegata in modo diretto a quanto avviene ne "I venti di Terramare", aspetto che la rende molto interessante per avere un quadro più accurato di alcuni personaggi e un particolare retroscena.

Nel complesso, è uno dei racconti più utili e affascinanti, ma devo per forza sottolinearne i difetti: come il modo giocoso e leggero con cui si accenna agli stupri compiuti da Avorio grazie alla magia. Un altro grande demerito è ignorare la prospettiva di Libellula per gran parte del testo, quando sarebbe dovuta essere centrale: lo stesso problema avuto nei romanzi con Tehanu, tra l'altro! In particolare nel finale, avrei trovato appassionante leggere i suoi pensieri e capire cosa l'avesse spinta in una determinata risoluzione, anziché soffermarsi per l'ennesima volta sui dialoghi pseudo-filosofici dei vari Maestri.

Per quanto riguarda invece le appendici, sono molto combattuta. Da un lato trovo siano dei testi propedeutici e (una volta tanto!) estremamente chiari, ma è altrettanto vero che spoilerano gran parte degli avvenimenti raccontati nella saga; per questo, temo che piazzarli alla fine fosse l'unica soluzione valida. A meno di non fare una cernita e includere all'inizio solo quelli essenziali per comprendere a grandi linee il mondo di Terramare e le regole della magia. Rimangono comunque una delle parti che ho letto con più interesse in questo tomo da quasi 1500 pagine; un'affermazione decisamente significativa, se pensiamo che si tratta di testi quasi scolastici.

Voto effettivo: due stelline e mezza

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martedì 14 ottobre 2025

"Addio, Miss Marple" di Agatha Christie

Addio, miss MarpleAddio, miss Marple by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"«[L'altra teoria] può apparire fantastica, forse addirittura allucinante. Perché presuppone, vedete, una buona dose di malvagità ... e forse anche un briciolo di pazzia.» Rabbrividì.
«Può darsi...» mormorò Miss Marple. «Vedete, a volte la psicologia di un individuo è talmente contorta da diventare inimmaginabile. Io ne ho avuto spesso la prova.»"



LE CONSEGUENZE DEGLI AZZARDI IMMOBILIARI

Dopo una decina di romanzi e parecchi racconti, con "Addio, Miss Marple" sono arrivata a completare la serie ideale dedicata alle indagini dell'iconica vecchina inglese. Un romanzo dalla genesi per nulla banale (scritto ed ambientato negli anni Quaranta ma pubblicato solo dopo la morte dell'autrice, la quale tra i suoi due personaggi più celebri ha preferito eliminare il non troppo amato Poirot), che meriterebbe dei contenuti adeguati all'interno dell'edizione. Edizione che è invece tristemente povera, e questa volta non perché la sottoscritta abbia recuperato una vecchia copia all'usato: parlo proprio dell'ultima versione realizzata da Mondadori nel 2018 e tutt'ora ristampata, nella quale sono presenti soltanto il testo e l'indice, senza alcuna prefazione o nota aggiuntiva per presentare ai lettori un volume tanto simbolico nella produzione christieana.

Come accennato, la collocazione temporale di questa storia è teoricamente il 1944, seppur alcune informazioni all'interno della storia (e della sinossi!) sembrino contraddire questo dato; per certo sappiamo che il colonnello Bantry -morto prima degli eventi di "Assassinio allo specchio" del 1962- è ancora vivo, e al contempo sul trono d'Inghilterra siede re Giorgio VI, quindi ci troviamo senza dubbio in un periodo precedente al 1952. L'ambientazione principale è invece la costa meridionale del Devon, dove si trova la cittadina immaginaria di Dillmouth; qui arriva dalla Nuova Zelanda Gwenda "Gwennie" Reed, la nostra prospettiva principale nonché neo-moglie di Giles, su indicazione del quale cerca una casa in zona per la loro famiglia. La donna si lascia conquistare dall'affascinante Hillside, ma una serie di eventi bizzarri collegati all'abitazione la porta a temere per la propria psiche. Per sua fortuna il marito è cugino di Raymond West, tramite il quale conosce la concreta Miss Marple, pronta a fornire delle risposte ai suoi dubbi; risposte che portano a loro volta nuovi quesiti, ma soprattutto un potenziale omicidio da risolvere.

Questa volta non partiamo quindi da un delitto avvenuto nel presente, bensì da una sorta di cold case che potrebbe comunque comportare dei pericoli per i protagonisti, essendoci un assassino in libertà da quasi vent'anni, determinato a rimanere tale. Questo rende piacevolmente incalzante il ritmo dell'indagine e appassionante la determinazione con cui la coppia composta da Gwenda e Giles interroga sospettati e tenta di unire le informazioni ottenute, con l'indispensabile supporto di Miss Marple, che qui ricopre quasi il ruolo di angelo custode per quanto si prende a cuore le sorti dei due. Ho trovato sia loro sia gli altri personaggi estremamente gradevoli e ben definiti, senza troppe esagerazioni comiche; anche le relazioni mi sono sembrate solide, nonché vitali per il proseguo della storia.

E questo è vero persino per il lato romantico, solitamente tallone d'Achille dell'autrice. Non parlo solo della coppia protagonista (seppur Gwenda e Giles siano davvero affiatati), ma anche delle altre romance che si dimostrano tutt'altro che accessorie e non vengono utilizzate solo per addolcire l'epilogo dopo tanti delitti. La cara Agatha quindi svolge un lavoro decisamente migliore qui rispetto a tante sue opere più celebrate, e ciò si rispecchia anche in relazione al quadro morale del crimine in sé; le motivazioni del colpevole offrono infatti un assist alla buona Jane per parlare di squilibrio di potere, violenza domestica e psicologica. Ripeto: molto, molto meglio di altri romanzi, come la mia recente lettura "Non c'è più scampo".

Qualcosa deve pur pesare sull'altro piatto della bilancia, e in questo caso si tratta dell'intreccio, che non è incoerente o sciocco ma mi è sembrato ben lontano dal potersi definire intricato. O forse ho letto semplicemente troppi gialli per farmi ingannare quando i personaggi stessi dicono di voler lasciare per dopo una determinata pista! Riprendo poi la mia lamentatio verso l'edizione o meglio verso la traduzione -rea tra l'altro di ignorare le regole della consecutio temporum-, perché trovo molto deludente la scelta del titolo: questa è sì l'ultima storia di Miss Marple ad essere stata pubblicata, ma nulla nel testo lascia intendere che fosse pensata per dare l'addio al personaggio. L'originale "Sleeping Murder" è decisamente più onesto, mentre qui in Italia si è voluto puntare sul sensazionalismo per mero marketing.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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mercoledì 8 ottobre 2025

"Più atroce e brutale" di Francesca Pasqualone

Più atroce e brutale (Italian Edition)Più atroce e brutale by Francesca Pasqualone
My rating: 4 of 5 stars

"Non poteva essere che due persone (forse tre) che si conoscevano venissero uccise allo stesso modo, in tempi tanto ravvicinati. Forse esisteva davvero una logica ... Il serial killer doveva agire secondo uno schema simile, benché più radicato. Quelle vittime, le loro ferite e la spettacolarizzazione dell'atto erano congeniali a un qualche messaggio"


NON TENTATE DI RISOLVERE QUESTO MISTERO!

Non appena saputo che sarebbe stato pubblicato un terzo volume delle indagini dei coniugi Wilder, ho segnato sull'agenda la data di uscita. A tal punto ero curiosa di scoprire cosa si fosse inventata la cara Francesca per questa nuova storia, anche per merito di un'edizione esteticamente inappuntabile; e tutto sommato devo ammettere che sono stati fatti dei netti passi in avanti. Messo a confronto con i capitoli precedenti, "Più atroce e brutale" mostra con maggior chiarezza di volersi accostare al sottogenere del giallo psicologico, dando molta più rilevanza ai conflitti interni dei protagonisti e mettendo in secondo piano una descrizione minuziosa delle fasi di questa nuova indagine.

Indagine che si ambienta inizialmente nella primavera del 1905. A Londra una serie di delitti mette in allarme la popolazione, e in particolare chi lavora nell'ambito della prostituzione perché i crimini sembrano copiare quelli compiuti anni prima da Jack lo Squartatore, specialmente per la macabra ritualità. Subito coinvolto nell'indagine, l'investigatore Desmond "Des" T. Wilder tenta di smascherare questo emulatore, coadiuvato dalla moglie e partner Guinevere "Ginny"; una missione resa ardua non solo dalla complessità del mistero, ma soprattutto dai sintomi del suo PTSD che in più momenti lo mettono in seria difficoltà.

Per fortuna Ginny si fa carico non solo di supportarlo, ma di risolvere quasi in solitaria la maggior parte dei misteri presenti nella storia. Il suo ruolo risulta così sempre più centrale, tanto da poter essere considerata una protagonista a pieno titolo; scelta che ho apprezzato perché offre molti spunti a livello tematico, in primis sulla discriminazione dovuta a razzismo e sessismo. La mia unica riserva è collegata alla rappresentazione della sua gravidanza, e non penso di essermi resa colpevole di spoiler perché è un'informazione presente nel prologo, oltre ad essere intuibile già dalla copertina. Il problema non è quello che Giunevere riesce a fare nonostante la sua condizione, ma l'assenza di una qualunque conseguenza fisica: si arriva a dire che al settimo mese può stare fuori casa tutto il giorno senza quasi andare in bagno! sfiorando così il confine tra tipa tosta e Mary Sue.

Su Desmond la mia opinione è più severa, ma meno definitiva. Penso sia stato fatto un buon lavoro nel trasporre sulla pagina il suo stato mentale, con un approfondimento psicologico davvero valido, permettendo così al lettore di comprendere i turbamenti e le contraddizioni del personaggio. Non ho apprezzato però le conseguenze che questo processo comporta all'interno delle dinamiche di coppia, anche perché è stato incluso un espediente narrativo per nulla di mio gusto. Nel complesso, i due protagonisti risultano comunque ben caratterizzati, così come i loro comprimari; in questo ambito possono sicuramente emergere delle preferenze soggettive (qualcuno ha detto Cassius?), ma devo ammettere che mi aspettavo qualcosina di più dal personaggio di George, a cui manca lo spazio sufficiente per farsi conoscere: per la maggior parte del tempo riveste il ruolo di semplice specchio per Des o per Ginny.

Un altro aspetto che mi ha convinto ma non del tutto è la rappresentazione. Mi rendo conto che sia un argomento da prendere con le pinze, e per molti aspetti credo sia stato gestito egregiamente, con un approccio tranquillo e spontaneo molto adeguato. Nel caso della bisessualità si scivola però in situazioni che richiamano in parte ai cliché sui quali si fonda la stigmatizzazione; questo non significa che un personaggio bisessuale debba rispettare dei dogmi morali per ottenere rispetto, ma il modo in cui qui si glissa su certi comportamenti mi ha fatto storcere il naso.

Le mie critiche accessorie si limitano a fattori di contorno, come l'utilizzo eccessivo di parentesi e virgolette, alcune piccole incoerenze rispetto ai primi due romanzi, la presenza di parecchi refusi e la mancanza di logica interna di alcuni passaggi: un esempio spoiler-free è proprio la scena d'apertura, con l'arrivo trafelato a Scotland Yard dei protagonisti, senza però che ci sia una motivazione concreta per tutta quella fretta. Riconosco poi che ad altri lettori -e soprattutto agli appassionati di gialli classici- la struttura di questo mystery potrebbe far sorgere più di una perplessità; il mio unico consiglio è di non aspettarsi un rispetto pedissequo del decalogo di Knox!

Sulla fedeltà storica invece non ci sono dubbi, perché risulta evidente il lavoro svolto per delineare luoghi e costumi il più verosimilmente possibile; Pasqualone riesce in questo includendo al contempo un significativo commentario sociale, nonché un'analisi della figura di Jack lo Squartatore per nulla scontata. Tra gli elementi che ho apprezzato includo inoltre un ritmo decisamente incalzante e un intreccio più complesso e appassionante, tant'è che mi colloco idealmente già in attesa del prossimo volume: sono parecchio curiosa di scoprire quali nuovi risvolti siano in serbo per questi personaggi.

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venerdì 3 ottobre 2025

"I venti di Terramare" di Ursula K. Le Guin

I venti di EarthseaI venti di Earthsea by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"I morti che chiamavano un vivo, una ragazza che diventava un drago, i draghi che incendiavano le isole dell'Ovest. In realtà, lui non sapeva cosa fosse più importante alla fin fine, i grandi e strani eventi o le piccole vicende comuni"


LE MAGIE DELLA PET THERAPY

Nonostante Goodreads indichi "I venti di Terramare" come sesto e ultimo capitolo della serie, io ho seguito l'ordine in cui i volumi vengono presentati nella mia copia bind-up, quindi concluderò questa saga con i racconti. E onestamente spero di riuscirci già nel mese prossimo, perché la sottoscritta e la cara Ursula si stanno scoprendo sempre più lontane a livello di scelte narrative e di escamotage letterari; ma non pensiate che mi senta sollevata all'idea di abbandonare la sua bibliografia: provo invece una grande frustrazione, perché questo quinto romanzo mi ha riconfermato come le idee da cui partire ci fossero, e fossero pure valide. L'esecuzione invece...

A livello temporale (sempre che questo concetto abbia ragion d'essere nel Terramare!) ci spostiamo in avanti di circa quindici anni, con Lebannen che continua a governare su Havnor e dintorni, mentre Ged, Tenar e Tehanu giocano ancora alla famiglia del Mulino Bianco nella vecchia casa di Ogion a Gont. La trama prende avvio quando sull'isola giunge Alder, uno stregone abile nell'arte della riparazione tormentato nei sogni dalla defunta moglie Giglio, ma anche da una pletora di altri trapassati che sembrano chiamarlo da oltre il confine con l'oltretomba. Ged reputa saggio indirizzarlo verso la corte, dove si scopre come questo sia soltanto uno dei molti problemi che affliggono il regno di Lebannen.

Per quanto io reputi interessanti la maggior parte degli spunti proposti (l'inquietudine dei morti, le ingerenze politiche del nuovo sovrano delle Terre di Kargad e la minaccia dei draghi da occidente, giusto per citarne alcune) devo sottolineare come siano eccessive: le linee di trama da tenere in considerazione necessitavano di una decisa sfoltita, specie considerando che l'autrice pretende poi di risolverle tutte con un'unica soluzione, ottenendo però un effetto tanto inverosimile quanto raffazzonato. Inoltre, sono presenti troppi caratteri con la presunzione di essere i protagonisti; in particolare, Alder, Tenar e Lebannen sembrano contendersi il ruolo di POV principale, con più scene in cui si percepisce in modo chiaro il loro essere di troppo all'interno della narrazione.

Perché non focalizzarsi invece su un unico personaggio? e soprattutto perché non optare per un personaggio giovane, visto che il target rimangono i ragazzini delle medie, ma tutti nel cast hanno già superato i trent'anni? Queste sono solo un paio delle tantissime domande che mi sono posta durante la lettura, senza purtroppo ottenere una risposta chiara a fine volume. Rimangono infatti prive di una spiegazione la pietra nera raccolta da Lebannen nel terzo libro e qui rinominata a caso, i rapporti con i karg, le tempistiche di presa di coscienza dei draghi, la trasformazione di Tehanu, la predestinazione di Alder, le modalità di smantellamento del confine, la conclusione della guerra di conquista draconica, e il significato delle domande di Ged tra gli altri. Senza contare gli spunti abortiti, come Ged che raggiunge la casa di zia Muschio in preda alla preoccupazione per lei ed Erica: se foste rimasti in ansia riguardo allo stato di salute delle due donne, fareste meglio a mettetevi il cuore in pace in via definitiva perché non ne sapremo mai niente.

Lamentele più che altro personali a parte, questo libro ha oggettivamente messo alla prova la mia capacità di sopportazione, nonché di contrastare la narcolessia fulminante. Tutto per merito dei capitoli: soltanto cinque, ma tragicamente lunghi; e cosa dire delle nuove contraddizioni nel sistema magico, del sottotesto femminista molto poco intersezionale, e dei commenti fumosi sul significato di potere o sul destino dell'anima dopo la morte? Un'altra grossa occasione sprecata è il ruolo di Tehanu, che speravo finalmente di sentir parlare in prima persona visto il suo ruolo centrale, invece rimane per la seconda volta una figura sbiadita sullo sfondo.

Cercando di individuare degli aspetti positivi, potrei menzionare la presenza di alcuni chiarimenti, ad esempio viene specificato quale sia la vera natura di Tehanu. La cara Ursula non può però evitare di introdurre anche una quantità spaventosa di retcon decisamente fastidiose, perché in più punti ho avuto l'impressione di essere vittima di gaslighting per come vengono raccontate in modo distorto le vicende dei capitoli precedenti. Mi ha fatto comunque piacere vedere inseriti dei nuovi elementi a livello di world building, nonché una descrizione della corte di Havnor, solo intravista nel "Il signore dei draghi".

Con i personaggi ci attestiamo invece al solito livello di pressapochismo, soprattutto nelle relazioni interpersonali che continuano a essere stabilite dall'autrice e trasmesse al lettore come fossero dati di fatto e non evoluzioni credibili dei rapporti preesistenti. Una variatio però c'è, ed è purtroppo in negativo: da metà volume Tenar sviluppa infatti un atteggiamento odioso a dir poco -con la duplice scusa della nostalgia di casa e della vicinanza alla principessa Seserakh- e inizia a dettar legge sulle vite degli altri. Raramente mi è capitato di voler prendere così tanto a ceffoni un personaggio letterario positivo, specie considerando come l'avevo apprezzata ne "L'isola del drago"!

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venerdì 26 settembre 2025

"La coppia quasi perfetta" di John Marrs

La coppia quasi perfettaLa coppia quasi perfetta by John Marrs
My rating: 1 of 5 stars

"Poi ricordò a se stessa che non aveva più bisogno dell'approccio necessario per utilizzare i siti di appuntamenti e le app di incontri: Match Your DNA si basava su biologia, chimica e scienza ... si fidava, alla pari di milioni e milioni di persone come lei"


QUALCUNO HA DETTO RELAZIONI POLIAMOROSE?

Non mi aspettavo che la lettura de "L'acciaio sopravvive" si dimostrasse tanto impegnativa, al punto da spingermi ad iniziare un libro più leggero da affiancargli; nella fattispecie, ho optato per "La coppia quasi perfetta", un romanzo molto popolare in patria e non così tanto in Italia, forse per essere caduto vittima dell'ennesima edizione migliorabile targata Newton Compton, titolo e copertina compresi! Ma la vera rivelazione è stata realizzare che, con il procedere delle due letture, il fantasy di Morgan mi appassionava sempre di più mentre il thriller del caro John diventava più inverosimile, lacunoso e pedante ad ogni nuovo capitolo.

E dire che lo spunto iniziale si presentava talmente bene: in un futuro per nulla lontano, un'azienda inglese promette di individuare l'anima gemella di ognuno tramite un'analisi del DNA alquanto economica. Il volume alterna cinque linee di trama, che seguono altrettante persone quando queste hanno da poco ricevuto la notifica con il nome del loro vero amore: la tradizionalista Mandy secondo cui spetta all'altro fare il primo passo, il problematico Christopher con la sua doppia vita, la giovane Jade bloccata in un'esistenza insoddisfacente, il non troppo risoluto Nick che assieme alla fidanzata si sottopone al test ad un passo dalle nozze, ed Ellie una ricca e riservata donna d'affari abbinata ad un uomo del tutto comune.

Da questi primi elementi tutte le storie si sviluppano in modo notevole, ed in realtà non posso muovere critiche al fascino dell'idea alla base o alla scorrevolezza del testo, specie se chiudo un occhio sui molti refusi della traduzione nostrana. Sulla carta, sarebbero inoltre presenti una gran quantità di elementi sui quali poter intavolare delle valide riflessioni: discriminazioni di genere, pressione sociale, conflitti familiari ed elaborazione dei traumi sono le principali tematiche, assieme a numerose varianti sul tema della maternità... anche troppe! se si considera che il libro non dovrebbe essere dedicato a quello specifico argomento, ci sono almeno tre gravidanze in più del necessario tra queste pagine.

I plot twist sono un altro aspetto sul quale mi sento combattuta, perché alcuni mi hanno colpito in senso positivo, almeno ad inizio volume; purtroppo con il proseguire della narrazione, si comincia a distinguerne tre categorie: quelli noiosamente prevedibili, quelli talmente assurdi da far scoppiare a ridere, e quelli che si pongono in diretta contraddizione con le informazioni precedenti. Nell'ultimo caso, si vengono così a creare dei buchi di trama sempre più grandi che l'autore tenta anche di riparare, ma solo a tratti ed in maniera amatoriale. Cosa della quale non ci si può comunque stupire dopo aver affrontato la sua prosa farcita di frasi pseudo-fighe per qualche capitolo: un ragazzino delle medie probabilmente risulterebbe più incisivo nella scelta del lessico e convincente nel definire i personaggi.

L'approfondimento è invece tristemente assente, dal momento che l'intero cast è privo non dico di carisma ma perfino di coerenza; e ciò ha avuto con la sottoscritta un risvolto negativo duplice: mi ha reso del tutto indifferente alle vicende narrate (specie quanto i rapporti tra i protagonisti sono così chiaramente arbitrari!) e mi ha fatto innervosire per la superficialità ed il pressapochismo con cui vengono trattate questioni serie e pesanti. In particolare, è presente una forte stigmatizzazione della psicopatia, con tanto di frasi didascaliche che rendono banale uno spunto teoricamente intrigante.

Il difetto maggiore rimane però l'intreccio. Innanzitutto sono presenti una quantità eccessiva di colpi di scena degni di una soap opera (e lo dico al netto del mio affetto decennale per Beautiful!), a quanto pare consigliati a Marrs dal suo caro amico John Russell, che lui stesso descrive nei ringrziamenti come una persona estranea al mondo della letteratura! Le motivazioni dietro a queste svolte non sono da meno, tant'è che nella maggior parte dei casi la trama procede solo per pura fortuna: fortuna che un certo personaggio non si ponga mezza domanda, fortuna che nessuno noti qualcosa di fin troppo palese, fortuna che una notizia di portata planetaria passi in sordina fino al momento giusto. Proprio quest'ultimo elemento ha cementato la mia delusione sul finale, perché un evento paragonato per rilevanza al crollo delle Torri Gemelle non può avere un impatto così blando sulle altre linee di trama.

Oltre a voler scrivere (fallendo!) un thriller avvincente, l'autore vorrebbe parlare anche di scienza -per poi spiegare tutto in maniera ingenua e semplicistica- e di sentimenti; in effetti per quanto grave sia la situazione, tutti i conflitti si riducono al loro lato emotivo, ma lo fanno in modo qualunquista e con una retorica degna di un adolescente alla sua prima cotta. Non mancano delle problematicità nel ritmo, soprattutto a narrazione avviata, e non si contano i capitoli in cui non succede nulla, inclusi solo perché il caro John ha voluto rispettare a tutti i costi la struttura a rima alternata; il tutto assume contorni ancor più ridicoli se pensiamo che il POV più noioso si è rivelato essere quello del serial killer! Ed infatti non so se ridere o piangere: le storie raccontate sarebbero teoricamente tragiche, ma il risultato è quasi sempre grottesco nella sua inverosimiglianza. Tutti questi tentativi di apparire provocatorio e drammatico sono eccessivi, e finiscono per far risultare il libro soltanto patetico.

Voto effettivo: una stellina e mezza

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venerdì 19 settembre 2025

"L'acciaio sopravvive" di Richard K. Morgan

L'acciaio sopravviveL'acciaio sopravvive by Richard K. Morgan
My rating: 3 of 5 stars

"La stessa spada aveva un nome in Kiriath, come ogni altra arma di loro fabbricazione, ma si trattava di un termine elaborato che perdeva molto nella traduzione ... così Ringil aveva deciso di chiamarla l'Amica dei Corvi e basta. Non che il nome gli piacesse particolarmente, ma aveva il suono che ci si aspetta quando si parla di una spada famosa"


PIÙ WOLFE CHE ABERCROMBIE

Iniziare una nuova serie mi mette sempre un po' in difficoltà, soprattutto se si tratta di una storia ambientata in un mondo di fantasia, perché la sensazione di dover imparare da zero una geografia, una Storia ed una cultura completamente nuove mi riporta di prepotenza tra i banchi di scuola; è uno dei motivi per cui tendo a preferire le narrazioni autoconclusive, nelle quali l'autore di turno non può allestire uno sfondo troppo complesso. Allo stesso tempo, subisco in parte la fascinazione dello scoprire dei luoghi inediti, e questa curiosità mi ha portata ad iniziare Cosa Resta degli Eroi, presentata come una trilogia affine ai lavori di Abercrombie, nei quali però l'ambientazione non risulta eccessivamente complessa. In realtà, penso che il mondo delineato dal caro Richard sia molto più vicino al caos affascinante dell'Urth di Wolfe; spero quindi che apprezziate il mio sforzo per identificare la premessa.

Ci troviamo di fronte ad un mondo diviso nel presente tra le tribù pseudo-barbare Majak a nord-est, la Lega commerciale di Trelayne sulla costa occidentale e l'impero Yhelteth nel sud. Negli stessi territori si trovavano in passato altre tre popolazioni: il Popolo delle Squame (dei simil-draghi arrivati da oltreoceano), gli Aldrain dotati di abilità soprannaturali, ed i Kiriath che sembrano quasi una specie aliena; in questo universo narrativo si mescolano infatti elementi magici e fantascientifici. Gli Aldrain sembrano essere stati sterminati dai Kiriath molto tempo prima, mentre il Popolo delle Squame è stato sconfitto grazie agli sforzi congiunti di umani e Kiriath, i quali dopo quest'ultimo scontro si sono dileguati.

Arrivando all'inizio della storia, le prospettive presentate si possono ricondurre a tre linee narrative. La prima vede come protagonista Ringil "Gil" Eskiath, nobiluomo e valente guerriero, impegnato nella ricerca di una parente vittima della recentemente legalizzata tratta degli schiavi; nella seconda ci si sposta tra i nomadi Skaranak per parlare dell'antagonismo tra il capoclan Egar Rovina del Drago e lo sciamano Poltar Occhio di Lupo, mentre nell'ultima si arriva nelle regioni imperiali con Archeth Indamaninarmal, consulente del sovrano e da lui incaricata di indagare su alcuni attacchi misteriosi avvenuti in una località costiera.

Per buona parte del volume queste vicende sembrano legate tra loro soltanto a livello superficiale, perché Gil, Egar ed Archeth hanno combattuto assieme anni prima, ma nella parte finale i loro percorsi finiscono per essere convogliati in una missione principale e risolutiva; il tutto, lasciando comunque diversi spunti aperti sui quali dare corpo ai capitoli successivi. Pur avendo provato a più riprese della frustrazione verso il ritmo disomogeneo adottato da Morgan, devo ammettere che la storia ha saputo appassionarmi e spingermi ad essere sempre più coinvolta nelle dinamiche interne di questo universo narrativo, anche per merito della particolare commistione di generi diversi e del brillante epilogo.

Il maggior punto di forza del romanzo a mio avviso sono però i suoi personaggi, che si tratti dei tre protagonisti oppure dei numerosi comprimari. Il caro Richard si dimostra decisamente abile nel delineare i caratteri all'interno del cast in modo originale e sfaccettato, nonché a prestare attenzione affinché ognuno rimanga fedele alle proprie motivazioni. Personalmente, non ho provato granché simpatia per Egar -forse perché è il POV con meno spazio all'interno del testo, forse perché è un pedofilo impunito-, mentre Gil ed Archeth mi sono sembrati dei personaggi principali davvero validi e capaci di crescere nel corso della storia; inoltre permettono di includere una rappresentazione naturale dell'omosessualità, che spesso mi è sembrata un mero orpello in altre narrazioni grimdark.

Sull'altro piatto della bilancia, oltre alle già citate linee di trama che procedono in modo lento e slegato, troviamo senza dubbio la confusione. Confusione che assale l'ignaro lettore fin dalle primissime pagine, tra la persistente sensazione di aver saltato un prequel e la pioggia scrosciante di name dropping; e chiudiamo un occhio sul fatto che la maggior parte di questi millemila nomi siano a dir poco impronunciabili: un'appendice con guida alla pronuncia e riferimento ai vari soprannomi sarebbe il minimo, specie se si considera che io ho impiegato un'eternità anche solo per appurare che Aldrain e Dwenda erano la stessa cosa!

Il senso di straniamento viene acuito dalla massiccia presenza di flashback e voci interne spesso disorientanti e quasi mai indicati in maniera chiara nel volume, così come le ellissi temporali. Soprattutto nei capitoli iniziali, ciò crea una quantità di interruzioni, perché si stanno seguendo dei protagonisti ancora sconosciuti in un contesto fantastico tutto da scoprire, ed improvvisamente l'autore passa a raccontare un avvenimento di dieci anni prima, oppure il POV in questione ha un dibattito con uno (o più?) interlocutori interni. Ritengo che questa scelta narrativa porti una complicazione eccessiva all'interno di una vicenda già particolarmente intricata; e quando finalmente si ha l'impressione di star cominciando a capire qualcosa, ecco che il caro Richard scombina del tutto le carte in tavola con nuove informazioni, ancor più farraginose. E per assurdo sono comunque curiosa di leggere il seguito!

Voto effettivo: tre stelline e mezza

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venerdì 29 agosto 2025

"La regina del nulla" di Holly Black

La regina del nulla (Il Popolo dell'Aria, #3)La regina del nulla by Holly Black
My rating: 2 of 5 stars

"La lana del mantello è zuppa di sangue. Non avrei mai pensato di poter perderne tanto. E intorno al mantello vedo dei fiorellini bianchi che spingono nella neve, la maggior parte sono ancora gemme, ma qualcuno si sta aprendo sotto i miei occhi. Guardo senza capire bene. E quando capisco, stento a crederci"


ABBIAMO PIANTO LOCKE ANCHE TROPPO (SEMICIT.)

Mi è capitato con diversi autori di dover rimpiangere l'acquisto impulsivo di due o tre dei loro libri senza averne prima mai letto neppure mezzo, perché una volta intuito l'errore ho comunque dovuto sorbirmi quelle letture infelici; il tutto mentre il lumicino della mia speranza di poter rivalutare lo scrittore di turno si affievoliva sempre più. Con nessuno però ho sbagliato in modo tanto clamoroso quanto con la cara Holly: eccomi alla conclusione del suo dodicesimo lavoro (cinque sono frutto delle menti congiunte sua e di Clare, ma tant'è) a rimpiangere amaramente la decisione di aver recuperato un qualunque suo scritto fin dal principio.

È quindi da un po' che ho realizzato di non apprezzare affatto la prosa di Black, e soprattutto il modo sconclusionato con cui intesse le sue trame, ma ormai il danno era fatto quindi eccoci a quello che per me sarà l'ultimo romanzo dell'autrice, ossia "La regina del nulla". Ovviamente la trama si riallaccia all'epilogo de "Il re malvagio", dal quale è passato un periodo indefinito (giorni? settimane? mesi?) e nel frattempo Jude ha vissuto nel mondo umano con Vivienne "Vivi" ed il piccolo Farnia. La ragazza desidera ovviamente fare ritorno alla Terra degli Elfi e rivendicare il suo ruolo all'interno dell'Alta Corte, così alla prima occasione parte allo sbaraglio, con l'incoscienza che la contraddistingue e della quale è ben fiera. Finisce in questo modo coinvolta nella guerra che sta per scoppiare tra la corona ed il patrigno Madoc.

Vista la premessa e lo spunto, mi aspettavo un intreccio ricco d'azione e pericolo, quando invece la battaglia per il trono si riduce a ben poca cosa, con una conclusione anche parecchio anticlimatica. Come al solito, la trama viene poi mossa unicamente da eventi fortuiti, intuizioni inspiegabili e scelte improvvise, dando la lettore l'idea di una storia poco ragionata; anche i colpi di scena non convincono perché sono pretestuosi, e se solo l'autrice si fosse soffermata a ragionarci sopra un minuto avrebbe notato che si dimostrano quasi sempre incoerenti con le informazioni e le vicende precedenti. Sono inoltre presenti ulteriori contraddizioni, a livello temporale e spaziale -specie se si presta fede alla mappa fornita-, e alcuni spostamenti dei protagonisti sembrano del tutto inutili.

In modo simile, la prosa della cara Holly non mi sembra per nulla migliorata: non si fa mancare frasi drammatiche a caso, dozzine di ripetizioni delle stesse informazioni (spesso per mezzo di una Taryn alquanto OOC, così come Nicasia riscopertasi buona ben più del credibile), e centinaia di descrizioni di abiti e cibi. Capisco l'intento di creare un'ambientazione tridimensionale, però a questo punto il world building dovrebbe già essere ben definito! a narrazione inoltrata, con minacce enormi per la protagonista, non si può più perdere tempo in questi dettagli di contorno. Piuttosto ci si sarebbe potuti concentrare nel dare maggior profondità ai legami interpersonali, uno dei pochi elementi in cui Black dimostra del vero talento, sia nel descrivere l'attrazione romantica tra Cardan e Jude che nel trattare i legami familiari di quest'ultima.

E se posso addebitare senza dubbio all'autrice la colpa di aver incluso due oggetti magici d'enorme potere per poi infrangere spudoratamente la regola della pistola di Čechov, non so chi possa essere il criminale dietro al furto di una gran quantità di virgole dal testo. Sono sicura invece della superficialità con cui è stata revisionata la traduzione italiana: pur avendo avuto due anni di tempo, Mondadori ci ha rifilato un testo pieno di refusi, con degli errori talmente gravi da stravolgere il senso stesso di intere frasi.

Non è quindi solo alla cara Holly che va rivolto del biasimo, anche perché dei meriti ce li ha. Oltre al già citato approfondimento sulle relazioni di Jude con gli altri personaggi, quest'ultimo capitolo conclude in maniera decisamente coerente la serie, adottando infatti molti elementi tipici delle fiabe folkloristiche alle quali si ispira. Penso poi che Black abbia saputo inserire bene nella storia personaggi e spunti per i seguiti, sicuramente meglio di quanto abbia fatto la summenzionata Clare con la saga di Shadowhunters; se però mi dovesse passare per la mente l'idea di leggere altro di suo, vi imploro di darmi subito una padellata in testa per fermarmi!

Voto effettivo: due stelline e mezza

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"La storia di Lisey" di Stephen King

La storia di LiseyLa storia di Lisey by Stephen King
My rating: 3 of 5 stars

"E Scott parla una lingua che le è riuscita gioiosamente comprensibile fin da subito. Non la lingua dei Debusher, ma una lingua che conosce lo stesso molto bene, è come se l'avesse sempre parlata nei suoi sogni"


INSÁCCATELO E CINGHIATELO DA SOLO, GRAZIE

Anche alle persone più solari e spensierate capita di riflettere sulla propria morte, magari fantasticando sulle reazioni di amici e parenti o sul destino dei loro beni, ma solo il caro Stephen poteva arrivare a scrivere un intero romanzo su queste elucubrazioni. Come parecchi suoi lavori, "La storia di Lisey" ha infatti dei chiarissimi contorni autoreferenziali, incentrando la narrazione proprio su una coppia formata da un talentuoso ed apprezzato autore originario del Maine e sua moglie. I protagonisti scrittori sono uno stilema della produzione kinghiana, ma ammetto che la mia curiosità verso questo romanzo in particolare è nata nel momento in cui lo stesso King lo ha definito il suo preferito.

Purtroppo mentirei se mi dicessi d'accordo, ed una delle ragioni si cela proprio nella storia raccontata. La prospettiva scelta è quella di Lisa "Lisey" Debusher Landon, da due anni vedova dell'amato marito Scott, venuto a mancare prematuramente. Nel tentativo di elaborare il proprio dolore, ma soprattutto per le pressioni esterne da parte di persone che sperano di scoprire opere postume del romanziere, Lisey inizia a riordinarne l'ufficio; e questo la porta a smuovere vecchi ricordi, ma anche a rievocare fantasmi passati tutt'altro che metaforici. Tra la preoccupazione per la salute della sorella Amanda "Manda" e la minaccia di un fan dai tratti anniewilkesiani, si procede in un viaggio non sempre lineare tra i momenti più intensi e difficili del matrimonio con un uomo decisamente complicato.

Questa mancanza di linearità è il problema al quale accennavo, e non solo nell'intreccio in sé: i primi capitoli sono caotici, la trama oscilla tra l'essere dispersiva ed il farti chiedere se ci sia davvero, e generi parecchio lontani tra loro (come horror e realismo magico) vengono mescolati senza la necessaria attenzione. Il risultato è una narrazione labirintica che confonde ed ostracizza il lettore, riuscendo comunque ad affascinarlo almeno in parte per la peculiare struttura del volume, parecchio simile ad una matrioska destrutturata. Un altro aspetto che potrebbe rendere la lettura intrigante ed al contempo sfidante è la presenza di un corposo linguaggio familiare, utilizzato soprattutto da Lisey e Scott; all'inizio sembra una trovata carina per creare subito un clima di affetto e complicità tra i due, ma dopo centinaia di pagine farcite di neologismi e battutine ridonanti, l'effetto ottenuto è un po' diverso.

Passando però ai punti di forza veri e propri, abbiamo delle svolte di trama per nulla banali, una rappresentazione alquanto interessante ed allegorica della salute mentale -specie nella delicatezza con cui viene trattato un tema così sensibile-, ed una protagonista non soltanto simpatetica ma capace di emanciparsi dall'ombra creata dalla fama di suo marito. Lisey parte con parecchie incertezze e poco carisma, ma con il procedere del romanzo acquista sempre più risolutezza e coraggio nell'affrontare minacce tangibili e turbamenti psicologici. In poche parole, la personaggia perfetta per una narrazione principalmente introspettiva e riflessiva.

Altro grande pregio è dato dal focus sulla storia della famiglia Landon (e prima Landreau) e sul pericolo rappresentato da "Zack McCool". La prima è davvero piacevole da scoprire un po' per volta, con un giusto bilanciamento tra scene devastanti ed attimi di calore; il secondo non sarà all'altezza delle emozioni suscitate in "Misery", ma regala comunque dei momenti terrificanti e brutali, oltre ad una soddisfacente risoluzione. Approvato anche il comparto personaggi: come succede (quasi) sempre, il caro Stephen riesce con semplicità a delineare dei caratteri credibili e chiari nelle loro motivazioni personali.

Ad avermi un filino delusa è stata invece la poca rilevanza data a Castle Rock come ambientazione principale delle vicende raccontate. In storie come "Il fotocane", "Cujo", e perfino "La zona morta" questa città forniva un contesto molto più rilevante ed immersivo; qui invece è un mero fondale, e le informazioni inedite raccolte sono ben poco impattanti: a chi importa se lo sceriffo non è disponibile perché in luna di miele? Anche il finale ha influito significativamente sulla mia valutazione complessiva, perché gli ultimi capitoli danno l'impressione di trascinare più del necessario la storia. In definitiva, non è stata una lettura del tutto trascurabile, ma credo che l'autore abbia trattato gli stessi temi e delle dinamiche molto simili in altri titoli, con risultati sicuramente migliori.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

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"Non c'è più scampo" di Agatha Christie

Non c'è più scampoNon c'è più scampo by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"Per raccontare le cose come si deve, credo opportuno mettermi dal punto di vista di allora, in uno stato d'animo perplesso, inquieto, sempre più cosciente di qualcosa che andava male. Di una cosa ero certa anche allora: quello strano senso di disagio non era immaginario"


ALLA FINE NON ERA BIGAMIA, ALLORA!

Ormai sono certa di poter sempre riaccendere il mio entusiasmo per la lettura con un giallo della cara Agatha: ogni volta che mi sento arenata in un libro più ostico (nel caso in questione, si trattava de "La storia di Lisey") posso ripiegare sulla sua bibliografia. Il mio rimedio in questa occasione è stato "Non c'è più scampo", l'ennesima indagine risolta dal buon Hercule, abbastanza classica nella sua struttura ma con una nuova voce narrante, oltre ad una significativa variatio in termini di ambientazione.

Lasciamo infatti la solita, nebbiosa Inghilterra e ci spostiamo in Mesopotamia, come suggerisce il titolo originale, nei pressi della città fittizia di Tell Yarimjah in Iraq. Nel vicino scavo di Hassanié il professor Eric Leidner, che è al lavoro con una numerosa squadra cosmopolita, convoca l'infermiera Amy Leatheran -ossia il nostro unico POV- per assistere la moglie Louise. La donna è fornita di un portentoso carisma, ma ultimamente sembra terrorizzata da una misteriosa minaccia, che alla fin fine si rivela molto meno immaginaria di quanto sembrerebbe in un primo momento.

L'ineffabile Poirot arriva quindi a narrazione inoltrata, e nel complesso è anche meno incisivo del suo solito, però è mi risultato abbastanza piacevole. Con la narratrice scelta va ancora meglio: impossibile rimpiangere l'adorabile imbranataggine di Hastings quando l'arguzia e l'ironia di Amy la rimpiazzano senza fatica; la sua prospettiva mi è piaciuta anche perché ricorda in più passaggi un modo di vedere la realtà molto simile a quello di Miss Marple. Lo stile è stato inoltre adattato in maniera ottimale alla personalità di questo POV, rendendolo coerente con i suoi trascorsi ed il contesto generale.

Tra gli aspetti positivi di questo romanzo ben poco pretenzioso abbiamo poi un'introduzione che motiva in modo solido il registro narrativo (trovando inoltre una chiusura soddisfacente nel finale), numerosi elementi autoreferenziali -legati al mondo dell'archeologia ma anche alle mansioni infermieristiche- che rendono più credibile la vicenda, e la scelta di una romance sulla quale una volta tanto non ho nulla da eccepire: ben bilanciata, utile all'intreccio e più che moderata nell'epilogo, dove solitamente Christie esagera un po' con il voler creare a forza tante coppiette felici.

Tenendo in considerazione la buona traduzione, l'utile elenco dei personaggi, prefazione e postfazione, in teoria anche l'edizione potrebbe essere annoverata tra i pregi; mi sembra però corretto segnalare che nelle poche pagine introduttive è stato incautamente incluso un grosso spoiler ad un altro lavoro della cara Agatha... fortuna che l'avevo già letto! Sulla risoluzione di questa indagine non vengono invece fornite informazioni di troppo, e personalmente devo ammettere che mi ha lasciata un filino combattuta. Perché se da un lato la spiegazione di Poirot non lascia interrogativi in sospeso e crea un interessante ribaltamento delle dinamiche, dall'altro mi ha dato l'impressione di essere alquanto macchinosa e non del tutto verosimile.

Il tipico monologo dell'investigatore belga porta su carta anche la mia maggiore riserva su questo titolo, oltre a sottolineare ancora una volta quanto siano incapaci le forze dell'ordine nell'universo christieano. Al di là di delle solite osservazioni degradanti più che datate sulle culture extrabritanniche (doppiamente offensive, se consideriamo l'atteggiamento predatorio dell'archeologia colonialistica), qui troviamo una palese apologia della violenza di genere; a rendere ancor più grave questo aspetto è la decisione di mettere delle simili osservazioni in bocca a personaggi molto positivi: capirei fosse il modo distorto di vedere la realtà dell'assassino di turno, ma sentire certi commenti dal "buon" Hercule mi ha davvero intristito.

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"I segreti del bosco proibito" di Colin Meloy

Wildwood. I segreti del bosco proibito (Wildwood Chronicles, #1)Wildwood. I segreti del bosco proibito by Colin Meloy
My rating: 4 of 5 stars

"Ciò che aveva attirato subito l'attenzione di Curtis era l'enorme groviglio di radici che pendeva dal soffitto (che albero doveva esserci al di sopra di quell'intrico!) e la minacciosa schiera di rozze gabbie di legno che pendevano ... attaccate alle radici per mezzo di grosse corde di canapa e a ogni dondolio emettevano lamentosi cigolii"


UNA FAVOLA MOLTO ORWELLIANA

A quattordici anni dalla pubblicazione in lingua, ad undici da quando io ho iniziato a recuperare la serie e ad uno (prima) dell'uscita dell'adattamento cinematografico, finalmente ho trovato il tempo di leggere "I segreti del bosco proibito". Primo capitolo in una trilogia middle grade, questo volume catturò all'epoca la mia attenzione principalmente per merito delle illustrazioni di Carson Ellis -artista nonché moglie dello scrittore-, che dalla copertina all'ultima pagina passando per risvolti ed intestazioni di capitolo arricchiscono l'intero volume, oltre a donargli un'atmosfera in perfetto equilibrio tra la giocosità dell'infanzia ed un tono più serio, a tratti perfino cupo.

Pur immersa in un chiaro contesto fantastico, la vicenda comincia nella Portland dei giorni nostri, dove la dodicenne Prue McKeel assiste impotente al rapimento del fratellino Mac ad opera di una turba di corvi. Il bimbo viene trasportato in volo nella cosiddetta Landa Impenetrabile -una zona boscosa ad ovest della città, corrispondente al quartiere reale di Forest Park-, dove la ragazzina decide di avventurarsi per salvarlo, accompagnata suo malgrado dal compagno di classe Curtis Mehlberg. In poco tempo, i due vengono divisi e si trovano coinvolti in modo diretto nelle lotte intestine tra i bizzarri abitanti del luogo; in particolare nella contrapposizione tra il (fin troppo) civilizzato Bosco Sud ed il caotico Bosco Selvaggio, al centro di questo mondo surreale.

Questa ambientazione favolistica è uno dei punti chiave del romanzo, e potrebbe attirare i lettori tanto quanto respingerli: in un primo momento, io sono rimasta spiazzata dalla presenza di animaletti parlanti di ogni sorta, che si andavano delineando come dei comprimari abbastanza puerili; andando avanti ho però realizzato la presenza di chiari parallelismi tra queste creature e delle figure ben più realistiche. Inoltre questa scelta permette di includere temi concreti e rilevati, adeguandoli però al pubblico di ragazzini per il quale è pensato il libro, in modo che siano comprensibili e vicini alla loro prospettiva.

Anche il tono ed il lessico risultano del tutto adatti al target, ma non per questo semplicistici: ho notato anzi il tentativo di includere concetti e termini complessi, con un'intenzione sfidante e propositiva verso chi legge. La prosa del caro Colin è inoltre caratterizzata da un buon utilizzo dell'umorismo -seppur a piccole dosi- e da un ottimo ritmo narrativo, perché la grande quantità di informazioni da fornire a protagonisti e lettori viene introdotta con gusto e nei giusti tempi. Tra i punti di forza troviamo inoltre l'intreccio, d'effetto e coerente, che pur essendo un po' lontano dai miei gusti di adulta sono riuscita a trovare gradevole.

Il maggior pregio del romanzo si può però individuare nei suoi personaggi. Prue e Curtis sono degli eccellenti protagonisti, con una caratterizzazione coerentemente solida e dei difetti dai quali partire per potersi migliorare; specialmente Curtis, che in un primo momento non fa proprio una gran figura, ottiene poi la sua chance di riscattarsi agli occhi del lettore. Sono poi presenti diversi comprimari interessanti, ma a conquistarmi è stata senza dubbio l'antagonista principale, della quale si possono comprendere le motivazione senza per questo volerla rendere simpatetica ad ogni costo, una lezione che gioverebbe a tante storie (in teoria) più mature.

Oltre alla mia ovvia disaffinità con il target, mi è invece dispiaciuto leggere alcuni passaggi emotivi trattati in maniera affrettata; penso in particolare alla risoluzione presa da Curtis ed al momento della confessione fatta dai genitori di Prue. Sono inoltre presenti diversi elementi che facilitano un po' troppo il percorso dei protagonisti, ed in generale manca dell'approfondimento nel loro coinvolgimento iniziale all'interno delle dinamiche del Bosco: troppo rapido, dato quasi per scontato dalla narrazione. Questi difetti sono comunque delle minuzie, rispetto a quanto temevo viste le mie ultime (disastrose!) incursioni al di fuori dei libri adult.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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giovedì 14 agosto 2025

"The Turnglass" di Gareth Rubin

The Turnglass: La clessidra di cristalloThe Turnglass: La clessidra di cristallo by Gareth Rubin
My rating: 3 of 5 stars

"Sbirciando verso il tetto mentre orientava meglio la lanterna, scorse in effetti un insolito segnavento. Aveva la forma di una clessidra, con un rivolo di sabbia che cadeva da un'ampolla all'altra; invece che di metallo, però, era fatto interamente di vetro. Colpito dal fascio di luce, restituì uno scintillio. Doveva essere cristallo al piombo"


SCRIVERNE UNO E BENE NO, EH?

Essendo non solo una lettrice, ma anche una collezionista di libri (nel mio piccolo!), trovo estremamente affascinanti i volumi ergodici, che mettono alla sfida il lettore dal punto di vista grafico e concettuale. Non sempre la mia esperienza con questi titoli è stata positiva -specie perché gli autori tendono a soffermarsi più su formato ed estetica che sull'effettivo contenuto-, ma ho voluto comunque dare piena fiducia al tête-bêche "The Turnglass. La clessidra di cristallo", che sembrava presentare un intreccio appassionante e ricco di elementi horror e mystery in linea con i miei gusti. Forse fin troppo per essere vero, e infatti...

Il libro è diviso fisicamente in due metà, leggibili rovesciando il tomo una volta arrivati al finale di ognuna. Sembrerebbe possibile scegliere da soli l'ordine di lettura, ma la mia ossessivo-compulsività mi ha portata a cominciare con la storia del dottor Simeon Lee, medico nell'Inghilterra del 1881, che vorrebbe trovare una cura per il colera; purtroppo è a corto di finanziamenti, e per questo accetta di assistere dietro compenso il parroco Oliver Hawes, suo procugino che per praticità definisce zio. Quest'ultimo vive a Turnglass House -unica abitazione sull'isolotto fittizio di Ray, vicino a Mersea nella contea dell'Essex- assieme alla cognata Florence Watkins, che tiene rinchiusa dietro una parete di vetro dopo la poco chiara morte del fratello minore James. Una premessa alquanto strana, che si ingarbuglia ancor di più quando la donna spinge il protagonista a leggere un volume intitolato "Il campo d'oro", preludio all'altra metà della narrazione.

In questa seconda parte, ci spostiamo nella Los Angeles del 1939 seguendo il pubblicitario ed aspirante attore Ken Kourian. In modo decisamente fortuito, l'uomo fa amicizia con Oliver Tooke -scrittore di successo nonché figlio dell'immaginario governatore dello Stato- e con la sorella di lui Coraline; i due abitano in un'avveniristica abitazione di vetro sull'oceano, replica dell'antica casa di famiglia nell'Essex. Dietro una patina di successo e ricchezza, questa famiglia sembra però nascondere parecchi scheletri nell'armadio; scheletri che forse la pubblicazione dell'ultima opera di Oliver, intitolata guarda caso "The Turnglass" ed ispirata all'oscuro passato della famiglia Tooke, potrebbe rivelare al mondo.

Vista la particolarità del romanzo, ritengo utile fornire la mia (ora) consapevole opinione sui due ordini di lettura, che reputo entrambi sbagliati! Più che un Giano bifronte, qui ci troviamo davanti ad una matrioska: l'ideale sarebbe cominciare dalla storia di Ken, fino al punto in cui lui arriva a leggere la storia di Simeon, concludere quella e poi tornare all'altra. Certo, ci saremmo persi una doppia copertina estremamente accattivante, ma almeno avremmo ricevuto le informazioni in modo più ordinato; è stato comunque divertente dare la caccia ai numerosissimi elementi specchiati tra le due vicende. Ho apprezzato anche alcuni dei personaggi secondari -meritevoli di un proprio POV ben più dei protagonisti-, la presenza di alcune tematiche attuali e la struttura stessa del mystery, pur avendo azzeccato le risoluzioni molto prima dell'ultima pagina.

Un altro aspetto positivo è rappresentato dalle ambientazioni, che non saranno originalissime (a livello di vibes, mi hanno fatto pensare non poco a "L'incubo di Hill House" da un lato ed a "Il grande Gatsby" dall'altro), ma riescono a delineare molto bene un'atmosfera di mistero a tratti gotica. Mettendo a confronto le storie di Simeon e Ken, devo poi dire che forniscono rispettivamente una buona dose di intrigo noir nel caso del medico inglese e di adrenalina adatta ad una vicenda più avventurosa in quello dell'attore wannabe.

Mi spiace dover dire che tante belle premesse non sono riuscite a portare oltre la sufficienza questa lettura. I principali colpevoli? protagonisti e trama. I primi dimostrano un grado di stupidità che poche volte ho incrociano sulla carta, oltre ad offrire delle prospettive spesso e volentieri del tutto anacronistiche ed a dimenticare i loro stessi obiettivi di vita tra un capitolo e l'altro, in favore dell'intreccio principale. La loro ottusità viene ulteriormente esacerbata quando si trovano al centro di scene inutili, come la capatina di Simeon all'ospedale mentre è in missione a Londra oppure quando si vede rubare il libro poco dopo, al solo fine di ritardare di poche pagine la rivelazione finale.

Le due conclusioni sono un altro punto dolente, perché risultano estremamente brusche e per nulla soddisfacenti, tanto che è lo stesso lettore a dover immaginare quale sarà il finale dei protagonisti (un confronto definitivo tra Coraline e suo padre sarebbe stato il minimo, tanto per dire!); per i comprimari invece non c'è proprio nulla da fare, dal momento che la maggior parte di loro ruota attorno a sottotrame inconcludenti, quando va bene. Più in generale la trama pare gravata da scene troncate e dialoghi vuoti; inoltre se consideriamo la storia di Simeon soltanto come una creazione di Oliver Tooke, ci troviamo di fronte ad una narrazione che poggia interamente sulle azioni di quest'ultimo. Azioni che scaturiscono da una scoperta mai chiarita e sono portate avanti con una cripticità -ancora una volta- inutile! se lui si fosse limitato ad agire in modo diretto o a parlare con chiunque, ci saremmo risparmiati in un colpo solo più di 400 pagine e quasi 20 euro!

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giovedì 7 agosto 2025

"Uomini in rosso" di John Scalzi

Uomini in rossoUomini in rosso by John Scalzi
My rating: 4 of 5 stars

"La Narrazione: quello era il termine usato da Jenkins per indicare i momenti in cui il programma televisivo si insinuava nella loro esistenza, spazzava via completamente razionalità e leggi fisiche e induceva la gente a sapere, a fare e a dire cose che altrimenti non avrebbero mai saputo, fatto o detto"


PERCHÉ NON NE HANNO ANCORA FATTO UN FILM?!?

Di certo non sono un'esperta di narrazioni fantascientifiche -sul piano letterario, televisivo, videoludico o cinematografico che sia-, però perfino io ho familiarità con il concetto di comparsa sacrificabile. Questo perché si tratta di una figura presente in molti generi (dal fantasy al romanzo storico, passando per le storie crime) collegati all'avventura ed all'azione adrenalinica. Ma a rendere iconico questo modello di personaggio è stata la serie televisiva Star Trek negli anni Sessanta, con la sua pratica di eliminare puntualmente le comparse che indossavano una maglia rossa al solo scopo di mettere in luce il pericolo corso dagli intoccabili protagonisti.

Basandosi in modo palese e dichiarato su questo specifico cliché, "Uomini in rosso" adotta la prospettiva della "maglia rossa" Andrew "Andy" Dahl, guardiamarina ed esperto di xenobiologia pronto ad imbarcarsi sull'Intrepid, l'astronave ammiraglia dell'Unione Universale, anche nota come Doppia U. L'uomo fa immediatamente amicizia con altri nuovi arrivati pari sua, e comincia a notare una serie di stranezze legate alla vita di bordo: ad esempio, l'insensato eccesso di retorica e drammaticità in alcuni dialoghi, la rapidità con cui certi membri dell'equipaggio sembrano riprendersi da ferite gravissime, o ancora la frequenza con cui i sottoposti tirano l'ala durante le missioni di sbarco. La spiegazione a tutti i misteri sembra più assurda dei misteri stessi, ma Dahl rimane intenzionato a fermare questa sequela di tragedie, prima di finirne vittima lui stesso.

Senza spoilerare ulteriormente l'intreccio, posso comunque menzionare il trope che mi ha portata verso questo romanzo: il mio eterno nemicamico viaggio nel tempo. Avessi però saputo che questo elemento è un dettaglio del tutto secondario, appena abbozzato ed adottato in sola funzione di una singola svolta di trama, avrei probabilmente lasciato perdere. Per fortuna non ne ero al corrente, e sono quindi riuscita a dare una chance a questo titolo, nel quale la componente del viaggio temporale in effetti non aveva ragione per essere approfondita di più. Passando invece ad elementi negativi che ho percepito nettamente come tali, abbiamo senza dubbio la rapidità con cui si sviluppa la storia; questa inficia non solo sulle vicende (e sulla loro credibilità), ma anche su personaggi e relazioni, che risultano essere approssimativi e privi di un approfondimento seppur minimo.

Nel testo sono poi presenti alcune piccole contraddizioni logiche, uno scarso livello di coinvolgimento nei momenti di dialogo ed alcune battute che danno l'effetto di essere un mero riempitivo. Il vero scoglio da superare, almeno nel nostro Paese, ritengo sia però l'edizione nostrana, perché anche volendo chiudere un occhio sulla politica pseudo-elitaria di Urania, rimane un formato indegno per un romanzo così noto ed apprezzato. Il titolo italiano, la copertina scelta, la sinossi proposta: nulla in questo volume presenta in modo onesto la storia che si sta per leggere! Perché non intitolarlo "Magliette rosse"? perché non optare per una cover più simile a quella un po' cartoonosa dell'originale? e perché descrivere il libro come fosse una storia di ribellione contro una gerarchia totalitaria, quando in realtà parla di tutt'altro?

Passiamo a qualche elemento meno polarizzante, che è meglio. In questa categoria troviamo i personaggi -macchiettistici, però facili da identificare- e la trama, che da un lato coinvolge il lettore, superando abbastanza in fretta la sola idea di partenza, ma è anche costellata da colpi di scena tragicamente scontati. Sempre parlando di intreccio, ho trovato interessante l'idea di dividere il finale, eppure non mi spiego per quale motivo siano state alternate prima, seconda e terza persona; in generale, ho trovato questi epiloghi un po' lunghetti rispetto al contenuto effettivo e zeppi di un genere di retorica non proprio di mio gusto.

Si è invece rivelata di mio gusto la scelta di adottare una sorta di metanarrazione, tra l'altro sfruttando molto bene questo aspetto ed offrendo così a chi legge la possibilità di interrogarsi su quesiti di tipo speculativo ed etico, che personalmente trovo ben più intriganti di una pura componente sci-fi. Anche la prosa di Scalzi è promossa: ha un valido tono umoristico, oltre a saper adottare un piglio autoironico quando la situazione lo richiede, senza per questo sminuire il suo chiaro affetto per il genere fantascientifico. Nel suo insieme, il romanzo ha poi un ritmo ottimo per il tipo di storia raccontata ed un netto taglio cinematografico; infatti mi chiedo perché non ne abbiano ancora tratto un film! La sola risposta che mi venga in mente è una molto probabile denuncia di plagio: altro che vermi delle sabbie copincollati da Dune, qui la Paramount potrebbe imbastire una causa con i fiocchi! oppure approfittare dell'occasione per acquisire i diritti e realizzare un meta-crossover con lo stesso Star Trek. In questo caso, sarei disposta a fare perfino un'eccezione alla mia diffidenza verso questo genere.

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giovedì 31 luglio 2025

"The Cheerleaders" di Kara Thomas

The cheerleadersThe cheerleaders by Kara Thomas
My rating: 2 of 5 stars

"Come faccio a trovare il momento esatto in cui una farfalla ha battuto le ali cinque anni fa? E come posso credere a tutto quello che dice Ethan -che era amico di Jen, che non dovrei fidarmi di Tom- quando secondo il signor Ward la voleva morta?"


SONO TROPPO VECCHIA E TROPPO POCO AMERICANA

Più passano gli anni e più fatico a dare fiducia alla narrativa per ragazzi, per ovvie ragioni anagrafiche: non sono storie che si rivolgono a me, sia nella prosa scelta sia nelle tematiche affrontate. Capita però che si senta parlare molto bene di un certo romanzo o di un determinato autore, e così il mio interesse si riaccende, perché in fin dei conti mi è capitato di leggere libri YA validi anche di recente. Purtroppo non è stato il caso di "The Cheerleaders", una lettura che dimostra tutta la superficialità solitamente associata a questo target, pur affrontando sulla carta argomenti seri ed attuali.

Ad ispirare la narrazione abbiamo ad esempio delle reali vicende di cronaca, in particolare i terribili eventi che tra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta valsero alla città di Dryden, nello Stato di New York, l'infelice appellativo di Villaggio dei Dannati. Nel medesimo Stato si colloca anche la località immaginaria di Sunnybrook, dove il ritrovamento di alcune lettere anonime spinge la sedicenne Monica "Mon" Rayburn a mettere in dubbio la versione ufficiale sul concatenarsi di tragedie che, cinque anni prima, ha portato allo scioglimento della locale squadra delle cheerleader, della quale faceva parte anche la sorella maggiore Jennifer "Jen", morta suicida proprio in quell'occasione.

Alla base abbiamo quindi uno spunto molto interessante che, pur non venendo sviluppato in modo adeguato, riesce a catturare inizialmente l'interesse di chi legge. In maniera simile, ho gradito l'espediente di mettere in scena alcune dinamiche tossiche all'interno del contesto scolastico, e non solo; senza arrivare ad una chiara denuncia di fenomeni come l'abuso di potere oppure il bullismo, l'autrice fa comunque compiere un percorso di presa di coscienza alla protagonista, cosicché capisca di doversi affrancare dalla situazione in cui si sente imprigionata. Trovo apprezzabile anche l'impegno di delineare dei caratteri grigi -che in diversi punti del volume si devono confrontare con dei quesiti morali- ed il cerchio ideale descritto dall'intreccio, nel quale il fattore scatenante si trasforma infine nella conclusione stessa.

Come accennato, questi pregi sono principalmente dei tentativi, e dagli esiti disomogenei purtroppo. A partire dalla protagonista, che non si dimostra memorabile tanto per i suoi dilemmi etici quanto per l'essere incosciente e tristemente ottusa. Ammetto di averla mal sopportata per buona parte del testo, soprattutto per come risulta fasulla nei suoi rapporti familiari ed amicali: ha un legame più profondo con il cane che con il resto della sua famiglia! e se posso capire il suo essere scostante verso il fratello minore, proprio non mi capacito delle tensioni createsi con i genitori, specie alla luce della risoluzione finale. Inoltre, non si percepisce per nulla la grande passione di Monica per la danza -tale da sopportare per anni un'insegnante che farebbe sembrare il manesco Mister Daimon un timido agnellino-, e questo ha reso ancor meno convincente la sua caratterizzazione, anche perché non pare avere altri interessi.

Le relazioni non sono l'unica cosa asettica del romanzo, perché anche l'ambientazione si rivela decisamente anonima, quando invece Thomas vorrebbe darci ad intendere che questa cittadina piena di pregiudizi e dalla mentalità retrograda (vedasi gli inconcludenti, seppur numerosi, accenni alla problematica dei disturbi alimentari) sia vitale per la sua storia. Storia che devo purtroppo evidenziare essere mossa da eventi casuali e da svolte di trama convenienti, oltre a venire raccontata tramite una prospettiva poco chiara livello di consequenzialità. E come farsi mancare una traduzione da migliorare (a voler essere generosi!), specie nell'utilizzo della consecutio temporum che è sbagliato il doppio delle volte in cui è corretto?

Un altro difetto, minore ma non trascurabile, è dovuto alla presenza di piccole incongruenze narrative, anche a poche pagine di distanza. Ad esempio, in una scena Monica arriva a casa all'ora di pranzo, fa una breve ricerca online, poi si mette a letto, e d'improvviso siamo già al mattino seguente; e tutto questo senza che la cara Kara (scusate l'involontario gioco di parole!) si sia presa la briga di rileggere e notare la svista temporale. Il testo è costellato da queste contraddizioni, che normalmente mi avrebbero al massimo fatto sorridere, ma sommate agli altri punti deboli del libro hanno contribuito a mettere per me un grosso punto di domanda sul resto della bibliografia dell'autrice.

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lunedì 28 luglio 2025

"La bambina che amava Tom Gordon" di Stephen King

La bambina che amava Tom GordonLa bambina che amava Tom Gordon by Stephen King
My rating: 5 of 5 stars

"Era come se in quel grande bosco ci fosse solo lei e, sebbene l'idea fosse ridicola, il pesciolino aveva scodinzolato un'altra volta nello spazio vuoto di quel luogo speciale. Un po' più forte di prima"


PRATICAMENTE IO AD OGNI CAMPEGGIO DEGLI SCOUT

Nonostante mi sia capitato di sentire diversi pareri positivi su "La bambina che amava Tom Gordon", ero parecchio indecisa prima di iniziarne la lettura. Questo testo nasce infatti dalla fusione tra un elemento quasi sempre ben riuscito nelle opere kinghiane ed uno che invece non penso rientri tra i suoi punti di forza; nella fattispecie, troviamo accostate una storia di sopravvivenza in condizioni estreme ad una protagonista molto giovane. In questo caso (forse perché la bambina é isolata dal resto dei personaggi?) ho però trovato la sua prospettiva abbastanza gradevole da seguire. Considerando poi che ha solo nove anni, il caro Stephen non può permettersi troppe lungaggini in commenti lascivi e fuori luogo. E vorrei ben dire!

La storia di Patricia "Trisha" McFarland si ambienta nel giugno 1998 sui monti Appalachi, dove si trova in gita con il fratello maggiore Pete e la madre Quilla Andersen. Dopo il divorzio dal marito ed il trasloco da Boston al Maine meridionale, la donna ha sviluppato una passione per le attività familiari edificanti, arrivando così ad imporre ai figli un percorso sulla Route 68 dell'Appalachian Trail, tra le altre iniziative; a Trisha andrebbe anche bene, non fosse per l'interminabile litigio tra la madre e Pete, che la spinge ad allontanarsi leggermente dal sentiero indicato. Una scelta a dir poco infelice, perché la ragazzina perde del tutto l'orientamento e si ritrova da sola, a vagare per i boschi con l'unica compagnia delle voci alla radio del suo walkman.

Raccontato così, l'intreccio potrebbe apparire un po' noioso e ripetitivo, invece la storia si sviluppa con un ottimo ritmo: non ci sono mai momenti morti in cui il lettore percepisce l'attesa di una nuova svolta narrativa, anzi la (dis)avventura di Trisha è costellata di ostacoli sempre nuovi da affrontare, ed i pochi attimi di pausa non riescono a stemperare del tutto la tensione che si va accumulando. Tensione che getta le sue basi già dalle primissime pagine, con un inizio deciso e rapido al punto giusto, cosicché la posta in gioco venga subito messa in chiaro. Si prosegue quindi con un deciso crescendo di angoscia, che va a braccetto con il deterioramento della psiche della bambina.

Trisha inizia infatti ad immaginare di essere affiancata da Tom "Flash" Gordon, il numero 36 dei Red Sox e suo idolo personale, ma anche perseguitata da un'entità malvagia che alberga nei boschi e la spia durante la notte. La fantasia della protagonista da un lato crea delle descrizioni terrificanti e potenti per gli ambienti naturali -che contribuiscono a costituire il valido fattore horror del romanzo-, e dall'altro generano una misteriosa voce fredda la quale, sussurrando al suo orecchio, dipinge scenari tragici ma plausibili; in questo modo risulta sia spaventosa per il cinico realismo, sia ingannevolmente manipolatoria. Pur avendo adorato la prospettiva determinata e carismatica di Trisha, questa sorta di suo alterego maligno mi è sembrato ancor più interessante da ascoltare.

Si è trattato quindi di una lettura perfetta? no, qualche difetto si fa notare. Parlo però di elementi per la maggior parte di contorno; ad esempio, non ho trovato appieno soddisfacenti i brevi scorci su come la famiglia di Trisha affronti la sua scomparsa: rimangono in gran parte superficiali ed inficiano a tratti sul buon ritmo narrativo. Personalmente non sono poi riuscita, non dico ad apprezzare, ma neppure a cogliere i moltissimi riferimenti al mondo del baseball, per me del tutto alieno. Per contro, mi sarebbe piaciuto vedere qualche pagina in più dedicata alla conclusione, perché il confronto finale sembra un po' troppo rapido, e lo stesso vale per il momento post-climax, che avrebbe beneficiato di maggior spazio, specie per dare una risoluzione alle dinamiche interne alla famiglia McFarland.

Al netto di queste osservazioni marginali, il romanzo rimane estremamente godibile, oltre ad essere un'ottima scelta sia per dei giovani lettori che provino della curiosità verso l'intimidente bibliografia del caro Stephen, sia per i neofiti dell'autore intenzionati a capire se possa fare al caso loro. Questo perché la storia di Trisha è dotata di una voce universale, che può suggerire delle riflessioni anche in persone molto più grandi di lei dal punto di vista anagrafico, senza però adottare una prosa respingente verso un pubblico di ragazzi. In tutta onestà, avrei preferito iniziare da qui anziché partire a bomba con i traumi brutti di "It".

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mercoledì 23 luglio 2025

"L'isola del drago" di Ursula K. Le Guin

L'isola del dragoL'isola del drago by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"«Oh, be', cara, per una donna è tutto diverso. Chi può dire dove inizia e dove finisce una donna? Ascolta, io ho radici più profonde di quest'isola. Più profonde del mare, più antiche della creazione della terraferma. Io risalgo fino alle Tenebre ... Nessuno sa che cosa sono, nessuno lo può dire, nessuno sa che cosa sia una donna, una donna di Potere, né il Potere delle donne»"


MASSÌ, CAMBIAMO DI NUOVO IL TRADUTTORE!

Dal momento che "Il signore dei draghi" indicava una conclusione abbastanza netta, seppur come al solito non esaustiva, per le gesta dell'Arcimago Ged, mi chiedevo con quali nuovi personaggi la cara Ursula avesse deciso di continuare a raccontarci il mondo di Terramare. A quanto pare nessuno! perché seppur pubblicato a diciotto anni di distanza dal precedente, "L'isola del drago" sembra essere un midquel, collocato inizialmente tra il secondo ed il terzo volume, per poi coprire un arco temporale coincidente con il finale di quest'ultimo. Il cast quindi non subisce delle grosse variazioni, e meno male vista la superficialità con la quale l'autrice è abituata a raccontare le dinamiche tra i suoi personaggi.

Come anticipato, i primi capitoli si ambientano nel periodo di decadimento della magia, ed almeno un paio di decenni dopo gli eventi de "Le tombe di Atuan". Accantonato l'apprendimento dell'arte magica da Ogion, Tenar è diventata una donna matura: sull'isola di Gont ha messo su famiglia ed ora gestisce l'allevamento di pecore del marito defunto; in modo fortuito (che novità!), incontra e decide di adottare Therru, una bambina vittima di un'aggressione, che per questo si ritrova buona parte del corpo segnata da gravissime ustioni. Un'ellissi temporale ci porta quindi all'arrivo del drago Kalessin, il quale riporta a casa Ged -molto provato dopo la battaglia finale a Selidor-, che assieme alle due donne forma nel corso dell'anno successivo un nuovo nucleo familiare.

E davvero non so dirvi di più: in questa serie quando i protagonisti sono ragazzi ed uomini abbiamo misteri da risolvere, antagonisti da sconfiggere e minacce abnormi da sventare, mentre alle protagoniste femminili sono riservate storie quasi prive di trama. In realtà, sono presenti degli antagonisti, ma affermare che Tenar li fronteggi e sconfigga sarebbe un'enorme menzogna, perché ogni volta giungono in scena dei convenienti dei ex machina a risolvere la situazione per lei. Tra l'altro trovo buffo che, in un romanzo tanto pronto a sbandierare il tema del femminismo, la protagonista debba sempre ricevere l'aiuto di personaggi maschili; e questo aiuto non arriva neppure in virtù di un suo impegno -magari nel farsi benvolere dal prossimo- ma per pura necessità di trama.

Parlando di femminismo, devo inoltre far presente che l'argomento viene trattato in modo tragicamente infantile. Capisco che il romanzo si rivolga ad un pubblico molto giovane e non sia neppure di recente pubblicazione, ma non è necessario urlare in faccia a lettore le tue motivazioni, cara Ursula! inoltre la tematica viene inclusa in modo forzato, nei momenti più randomici, ed alla fine della storia porta ad un nulla di fatto. E questo vale per una quantità di sottotrame, del tutto inconcludenti: ad esempio, le origini di Therru, la congiura di Pioppo, l'accanimento di Faina o la ricerca del Maestro dei Venti. Prive di una qualunque risoluzione sono anche le fumose riflessioni sul significato di Potere; come succede spesso in questa saga, le osservazioni dei personaggi da un lato appaiono fin troppo banali e dall'altro eccessivamente criptiche, specie tenuto conto del target.

Aggiungiamo poi un ritmo quasi inesistente (vi sfido ad individuare una struttura narrativa degna di questo nome!), le solite relazioni interpersonali stabilite dall'alto, le utilissime descrizioni di boschi e scogliere, e l'ennesimo colpo di scena anticipato tramite una storiella ad inizio volume. Ci sono poi elementi sui quali mi trovo in ambasce, come il modo discontinuo in cui viene tratta la disabilità -con commenti discutibili da parte di personaggi teoricamente positivi, che non vengono poi smentiti-, oppure la scelta di Tenar come protagonista: personalmente sono stata contenta di ritrovare il suo personaggio, ma ritengo inadatta la prospettiva di un'adulta in una storia per ragazzini perché tocca argomenti lontani dai potenziali lettori. Sarei stata molto più interessata a leggere il POV di Therru, che avrebbe permesso di capire meglio anche la sua difficoltà nel superare il trauma vissuto.

Per assurdo, questo è stato comunque il capitolo del Ciclo di Earthsea che più mi ha convinto. Di certo uno dei motivi è la freschezza dei contenuti, dopo tre romanzi incentrati sulle missioni di Ged; ho apprezzo che qui il focus fosse invece diretto sui caratteri femminili e sulle loro difficoltà, anche nell'ambito quotidiano. Inoltre, si parla in modo adeguato di politica, razzismo e discriminazione, mentre nei volumi precedenti su questi aspetti si tendeva piuttosto a glissare. A livello narrativo, scopriamo inoltre quale fosse il vero epilogo tra i due raccontati alla fine de "Il signore dei draghi", vengono approfondite le motivazioni di Ged, e tra lui e Tenar sono presenti dei momenti di confronto validi e costruttivi. Mi sarei però evitata l'immagine di loro che bombano («così, de' botto, senza senso», cit.) sul pavimento dove poco prima giaceva un tizio infilzato da un forcone.

Voto effettivo: due stelline e mezza

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venerdì 18 luglio 2025

"I Vendicatori" di Richard Bachman

I VendicatoriI Vendicatori by Richard Bachman
My rating: 4 of 5 stars

"Ma certo, c'era il film. Quel film orribile. Erano arrivati alla loro quarta copia di I Vendicatori. La prima, l'aveva noleggiata Herb al Video Clip un mese circa prima del suicidio. E quel vecchio film ... aveva liberato Tak... o messo a fuoco, come si focalizza la luce con una lente di ingrandimento e se ne ricava una fiamma"


MA NEGLI USA NON ERANO ABITUATI ALLE SPARATORIE?

Quando ho deciso di cominciare La forza del male, sono andata contro quanto proposto nella più recente edizione nostrana, iniziando da "Desperation". Arrivata ora a completare anche la lettura de "I Vendicatori", posso dire di aver fatto quella che reputo la scelta migliore, perché questo romanzo sembra essere quasi una fanfiction del suo gemello, con tanto di personaggi OOC, citazioni ad oggetti e luoghi, e collegamenti da fare durante la lettura. Non a caso è Bachman ad essere nato dalla mente di King, non il contrario! quindi ha senso che quest'opera dia l'impressione di essere un derivato, seppur riuscitissimo.

Per raccontare la storia, l'autore ci trasporta nella patria della famiglia Carver, in particolare nella città immaginaria di Wentworth, in Ohio. Tutto inizia in un caldissimo pomeriggio del luglio 1996, quando un'ordinaria giornata in Poplar Street viene stravolta dall'arrivo di alcuni furgoni dai colori bizzarri: dal loro interno, individui mascherati in modo ancor più stravagante sparano senza ragione sui residenti. Il panico colpisce i passanti, una delle abitazioni prende fuoco, contattare le forze dell'ordine sembra impossibile, e nel mentre una calma surreale persiste nel civico 247, dove Audrey Wyler abita con il nipote Seth dopo che la famiglia di lui è rimasta vittima di una strage con fin troppe analogie a quella in corso.

Per diversi aspetti, lo spunto potrebbe sembrare parecchio infantile -e come tale si dimostra in parte con il procedere della narrazione-, ma questa è una storia horror molto valida, seppur meno incentrata sull'elemento gore rispetto ad altre opere di "Bachman". A rendere particolarmente inquietante la lettura non sono quindi i momenti in cui l'antagonista causa più o meno direttamente la morte dei personaggi, bensì le scene ambientate in casa Wyler: Tak che pian piano si insinua nelle vite di Audrey e di suo marito Herb, Tak che fa leva sul loro affetto per tenerli legati a sé, Tak che bilancia la sua violenza con la dolcezza di Seth, Tak che applica le sue abilità paranormali per portare avanti delle ripicche tanto puerili quanto crudeli. Proprio per questo reputo Seth una scelta perfino più azzeccata di Entragian, nonostante manchi di un'apparenza fisica intimidente, perché permette all'antagonista di sfruttare il fattore emotivo ed al contempo veicolare ottimamente il concetto della cattiveria nei bambini.

L'altro principale pregio del volume è il formato mixed media, ossia i documenti di varia natura (articoli, relazioni, copioni, ed altro ancora) che vengono inseriti alla fine di ogni capitolo. Non solo si tratta di una scelta narrativa molto innovativa per l'epoca di pubblicazione, ma King dimostra di averla sfruttata in maniera davvero brillante per includere tanti avvenimenti legati al passato, senza per questo appesantire o rallentare la narrazione al presente. Personalmente ho gradito molto anche il modo in cui l'autore ha rielaborato alcuni dei personaggi di "Desperation" -dando nuovi spunti alle loro storie-, l'essersi discostato dal tema religioso, la rilevanza del rapporto tra Audrey e Seth, e la conclusione adottata. Apprezzo sempre i finali un po' agrodolci, e questa vicenda non poteva che puntare ad un epilogo simile per mantenere una coerenza interna.

Passando ai lati meno riusciti del romanzo, forse il difetto più evidente si trova nella caratterizzazione, ambito nel quale solitamente il caro Stephen eccelle; qui invece si è arenato in un cast un po' troppo numeroso, dandosi (e dando ai lettori!) anche poco tempo per conoscere i personaggi nei primi capitoli. Di conseguenza, si finisce per interessarsi veramente solo a quelli già presenti in "Desperation", con la sola eccezione del piccolo Seth: gli altri finiscono per essere dimenticabili o perfino interscambiabili, come nel caso di Cammie Reed e Kim Geller. Ad accentuare la sensazione di star leggendo una fanfiction, c'è poi l'assenza di una motivazione consistente o approfondita per cui certi personaggi siano finiti a vivere in Poplar Street, Johnny Marinville in primis.

A dispetto degli eventi che danno il via alla storia, ci troviamo poi con un lato survival non particolarmente presente, nonché affrettato; lo vediamo bene nella parentesi della missione nella fascia verde: non c'è un minimo di strategia, alla prima difficoltà si fa marcia indietro e manca del tutto il concetto di fare squadra. Tracciando un confronto con quanto avveniva nel libro gemello, qui i protagonisti non arrivano mai a formare dei legami di fiducia reciproca, nonostante ci sia tra loro una conoscenza pregressa. Penso che l'esempio migliore sia la scena della spiegazione fornita da Audrey, presente in entrambi i volumi con esiti ben diversi; in questo caso, anziché coalizzarsi contro la minaccia di Tak, i personaggi nel escono ancor più in disaccordo. In questo senso, la velocità con cui si giunge al finale comporta un'impressione di raffazzonato e poco spontaneo, che un po' ne rovina l'atmosfera.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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martedì 15 luglio 2025

"Delitto all'ora del tè" di Catherine Coles

Delitto All'Ora del TèDelitto All'Ora del Tè by Catherine Coles
My rating: 2 of 5 stars

"Il suo volto pareva sereno, tanto che avrei quasi potuto credere che si fosse sdraiata a fare un pisolino. Se solo non avesse avuto quel coltello dal manico nero che le spuntava dalla pancia. Perché Helen non stava dormendo; era certamente morta"


MA DOVE CASPITA CORRI, CATHERINE?

Come mi è capitato di accennare nella recensione di "Scende la notte", l'unica ragione per cui ho acquistato quel romanzo era avere un titolo da abbinare al seguito di "Un misterioso omicidio e molti segreti"; risulta quindi crudelmente ironico che il cozy romantasy di Cross mi sia piaciuto mentre il cozy mystery di Coles sia risultato parecchio inferiore rispetto al primo capitolo. Come giallo "Delitto all'ora del tè" non sarebbe malaccio, ma perde tutte le particolarità che arricchivano la serie, a vantaggio di un focus ridondante (e, spesso, fuori luogo) su elementi non proprio di mio gusto.

Questa volta l'azione compre un arco temporale molto breve: dal delitto alla risoluzione passano solo pochi giorni. L'ambientazione rimane il Berkshire del 1947, ma la cittadina di Westleham viene lasciata da parte per spostarsi nella vicina Winteringham, dove la protagonista Martha Miller è stata chiamata ad inaugurare la Sagra Campestre di Winteringham e del Distretto dall'organizzatrice Annie Raynor, in virtù della sua brillante risoluzione del primo caso. La donna arriva nel paesino scortata tra gli altri dalla sua cucciola Lizzie, ed è proprio il setter ad individuare il corpo senza vita Helen Kennedy, nipote del vicario locale Frederick "Freddie" Butler, dando così il via all'indagine principale.

L'intreccio che si dipana da questo spunto non è nulla di spettacolare o di troppo originale, soprattutto se siete ben avvezzi al genere, però risulta gradevole da seguire, anche per il buon ritmo con cui viene sviluppata la narrazione. Oltre alla mera investigazione, l'elemento che ho trovato più interessante riguarda gli accenni al passato del vicario Luke Walker, perché contribuiscono ad ampliare un poco il contesto, nonché a dare una maggior profondità alla sua caratterizzazione. L'autrice decide di non inserire troppi chiarimenti, ma si può facilmente intuire quali motivazioni spingano questo personaggio.

Un aspetto teoricamente positivo, sul quale però solo molto combattuta, è la presenza di messaggi femministi, collegati sia ai ruoli di genere che alla cultura patriarcale, causa di victim blaming e slut shaming. Di base, sono contenta di vedere inclusi temi di questo genere, tra l'altro in maniera organica e motivata all'interno del romanzo; purtroppo la prosa di Coles non risulta all'altezza, rendendo le argomentazioni dei personaggi (tanto da una parte quanto dall'altra della discussione) didascaliche e ripetitive. Inoltre, trovo le osservazioni espresse a dir poco anacronistiche, considerando che questa è un'ambientazione storica e non un contesto ucronico in cui i protagonisti si possono permettere di inneggiare ai diritti della donna come farebbero dei giovani attivisti sui social nella contemporaneità.

Passando ai difetti che ho riscontrato mettendo questo libro in confronto con il suo predecessore, si sono perse totalmente le sottotrame legate al rapporto di Martha con la sorella ed alla sua ricerca del marito; nel testo viene ricordato più volte che lei vuole bene a Ruby e che Stan è scomparso lasciandola in difficoltà, senza però dare alcuno sviluppo concreto. Per contro, la cara Catherine ha deciso di investire una quantità di spazio all'attrazione proibita tra Martha e Luke; e non ci sarebbe nulla di male, se questi accenni non fossero inseriti nei momenti meno opportuni (sì, anche quando salta fuori un cadavere!) e farciti di gelosia tossica ed insensata. Questo è proprio un esempio di romanzo giallo, fantasy, sci-fi, o altro rovinato dalla sovrabbondanza di romance: tanto valeva scrivere direttamente un cozy romance! anche perché questa parentesi non ha alcuna risoluzione a fine volume.

E per arrivare alla quella fine il lettore dovrà comunque sopportare una narrazione terribilmente affrettata -soprattutto nei primi capitoli, in cui l'autrice sembra avere l'impellente bisogno di arrivare al ritrovamento del cadavere-, un ruolo più da pagliacci del solito per i rappresentanti delle forze dell'ordine di turno, ed una struttura narrativa parecchio bislacca: Martha e Luke passano ad un interrogatorio all'altro, fanno una breve pausa per riepilogare quanto scoperto, e poi ricominciano da capo con il primo testimone, il tutto seguendo un percorso forzato e meccanico, che ricorda quasi un videogioco con delle interazioni obbligatorie per poter proseguire nell'avventura.

Il sunto della mia delusione però potrebbe essere la motivazione dietro questa storia: se nel primo libro la protagonista aveva un'ottima ragione per voler risolvere il caso, dal momento che era finita in cima alla lista dei sospettati, qui non c'è alcun motivo per cui lei venga spronata e finisca per convincersi a passare davanti alle autorità. La scusa adotta da Martha -ovvero, fare giustizia per la piccola Janet- non regge proprio, perché la polizia ha le stesse informazioni ed il medesimo obiettivo; lei diventa quindi l'esatta rappresentazione del dilettante che cerca di intralciare le forze dell'ordine perché chi scrive ha deciso che non saranno queste ultime a risolvere il caso.

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