lunedì 7 aprile 2025

"Il re malvagio" di Holly Black

Il re malvagio (Il Popolo dell'Aria, #2)Il re malvagio by Holly Black
My rating: 2 of 5 stars

"Detesto che lui sappia cosa sta facendo e io no. Detesto essere vulnerabile. Detesto inclinare la testa all'indietro, arrendermi ... di tutto ciò che mi ha fatto, farmi innamorare così di lui è in assoluto la peggiore"


...ANCHE SE QUESTA SERIE UN SENSO NON CE L'HA

Sembra proprio che quest'anno io sia destinata ad incasellare una lettura spiacevole dopo l'altra. E molto spesso questa situazione riguarda i libri che fanno parte di una serie, perché se il primo non mi è andato a genio come posso aspettarmi che con i seguiti vada meglio? Quindi ecco un altro secondo volume deludente, soprattutto considerato quanto venga elogiato dai fan della trilogia. Eppure "Il re malvagio" è riuscito a collocarsi un mezzo gradino sopra "Le tombe di Atuan", e questo per la totale assenza di noia che ha caratterizzato la mia esperienza di lettura! La cara Holly getta in faccia al lettore una serie apparentemente infinita di scene tra l'ottuso e l'incomprensibile, con le quali annoiarsi non è un'opzione considerabile.

Dopo un rapido flashback, il libro ci porta cinque mesi dopo la conclusione de"Il principe crudele". L'umana Jude Duarte è ora impegnata come siniscalco per il Sommo Re Cardan, ed in quanto tale si trova a dover gestire una quantità di problematiche più o meno gravi: da una minaccia di tradimento interna al pericolo rappresentato dalla regina degli Abissi Orlagh, passando per le mire alla corona del fratello di Cardan Balekin e per l'imminente matrimonio di sua sorella gemella Taryn. Sullo sfondo rimane la missione della ragazza per predisporre l'ascesa al trono del fratellino adottivo Farnia, come anche la sua ambigua storia d'amore con lo stesso Cardan.

In modo devo dire sorprendente, quest'ultimo si piazza tra gli scarsi punti a favore del romanzo: lo reputo un personaggio ben scritto e con un grande potenziale, soprattutto quando l'autrice non si sforza in maniera tanto evidente di renderlo una mera vittima. Jude ovviamente è ben lontana da questa categoria (come gran parte del cast, del resto!), ma devo ammettere di essere contenta che entrambi si siano lasciati alle spalle l'inutile parentesi scolastica. Tra gli aspetti che ho apprezzato rientrano l'ampliamento del world building ed il buon ritmo, che potrebbe ambire ad essere perfino ottimo non fosse per i troppi refusi, a causa dei quali la lettura subisce un inevitabile rallentamento.

A rendere tanto apprezzata e distintiva questa trilogia è ovviamente la componente psicologica dei personaggi, dei quali la cara Holly racconta i traumi per farci capire cosa li spinga ad agire spesso sconsideratamente nel presente. Anche a mio avviso è uno dei pregi maggiori -specie per la presenta di reazioni differenti ad un'analoga situazione problematica- e l'ho trovato interessante soprattutto nel finale. Peccato che, al netto dei vari traumi subiti, i personaggi palesino una stupidità innata e non giustificabile (solo) con le loro passate disgrazie, comunque inserite nel testo con ben poca sottigliezza e buon gusto. Ad aggiudicarsi l'ambito primo premio per l'imbecillità è senza dubbio la nostra Jude, della quale siamo condannati ad ascoltare gli insensati ragionamenti ed i continui ripensamenti.

Per quanto riguarda l'intreccio, avrei poi gradito la presenza di qualche elemento magico in più (sui chiarimenti invece ho alzato bandiera bianca) perché a volte ci si dimentica quasi che i personaggi sono dotati di poteri paranormali. Sarebbe inoltre carino se gli sviluppi di trama non fossero tanto fortuiti: si potrebbe far procedere la storia senza personaggi ed informazioni che cadono tra le braccia della protagonista, soprattutto se quest'ultima attivasse i suoi neuroni. Come già accennato, a rendere questa narrazione ancor più respingente contribuisce l'abominevole traduzione! onestamente non saprei dire cosa risulti più fastidioso tra i tempi verbali sbagliati ed i refusi di digitazione.

Tutto questo finisce per distrarre notevolmente il lettore, già impegnato in una narrazione parecchio contorta per il gusto di esserlo. Io ormai mi sono messa il cuore in pace: tra me e Black non sboccerà mai l'amore. E a tal proposito chiamo in causa le sue scene descritte in modo tanto aulico da risultare incomprensibili, la mancanza di logica tra un'azione e la sua reazione, nonché le descrizioni di abiti ed accessori inserite in modo casuale ed inopportuno durante i dialoghi. In un volume relativamente breve, la protagonista -sulla carta poco o niente interessata alla moda- è impegnata in più cambi d'abito di Solange Kardinaly!

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venerdì 4 aprile 2025

"Le tombe di Atuan" di Ursula K. Le Guin

Le tombe di AtuanLe tombe di Atuan by Ursula K. Le Guin
My rating: 1 of 5 stars

"Si diceva che si trovassero lì fin dal tempo dei primi uomini, fin da quando il Terramare era stato creato ... Erano le tombe di coloro che regnavano prima che nascesse il mondo degli uomini, coloro che non avevano nome, e per questo colei che veniva a loro consacrata, colei che era al loro servizio non aveva nome"


TANTE MAIUSCOLE DA FAR INVIDIA AD UN TEDESCO

A gennaio, mentre in piena influenza arrancavo tra le pagine de "Il mago", percependo come ostico ed interminabile un libretto per bambini, mi sono sentita un mezzo fallimento come lettrice. Ad oggi, più o meno in buona forma fisica, devo dire che la me stessa del passato era una vera eroina senza neppure saperlo; questo perché "Le tombe di Atuan" mi ha confermato che il problema non ero (solo) io, bensì la prosa soporifera della cara Ursula.

C'è da dire che almeno nelle prime pagine la mia attenzione l'ha saputa catturare, introducendo una protagonista ed un contesto del tutto nuovi. Siamo sull'isola desertica di Atuan, dove si erge il Posto delle Tombe, ossia nove monoliti mistici custoditi dalla Prima Sacerdotessa; appena nata la piccola Tenar viene individuata proprio come la reincarnazione di questa figura, e per questo allontanata dalla sua famiglia e costretta ad adottare il non-nome di Arha. La prima parte del libro è interamente dedicata al suo addestramento religioso -ed in particolare all'esplorazione dei tunnel che si snodano sotto i templi-, mentre nella seconda il ritorno di una nostra vecchia conoscenza porta una parvenza di trama in una narrazione fino a quel punto poco corposa.

L'intenzione di Le Guin non era chiaramente quella di strutturare un'avventura fantasy simile a quella del primo capitolo, quanto piuttosto di raccontare l'emancipazione di Tenar, da burattino delle Sacerdotesse più anziane a persona capace di autodeterminarsi. Personalmente non credo che questo concetto sia stato sviscerato al meglio, ma rimane comunque uno spunto positivo sul quale lavorare magari nei seguiti. Tra gli aspetti che sono riuscita ad apprezzare, troviamo le relazioni interpersonali (più credibili e meglio sviluppate), le nuove ambientazioni ed i nuovi elementi di world building, legati soprattutto alle isole dei Kargad ed al loro approccio nei confronti del sovrannaturale.

Terminati i modesti elogi, passiamo agli elementi che meno funzionano in questa narrazione, a partire dai personaggi. Per quanto riguarda i comprimari, si tratta di caratteri fin troppo stereotipati (Manan è il servitore fedele, Kossil l'insegnante carogna, Penthe l'amica gentile, e così via), ma la situazione peggiora quando si arriva ai protagonisti: la caratterizzazione di Tenar è a dir poco banale, mentre quella del suo coprotagonista risulta del tutto stravolta rispetto al libro precedente. Non ho ben capito inoltre la scelta di puntare in modo tanto netto l'attenzione su personaggi -come Penthe, la madre di Tenar o Thar- che alla fine dei conti risultano davvero marginali.

Come accennato, il volume pecca di una solida e chiara strutturazione: la trama risulta quasi inesistente e, quando finalmente sembrano comparire degli spunti validi, questi sono motivati da informazioni del tutto estranee non solo a questo libro ma perfino al primo! Il tutto viene poi veicolato al lettore attraverso un ritmo fin troppo lento ed una tensione praticamente non pervenuta. Sul finale ci sono dei tentativi di smuovere gli eventi, ma anche qui il risultato è ben poco emozionante sia perché non c'è stato il tempo di conoscere davvero i personaggi sia per l'apparente mancanza di conseguenze (in positivo o in negativo) per le loro azioni.

Per concludere, qualche pet peeve che ha contribuito a rendere più tediosa la mia esperienza di lettura. Ad esempio abbiamo un fastidioso ricorso al name dropping per tutto il volume; sono anche presenti parecchi spiegoni di lunghezza terrificante, che non sempre risultano essere indispensabili e si presentano al lettore nel modo più forzato e respingente possibile. Volendo poi sorvolare sul fatto che quel poco di trama presente è concentrato sul ritrovamento di un chiarissimo MacGuffin, non ho potuto fare a meno di notare alcune contraddizioni all'interno del sistema magico: a differenza di quanto detto in precedenza, qui abbiamo un nome vero assegnato dai genitori e delle entità senza nome che sono influenzabili dalla magia. Potrei citare altre incoerenze, ma non voglio demolire del tutto uno dei pochi punti di forza della serie. Per ora.

Voto effettivo: una stellina e mezza

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venerdì 28 marzo 2025

"Un piccolo odio" di Joe Abercrombie

Un piccolo odio (The Age of Madness, #1)Un piccolo odio by Joe Abercrombie
My rating: 4 of 5 stars

"Valbeck restava nascosta dietro le colline a nord mentre lei saltò giù, nel fango segnato dai solchi, tuttavia poteva vedere il fumo dei suoi mille camini che si allargava al vento disegnando una grande chiazza scura nel cielo. Forse riusciva perfino a fiutarlo"


AVESSI VOLUTO UN ROMANCE, MI SAREI LETTA UN ROMANCE

Più di un mese. Ecco quanto mi ci è voluto per venire a capo di "Un piccolo odio", con mia somma vergogna. Non tanto per l'incredibile lentezza con cui ho affrontato la lettura, quanto perché ho desiderato per anni recuperare questa serie (che sembrava scomparsa in Italia) della quale ho sempre sentito parlare in modo molto positivo; e quanto finalmente la posso iniziare, mi passa la voglia!?! Potremmo definirla crudele ironia, ma ci sono anche delle ragioni concrete, che andrò ad analizzare in questa recensione.

La narrazione si colloca vent'otto anni dopo la conclusione della trilogia originale e quindici dopo gli eventi di "Red Country" -l'ultimo dei sequel autoconclusivi-, infatti il cast è composto per una buona fetta dai figli dei personaggi protagonisti nei volumi precedenti. Oltre ai soliti POV occasionali, seguiamo ben sette prospettive divise tra due continenti. Al nord è scoppiata una nuova guerra tra gli alleati dell'Unione ed i Nordici che, sotto il vessillo del futuro sovrano Crepuscolo il Possente, hanno invaso il protettorato di Mastino. Nel frattempo il Midderland è scosso dalle rivolte degli Spezzatori e degli Incendiari, sobillati dal misterioso Tessitore contro lo strapotere di nobili ed imprenditori, che sfruttano le nuove tecnologie per aumentare i profitti a discapito delle classi più umili.

Quello dell'ingiustizia sociale è uno dei temi centrali del romanzo, e devo dire di averlo apprezzato parecchio: posso immaginarlo più rilevante nei seguiti, ma già qui ci sono delle solide basi di malcontento sulle quali costruire i conflitti futuri. Al fianco delle tematiche di maggiore attualità, l'autore continua a dare spazio alle sfaccettature dell'animo umano, parlando di dipendenze (emotive e da sostanze), conflitti familiari e generazionali, elaborazione dei propri traumi e relazioni tossiche. Ovviamente questo viene trattato in modo più o meno approfondito in base alla rilevanza del POV di turno, alcuni dei quali hanno un enorme potenziale (e penso in particolare all'ambigua Teufel) in parte mortificato dal poco spazio a loro disposizione.

Come sempre, la prosa del caro Joe mi ha convinto per merito del suo piglio caustico e pungente, che riesce sempre a mettere a nudo le contraddizioni dei personaggi. Ciò viene reso in modo particolarmente brillante nelle frasi e nelle scene speculari, adottando delle anafore oppure mostrando la medesima interazione attraverso due diverse prospettive. Ritornano anche le scene in multi-POV, tra le quali la mia preferita: il racconto della sommossa a Valbeck, con un intreccio magistrale di caratteri ed esperienze, spesso in netto contrasto a discapito di quanto appare.

Ma allora cosa mi ha reso tanto ostico proseguire in questa storia? a parte il peso fisico del volume, da non sottovalutazione comunque! Per l'ennesima volta mi devo lamentare dell'edizione italiana, che sarà anche impeccabile dal punto di vista estetico ma lascia parecchio a desiderare nei contenuti: tra refusi di battitura, calchi dall'inglese e sviste grammaticali, la traduzione frena inevitabilmente la lettura perché risulta impossibile ignorate tutti questi errori. Sono poi presenti alcuni termini decisamente fuori posto nel contesto in cui è ambientato il libro, come il carnevale o il sabba, che non saprei onestamente se siano da imputare all'eccessiva creatività dell'autore o alla sciatteria del traduttore.

In ogni caso, Abercrombie deve sicuramente rispondere per la propensione a copiare i suoi stessi caratteri (Grosso è un novello Logen tanto quanto Leo ricorda Jezal, giusto per citarne un paio) e per la prevedibilità dei colpi di scena -specialmente dal punto di vista di una lettrice affezionata come la sottoscritta- che si possono azzeccare con capitoli e capitoli di anticipo senza troppa difficoltà. Passando ai difetti più soggettivi, seppur li abbia apprezzati tutti i qualche modo avrei preferito un numero più limitato di POV, mi sarebbe inoltre piaciuto capire meglio come le modernità introdotte abbiano cambiato il modo di vivere dei personaggi, e ho mal tollerato tutte le parentesi romantiche, che in più momenti mi hanno ricordato delle soap opera, sconfinando nel cringe. Dopo il risultato discutibile di "Mezzo mondo", sul lato romance il caro Joe dimostra di avere ancora molto su cui lavorare.

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martedì 25 marzo 2025

"Final Girls. Le sopravvissute" di Riley Sager

Final girls. Le sopravvissuteFinal girls. Le sopravvissute by Riley Sager
My rating: 2 of 5 stars

"Insieme al dolore arriva un ricordo. No, non un ricordo, una certezza. Ed è così terribile che deve per forza essere reale. È rimasta solo lei. Gli altri sono tutti morti. Lei è l'unica sopravvissuta"


DUE PAGINE E QUINCY È DIVENTATA KING C (GILLETTE)

Nella mia constante lotta contro la stupidità dei personaggi, ho fatto appena in tempo a gioire dell'acume e della risolutezza dimostrati da Agatha Raisin, che già la lettura successiva mi ha fatto ripiombare mio malgrado nel baratro delle protagoniste sceme. Nel caso di "Final Girls. Le sopravvissute", il problema non è tanto la dabbenaggine dell'eroina di turno, quanto il fatto che la trama venga mossa quasi esclusivamente dalle sue decisioni idiote: se lei avesse attivato i neuroni giusto due o tre volte in tutto il libro, nulla di tutto questo sarebbe stato scritto.

La mentecatta in questione risponde all'impronunciabile nome di Quincy "Quinn" Carpenter, a vent'anni è sopravvissuta alla strage nota come il massacro di Pine Cottage (non certo per la sua prontezza di pensiero!) e da allora convive con questo trauma e con la dipendenza dallo Xanax. Il romanzo alterna dei flashback in terza persona -nei quali si cerca principalmente di ricostruire gli eventi che Quinn ha dimenticato- alla narrazione al presente, affidata al POV della protagonista, ahinoi! A dare il via alla narrazione sono il misterioso suicidio di Lisa Milner e l'imprevista ricomparsa di Samantha "Sam" Boyd, sopravvissute ad altri due eccidi che i media avevano accostato a Quinn sotto l'etichetta di Final Girls, appunto.

Una premessa che onestamente reputo interessante, specie perché punta l'attenzione sull'elemento della sopravvivenza, da me molto apprezzato in tante storie. Purtroppo questo spunto rimane ai margini perché, quando l'autore deve raccontare come le varie personagge siano riuscite a scappare o addirittura a reagire contro i loro carnefici, lo fa in modo frettoloso ed approssimativo, riassumendo a grandi linee quanto accaduto. Questa superficialità investe anche la caratterizzazione dell'intero cast, con dei personaggi poco più che abbozzati e tragicamente dimenticabili. Con ogni probabilità ricorderò soltanto la protagonista, non per il carisma bensì per la sua impressionante imbecillità.

In modo analogo, la prosa elementare e semplicistica di Sager non è riuscita ad entusiasmarmi, con una quantità di dialoghi macchinosi e metafore insensate. Inspiegabilmente neppure il ritmo si salva, con una narrazione abbastanza lenta soprattutto nella prima metà; e dire che un intreccio incalzante dovrebbe essere il marchio di fabbrica di questo genere letterario. A tenere il lettore incollato alle pagine dovrebbero poi contribuire i colpi di scena, peccato che questa trama sia fin troppo prevedibile, e quando vuole stupire a tutti i costi ricorre a forzature parecchio evidenti, come il già citato comportamento bizzarro della protagonista.

Devo ammettere che questa è una di quelle recensioni difficili, perché al netto dei momenti più tediosi il romanzo ha svolto il suo lavoro, intrattenendomi e regalandomi alcune scene divertenti, seppur involontarie. Ho apprezzato anche i chiari tentativi di andare oltre il mero thriller, trattando argomenti più impegnativi, eppure a lettura ultimata riesco a concentrarmi unicamente sugli aspetti negativi. Ciò non esclude che io possa dare un'occasione ad altri titoli del caro Riley, specie considerando quanto sono diverse le valutazioni dei suoi romanzi: magari il prossimo potrebbe diventare un nuovo preferito, chissà...

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venerdì 14 marzo 2025

"La quiche letale" di M.C. Beaton

Agatha Raisin e la quiche letale (Agatha Raisin, #1)Agatha Raisin e la quiche letale by M.C. Beaton
My rating: 4 of 5 stars

"Ho bisogno di uno scopo nella vita, pensò - di un obiettivo. Non sarebbe stato magnifico se si fosse scoperto che dopotutto quello di Cummings-Browne era stato un assassinio? E se lei, Agatha Raisin, avesse risolto il caso?"


COZY MYSTERY ANTE LITTERAM

A quanto pare il mio proposito di dare spazio alle serie è sopravvissuto giusto un filino in più delle diete iniziate il 2 gennaio. Infatti, dopo aver letto solo titoli autoconclusivi in febbraio, al momento di scegliere con che libro iniziare marzo ho ignorato la mia tanto agognata copia di "Un piccolo odio" (in lettura da settimane!) per il più rilassante "La quiche letale", primo capitolo nella lunga serie di avventure della detective dilettante Agatha Raisin.

L'ambientazione principale del romanzo è il villaggio fittizio di Carsely, nel Gloucestershire. Dopo aver venduto la sua ditta di PR, la neo pensionata Agatha "Aggie" Raisin decide di trasferirsi qui per coronare un sogno d'infanzia dopo anni trascorsi nel caos della metropoli londinese. La donna fatica però ad integrarsi, in parte per la freddezza dei compaesani ed in parte per la sua indole prepotente; un concorso culinario le sembra quindi una buona idea per aumentare la propria popolarità. Peccato che il giudice muoia dopo aver mangiato la quiche presentata da Agatha alla competizione, portando alla sua porta le forze dell'ordine anziché l'affetto dei vicini.

Potrete facilmente intuire come i rimandi al classico giallo deduttivo non manchino ed in alcuni casi siano incredibilmente palesi, ad esempio la protagonista stessa legge con passione i romanzi della sua omonima Christie. Beaton dà però un tocco di novità al solito murder mystery, grazie ad una prosa fresca ed irriverente -a tratti quasi informale-, che risulta efficacie nelle scene comiche in cui si sfocia in una specie di commedia degli equivoci, senza per questo scadere nel ridicolo: ho trovato l'umorismo valido e ben amalgamato alla storia.

La cara Marion ci regala poi una protagonista che, pur dimostrandosi intraprendente e dotata di intuito, è molto lontana dallo stilema del detective inglese vecchia scuola. Agatha è una donna risoluta e con ben pochi scrupoli quando ha un obiettivo in mente, ma non manca di mostrare anche il suo lato più sensibile e generoso verso gli amici. Nel complesso sono contenta di essermi imbattuta in una personaggia sveglia dopo aver sopportato non pochi protagonisti rintronati nelle mie ultime letture, ed il resto del cast non si dimostra da meno: in particolare, ho apprezzato l'ambiguità di diversi comprimari che rendono più affascinante l'intreccio.

Tra i punti a favore non può che rientrare anche l'ambientazione, perché l'autrice infonde un grande impregno nel descrivere le cittadine, i paesaggi e le abitazioni stesse delle Cotswolds. Un luogo che trasmette serenità, ed influenza così anche il ritmo narrativo, rendendolo allo stesso modo placido. Decisamente un libro da evitare se si cerca una storia maggiormente indirizzata verso il brivido del thriller, ma del tutto adeguato alla sottoscritta che desiderava invece una lettura rilassante sotto ogni punto di vista.

Qualche critica però la devo fare, per correttezza. Innanzitutto, il testo è macchiato qui e là da alcuni stereotipi un po' datati, probabilmente perché negli anni Novanta era normale dipingere i personaggi gay nel modo più effeminato possibile per poi trasformarli in seriosi uomini d'affari non appena trovavano una fidanzata compiacente. Un altro aspetto che avrei cambiato è la risoluzione finale, per i miei gusti fin troppo semplice e priva di complicazioni sul piano pratico: l'arresto e la confessione dell'assassino si risolvono come per magia fuori pagina.

Mi rendo poi conto che questo è solo il primo capitolo in una serie, nel corso della quale immagino una crescita ed un approfondimento per i vari personaggi, ma ho trovato a dir poco inutili alcuni caratteri e linee di trama. Perché mai l'autrice dà tanta importanza a Sheila Barr, scontrosa vicina di Agatha, ed al suo trasferimento? perché introdurre un potenziale interesse amoroso ad oltre metà volume solo per rubare spazio all'intreccio vero e proprio? perché non chiarire mai la sottotrama delle premiazioni ai concorsi? Ma soprattutto perché mettere la parola fine facendoci sapere quale sarà il nome del cottage, ma non quello del gatto? Da brava gattofila ci sono rimasta malissimo!

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mercoledì 12 marzo 2025

"Tutti i nostri oggi sbagliati" di Elan Mastai

Tutti i nostri oggi sbagliatiTutti i nostri oggi sbagliati by Elan Mastai
My rating: 2 of 5 stars

"Perfino nel mondo da cui provengo i viaggi nel tempo sono considerati praticamente impossibili. Non a causa del tempo, in realtà, bensì dello spazio. È questo il motivo per cui tutti i film sui viaggi temporali che avete visto sono stronzate colossali: la Terra si muove"


GENI IMBECILLI NE ABBIAMO?

Più leggo storie che si concentrano sui viaggi nel tempo, più rimango delusa dal modo in cui un trope così intrigante viene sprecato in drammi strappalacrime e polpettoni sentimentali. Eppure io so per certo di aver adorato diversi titoli rientranti in questa categoria, quindi posso solo ipotizzare che a farmi innamorare non sia stato tanto il concetto in sé quanto la sua esecuzione in determinate narrazioni. Di certo il colpo di fulmine non è scattato con "Tutti i nostri oggi sbagliati", romanzo d'esordio di Mastai che già ad un anno dall'uscita sarebbe dovuto diventare un film, e poi una serie TV; il fatto che ad oggi non sia diventato ancora un bel niente penso sia significativo.

La storia inizia in una versione utopica del nostro mondo, dove l'accensione di un macchinario in grado di generare energia illimitata -noto come Motore di Goettreider- nel luglio del 1965 ha reso possibili incredibili sviluppi tecnologici. Si è arrivati perfino ad un passo dal viaggio temporale, per merito dello scienziato Victor Barren, il padre del protagonista Tom; quest'ultimo non condivide il genio paterno e si sente da sempre in difetto nei suoi confronti. L'improvvisa morte della moglie convince Victor ad assegnare al figlio un posto nella sua squadra, e questo sarà il primo passo di Tom verso un salto nel passato dai risvolti inaspettati.

Pur avendo parecchie critiche da muovere al romanzo, non nego mi abbia anche colpito in positivo in più punti. Ad esempio, ho appezzato il tono volutamente umoristico della prosa e la scelta di un protagonista a dir poco imperfetto: in un cast composto per la maggior parte da geni inarrivabili, Tom è un uomo semplice, che commette tanti errori e cerca di porvi rimedio con i suoi limitati mezzi. La sua voce dà poi un taglio decisamente divertente alle vicende, includendo perfino dei riepiloghi che mettono in prospettiva le sue azioni e contribuiscono a renderlo simpatetico al lettore.

A parte alcuni scambi ironici, i passaggi che ho trovato più validi sono quelli in cui si affronta il tema del lutto, perché ritengo che le riflessioni del protagonista siano genuine ed emozionanti al punto giusto. Forse per questo i numerosi dialoghi preghi di retorica hanno fatto schizzare i miei occhi al soffitto! infatti, capita spesso che i personaggi (e specialmente il protagonista) attacchino con degli pseudo-monologhi del tutto fuori luoghi e per nulla verosimili. Tra i difetti secondari potremmo includere anche la scarsa logica dietro diversi dettagli fantascientifici, la presenza di un sottotesto pro-life non di mio gusto e l'estetica scelta: non si tratta di un problema esclusivo dell'edizione italiana, ma comunque ritengo si potesse presentare meglio questo genere di storia.

Ma perché parlo di difetti secondari? perché i veri problemi di questo titolo sono altrove. Abbiamo infatti una componente romance parecchio prepotente, che a più riprese sembra rivendicare il focus della narrazione; il tutto per regalarci scene di disagio (causate da instalove anacronistici) e di inquietudine, dove l'ossessione viene spesso scambiata per amore e dove ogni comportamento del partner può essere scusato. Neanche a dirlo, nessuna delle dinamiche di coppia presentate mi ha convinto, e questo è dovuto in buona parte alla caratterizzazione superficiale dei coprotagonisti.

La trama banale e artificiosa rappresenta l'altra grande mancanza del romanzo. Innanzitutto, lo spunto è poco motivato: tutto comincia perché Victor inventa una macchina in grado di viaggiare nel tempo, ma perché lo fa? a quanto pare, un po' per vanagloria e un po' per creare un nuovo ramo del turismo per ricconi. Accettato questo pretesto sciapo, ci troviamo di fronte ad un intreccio privo di conflitto, nonostante i buoni spunti non manchino: Tom potrebbe voler salvare la madre, o cambiare il suo rapporto con il padre, oppure ancora avere successo nella vita. Ovviamente, non farà nulla di tutto ciò, eppure il libro si conclude con il più zuccheroso ed immeritato degli epiloghi! Con buona pace di tutti quelli che ci hanno rimesso nel mentre.

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mercoledì 5 marzo 2025

"Perché non l'hanno chiesto a Evans?" di Agatha Christie

Perché non l'hanno chiesto a Evans?Perché non l'hanno chiesto a Evans? by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"La palla rotolò via e scomparve nel vuoto ... I due uomini si calarono, e Bobby diede una mano al dottore. Finalmente raggiunsero il sinistro fagotto. Era veramente un uomo, uno sconosciuto sui quarant'anni, e respirava ancora, ma era privo di sensi"


QUI C'È UN THOMAS DI TROPPO (O FORSE TRE)

Tutti i romanzi nascondono dei difetti, anche quelli che reputiamo dei capolavori della letteratura: buchi di trama, prose raffazzonate o messaggi discutibili. In questo caso ci troviamo però di fronte ad un difetto insolito, infatti il problema maggiore di "Perché non l'hanno chiesto a Evans?" è l'esistenza di "Dieci piccoli indiani"; se il titolo più celebre di Christie non avesse mai visto la luce, questo sarebbe diventato il suo migliore lavoro dove non compare nessuno dei soliti risolutori, come Poirot o Miss Marple. O almeno questa è la mia modesta impressione ad oggi, con ancora più di dieci titoli rientranti nella stessa categoria da leggere e valutare.

La storia ci porta in diversi angoli della Gran Bretagna, ma comincia nella cittadina gallese di Marchbolt, durante una partita a golf tra il medico della zona e Robert "Bobby" Jones, quartogenito del vicario. Inseguendo una pallina finita in un dirupo, i due scoprono un uomo in fin di vita dopo essere precipitato nel vuoto; prima di spirare, lo sconosciuto pronuncia la frase che non solo dà il titolo al romanzo ma diventerà motivo di mistero per tutto il volume. La vicenda viene archiviata come incidente, ma Lady Frances "Frankie" Derwent, figlia di Lord Marchington ed amica di Bobby, nota diverse stranezze ed insiste per proseguire le indagini.

Indagini che sono portate avanti alla luce del sole: a differenza di quanto succede con altri investigatori -Poirot su tutti- indizi e sospetti non vengono mai nascosti al lettore, che si sente coinvolto in prima persona in ogni fase dell'investigazione. Inoltre il duo di detective dilettanti ricorda sempre di porsi le domande più logiche e di sviscerare a fondo ogni pista; l'autrice riesce così a dimostrare la loro intelligenza, senza per questo renderli dei geni inarrivabili. Oltre ad essere illustrato in modo chiaro ma non banale, l'intreccio dimostra una struttura attenta e ben congegnata, supportata da un ritmo solido per l'intera lunghezza del volume. Nel complesso ho trovato poi una giusta commistione tra mystery deduttivo e romanzo d'avventura, con una spolverata di romance verso la quale (una volta tanto!) non ho alcuna critica da muovere: si amalgama bene alla storia e non è mai invadente.

L'altro elemento che più ho apprezzato in questa lettura sono stati i suoi personaggi. Mettendo da parte i vari comprimari -comunque interessanti e non troppo stereotipati-, la storia si fà forza di due protagonisti davvero ricchi di personalità. La mia preferenza và senza dubbio all'intraprendente Frankie, che dimostra risolutezza ed inventiva da far invidia a tante personaggie create negli ultimi anni, oltre ad essere una donna indipendente e per nulla schiava delle convenzioni. Inizialmente presentato come personaggio principale, Bobby diventa pian piano un onesto coprotagonista, discreto ed abbastanza spiritoso; nel complesso, penso che i due formino un'ottima coppia di investigatori "sul campo", e per questo mi dispiace non siano stati sfruttati in più narrazioni.

Da appassionata di romanzi gialli, penso che la trama ideata dalla cara Agatha in questo caso svolga egregiamente il suo compito di intrattenere e far ragionare il lettore. I limiti della lettura sono gli stessi di tanti titoli simili: poca introspezione dei personaggi, alcune piccole forzature logiche per far proseguire la vicenda, ed un pizzico di stagionatura nei contenuti. Per quanto riguarda la mia edizione nello specifico, ho individuato alcuni (immancabili, pare!) refusi e non ho apprezzato troppo l'introduzione, più focalizzata sul genere nel suo insieme che sulla specifica storia, nonché ricca di frasi in cui le subordinate causano uno stato di apnea prima di poter ritornare alla principale. Un altro piccolo difetto è la poca efficacia dei cliffhanger, perché l'inizio del nuovo capitolo risolve subito il momento di tensione creato dal finale del precedente: un metodo che potrebbe funzionare bene in una pubblicazione ad episodi, ma del tutto inadeguato per un volume unico.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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venerdì 28 febbraio 2025

"Incubi e deliri" di Stephen King

Incubi e deliriIncubi e deliri by Stephen King
My rating: 3 of 5 stars

"Quando la mente si rivolge al terrificante e all'irrazionale, come una persona costretta a girarsi a guardare in faccia la Medusa, allora dimentica. Non può fare altro che dimenticare. E, Dio del cielo, a parte uscire da questo inferno, dimenticare è l'unica cosa che voglio al mondo"


LA RIVINCITA DI WILE E. COYOTE E ALTRE STORIE

Dopo aver letto una sola raccolta in dodici mesi per ben quattro anni, in questo 2025 ho scelto di includere come buon proposito libroso di dare maggior priorità alle antologie kinghiane. Non punto certo a mettermi in pari, ma mi piacerebbe almeno recuperare un po' di terreno, e sono ovviamente partita da "Incubi e deliri", compendio formato da ben 24 testi: ventuno racconti classici, una cronaca sportiva, una poesia (sportiva anche quella!) ed una riscrittura di una parabola induista. Le narrazioni ricadono quasi tutte nel genere horror e presentano molti riferimenti ed omaggi, indicati dall'autore stesso nelle note finali, da affrontare esclusivamente a fine lettura se non si desidera incappare in qualche spoiler. Andiamo quindi a scoprire le mie impressioni e le valutazioni individuali che ho dato ogni singola storia.


"La Cadillac di Dolan" - quattro stelline e mezza
Il primo racconto si presenta come una classica storia di vendetta personale: l'insegnante Robinson è rimasto vedovo dopo che il malavitoso Dolan ha fatto giustiziare sua moglie Elizabeth -testimone di un suo crimine-, e per questo medita per anni di rivalersi fino a quando gli si presenta la situazione ottimale. Ammetto che lo spunto è proprio di mio gusto, infatti mi ha appassionato seguire il piano di Robinson ed il crescendo nella tensione narrativa; sono promossi anche l'introspezione psicologica del protagonista ed il modo in cui si relaziona agli altri. Le miei uniche critiche sono puramente soggettive e riguardano l'espediente narrativo del fridging (per il quale non vado pazza) e l'associazione di idee tra questa narrazione ed un noto personaggio dei Looney Tunes, che mi ha reso difficile prenderlo sul serio all'inizio.

"La fine del gran casino" - quattro stelline
A differenza del primo, questo secondo racconto parte da una premessa che trovo deprimente a livello concettuale, ovvero quella di un contesto post-apocalittico causato da una precisa azione umana. La narrazione è affidata alla penna di Howard "Bow-Wow" Fornoy, scrittore e fratello dello scienziato Robert "Bobby" detto il Messia, colui che ha trovato il modo di porre fine alle guerre; dal momento che Howard esordisce informandoci di aver appena ucciso Bobby e di essere a sua volta in fin di vita, si può intuire come l'utopia sia ancora lontana. Questo intreccio tanto prevedibile è forse il principale difetto, assieme ad una generica superficialità nel chiarire i dettagli; il tutto trova comunque giustificazione nella premessa stessa, va detto. Ho apprezzato la caratterizzazione dei due protagonisti e la narrativa del loro legame, nonché la forma scelta per veicolarla.

"Bambinate" - tre stelline e mezza
Poche risposte anche per il racconto a tema scolastico sulla maestra Emily Sidley, una donna molto severa e precisa sul lavoro, che comincia ad essere spaventata dal comportamento del piccolo Robert, uno dei suoi studenti. Penso che lo scoglio maggiore qui sia lo spazio: qualche pagina in più avrebbe permesso a questa storia di dare il suo meglio, seppur la fine lasciata volutamente in sospeso sia valida ed in linea con il tipo di narrazione. In generale, ho trovato positivi anche il declino psicologico della protagonista e l'elemento horror, ma entrambi non sono esplorati a sufficienza per risultare convincenti.

"Il Volatore Notturno" - due stelline e mezza
Rispetto ai precedenti, questo racconto ha un taglio più divertente ed ironico, che mal si coniuga con la sua conclusione teoricamente spaventosa. Al centro della vicenda c'è la caccia intrapresa dall'appassionato di aviazione Richard Dees ai danni del cosiddetto Volatore Notturno; quest'ultimo è un serial killer che colpisce nottetempo in piccoli aeroporti locali, e Dees è determinato a documentare con delle fotografie il suo operato. Assieme al tono umoristico, la scrittura del protagonista è il solo aspetto gradevole della narrazione che, oltre a lasciare il lettore con una quantità di quesiti insoluti, presenta una struttura poco lineare negli avvenimenti e delle scene d'azione descritte in modo caotico.

"Popsy" - tre stelline
Diametralmente opposta alla storia che la precede, troviamo qui una narrazione cupa ed angosciante fino alle ultime righe, in cui compare un po' fuori posto un guizzo comico. La vicenda ruota attorno al sequestro di un bambino ad opera del protagonista Sheridan che, sommerso dai debiti del gioco d'azzardo, è arrivato a commettere questi rapimenti per recuperare il denaro con cui finanzia la sua dipendenza. Il racconto crea una buona tensione, delinea un protagonista spregevole ma non banale e risulta gradevole, seppur parecchio scontato a livello di trama. Come accennato, il finale rovina in parte l'atmosfera e mi convince una volta in più che il caro Stephen non dovrebbe tirare in ballo il paranormale a caso come fattore risolutivo.

"Ti prende a poco a poco" - tre stelline e mezza
Cinquantadue anni e non sentirli troppo per il racconto più vecchio dell'antologia. King ci riporta nella sua Castle Rock per parlare della casa costruita da Joe Newall sulla Bend; un edificio tanto antiestetico quanto sfortunato, che agli occhi degli avventori del locale Brownie di Harley McKissick conserva un suo fascino morboso. Questa storia aveva del potenziale -soprattutto per il trope del luogo legato al male- ma purtroppo ha finito per puntare in un'altra direzione, lasciando intendere che la fonte della malvagità non fosse tanto la casa in sé. Ho trovato comunque interessante il modo in cui è stato raccontato il passato dell'abitazione, così come il contesto da cittadina di provincia, dove gli abitanti si spalleggiano ma al contempo nascondono molti segreti.

"Denti Chiacchierini" - quattro stelline e mezza
Sulla falsariga di "Christine. La macchina infernale", questo racconto prende un elemento insolito per il genere horror e riesce a renderlo terrificante. In questo caso l'oggetto in questione è una buffa dentiera a molla che il protagonista, il rappresentante Bill Hogan, trova ad una stazione di servizio; nel medesimo luogo, l'uomo decide di caricare un autostoppista, e queste sue decisioni finiscono ben presto per collidere. Ammetto di aver avuto delle riserve sulla resa dell'idea, soprattutto dopo la lettura di "Campo di battaglia" (dalla raccolta "A volte ritornano"), che trattava un tema simile; in questo caso però non c'è proprio nulla di ridicolo: la tensione creata è ottima e non si scivola in momenti di scarsa credibilità. Approvo anche i personaggi -soprattutto i coniugi Scotter, bislacchi gestori della stazione di servizio-, mentre sui momenti più d'azione ho qualche riserva, avendoli trovati caotici e ricchi di svenimenti tattici.

"Dedica" - tre stelline e mezza
Forse il racconto che più rimanda alla seconda metà del titolo: la storia di Martha "Marty" Rosewall, capocameriera presso La Palais a New York, presenta infatti i contorni di un sogno ad occhi aperti. Alla metà degli anni Ottanta, la donna riceve una copia in anteprima del primo libro scritto dal figlio Peter "Pete", e la dedica la spinge a ricordare le insolite circostanze della sua nascita. Emotivamente, mi sono sentita coinvolta da Martha come personaggia, dalle sue difficoltà e dalla tenacia con cui persevera; il mio gradimento non si è purtroppo esteso al tipo di elemento soprannaturale scelto da King, che ho trovato alquanto stereotipato e grottesco tanto per.

"Il dito" - quattro stelline
Altro caso di racconto intrigante e ricco di tensione sciupato da una conclusione incompleta. La storia parte da un'idea molto semplice, quasi sciocca: il ragioniere Howard "Howie" Mitla scopre un dito che sbuca inspiegabilmente dallo scarico del lavello; tra ipotesi di allucinazioni o di malattie, per la sua mente razionale è l'inizio della fine. Una discesa oscura un po' affrettata ma molto avvincente e disturbante, che rende interessante capire le decisioni di Howard su un piano mentale e concreto. Dopo tanto buildup, il finale mi ha lasciato con l'amaro in bocca, ma si tratta di un'osservazione soggettiva.

"Scarpe da tennis" - quattro stelline e mezza
Rimaniamo in zona bagno con la storia di John "Johnny" Tell, riservato appassionato di musica, che nota una persona con le scarpe da tennis nel gabinetto del suo posto di lavoro; la stranezza è che le stesse scarpe rimangono ferme lì, con l'inquietante aggiunta di mosche morte. Un racconto in cui horror e mystery si mescolano bene, con un buon bilanciamento a livello di tensione ed un finale convincente, capace di incanalare al meglio l'indole del protagonista. Le mie uniche critiche riguardano la non troppo velata omofobia e l'eccessiva presenza di riferimenti musicali.

"E hanno una band dell'altro mondo" - quattro stelline
Acnora un collegamento alla storia precedente, perché si continua a parlare di musica (purtroppo per me!) nel racconto che vede protagonisti i coniugi Willinghan. Durante una gita on the road, Clark e Mary "Mariuccia" finiscono in una misteriosa città chiamata Rock and Roll Paradise, nell'Oregon; una premessa che mi ha riportato alla mente "I figli del grano", ma con dei risolvi un po' meno inquietanti. In generale, ho avuto l'impressione che non ci fosse il tempo necessario per assimilare tutto e percepirne la pericolosità, e l'ennesimo finale da interpretare non aiuta. Di questa storia ho però apprezzato lo spunto di base, il rapporto tra i protagonisti ed alcuni validi dettagli horror.

"Parto in casa" - due stelline
Secondo post-apocalittico, questo racconto è partito doppiamente svantaggiato perché combina due tropes SFF per nulla di mio gusto; e lo fa pure molto male, in un'accozzaglia di elementi in teoria paurosi e sensazionali, ma risultano solo ridicoli. In teoria, la storia segue la gravidanza Maddie Sullivan, incinta del primo figlio su Gennesault "Jenny" Island, quando un'epidemia zombie ed un'invasione aliena portano la fine del mondo. Nei fatti però l'attenzione è posta sulla crescita di Maddie -da insicura cronica a persona abbastanza stoica-, fino a quando King non decide di raccontarci come gli isolani si organizzino per sventare la minaccia dei non-morti. L'idea non sarebbe male, ma la confusione e l'eccesso di sottotrame la sviliscono.

"La stagione delle piogge" - quattro stelline e mezza
Si ritorna sulla terraferma con questo racconto all'apparenza piccolibrividoso, ma in realtà inquietante, oscuro e denso: in una manciata di pagine l'horror passa da zero a cento. I rotagonisti sono John ed Elise Graham, giovane coppia appena arrivata a Willow, villaggio del Maine; qui alcuni abitanti li mettono in guardia contro un bizzarro evento, noto appunto come stagione delle piogge, non riuscendo però a convincerli del pericolo. La narrazione è breve e procede speditamente; oltre al ritmo ho apprezzato gli elementi soprannaturali -soprattutto per come vengono illustrati nel finale- e l'atmosfera che permea il paesino. Per contro, avrei voluto qualche dettaglio in più di background ed un maggiore approfondimento dei (pochi!) personaggi.

"Il mio bel cavallino" - quattro stelline
Il caro Stephen cambia tono con la storia dell'ultimo confronto tra Clive "Clivey" Banning ed il nonno George che, sentendo la fine vicina, decide di donare al nipote un orologio ed una lezione sul tempo. Questo racconto non ha una vera trama, pur comprendendo flashback sull'intera famiglia; di conseguenza mancano anche degli elementi spaventosi o fantastici, eppure la narrazione trasmetta un senso di cupezza. La scelta di includerlo in questa raccolta mi ha impedito di apprezzarlo del tutto, perché in effetti si tratta di un racconto valido: i due protagonisti sono ottimamente tratteggiati, il legame tra loro è convincente, la prosa risulta curata e la disamina sul concetto del tempo (seppur non sorprendente) è significativa.

"Spiacente, è il numero giusto" - cinque stelline
Primo inedito della raccolta e prima storia ad avermi convinto appieno, per merito di un certo trope soprattutto. Il racconto comincia da una strana telefonata ricevuta da Katie Weiderman, moglie del popolare autore horror Bill; al telefono si sente una voce femminile terrorizzata, che la donna riconosce come familiare, senza però riuscire a comprendere il messaggio. La sola critica che posso rivolgere a questa narrazione è l'eccessiva rapidità di alcuni passaggi, ma per il resto è ineccepibile! in particolare ho apprezzato lo spunto di base, il sottotesto quasi gotico, ed ovviamente la particolare scelta formale: la vicenda è raccontata come fosse la sceneggiatura di un film, riuscendo comunque a trasmettere sensazioni credibili.

"La Gente delle Dieci" - tre stelline e mezza
Il secondo raccolto inedito ci trasporta a Boston per parlare ancora di vampiri, o comunque di creature analoghe. Il fumatore Brandon "Brand" Pearson scopre infatti l'esistenza di persone con la testa da pipistrello; si tratta di individui potenti, che stanno prendendo il controllo della società, ma solo chi fuma con moderazione li sa riconoscere, come gli spiega il collega Dudley "Duke" Rhinemann. In breve la vita di Pearson viene stravolta, eppure il ritmo incalzante rende la vicenda credibile; mi sono piaciute molto anche la scena d'apertura in medias res e il crescendo di tensione durante la riunione della Gente delle Dieci, ossia i lavoratori che escono a quell'ora per una pausa-sigaretta. Meno convincenti l'improvvisa amicizia tra Pearson e Duke, i particolari dell'elemento fantastico ed il comportamento poco verosimile del leader.

"Crouch End" - quattro stelline
Per una volta lasciamo gli U.S.A. ed atteriamo a Londra, dove gli agenti Robert "Bob" Farnham e Ted Vetter ascoltano la denuncia presentata dalla turista americana Doris Freeman; la donna ha perso il marito Leonard "Lonnie" nel quartiere di Crouch End, o meglio in una sua distorta versione. Il racconto è ricco di rimandi e citazioni, in particolare sembra che i coniugi Freeman abbiano attraversato una sottilità, come quelle presenti in The Dark Tower; da lettrice kinghiana di lunga data, ho apprezzato molto questi collegamenti, così come ho trovato gradevoli l'inquietante ambientazione e la scelta di alternare le prospettive di Farnham e Doris. Purtroppo anche qui si sente la mancanza di qualche pagina in più -durante l'esplorazione della Crouch End alternativa- e di una caratterizzazione più solida del cast.

"La casa di Maple Street" - quattro stelline
Inedito anche il testo incentrato sui fratelli Bradbury, impauriti dal violento patrigno Lewis "Lew" Evans e preoccupati dai mutamenti che sta subendo casa loro. L'abuso domestico non è un tema nuovo per il caro Stephen, ma approvo la sua decisione di raccontarlo dalla prospettiva dei bambini, che non ne risentono fisicamente ma sono comunque vittime. Sono promossi anche il rapporto affettuoso tra i bambini e la scrittura di tutti i personaggi; sul risvolto fantascientifico invece ho qualche riserva, perché mi è sembrato fin troppo funzionale. Perplessità aggiuntive per i malori della madre: sono dovuti solo agli abusi o dovrebbero rappresentare altro?

"Il quinto quarto" - tre stelline
Forse il racconto più smaccatamente bachmaniano, e proprio per questo taglio lontano dai miei gusti. La storia è narrata da un criminale ribattezzatosi Jerry Tarkanian che mette in atto una vendetta verso gli assassini dell'amico Barney; non si tratta però di un elogio ai buoni sentimenti, infatti il vero obiettivo sono i pezzi di una mappa per trovare il bottino di una rapina. Come accennato il tono noir non mi ha fatto impazzire, così come la superficialità generale e la presenza di molti stereotipi. Raggiunge la sufficienza per merito dello stile incalzante e della narrazione davvero intrattenente: sembra di vedere un film, in senso buono.

"Il caso del dottore" - tre stelline e mezza
In questo caso andiamo oltre l'omaggio ed approdiamo direttamente ad una fanfiction su Sherlock Holmes e John Watson, con un pizzico di ispettore Lestrade. In una giornata come tante al 221b di Baker Street, l'uomo di legge raggiunge il celebre duo per sottoporre un enigma della camera chiusa, con il (per nulla) amabile Lord Albert Hull trovato senza vita dentro lo studio. La voce narrante del quasi centenario Watson mi ha convinto, ed il taglio moderno risulta incisivo seppur un po' straniante. Meno bene il lato mystery, perché al lettore non vengono dati gli elementi necessari per giungere alla risoluzione, inoltre la spiegazione del delitto risulta fin troppo prolissa.

"L'ultimo caso di Umney" - quattro stelline e mezza
L'ultimo racconto inedito mi ha fatto ripensare a "La metà oscura" per il marcato piglio metaletterario. L'azione si apre nella Los Angeles degli anni Trenta, dove l'investigatore privato Clyde Umney conduce un'esistenza stereotipata finché non inizia a notare dei cambiamenti inspiegabili. L'incipit mi aveva un po' frenata, ma devo dire che l'idea di base si è rivelata ottima, oltre che eseguita in modo per nulla banale. Reputo ben pensato anche l'epilogo, mentre da brava completista avrei gradito più verosimiglianza nell'elemento sci-fi, magari ambientando la vicenda nel futuro.

"A testa bassa" - due stelline
Una lettura per me faticosa. Si tratta della cronaca di un campionato di baseball della Little League; e qual è il legame con King? ma la presenza del figlio Owen nella squadra di Bangor West! Accantonando l'imbarazzo che possono aver provato sia il pargolo sia i suoi compagni, reputo questa lettura fuori luogo per il tono della raccolta oltre che soporifera per chiunque non sia appassionato di questo sport. La narrativa dello scontro tra Davide e Golia -qui rappresentati da Bangor West e York- è piacevole, inoltre il messaggio di fondo non è malvagio seppur zuccheroso, ma non giustificano comunque 40 pagine di noia.

"Agosto a Brooklyn" - una stellina
Premessa: evito le composizioni poetiche, non nutro alcun interesse verso il baseball e penso che nelle traduzioni si perda sempre qualcosa. Questa è una poesia sul baseball tradotta.

"Il mendicante e il diamante"- n.c.
A fine volume troviamo questo raccontino dove le divinità indù Śiva e Pārvatī sono sostituite da Dio e dall'arcangelo Uriel. La morale ovviamente è positiva, ma davvero non so come valutare questa lettura -a prescindere dalla brevità- perché temo che il caro Stephen si sia limitato a biblicizzare i personaggi. Niente voto quindi, e gli va bene perché c'era il rischio che abbassasse la media generale.


Voto effettivo: tre stelline e mezza

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lunedì 24 febbraio 2025

"Sole e sangue" di Jérôme Loubry

Sole e sangueSole e sangue by Jérôme Loubry
My rating: 5 of 5 stars

"Nelle vie i ragazzini vestiti di stracci, con i volti a un tempo teneri e minacciosi, tendevano la mano, si avvicinavano alle auto ferme al semaforo e chiedevano la carità implorando gli uomini e gli dèi. Gli adulti camminavano su quel terreno polveroso come se non li vedessero, come se, già alla loro età, fossero divenuti degli inutili fantasmi"


URGE TRADURRE ALTRI TITOLI!

Lì dove "La strana morte di Sir Lawrence Linwood" aveva fallito nel tenermi incollata alle sue pagine, "Sole e sangue" ha saputo avvincermi completamente. Da un lato ciò non mi stupisce troppo, avendo già amato "Perché hai paura?" dello stesso autore; ma dopo una sequela di letture mediocri o perfino deludenti, trovare un libro tanto valido nel suo contenuto quanto appassionante a livello soggettivo è stata una piacevolissima sorpresa. Di conseguenza, non posso che sperare nella pubblicazione in Italia di altre opere del caro Jérôme: è un peccato che uno scrittore così capace non ottenga maggior popolarità!

Come per il suo romanzo più famoso, ci troviamo di fronte ad una storia abbastanza intricata e costruita affiancando diverse prospettive, ma l'ambientazione principale rimane l'isola di Haiti. Qui la narrazione comincia tra la fine del 2009 ed i primi giorni del 2010 presentandoci l'ispettore Simon Bélage, un uomo con dei trascorsi molto negativi con la religione vuduista, che quindi adotta un approccio estremamente scettico quando il quartiere bene di Pétion-Ville viene turbato da una serie di apparenti delitti rituali. Alla minaccia incombente di un potenziale serial killer si aggiunge l'ombra di uno dei terremoti più distruttivi della Storia dell'umanità, che di lì a poco colpirà il Paese.

Da questi elementi si comincia a delineare un intreccio complesso ma per nulla caotico, in cui le rivelazioni sanno stupire senza mai lasciare interdetti. Ho apprezzato molto la maniera in cui Loubry è riuscito a struttura questa storia, accostando diverse linee temporali ed inserendo dei flashback al momento giusto per metterci al corrente del passato dei personaggi. E nonostante le molte digressioni, il ritmo non dà alcun segno di cedimento: la narrazione procede rapida e coinvolgente in ogni passaggio, non dando al lettore il tempo per annoiarsi o ritenere superflua una determinata scena.

Il caro Jérôme non è solo abile nell'ideare una trama, ma anche nel caratterizzare i suoi protagonisti, che si tratti di singoli personaggi credibili e tridimensionali oppure di individui all'interno di una relazione. Non a caso, le scene che ho trovato più emozionanti sono state quelle di confronto tra Simon e sua figlia Rachelle e le diverse interazioni tra i membri de "i sei", trasformati dall'autore in un surrogato di famiglia grazie a poche frasi ben piazzate. Più in generale, mi sono trovata ad apprezzare nuovamente la prosa di Loubry, che spesso regala delle metafore gradevoli ed intense.

Di ciò beneficia ovviamente l'ambientazione che, pur raccontando di luoghi molto lontani dal punto di vista geografico ma soprattutto sociale, accoglie il lettore e gli dà modo di scoprire anche qualche elemento storico e culturale haitiano. Non posso parlare in prima persona, ma ho avuto l'impressione che il contesto disagevole in cui si muovono i personaggi fosse reso molto bene, senza scivolare in un facile patetismo né eccedere con gli stereotipi, soprattutto in relazione alle usanze del vudù. Questi luoghi permettono inoltre all'autore di affrontare diversi temi importanti e per nulla leggeri; lui ha deciso di puntare l'attenzione sulla condizione dei bambini che spesso deborda nella tratta di esseri umani, con conseguente critica alla criminalità organizzata, al governo compiacente ma anche alla generosità egoistica degli stranieri.

Per quanto io abbia apprezzato il tono adottato per questi argomenti, capisco possano rendere la lettura molto pesante per altre persone. A parte questa ed un piccolo appunto sul bizzarro utilizzo dei paragrafi, la mia sola critica concreta al romanzo riguarda il finale, dove un'improvvisa (ma non imprevedibile) accelerazione porta Loubry a riassumere in poche parole il destino di personaggi teoricamente rilevanti, nonché a scoprire le carte in tavola senza delle spiegazioni del tutto esaustive. Bastava una manciata di pagine in più, mannaggia!

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mercoledì 12 febbraio 2025

"Ogni giorno" di David Levithan

Ogni giornoOgni giorno by David Levithan
My rating: 1 of 5 stars

"Ho vagato a lungo senza uno scopo eppure ho la sensazione che oggi invece uno, per quanto fugace, mi sia stato affidato: questo. Ho a disposizione una giornata e perché non renderla una giornata piacevole? Perché non condividerla con qualcuno?"


HOW TO GIUSTIFICARE UN INSTALOVE

Capiterà un po' a tutti i lettori di recuperare il libro di un autore molto popolare, solo per la curiosità di scoprire se sia nelle loro corde o meno. Succede spesso anche a me, con l'aggravante che ho il vizio di lasciare suddetto libro a prender polvere sullo scaffale; quindi se una decina di anni fa (ovvero quando acquistai la mia copia di "Ogni giorno") c'era la possibilità che mi piacesse, la mia attuale lontananza al target YA ha azzerato ogni chance per questo romanzo. Anche perché nel frattempo ho letto "Touch", che gestisce mille volte meglio la medesima premessa narrativa.

Strutturato come un dialogo interiore declamato dal protagonista -la coscienza auto-battezzatasi A-, il volume segue un breve periodo della sua esistenza bizzarra: infatti ogni mattino quest'entità si risveglia nel corpo una persona diversa, senza poter mai rimanere ancorato ad una singola vita per più di ventiquattr'ore. La sua risoluzione ad abbracciare questo destino nomade si sbriciola quando si trova a vivere nel corpo del sedicenne Justin, innamorandosi a prima vista della ragazza di lui, Rhiannon. L'idillio tra i due viene però oscurato da Nathan Daldry, una delle persone abitate da A che riesce ad intuire cosa gli sia successo e non intende lasciar correre.

Mi rendo conto che così descritta la trama, per quanto risicata, sembra dieci volte più avvincente ed intrigante di quanto non sia in realtà. Infatti la maggior parte dei capitoli -ossia delle giornate vissute da A- ruota attorno alle vite quotidiane dei suoi ospiti oppure alla sua ossessione (storia d'amore mi pare eccessivo) verso Rhiannon, oggetto del conflitto di fondo. Se vi aspettate che Nathan o Justin diventino vere minacce per il protagonista, oppure che l'intreccio acquisti un briciolo di verosimiglianza, fareste meglio a desistere. Magari avrete più fortuna nei seguiti, che personalmente non intendo infliggermi neppure se venissi posseduta di un'entità mistica!

L'assenza di una trama in senso lato passerebbe anche in secondo piano, non fosse per le altre gravi pecche del libro: personaggi, stile e romance. Ho indicato per primo quello che reputo il difetto peggiore, infatti ho detestato per l'intera lettura l'atteggiamento giudicante del protagonista; la sua controparte femminile sembra cavarsela un pochino meglio, ma pian piano diventa se possibile ancor più fastidiosa nei suoi comportamenti. Eppure la morale di entrambi non viene mai messa in dubbio -loro sono perfetti e predestinati-, a differenza di quanto succede con i caratteri che gli orbitano intorno. Per ovvie ragioni, risulta difficile interessarsi ai tanti coprotagonisti, ma il modo in cui vengono raccontati è imbarazzante: sembrano le figurine di album, collezionati dal protagonista per avere almeno un esempio per ogni tipo di rappresentazione, dalla malattia mentale al lavoro minorile passando per la dipendenza da sostanze. Tanto i personaggi sono caratterizzati in modo superficiale, quanto queste tematiche: non solo manca lo spazio su pagina, ma il protagonista stesso si sofferma il minimo indispensabile come stesse depennando una data voce dalla sua lista.

Come accennato, la scrittura di Levithan non mi ha fatto impazzire, soprattutto per l'eccesso di retorica e la presenza esasperante di frasi perfette per un biglietto dei Baci Perugina (o per una canzone di Tiziano Ferro). Per quanto riguarda invece la relazione tra A e Rhiannon -vero motore del romanzo, seppur resa inconcludente dall'epilogo- si basa su un instalove, che io non approvo per principio, ma ancor più quando viene giustificato da elementi pseudo-spirituali. Per come è raccontato, l'interesse di A per Rhiannon mi è sembrato più una cotta idealizzata che la base per un rapporto genuino.

Vorrei dire che almeno la rappresentazione di una persona non binaria sia ben fatta, ma mentirei. Parte della colpa va alla CE italiana, che non si è presa nemmeno la briga di includere una nota a riguardo nella traduzione, ma in generale la premessa stessa impone ad A di non avere un genere: così la sua identità sembra più un obbligo che una presa di consapevolezza. Ho trovato più convincente il suo orientamento come persona pansessuale, che viene spiegato in modo semplice e spontaneo.

C'è qualcos'altro da salvare in questa lettura? sicuramente la scorrevolezza della prosa -caratterizzata da frasi quasi telegrafiche- e la presenza di alcuni spunti validi sul tema della crescita individuale e delle relazioni interpersonali; messaggi teoricamente positivi che nel mio caso di sono un po' persi in una narrazione troppo artificiosa e priva di un reale crescendo emotivo, nonostante le tantissime scene teoricamente strappalacrime.

Voto effettivo: una stellina e mezza

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venerdì 7 febbraio 2025

"Gemina" di Amie Kaufman e Jay Krtistoff

GeminaGemina by Amie Kaufman
My rating: 2 of 5 stars

"Il sistema si accende. Il gigante si sveglia. I componenti si intersecano a fasci gemelli di luce accecante. I numeri interi. La materia. I fallimenti. Il ragazzo. Trattenete il respiro. Ascoltate"


IL MAFIOSO RUSSO CHE SALUTAVA SEMPRE

Memore della grande difficoltà di proseguire le serie in corso che avevo riscontrato lo scorso anno, ho deciso di provare ad essere più costante come buon proposito libroso per il 2025, con almeno un paio di letture al mese dedicate alle saghe letterarie. E quale miglior modo di tener fede sin da subito a questo impegno che continuare una trilogia iniziata ormai ad agosto? In fondo cosa saranno mai cinque mesi per una lettrice dalla memoria ferrea come la sottoscritta? un bel po' di tempo a quanto pare, ma fortuna vuole che nelle prime pagine "Gemina" fornisca un utile riassunto degli eventi principali occorsi durante il libro precedente, e questo mi ha permesso di ricominciare con il piede giusto. Per lo meno...

Dopo un breve flashforward al processo che vede imputata la corporation BeiTech Industries, torniamo all'agosto del 2575 sulla stazione spaziale Heimdall, adibita al salto nell'iperspazio tramite un wormhole. Qui è diretta l'astronave Hypatia e qui vivono ignari di tutto i due nuovi protagonisti: la figlia del comandante Hanna Donnelly e lo spacciatore Niklas "Nik" Malikov. La corporation non intende ovviamente aspettare l'arrivo dei superstiti e delle loro prove incriminanti, pertanto piazza per tempo una sua talpa all'interno della stazione per eliminare questo rischio; ciò porta alla comparsa di parecchie prospettive diverse in scena, tra le quali si nota quella di Isaac Grant, padre della prima protagonista femminile Kady.

Sono quindi presenti molti riferimenti ad "Illuminae", ma la storia raccontata è abbastanza indipendente, nonché dotata di un ritmo migliore e di una trama maggiormente omogenea: anziché spalmare gli eventi su parecchi mesi, qui tutto è circoscritto ad una manciata di giorni, rendendo la narrazione incalzante ed adrenalinica. Altri miglioramenti riguardano il comportamento degli adulti (leggermente più maturo, seppur si mantenga lontano dai miei criteri di credibilità) e la minor frequenza di battute a sfondo sessuale; fosse per me si potrebbe pure eliminarle tutte, ma apprezzo il piccolo sforzo.

Gli elementi che più mi hanno colpita in positivo sono da ricercare nei nuovi dettagli grafici -soprattutto le carinissime illustrazioni realizzate da Hanna, o meglio da Marie Lu- e gli espedienti fantascientifici scelti e, non potendo parlare della trovata finale per ragioni di spoiler, mi limiterò a menzionare i lamina: questi parassiti cosmici non sono niente di avveniristico, ma li reputo abbastanza convincenti come elemento di space horror nel contesto di una narrazione rivolta ad un pubblico giovane.

Molto meno spaventosi e credibili sono invece gli antagonisti umani, che qui vediamo direttamente in azione a differenza di quanto accadeva nel primo volume, e proprio la loro palese incompetenza diminuisce il senso di pericolo come anche la soddisfazione nel veder trionfare i protagonisti. Protagonisti con i quali risulta ad ogni modo difficile empatizzare: sia la caratterizzazione individuale che l'approfondimento sulle relazioni vengono delegati a spiegoni sbattuti senza vergogna in faccia al lettore; ad esempio quando Hanna conosce Ella, la cugina di Nik, lui si interessa di farle un sunto del passato e dell'indole della ragazza in un monologo a dir poco forzato.

Per quanto riguarda gli altri personaggi, sono poco più che comparse ed è impossibile interessarsi a loro, specie quando il focus emozionale del romanzo si risolve in una manciata di pagine, dando ben poca rilevanza al trauma presumibilmente patito dalla protagonista. La poca verosimiglianza caratterizza anche la logica delle vicende narrate e la solidità del world building, ma in questo caso mi rendo conto di dover chiudere un occhio dato il target scelto. Non riesco tuttavia a chiudere l'altro occhio per quanto riguarda la velata grassofobia di fondo e la moralità discutibile eppure mai discussa: magari evitiamo di mettere sullo stesso piano un padre modello forse a conoscenza di una miniera illegale con uno spacciatore pluriomicida mafioso che come papà è un amore.

Voto effettivo: due stelline e mezza

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venerdì 31 gennaio 2025

"La strana morte di Sir Lawrence Linwood" di Christopher Huang

La strana morte di Sir Lawrence LinwoodLa strana morte di Sir Lawrence Linwood by Christopher Huang
My rating: 4 of 5 stars

"La tradizione avrebbe richiesto l'osservanza della primogenitura, ma in questo caso non si poteva applicare, giusto? A rigore lui non apparteneva alla discendenza dei Linwood ... Quella era l'ultima pagina della storia dei Linwood e della catena che cominciava con Sir Robert, e si sarebbe conclusa con Sir Lawrence"


MA QUALE GIALLO GAME?!?

Credo di poter affermare con sufficiente sicurezza che queste prime settimane del 2025 mi stanno precipitando nel baratro della reading slump se neppure un buon mystery riesce a tenere vivo il mio interesse per più di qualche pagina. E mi dispiace davvero perché riponevo parecchie aspettative su "La strana morte di Sir Lawrence Linwood" che, con il mood classico sia nel tipo di narrazione sia nell'ambientazione scelta, sembrava avere tutte le carte in regola per tenermi incollata alla sua storia.

Pur essendo una pubblicazione recente, il romanzo si ambienta infatti nella campagna dello Yorkshire, spaziando tra più momenti storici ma con un deciso focus sulla primavera del 1921. È in questo periodo che il nobiluomo Sir Lawrence viene brutalmente assassinato nel suo studio, portando al ritorno dei figli adottivi -Alan, Roger e Caroline- presso la tenuta di Linwood Hall. In parte per un senso di giustizia ma anche per ragioni economiche (dal momento che il risolutore verrà nominato erede universale), i tre cominciano ad indagare sul delitto; alle loro prospettive se ne aggiungono diverse altre, tra le quali spicca di certo quella dell'ispettore Clarence Mowbray di Pickering, incaricato del caso.

Un'indagine parecchio avvincente, che permette al contempo all'autore di delineare un quadro psicologico molto interessante per tutti i protagonisti, la cui caratterizzazione rende facile in poche scene trovarli riconoscibili ed entrare in sintonia con loro. Gli altri personaggi per contro fanno un po' da tappezzeria, pur essendo essenziali per la risoluzione dell'intreccio, con la sola eccezione di Iris Morgan: la fidanzata di Roger appare inizialmente come una figura di secondo piano, ma si conquista in breve un ruolo da coprotagonista ben giustificato dal suo piglio carismatico.

Altro grande pregio del volume è rappresentato dalle tematiche scelte da Huang; ad una prima occhiata, la narrazione sembra abbastanza semplice e lineare, ma l'autore introduce ben presto una corposa critica al colonialismo britannico, e più in generale alla discriminazione figlia del razzismo. Mente l'intreccio si dipana, si parla anche di relazioni familiari tossiche e di emancipazione femminile, argomenti che il caro Christopher riesce ad amalgamare in modo naturale ed a trattare con la giusta attenzione. Tra i punti a favore non posso poi dimenticare la notevole accuratezza dei dettagli storici e la buona atmosfera di mistero che permea le scene all'interno di Linwood Hall.

Per contro, lo stile nel suo insieme non mi ha fatto urlare al miracolo, soprattutto per la scelta di alcune metafore poco efficaci. Il libro risente inoltre di una sommarietà che, soprattutto nel rapido inizio, non permette di introdurre in modo adeguato il rapporto tra i tre fratelli; qualcosa di simile succede nell'epilogo, dove avvenimenti anche parecchio importanti vengono riassunti in poche parole o direttamente lasciati alla libera interpretazione del lettore.

La sensazione di dover seguire un percorso prestabilito, con delle specifiche tempistiche da rispettare, permea un po' tutta la storia. Ecco perché ci si sente frustrati quando i protagonisti non analizzano a fondo le testimonianze a loro disposizione, preferendo passare subito alla fonte successiva. In generale, ho trovato la trama piacevole ma parecchio prevedibile da metà volume in poi, ossia da quando sono riuscita ad azzeccare tutte le rivelazioni. Una situazione che in un'altro periodo mi farebbe sentire un vero genio, mi ha reso in questo caso tedioso continuare la lettura conoscendo già i colpi di scena.

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venerdì 24 gennaio 2025

"Il mago" di Ursula K. Le Guin

Il mago  (La saga di Terramare, #1)Il mago by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"«Tu pensavi che un mago è colui che può fare ogni cosa ... Ma la verità è un'altra. Via via che cresce il potere reale di un uomo, via via che si allarga la sua conoscenza, le strade che può seguire si fanno sempre più strette: e alla fine quell'uomo non sceglierà affatto, ma farà solo ciò che deve fare, e lo farà fino in fondo...»"


E CON QUESTO FANNO QUATTRO SVENIMENTI TATTICI

Ormai da un po' nel mese di gennaio scelgo una saga già conclusa ed abbastanza corposa che mi tenga compagnia nel corso dell'interno anno di letture, in modo da recuperare con costanza alcune delle serie da più tempo nella mia TBR. Tra queste c'è senza dubbio il Ciclo di Earthsea, con la sua infelice storia editoriale italiana: i lettori nostrani sono costretti a scegliere tra l'avere dei volumi che non matchano neanche per sbaglio o il portarsi appresso un mattone arricchito probabilmente con particelle di osmio per quanto è pesante, come purtroppo ha dovuto fare la sottoscritta per leggere il primo capitolo, "Il mago".

Tanta fatica per avventurarsi in un mondo fantasy insulare dove figure magiche decisamente tipiche -come fattucchiere e draghi- bazzicano al fianco di creature inedite quali lo spaventoso gebbeth e l'otak, una specie di mascotte del mago protagonista. Il punto di vista è appunto quello del giovane Ged detto "Sparviere", che fin da bambino dimostra un'enorme propensione per le arti magiche, tanto da approdare ben presto alla scuola per maghi situata sull'isola di Roke. Qui il ragazzo evoca per errore l'Ombra, una pericolosa entità senza nome proveniente da una dimensione altra; da quel momento il suo obiettivo diventa scacciare questa creatura, che minaccia di prendere il controllo del suo corpo e mettere in pericolo gli abitanti del Terramare.

Come si potrà indovinare, il world building rientra a mio avviso tra i pregi del romanzo: Le Guin riesce a delineare un mondo complesso e dettagliato, nel quale i personaggi si muovono in modo credibile, elemento positivo soprattutto per la gran quantità di spostamenti e per le diverse ambientazioni che ci vengono mostrate. In maniera analoga, il sistema magico mi ha intrigato per l'interessante idea alla base -ovvero collegare il potere ai nomi propri-, e seppur in alcuni passaggi non l'abbia trovato chiarissimo (così come non sono riuscita a capire del tutto la gerarchia magica) devo ammettere che l'autrice ha saputo declinare il concept in modo intelligente e con una buona variatio.

Un altro aspetto lodevole che reputo doveroso sottolineare è la caratterizzazione del protagonista, perché Ged è ben lontano dagli ideali classici dell'eroe fantasy, dimostrando anzi in svariate occasioni la sua indole fallace, conseguenza di un temperamento arrogante ed infantile che solo con il passare del tempo sarà in grado di mitigare. Mi piacerebbe poter dire che anche lo stile della cara Ursula rientri tra i punti di forza di questa lettura ma, nonostante la scelta lessicale molto curata, la prosa ha avuto su di me un portentoso effetto soporifero; questo perché tutti gli avvenimenti non vengono mostrati in scena al lettore quanto piuttosto raccontati a posteriori, con un distacco tale da rendere impossibile simpatizzare per i personaggi o preoccuparsi per le difficoltà che affrontano.

In realtà la tensione rasenta lo zero anche per il poco senso del pericolo che ispirano le diverse minacce: misteri e problemi sono risolti con estrema facilità ed in maniera a dir poco scontata, con il risultato di non stuzzicare affatto la curiosità di chi legge. Questo difetto è ancor più palese nel frettoloso finale, in cui il presunto confronto epico è tutto fuorché epico, ed anche il ruolo giocato da Vetch risulta poco chiaro. L'elemento meno riuscito a mio avviso sono però le relazioni interpersonali, del tutto prive di base ed incapaci di farmi affezionare ai personaggi coinvolti. E per aver lasciato la sottoscritta impassibile per (view spoiler) ce ne vuole.

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mercoledì 22 gennaio 2025

"Nove perfetti sconosciuti" di Liane Moriarty

Nove perfetti sconosciutiNove perfetti sconosciuti by Liane Moriarty
My rating: 4 of 5 stars

"Frances si era sforzata di spiegargli che gli estranei erano interessanti per definizione. Era la loro estraneità. Il fatto di non sapere nulla sul loro conto. Di solito, una volta scoperto tutto quello che c'era da sapere su una persona, eri pronto a divorziarci"


CHE MONTAGNE RUSSE, LAPOČKI MIEI

Dal momento che uno dei miei obiettivi letterali per l'anno nuovo è di riscoprire la passione per la lettura nel senso più cozy possibile -ovvero, scollegandosi dal lato social di questo hobby- ho pensato fosse un'ottima idea recuperare vecchi titoli dei miei autori del cuore. Con due romanzi che ho apprezzato parecchio, la cara Liane può rientrare senza timore in questa categoria, e proprio per questo la mia prima lettura del 2025 è stata il suo "Nove perfetti sconosciuti".

Dopo un flashback incentrato sul passato di Maria "Masha" Dmitrichenko, la scena si sposta alla Tranquillum House, il suo resort nel sudest australiano dove piccole celebrità e persone comuni si recano per rimettersi in forma fisicamente e mentalmente. Come lettori seguiamo diverse prospettive, tra clienti e personale della struttura, ma a spiccare tra le altre è sicuramente quella di Frances Welty, autrice di libri rosa in declino nel lavoro ma non solo. La donna arriva al resort per riprendersi dopo una crudele truffa, e finisce così per far parte del gruppo sul quale Masha vuole testate la nuova procedura di trasformazione di sua invenzione.

Se avete già letto qualcuna delle mie recensioni, sapete come la presentazione falsa di un libro mi irriti; in questo particolare caso, avrei potuto sindacare sul titolo scelto perché i nove partecipati al ritiro non sono realmente degli sconosciuti, personalmente ma neanche a livello di fama. Invece non ho nulla da eccepire dal momento che l'autocecità è il tema centrale della storia: i personaggi non sono degli estranei verso gli altri quanto per sé stessi, infatti un po' tutti loro sembrano essere estremamente capaci ad intuire le difficoltà del prossimo ma a dir poco ottusi nell'indovinare i propri limiti psicologici. Il testo affronta anche temi secondari, che riguardano i singoli caratteri; quello che ho trovato più rilevante e meglio approfondito è l'elaborazione del lutto, ma si parla anche di apparenza estetica e di rapporto tra genitori e figli.

A veicolare brillantemente il tutto troviamo lo stile versatile e scanzonato di Moriarty, che ha la straordinaria capacità di bilanciare nei giusti tempi battute umoristiche e riflessioni ponderate. In questo titolo più che nei precedenti, ho apprezzato il suo talento per intessere delle ottime relazioni, spiegando bene i legami passati e gettando con sicurezza le basi per dei nuovi rapporti. In generale, trovo che i personaggi rappresentino un grosso punto di forza: si percepisce l'impegno nel rendere uniche e facilmente identificabili la personalità e la voce di ognuno.

E questo non era affatto facile, considerando che i POV totali sono ben dodici! una scelta che comprendo a livello concettuale, ma sulla quale ho finito con l'avere delle riserve perché alcuni sarebbero stati facilmente condensabili in altre prospettive. In particolare Lars, Ben e Delilah non mi hanno trasmesso granché, quindi avrei optato per approfondirli di più oppure eliminare direttamente i loro capitoli. Un ragionamento simile si potrebbe applicare sui temi, perché sfoltire almeno in parte gli argomenti trattati avrebbe permesso a quelli centrali di risaltare.

Nonostante queste critiche, il romanzo è riuscito ad emozionarmi in diverse scene, ma questo ha influito sulla valutazione solo fino ad un certo punto. Il vero limite per me è stato l'intreccio, perché la maggior parte del volume presenta un ritmo talmente fiacco da far pensare che non ci sia neppure una trama da seguire. Quando infine la narrazione prende il via, gli eventi ai quali assistiamo sono così rapidi e surreali da lasciare interdetti: l'impressione è quella di un accelerazione folle ed insensata dopo chilometri di strada percorsi con la prima ingranata. Magari mi andrà meglio con la prossima storia ideata dalla cara Liane.

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venerdì 10 gennaio 2025

"Il successore" di Mikkel Birkegaard

Il successoreIl successore by Mikkel Birkegaard
My rating: 2 of 5 stars

"Laust se ne rese conto solo in quel momento: proprio lui, un insegnante di liceo, avrebbe dovuto scrivere la conclusione della serie. Se tutto fosse andato come doveva, là fuori ci sarebbe stato un libro con sopra il suo nome"


THRILLER AL GUSTO INCEL

Nelle mie ricerche librose mi piace guardare oltre gli onnipresenti autori britannici e statunitensi per esplorare altre nazionalità; non si può dire che i risultati siano sempre incoraggianti, ma con la Danimarca finora avevo avuto decisamente fortuna. Ecco perché mi sono interessata ad "Il successore", attratta senza vergogna dalla bella copertina realizzata per la pubblicazione in Italia. Peccato che i miei elogi non si possano estendere anche alla sinossi scelta dall'editore nostrano, che fornisce informazioni non necessariamente false, ma formulate in modo tale da lasciar intendere dei presupposti narrativi errati. A quanto pare, anche questa volta tocca a me illustrare la trama in modo chiaro!

La narrazione è divisa tra due linee temporali: nel passato vediamo un gruppo di aspiranti scrittori di mystery - l'insicuro Laust Troelsen, lo spigliato Flemming "Flemmingway" Karlsen, il nervoso Poul Hansen ed il metodico Jørgen Brink- incontrarsi ad una masterclass a tema, mentre nel presente seguiamo principalmente Laust, che ha accantonato le sue velleità artistiche per dedicarsi all'insegnamento. Nel frattempo Jørgen, adottato lo pseudonimo di William Falk, è diventato un famoso giallista; proprio il giorno in cui viene pubblicato il suo nuovo romanzo, l'uomo si introduce nell'appartamento di Laust per suicidarsi, ma non prima di averlo inserito nell'elenco dei candidati che ultimeranno il volume conclusivo della sua saga.

Questo passaggio di testimone è sicuramente l'elemento che da subito ha catturato la mia curiosità, e continuo a ritenerlo un valido spunto anche a lettura ultimata. Nonostante la storia di Laust non mi abbia convinto su una quantità di fronti, le idee alla base sono buone ed offrono (almeno sulla carta) degli appigli adatti ad una narrazione ricca di mistero ed azione, nonché accattivante nell'ottica di un lettore appassionato visti i tanti rimandi al mondo dell'editoria. Un altro aspetto che confermo di apprezzare è senza dubbio la cover: a conti fatti è molto generica, ma rimane esteticamente stupenda. E per concludere questa purtroppo breve disamina dei pregi, devo menzionare lo stile di Birkegaard, che non mi ha fatto urlare al miracolo ma si può considerare promosso con un voto ben oltre la sufficienza.

Ho parlato tanto di potenziale perché l'intreccio ottenuto dagli elementi mesi in gioco dal caro Mikkel non rispetta le aspettative create, proponendo una trama farcita di eventi fortuiti e scene inutili, che tra l'altro fatica molto ad acquistare un ritmo accettabile. Una volta scoperte le carte in tavola, interi capitoli sembrano non avere senso, e così personaggi ed ambientazioni: a cosa serve creare tanto mistero attorno alla tenuta di Falk se poi lì non succedere letteralmente nulla di rilevante? quale ruolo svolge il personaggio di Versal nel grande schema della storia, così come nella sua sottotrama personale? In realtà, tutti i personaggi sembrano delle semplici pedine, non perché siano particolarmente stereotipati quanto per la loro mancanza di autonomia. E per assurdo il finale pare confermare l'insensatezza di questi caratteri e della narrazione nella sua totalità, infatti la risoluzione è talmente rapida e semplice che viene da chiedersi perché Falk abbia messo in piedi l'intera baracca.

A peggiorare la situazione contribuiscono gli scontatissimi colpi di scena (vi sfido a non azzeccarli tutti con pagine di anticipo!), l'assenza di tensione per buona parte del romanzo e la descrizione a dir poco ridicola del mondo editoriale: se non sapessi che questo autore ha diversi romanzi all'attivo, penserei che si tratti di un esordiente autopubblicato per come parla idealisticamente di questa realtà. Il mio vero tallone d'Achille è stato però il protagonista, che ho mal sopportato sia a livello caratteriale -per l'atteggiamento lamentoso e la prospettiva sessista- sia a livello narrativo, infatti la sua indolenza è quasi sempre causa della lentezza con cui prosegue la trama. Sarete d'accordo che in un thriller mantenere viva l'attenzione del lettore con una storia adrenalinica è vitale!

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martedì 7 gennaio 2025

"Io che non ho conosciuto gli uomini" di Jacqueline Harpman

Io che non ho conosciuto gli uominiIo che non ho conosciuto gli uomini by Jacqueline Harpman
My rating: 5 of 5 stars

"In ogni caso, fui quella che si adattò meglio, dal momento che, probabilmente, non avevo conosciuto niente di diverso e nessun rimpianto mi tormentava"


TITOLO CLICKBAIT

Come lettori contemporanei è inevitabile lasciarsi influenzare dalla popolarità di un dato romanzo, anche se spesso il nostro parere finisce poi per differire parecchio da quello della maggioranza. Mi è capitato anche con la mia ultima lettura, ossia "Rebel. La nuova alba", dalla quale sono stata a dir poco delusa nonostante la media più che buona di cui gode su Goodreads. Per fortuna ci sono anche casi opposti, in cui sottoscrivo l'apprezzamento di cui gode il volume in questione appena letta l'ultima pagina, com'è successo per "Io che non ho sconosciuto gli uomini"; titolo arrivato quest'anno in Italia, con un risibile ritardo di trent'anni dalla pubblicazione originale.

Già dalla forma narrativa, si può intuire la peculiarità del romanzo: privo di paragrafi o capitoli, il testo è infatti un unico e lunghissimo flusso di coscienza attraverso il quale l'anonima protagonista narra in retrospettiva la sua vita. Dal suo presente di donna anziana e malata, rivive quindi gli eventi più significativi, a cominciare dall'infanzia trascorsa all'interno di una cella sotterranea assieme a trentanove estranee. Una premessa decisamente insolita che, unita alla struttura scelta, mi ha portato alla mente lo stupendo e sfidante "Cecità".

La prosa di Harpman è però parecchio lontana da quello di Saramago, ma non meno valida; la voce scelta per la protagonista risulta infatti curata ed emozionante, in grado di mettere in scena delle immagini potenti a livello simbolico senza per questo puntare su inutili e ridondanti complessità stilistiche. E sicuramente non sarà stato facile decidere il linguaggio da adottare per una personaggia del genere, anzi al di fuori di qualunque genere. La narratrice è infatti la sola a non avere alcun ricordo della vita prima della gabbia, la sola a non aver mai interagito direttamente con un uomo, la sola a non desiderare alcun contatto umano, la sola a poter chiamare casa lo strano mondo in cui si svolge la vicenda.

Seppur lei brilli per la sua unicità, anche alcune delle coprotagoniste dimostrano una solida caratterizzazione. In particolare devo dire che il legame con l'ex infermiera Théa mi ha commossa in diverse scene: lei è indubbiamente la compagna di prigionia più affine alla protagonista a livello intellettuale, oltre a dimostrarsi capace di supportarla moralmente e di ricoprire il ruolo più simile a quello di una madre che questa ragazza conoscerà mai. Rimanendo su un piano soggettivo, il libro mi ha convinto nella sua componente survival -tropo che io adoro (quasi) sempre!-, realistica e lontana da inopportune esagerazioni.

Al fianco della protagonista, l'altro pregio più evidente del romanzo è da ricercare nelle tematiche scelte. Il contesto stesso permette alla cara Jacqueline di introdurre riflessioni sui concetti di civiltà ed umanità, che in questa realtà presumibilmente postapocalittica vengono meno: che bisogno c'è di rispettare determinate convenzioni sociali quando si è le sole abitanti del pianeta? come si può preoccuparsi del proprio aspetto se non si ha neppure mai visto uno specchio? perché non sottrarre ciò che serve ai morti in caso manchino anche i generi di prima necessità? Su un piano più personale, la protagonista ci parla anche dell'identità individuale che in lei fatica non poco a formarsi, nonché dei legami relazionali verso i quali rimane sempre diffidente non riuscendo a dare il giusto grado di fiducia al prossimo. O meglio, alla prossima.

Una storia quindi molto lontana dalle nostre vite quotidiane, che è riuscita comunque a farmi provare delle sensazioni e ad ispirarmi ragionamenti, grazie anche ad un crescendo emotivo che purtroppo non và di pari passo con il ritmo narrativo. Se dovessi indicare il punto debole di questa lettura, nominerei proprio l'assenza di un intreccio solido, nonché l'impressione di non aver ottenuto abbastanza; e penso specialmente al world building in cui molti dettagli sono lasciati volutamente all'interpretazione del lettore. Lettore che potrebbe comunque risentirsi per le risposte negate! pertanto il mio consiglio è di immergersi in questa storia senza farsi condizionare troppo dal titolo o dalla sinossi, perché potrebbero portarvi ad avere aspettative errate.

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venerdì 3 gennaio 2025

"Rebel. La nuova alba" di Alwyn Hamilton

Rebel: La nuova alba (Rebel, #3)Rebel: La nuova alba by Alwyn Hamilton
My rating: 1 of 5 stars

"Conoscevo meglio di chiunque altro la distanza tra verità e leggenda, e sapevo che le storie non venivano mai raccontate per intero. Ma con alcune cose era meglio non scherzare, e la Devastatrice di Mondi era la prima della lista"


ED ECCO PERCHÈ NON HO PIÙ FIDUCIA NELLO YA

Da anni non mi capitava di essere così poco produttiva a livello di serie letterarie; e non contenta di averne terminate giusto una manciata in tutto il 2024, mi sono pure penalizzata a livello qualitativo. Temo infatti che Rebel of the Sands entrerà nell'Ade delle serie peggiori mai lette dalla sottoscritta, e vi assicuro che non sarei mai riuscita ad intuito a priori. Risulta ben chiaro quindi che "Rebel. La nuova alba" non è riuscito a salvare la sua trilogia; un'impresa senza dubbio improba, ma si può effettivamente parlare di fallimento quando non ci si prova neppure?

Proprio com'era successo tra i primi due libri, un elissi temporale ci dà il benvenuto dopo un breve primo capitolo. È passato un mese dal finale di "Rebel. Il tradimento" e la città di Izman è sotto assedio da parte dell'esercito gallan; a proteggerla c'è però una barriera infuocata eretta grazie alla magia dei Djinni, abilmente sfruttata dal Sultano. Amani ed i pochi ribelli rimasti cercano quindi un modo per aggirare questo muro di fuoco e seguire la bussola di Jin, con l'obiettivo di ritrovare Ahmed e scacciare una volta per tutte le forze straniere che mirano al controllo del Miraji.

Com'era prevedibile Amani prende in mano la rivoluzione, e com'era ancora più prevedibile questo si dimostra essere uno dei maggiori difetti del romanzo. Se già la trovavo irritante in qualità di ribelle testarda ed impulsiva, vi lascio immaginare cosa penso di lei in qualità di leader testarda, impulsiva e pure piagnona! sì perché i suoi pensieri per buona parte del volume ruotano attorno a quanto si senta inadeguata in confronto con il Principe Ribelle, con Shazad o con Rahim. Precisamente in quest'ordine, ogni volta. Nel frattempo, prende una decisione sbagliata dopo l'altra, rendendo la trama ancor più sciocca ed incoerente di quanto non fosse nei capitoli precedenti.

E non illudetevi che io tenga in serbo parole gentili per i suoi comprimari. Già poco caratterizzati, qui i personaggi regrediscono ulteriormente diventando delle vere e proprie macchiette, o meglio delle pedine che l'autrice muove in base alle necessità della trama senza alcuna considerazione per la verosimiglianza; di conseguenza anche le morti alle quali assistiamo sono prive di impatto emotivo. Perfino Jin, il grande amore di Amani, è carente in quanto a carisma e si limita a restare sullo sfondo dando blandi incoraggiamenti. La loro romance poi si conferma decisamente fuoriluogo, oltre ad essere basata su delle dinamiche a mio avviso discutibili, con lui che scappa davanti alle difficoltà e lei che lo vincola a sé senza riflettere o chiedere il suo benestare.

Cosa dire poi del sistema magico? tra espedienti convenienti, regole cambiate tra una scena e l'altra ed un utilizzo casuale dei poteri: la cara Alwyn ha fornito i Demdji di così tante capacità, che poi ha dovuto renderli scemi in modo da non dovervi ricorrere sempre, ma solo quando era necessario per far proseguire la storia. Un lavoro di scrittura decisamente infantile, che si riflette com'è logico nello stile, nell'intreccio e nella costruzione dell'universo narrativo; a risentirne in particolare questa volta è l'aspetto geopolitico, gestito con la stessa credibilità di chi si mette a dieta il primo di gennaio. Personalmente non ho apprezzato neppure i chiari tentativi di manipolare il lettore, ricorrendo tra l'altro ad un urticante femminismo di facciata: quando si tratta di giudicare l'operato degli antagonisti si adotta la morale contemporanea, mentre quando a commettere azioni discutibili è Amani tutto le viene condonato perché il suo mondo è brutto e lei deve fare tutto il possibile per sopravvivere.

Solitamente mi sforzo per trovare dei pregi da menzionare nelle recensioni, ma in questo caso non so proprio cosa dire. Forse potrei concentrarmi sugli elementi non negativi, come l'assenza di refusi nel testo, di violenza gratuita o di momenti fiacchi. Per lo meno non mi posso lamentare dell'edizione nostrana, alla quale riconosco anzi l'astuzia di aver omesso la mappa; fosse stata presente, i lettori italiani si sarebbero resi conto che gli spostamenti fatti dai protagonisti in giro per il Miraji non stanno né in cielo né in terra!

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