giovedì 12 giugno 2025

"Obsidio" di Amie Kaufman e Jay Kristoff

Obsidio (The Illuminae Files, #3)Obsidio by Amie Kaufman
My rating: 1 of 5 stars

"Tutto ciò che ho visto. Tutte le navi che sono stato. Mi hanno portato qui. Mi distendo nel sistema, mi allungo nei suoi circuiti mentre mi risveglio, una sensazione fin troppo familiare e fin troppo terrificante ... questa nave sembra un sudario. Un sudario di nome Churchill"


IL NAZISTA SCESO DALL'ASTRONAVE DEL SAPONE

Continua il mio rapporto conflittuale con il target YA, o forse sarebbe più corretto dire peggiora! perché se all'inizio la serie The Illuminae Files mi aveva incantato con la sua favolosa estetica -sommata alla mia poca familiarità con il genere sci-fi e ad alcuni spunti interessanti nell'intreccio-, durante la lettura di "Obsidio" ogni velo di illusione è tragicamente crollato. Tanto che nella mia memoria questa trilogia rimarrà impressa come un terribile caso di occasione sprecata, con ogni probabilità.

Mentre il processo alla corporation Beitech Industries continua, conosciamo l'ultima coppia protagonista: l'aspirante farmacista reinventatasi forzatamente infermiera Asha "Ash" Grant e lo Specialista Rhys Lindstrom, dipendente proprio del famigerato ramo acquisizioni della Beitech. I due si trovano sul pianeta Kerenza IV ma su fronti opposti, perché lei è affiliata alla resistenza composta dai civili superstiti mentre lui è al fianco degli invasori. La coppia deve però cedere una buona metà del volume ai protagonisti dei capitoli precedenti, con i quali collaborano per smascherare le malefatte della multiplanetaria più crudele e stupida di sempre.

Il fatto che io non sia riuscita a rimanere seria neppure il tempo di riassumere la trama la dice lunga! purtroppo questo libro ha riproposto tutti i difetti dei suoi predecessori, ampliandoli ed aggiungendone di nuovi. Tra questi c'è appunto la scelta di dare davvero poco spazio ai nuovi personaggi, creando uno sbilanciamento dalle spiacevoli conseguenze; ad esempio la difficoltà di apprezzare la romance tra i due -comunque fondata su delle basi molto traballanti- o di ispirare un minimo di empatia. Sfido qualunque lettore a commuoversi per delle vicende che, per quanto tragiche appaiano su carta, riguardano sempre e soltanto caratteri secondari nella migliore delle ipotesi o molto più spesso comparse mai menzionate prima. E già il formato in cui viene veicolata la storia crea un distacco emotivo non indifferente...

Sorvolando sulle mie solite lamentele (sì, l'umorismo rimane quello di un ragazzino delle medie, ma ormai non me ne stupisco più!), il difetto principale di quest'ultimo libro si trova nell'intreccio. Per quanto riguarda i vecchi protagonisti, la loro storyline pare composta unicamente da tediosi contrattempi volti a ritardare lo scontatissimo finale; nel frattempo con Asha e Rhys rivediamo delle dinamiche già sfruttate nei primi volumi: in generale sono presenti diverse ripetizioni, specialmente legate ai per nulla stupefacenti voltafaccia dei personaggi, e questo rende ancora più noiosa una lettura già di per sé prevedibile. Un altro elemento che mi ha dato noia è l'idiozia degli adulti, in precedenza utilizzata per depotenziare gli antagonisti ma qui applicata senza criterio su chiunque abbia più di vent'anni; il tutto per far sembrare brillanti gli adolescenti più edgy dell'universo.

Ora il mio lato critico mi spingerebbe a trattare anche gli aspetti positivi -a parte la sempre lodevole componente visiva-, ma ho notato che ognuno di essi presentava un risvolto spiacevole. Ad esempio, mi piaceva l'idea di una protagonista meno esagerata come Asha, peccato per la sua storia d'amore sconclusionata e per la piattezza del suo carattere. È stato carino anche ritrovare AIDAN, ma la svolta data al suo rapporto con Kady è parecchio inquietante, specie perché è il solo personaggio che non si esprime come un bambinetto e sembra pertanto l'unico vero adulto della serie: in quest'ottica, la sua ossessione verso la ragazza risulta decisamente creepy.

Ci sarebbero poi stati degli spunti niente male sui quali lavorare, se gli autori non avessero lo sghiribizzo di voler far (una patetica) ironia su tutto. La storia di Ben Garver aveva del potenziale finché non hanno stravolto la sua caratterizzazione off-page, l'accenno sulla moralità poteva fornire riflessioni interessanti non fosse stato relegato ad un misero paragrafo, e la spiegazione del formato multimediatico sarebbe stata convincente non avessero deciso di includere delle informazioni -vedasi la backstory del militare malvagio amante degli animali?!?- impossibili da provare. Ma ovviamente al processo tutto si risolve a tarallucci e vino! e gli unici a pagare davvero siamo noi lettori.

Voto effettivo: una stellina e mezza

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venerdì 30 maggio 2025

"Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno" di Benjamin Stevenson

Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcunoTutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno by Benjamin Stevenson
My rating: 4 of 5 stars

"Tutto questo rispetta l'ottavo e il nono comandamento di Knox, perché in questo libro io sarò Watson e il Detective, il narratore e l'investigatore, quindi sarò tenuto sia a scovare gli indizi sia a rivelarvi i miei pensieri più reconditi. In breve, a giocare pulito"


GIALLO CLASSICO, NARRATORE CONTEMPORANEO

Trovarmi di fronte ad una lettura polarizzante -se fornita di uno spunto iniziale di mio gusto, per lo meno- mi spinge sempre a voler andare più a fondo per capire se alla fine mi schiererò con i sostenitori o con i detrattori di un dato libro. A volte mi capita poi di trovarmi esattamente nel mezzo, com'è successo con il chiacchieratissimo "Una di famiglia", che ho letto l'anno scorso non capendo per nulla il clamore scatenato da un romanzo per lo più nella media. Comunque, ecco spiegata per sommi capi la mia curiosità verso "Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno", titolo insolito (e qui ha catturato il mio interesse!) che sembra aver diviso parecchio i lettori; avendolo recuperato di recente grazie ad una promozione di Feltrinelli, non mi restava quindi che scoprire dove avrei finito per posizionarmi.

Dopo una premessa ed un prologo, nei quali il protagonista e narratore Ernest James Cunningham spiega rispettivamente quale metodo seguirà per raccontare l'indagine e perché suo fratello Michael si trovi in carcere, la scena si sposta al presente. La famiglia Cunningham-Garcia ha organizzato una rimpatriata nel rifugio d'alta quota Sky Lodge per festeggiare la scarcerazione di Michael ma, durante la prima notte, il cadavere di un uomo misterioso viene ritrovato tra la neve. I sospetti ricadono subito sulla famiglia protagonista, ed in particolare sull'ex galeotto; Ernest però è determinato a far chiarezza sul delitto, illustrando nel mentre dinamiche famigliari e trascorsi criminosi dei suoi parenti più prossimi.

Questo è proprio l'elemento che per primo mi ha attirato verso il libro, e devo ammettere che Stevenson l'ha saputo gestire molto bene. Personalmente adoro i drammoni famigliari, e qui ce n'è davvero per tutti i gusti: ogni protagonista porta con sé un bel bagaglio di traumi e difficoltà personali; inoltre, viene data molta importanza ai diversi legami che uniscono questa insoluta famiglia, scelta che si rivela azzeccata sia sul piano dell'intreccio narrativo sia per dare uno sfogo emozionale e più profondo alle vicende raccontate. In generale, il tono del romanzo si mantiene infatti parecchio comico, e questi passaggi introspettivi permettono un più corretto bilanciamento tra umorismo e sentimento.

Eppure la voce narrante rientra -e, forse, primeggia- tra i punti di forza: i commenti di Ernest sono ricchi di ironia, soprattutto nei tanti passaggi in cui si rivolge in modo diretto al lettore, per commentare il comportamento di un altro personaggio oppure per anticipare un avvenimento futuro. Questo libro presenta infatti uno dei migliori utilizzi del foreshadowing che abbia mai letto, una tecnica spesso a doppio taglio ma qui valorizzata dall'astuzia con cui si presenta il protagonista, affermando da un lato di essere del tutto onesto ma ponendo in maniera deliberata l'attenzione su elementi che traggono in inganno; e ciò è reso possibile grazie al POV in retrospettiva, una scelta molto oculata. Tra i pregi farei rientrare poi l'accostamento tra un contesto estremamente classico (soprattutto nel genere mystery) e dei caratteri contemporanei, che forniscono un approccio agli eventi più vicino e comprensibile al lettore.

Seppur valida a livello concettuale, l'ambientazione risulta invece un po' povera perché tutte le descrizioni dei luoghi si concentrano su pochi elementi che nel complesso non riescono a dare uno sfondo chiaro; con la scusa della tempesta di neve, anche gli spostamenti (sempre inspiegabilmente frettolosi ed ambigui) vengono raccontati in modo confuso, e lo stesso vale per le scene d'azione, ma in questo caso non trovo alcuna motivazione che ne giustifichi la caoticità. Poca attenzione è stata riservata anche ai personaggi di contorno, probabilmente per concentrare il focus sulla famiglia protagonista, ma a questo punto che bisogno c'era di riempire l'intero albergo di turisti con cui non si interagisce mai?

Lungi da me includere la risoluzione finale tra gli aspetti negativi, perché nel complesso l'ho trovata interessante e convincente; purtroppo non posso dire che mi abbia soddisfatta appieno: l'autore mette in scena così tanti elementi da tralasciarne qualcuno, oppure finire per spiegarlo in modo troppo macchinoso. Per quanto riguarda l'identità del colpevole, non ho trovato eccessivamente prevedibile lo smascheramento, però come colpo di scena è ben lontano dal risultare sbalorditivo. Per questi néi, nella diatriba tra lettori, mi piazzo con i sostenitori con qualche riserva minore, che non escludo possa essere già stata sciolta nei volumi successivi.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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martedì 27 maggio 2025

"Yellowface" di Rebecca F. Kuang

YellowfaceYellowface by R.F. Kuang
My rating: 3 of 5 stars

"Comincio a sentire un grumo rovente nello stomaco, una strana e improvvisa voglia di infilare le dita in quella sua bocca rosso lampone e aprirle la faccia in due, sbucciarle la pelle dal corpo come se fosse un'arancia e infilarmela addosso"


IN CUI TWITTER È LA RISPOSTA AD OGNI QUESITO

Ci possono essere diversi motivi per cui un autore sceglie di rendere rintronati i suoi personaggi, ma solitamente l'obiettivo è ritardare il più possibile il momento della risoluzione, che l'obiettivo finale sia individuare il colpevole di un crimine oppure capire chi sia l'amore di tutta una vita. Non penso però di aver incrociato prima d'ora la strada (ed il POV) di una protagonista sulla quale l'autrice avesse incanalato senza remore una quantità simile di stupidità, cinismo e spregevolezza con il solo fine di renderla il simulacro di chi non si prostra ad adorare i suoi libri. Ne deriva che dentro l'odiosa Juniper "June" Song Hayward c'è anche un pezzetto della sottoscritta!

Costei è la protagonista e voce narrante di "Yellowface", un thriller atipico che si apre su uno scorcio della sua immotivata amicizia con la collega scrittrice Athena Ling En Liu. Le due donne stanno festeggiando l'ennesimo successo letterario di Athena tra i rosicamenti silenziosi di June, quando un incidente porta all'improvvisa morte della prima ed alla discesa nella criminalità della seconda. Mascherando il suo comportamento con una quantità di scuse patetiche, June ruba infatti l'ultimo manoscritto di Athena, ne completa la stesura e lo pubblica a proprio nome. Una decisione all'apparenza geniale, ma che la porta ben presto a sviluppare ansie e paranoie all'idea di essere scoperta come plagiatrice.

Esattamente com'era successo con The Poppy War, ci troviamo di fronte ad una storia ricca di spunti nient'affatto scontati ed a personaggi con uno sviluppo promettente; ed esattamente com'era successo con The Poppy War tutte queste belle premesse vengono immolate per far sorgere un intreccio prevedibile seppur forzato ed un manifesto semplicistico e moralista delle convinzioni dell'autrice, con il valore aggiunto di aver sfruttato questa storia di finzione per dipingere se stessa nella parte della vittima assoluta. Infatti Athena è il suo palese alterego, accomunata a lei non solo dal percorso di studi e dalla carriera come scrittrice, ma anche dalle critiche espresse dai suoi detrattori! non a caso viene menzionata l'eccessiva ridondanza dei contenuti, della quale mi era lagnata anch'io all'epoca.

Ho trovato comunque apprezzabile che Kuang non si sia crogiolata in un totale patetismo, mi è sembrata anzi capace in più frangenti di esprimere delle critiche costruttive. Critiche che però ho molto faticato a prendere sul serio a causa del POV: June è un personaggio fin troppo fallace, privo della ben che minima caratteristica positiva, e questo rende inaffidabile la sua prospettiva e poco efficace il suo confronto con Athena. E dire che le basi non mancavano, dal momento che per dare un briciolo di profondità alla protagonista si sarebbe potuta approfondire la sua condizione economica, la mancanza di supporto da parte della famiglia, oppure i problemi di salute mentale; limitandosi a riversarle addosso unicamente tratti negativi, Kuang ha tolto ogni valore alle parole della sua narratrice. Ovvio che si possano apprezzare anche dei caratteri negativi, un buon esempio è il protagonista de "L'occhio del male" (di King, che tra l'altro ha pure blurbato il romanzo!) Billy Halleck: la sua vicenda e quella di June hanno davvero tanti punti in comune eppure nel caso di lui sono riuscita ad emozionarmi, e questo perché al netto di tutti i suoi difetti l'affetto per la figlia lo nobilita.

Juniper Song non ha invece nulla di valore nella sua vita, dal momento che le interessano soltanto i soldi ed il successo mediatico, elementi in comune con il resto del cast tra l'altro. Non nego che nel complesso risulti anche divertente seguire una protagonista atipica, specie quando si dimostra capace di sfoderare un'astuzia efferata a dispetto della solita stupidità. Altri punti a favore della lettura sono la prosa incredibilmente scorrevole -nonostante gli eventi chiave non siano molti- e gli argomenti trattati, che sono tutti positivi ed attuali. Per mio gusto sarebbe stato meglio ridimensionare questi temi oppure focalizzarsi di più su uno nello specifico (tra razzismo, editoria, social, gestione dei traumi, etica letteraria, malattia mentale, relazioni familiari ed amicali c'è fin troppa carne al fuoco!); ad esempio, avrei adorato vederla proseguire sul filone del thriller psicologico, dando sempre più rilevanza al dualismo tra June ed Athena; il finale azzarda invece ben poco, e non riesce a mettere una toppa sulle tante ingenuità che costellano il romanzo.

Voto effettivo: tre stelline e mezza

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martedì 20 maggio 2025

"Il signore dei draghi" di Ursula K. Le Guin

Il signore dei draghiIl signore dei draghi by Ursula K. Le Guin
My rating: 2 of 5 stars

"Solo allora vide davvero l'Arcimago: il più grande mago di tutto il Terramare ... l'unico Signore dei Draghi vivente. Era lì, accanto a una semplice fontana, un uomo di bassa statura e ormai non più giovane, un uomo dalla voce quieta, con occhi profondi come la sera"


IL CATTIVO DI SCHRÖDINGER

Accidenti alla mia testardaggine che mi porta a voler terminare sempre le serie che comincio! non fosse per quella (e per l'edizione da me scelta che binduppa romanzi, racconti ed appendici varie in un solo, pesantissimo volume) la mia esplorazione del Terramare sarebbe finita a metà del primo libro, a voler essere ottimisti. Invece eccomi ritornare su questi lidi fantastici per parlare de "Il signore dei draghi", un terzo capitolo che continua la funzione narcotizzante dei suoi predecessori: non mi è mai capitato di addormentarmi tanto spesso con delle letture così brevi!

Quasi vent'anni dopo gli eventi de "Le tombe di Atuan", incontriamo il nostro nuovo protagonista Arren -futuro principe regnante dell'isola di Enlad- quando questi è appena arrivato a Roke per chiedere il consiglio dei più sagghi maghi del Terramare. Nelle terre periferiche come la sua, la magia sembra infatti star scomparendo; per questo Ged, ora asceso al ruolo di Arcimago, gli chiede di accompagnarlo in un viaggio verso ovest che ha l'obiettivo di scoprire le ragioni di questo evento e di trovarvi anche una soluzione, per riportare l'equilibrio in tutte le isole.

Si può quindi notare già da questo spunto una bella novità: finalmente l'autrice si è decisa a delineare una trama! E non solo, perché abbiamo anche un chiaro obiettivo da raggiungere, una potenzialmente minaccia vaga ma interessante ed una scadenza da rispettare, pena la completa sparizione della magia. Ovviamente parlare di tensione narrativa sarebbe eccessivo, però è stato piacevole per una volta distinguere il percorso stabilito per i protagonisti anziché vederli brancolare nel buio da una scena all'altra.

Tra gli aspetti meno spiacevoli del romanzo (parlare di pregi mi sembra oggettivamente eccessivo!) troviamo le riflessioni sul significato della vita e della morte, le ulteriori esplorazioni dell'imponente world building e la conclusione dal sapore arturiano data al percorso di Ged, dal momento che questo doveva essere inizialmente l'ultimo volume della serie. Analizzando il libro da una prospettiva contemporanea, si può inoltre notare come sia stato una forte ispirazione per opere successive; ad esempio, nella dinamica tra Ged, Arren e l'antagonista ho rivisto moltissimo del rapporto che lega Silente, Harry e Voldemort, con delle scene quasi identiche agli ultimi volumi della saga potteriana.

A dispetto di questi begli spunti, la prosa continua ad essere il tallone di Achille della serie, con un'attenzione eccessiva sulla descrizione di dettagli inutili, a dispetto dell'approfondimento psicologico dei personaggi, semplicemente inesistente. La maggior parte di essi vivono poi soltanto in funzione della trama e vengono perfino dimenticati dalla cara Ursula fuori scena; con i protagonisti non va tanto meglio, tra il poco carisma di Arren (un principino perfettino molto simile a Peter de "Gli occhi del drago", che ho parimenti detestato) ed il totale stravolgimento nella caratterizzazione di Ged. Tra l'altro si sorvola del tutto su come costui sia diventato Arcimago, oltre a fornire spiegazioni di comodo al sistema magico contraddittorio.

Annovero ancora una volta tra i demeriti il ritmo eccessivamente lento e le svolte di trama telefonate a dir poco; ho poi notato una certa discontinuità con i primi capitoli: un esempio su tutti è la runa della pace, che in un paio di decenni sembra non aver portato neanche un briciolo di concordia ad Havnor. Personalmente non sono riuscita a farmi piacere neppure il velatissimo sottotesto reazionario -con la figura del sovrano assoluto menzionata a più riprese come unica soluzione a tutti i problemi del Terramare- e l'assenza di un vero impatto emotivo: nel volume diversi personaggi vengono feriti o muoiono, ma in nessun caso sono riuscita ad emozionarmi.

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venerdì 16 maggio 2025

"La serie infernale" di Agatha Christie

La serie infernaleLa serie infernale by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"Ma ora l'accenno a quell'orario, comunemente noto come A.B.C., mi mise nel sangue un brivido non del tutto sgradevole: non era più il caso di pensare a una coincidenza fortuita; si cominciava a fiutare il mistero"


POIROT VS. L'ALFABETO

Con il progressivo, ma speriamo non inevitabile, rallentamento nella mia velocità di lettura mi sono rassegnata all'idea di alzare bandiera bianca di fronte a tante sfide letterarie, seppur autoimposte. Almeno con la cara Agatha voglio però continuare a darmi da fare nel corso di quest'anno, terminando la saga dedicata a Miss Marple ed avanzando in quella del detective belga più vanesio di sempre. Quindi eccomi completare una sua ennesima indagine ne "La serie infernale", un romanzo dalla premessa insolita per un giallo classico, motivo per cui l'ho approcciato con un pizzico di cautela.

La narrazione inizia durante l'ennesima trasferta londinese del capitano Arthur Hastings, quando Poirot gli spiega di aver ricevuto una lettera firmata in modo enigmatico con le iniziali A.B.C. nella quale viene messo in guarda su un crimine che avverrà in un determinato giorno nella città di Andover; ed effettivamente la promessa viene mantenuta, con il delitto dell'anziana tabaccaia Alice Ascher. Intùito quale sia il modo d'agire dell'assassino, i protagonisti possono tentare quindi di intervenire con il supporto di Scotland Yard, mentre nuove lettere giungono ad anticipare ulteriori delitti alfabetici.

Questa struttura è proprio l'elemento più peculiare del libro: anziché ritrovarsi ad indagare su un delitto già compiuto ed estraneo alla sua persona, Poirot viene coinvolto in maniera diretta da qualcuno che sembra determinato a smentirne la fama di brillante investigatore privato. In un simile contesto, le vittime diventano semplicemente delle scelte arbitrarie: sembra mancare del tutto un movente comprensibile, come la vendetta o l'avidità. Se da un lato questo spunto risulta davvero interessante ed originale -meritando quindi di essere annoverato tra i pregi del romanzo-, dall'altro mi sarei aspettata portasse a qualche elemento in più sul passato di Poirot, perché l'introspezione dei personaggi non è quasi mai il focus di questi gialli, e per una volta tanto sembrava esserci l'occasione perfetta per dare almeno alla caratterizzazione del detective un po' di meritato spazio.

Come al solito, abbiamo invece una parata di individui appena abbozzati, tanto che neppure la risoluzione porta ad un approfondimento maggiore sul colpevole o sulle vittime. Inoltre, i personaggi sono davvero una quantità per un volume così breve: capisco l'intenzione di suggerire la possibile colpevolezza di tanti per depistare il lettore, però questo porta anche ad aspettarsi un ruolo più rilevante per caratteri che alla fine dei conti si rivelano delle mere comparse. Tra gli elementi che meno mi hanno convinto troviamo poi il poco entusiasmante smascheramento del colpevole e la sottotrama romance: la coppia sembra essere carina e ben assortita, ma la tempistica scelta ed il commento di Poirot sono a dir poco di cattivo gusto.

Passando agli aspetti che reputo positivi in pieno, devo menzionare in primis la premessa del capitano Hastings, atta ad illustrare l'insolita scelta narrativa di accostare dei capitoli in terza persona al suo POV in prima; una spiegazione corretta e doverosa, seppur non brillante sul fronte della prosa. Brillante calza invece come aggettivo all'intreccio, che riesce a mantenere un ritmo sostenuto e nel contempo a distanziare i vari indizi in modo da renderli meno evidenti possibile. Pur non strabiliante, la risoluzione è solida e convincente, oltre a soffermarsi giustamente sui dettagli più minuti e sui misteri secondari.

Tra i pregi del romanzo mi sento poi di includere l'umorismo della prosa, dato in particolare dalle stoccate di Poirot verso Hastings e gli investigatori di Scotland Yard; non è troppo presente, ma regala comunque delle scene genuinamente divertenti. Personalmente ho inoltre apprezzato come Megan Barnard commenta il comportamento esuberante della sorella minore: considerando il contesto sociale ed i quasi novant'anni passati dalla pubblicazione, mi sarei aspettata un tono molto più giudicante, invece attraverso questo personaggio la cara Agatha riesce a dimostrarsi comprensiva eppure corretta! perché è giusto vivere senza pregiudizi la propria libertà, ma se si cerca un rapporto stabile bisogna dimostrare rispetto per l'altro.

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martedì 13 maggio 2025

"La spada perduta" di Bernard Cornwell

La spada perdutaLa spada perduta by Bernard Cornwell
My rating: 5 of 5 stars

"Mordred si era liberato della briglia ... Era colpa nostra, immagino ... Nessuno di noi aveva capito che ai piedi del Monte Baddon il nostro re aveva scoperto il piacere della guerra, e nessuno di noi aveva previsto che il sovrano avrebbe ottenuto tanto successo in battaglia da attirare degli uomini sotto la sua bandiera"


ARTÙ RIESCE A FAR RIVALUTARE PERFINO LA SILURIA

Quando ho deciso di recuperare in un solo mese i tre libri che ancora mi mancavano per terminare The Warlord Chronicles, non sapevo se sarei riuscita a farcela e neppure se si trattasse di una buona decisione dal punto di vista del godimento della serie. Richiusa ora all'ultima pagina del capitolo conclusivo, posso rispondere positivamente e con soddisfazione ad entrambi i dilemmi; in particolare, penso che la formula della narrazione seriale affrontata in un lasso di tempo breve sia stata perfetta per farmi coinvolgere al massimo dalle vicende raccontate.

Sul piano dell'intreccio "La spada perduta" è chiamata a tirare le fila e dare un epilogo degno a protagonisti e comprimari del ciclo arturiano, motivo per cui Derfel si sofferma a più riprese per precisare la sorte dei vari personaggi. A livello di intreccio, torna ancora una volta la divisione in tre parti: la prima conclude la parentesi dell'assedio sul Monte Baddon, la seconda riporta in scena il lato più vicino al paranormale con l'ennesimo tentativo di far tornare gli dèi in Britannia (questa volta ad opera di una Nimue fin troppo motivata), mentre la terza si concentra sulla resa dei conti decisiva tra Artù e Mordred.

Prima di sperticarmi in meritate lodi per questo romanzo, trovo giusto evidenziare un paio di elementi che mi hanno fatto storcere a tratti il naso. Come già capitato più volte durante la serie, sono presenti dei momenti di calma, in cui la narrazione ristagna: da un lato li ho trovati dei piacevoli intermezzi, dall'altro avrei preferito un ritmo più serrato trattandosi dell'ultimo libro. Nell'epilogo mi sarebbe poi piaciuto ricevere qualche dettaglio in più: capisco l'intenzione di rifarsi con maggior fedeltà possibile al mito di base, ma avendo coinvolto tanti altri caratteri, qualche pagina extra la si poteva investire. Un'altra piccola lamentela personale riguarda la sovrabbondanza di scene di combattimento, sempre descritte ottimamente ma un po' ripetitive a lungo andare.

Difetti di poca importanza se messi a confronto con la forza dirompente che ha saputo generare questa lettura sul piano emotivo: al massacro ero preparata, ma all'impatto che avrebbe causato per nulla. È stato inutile sapere in anticipo che la maggior parte del cast era destinata a morire (anche soltanto per ragioni anagrafiche) o essere a conoscenza della menomazione del Derfel anziano, perché il caro Bernard è stato particolarmente brillante a distribuire decessi prevedibili e colpi di scena per niente scontati, mantenendo così sempre vitale l'attenzione del lettore. Niente male per una serie alquanto prevedibile e chiaramente ancorata al materiale di partenza!

Dopo cinque volumi, ho finito inoltre con l'affezionarmi moltissimo ai personaggi, quindi se da un lato mi è dispiaciuto lasciarli andare -in un senso o nell'altro-, sono comunque riuscita ad apprezzare l'evoluzione che ha caratterizzato i loro percorsi. Tutti i protagonisti hanno avuto lo spazio per crescere: Artù ha infine affrontato il suo rigore verso i giuramenti, Ginevra è riuscita a fare un passo indietro nelle sue ambizioni, Merlino ha compreso l'insensatezza di opporsi al cambiamento, Nimue è stata catturata in un intrigante villain arc, Ceinwyn ha imparato a priorizzare ciò che la rende felice. Derfel invece sembra aver già completato la sua evoluzione, infatti non gli resta che venire a patti con i sacrifici necessari a garantire la pace.

Tra i pregi non mancano la gradevolmente elegante scrittura di Cornwell, la grande accuratezza nei dettagli storici e gli emozionanti momenti di confronto, che già avevo elogiato negli altri capitoli. Qui in particolare troviamo dei bei dialoghi tra Derfel ed Artù, nel quali quest'ultimo rimarca la sua volontà ad allontanarsi dal trono della Dumnonia e dai vincoli che esso gli imporrebbe; ho apprezzato molto anche l'ultimo intervento di Merlino, in cui finalmente riusciamo a vedere il suo lato più affettuoso e la rilevanza del legame paterno verso Artù. Mai avrei pensato che un retelling storico ormai datato su queste leggende potesse rivelarsi così coinvolgente e ricco di sentimento.

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giovedì 8 maggio 2025

"Il colpo che mancò il bersaglio" di Richard Osman

Il colpo che mancò il bersaglio (Il Club dei delitti del giovedì, #3)Il colpo che mancò il bersaglio by Richard Osman
My rating: 4 of 5 stars

"Un foro da proiettile. Sparato dritto nel soffitto. Henrik fissa il foro. Riconosce che significa un buon numero di cose ... Significa che dovrà uccidere Viktor Illyich da solo. E naturalmente, per punire Elizabeth, dovrà uccidere anche Joyce Meadowcroft"


LA FAMIGLIA DI COOPERS CHASE CRESCE

Per il terzo anno di fila ritorno nel placido complesso residenziale di Coopers Chase, a Fairhaven nel Kent, per la nuova indagine del Club dei delitti del giovedì. Un ritorno che mi ha stampato un sorriso ebete sulla faccia fin dalla prima pagina: nonostante la prosa di Osman stia palesando i suoi limiti in modo più netto ad ogni volume, continuo a trovare queste narrazioni piacevoli e divertenti per il tempo che si dedica alla lettura. Pazienza se, una volta chiuso il volume, tante piccole incoerenze continuano a ronzare per la testa, perché l'esperienza del momento supera per me il ricordo.

Come sempre ci troviamo sommersi da una quantità abnorme di POV, nonché di linee di trama intrecciate tra loro. Il mistero principale riguarda l'omicidio della giornalista Bethany Waites, uccisa anni prima mentre stava indagando su una truffa per riciclare denaro sporco; con una scusa, i protagonisti avvicinano Mike Waghorn -ex collega della donna e celebre presentatore locale-, tramite il quale ottengono le prime informazioni sul caso. Sullo sfondo troviamo gli strascichi del volume precedente (con un criminale scandinavo pronto a ricattare Elizabeth per farne la sua sicaria personale), diverse sottotrame sentimentali e lo sviluppo della condizione di Stephen, già anticipata nel primi romanzi.

Con tanta carne al fuoco, era inevitabile dare più spazio a qualcuno dei personaggi a discapito degli altri. Ad esempio, Ibrahim e Chris risultano un po' sacrificati e la stessa Elizabeth pare sottotono rispetto al solito; per contro vediamo crescere Joyce, Ron e Bogdan, oltre ai nuovi caratteri aggiunti al cast. Anche per le sottotrame ci sono delle corsie preferenziali, e se da un lato sono certa che l'evolversi della malattia di Stephen verrà ripresa nei seguiti, lo stesso non posso dire del misterioso minibus finito sulla spiaggia, per il quale non mi spiego proprio il tanto spazio dedicato.

Per quanto riguarda l'intreccio principale, devo ammettere che in un primo momento mi aveva lasciata perplessa come scelta, in parte per il titolo volutamente ambiguo, ma soprattutto per la decisione di affrontare un cosiddetto cold case: ancora adesso non riesco a dare una giustificazione decente all'inefficienza dimostrata dalle forze dell'ordine all'epoca dei fatti (quando invece i protagonisti scoprono informazioni rilevati e palesi con gran facilità!), né alla deliberata volontà di non approfondire determinati aspetti del mistero. Ovviamente noi lettori veniamo messi a parte della verità -in modo decisamente brillante tra l'altro- però non vorrei che questo caso finisse per trascinarsi fino al quarto volume, com'è successo qui con il furto dei diamanti.

Come accennato, nel momento della lettura la struttura del giallo fila in maniera davvero piacevole, a dispetto delle contraddizioni che si potrebbero notare con un approccio più attento. Il tono scelto da Osman porta però a concedere il beneficio del dubbio e a sorvolare sugli indizi fortuiti e gli dèi ex machina che forniscono ai protagonisti le esatte competenze di cui hanno bisogno. Personalmente trovo spassoso l'umorismo scelto, perché riesce sempre a strappare un sorriso ma non rende mai i personaggi delle parodie di se stessi; e per questo sono in ambasce circa la mia critica alla traduzione: mi rendo conto della fatica di adattare un testo pieno di riferimenti pop, pur trovando molto fastidiosa la presenza di così tante espressioni ricalcate dall'inglese.

Il più grande pregio di questo volume -e della serie nel suo insieme- si trova però nella decisione di puntare l'attenzione su caratteri anziani. Ciò permette all'autore di mettere in scena dei personaggi con tanta esperienza emotiva e pratica, ma anche di affrontare i lati più difficili dell'invecchiare e dell'accostarsi al mondo contemporaneo; non a caso i momenti che ho preferito sono il confronto tra Bogdan e Stephen sul gioco degli scacchi e l'introspezione sui trascorsi di Mike. Leggere di come lui abbia faticato ad ottenere una libertà considerata ad oggi relativamente scontata e della sua gratitudine verso Bethany dà al finale una punta dolceamara perfetta.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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martedì 29 aprile 2025

"Il tradimento" di Bernard Cornwell

Il tradimentoIl tradimento by Bernard Cornwell
My rating: 4 of 5 stars

"Di tutte le donne che sono state determinanti nelle vicende da me raccontate ... fu Ginevra a oscurare il mezzogiorno di Artù. Noi riuscimmo a sconfiggere Lancillotto, ma la vittoria fece scoprire ad Artù il tradimento di Ginevra, e fu come se il sole fosse sparito dal cielo"


LO SCAPOCCIAMENTO

Come mi ero ripromessa all'inizio del mese, sto dando priorità alla trilogia The Warlord Chronicles, in parte perché la suddivisione nostrana in cinque libri crea una strana sensazione di incompletezza alla fine di ogni volume, ma soprattutto per la sua godibilità, nettamente maggiore rispetto a tutte le altre serie che sto seguendo in questo periodo. Ad onor del vero, questo quarto capitolo "Il tradimento" mi è sembrato un po' sottotono rispetto al precedente: diciamo che dopo la batosta emotiva data dal finale de "La torre in fiamme", interessarmi alle paturnie morali di Artù non è stato facilissimo.

Andando a coprire l'ultima parte di "Enemy of God" e la prima di "Excalibur", questo volume comincia con la risoluzione del colpo di Stato tentato da Lancillotto per poi concentrarsi nuovamente sulla linea di trama legata ai Tesori della Britannia -i tredici artefatti divini che dovrebbero riportare gli antichi dèi- e sull'eterno conflitto con gli odiati invasori sassoni. Questa volta sono presenti soltanto brevi ellissi temporali, infatti passa pochissimo dal termine dell'insurrezione cristiana al rituale mistico di Merlino, e così pure alla pianificazione della guerra: mancano del tutti quegli intermezzi di relativa tranquillità che caratterizzavano la narrazione dei primi libri.

Questo da un lato permette la delineazione di un intreccio più corposo e solido, ma dall'altro non concede al lettore il tempo di assimilare e comprendere le decisioni dei personaggi. Ciò svilisce in particolare lo sviluppo di Artù, che qui muove i primi passi su un sentiero oscuro senza però avere un confronto edificante e sincero con Derfel com'era successo ne "La torre in fiamme": si può intuire il dolore che prova, ma il suo rapporto con il protagonista è talmente deteriorato da non permettere al lettore di avere un necessario approfondimento a riguardo. Per contro, Ginevra ottiene molto più spazio ed una sostanziosa rivalutazione in positivo del suo carattere, che personalmente ho apprezzato in modo particolare perché rende più interessante la seconda metà del libro e fa ben sperare per la conclusione della serie.

I pregi nell'ambito dei personaggi non finiscono qui, perché credo non sia da tutti introdurre nuovi caratteri a serie inoltrata sapendoli rendere comunque interessanti e ben integrati nella narrazione. Eppure le nuove aggiunte al cast apportate dal caro Bernard si uniformano perfettamente al resto dei personaggi, creando come sempre delle dinamiche stimolanti e credibili. Questo si palesa in particolar modo nei dialoghi tra Derfel ed i suoi coprotagonisti, nei quali lui si pone sempre in una prospettiva ricettiva, e ciò porta ad esempio al suo scambio con Nimue riguardo il comportamento tenuto da Ginevra, che ho trovato molto valido e maturo; inoltre, non si tratta di una lezione fine a se stessa rivolta soltanto al lettore, ma tutto questo porta delle conseguenze concrete per lo sviluppo della trama.

Trama che invece in questo volume mi ha fatto in parte sospirare, sia perché la scomparsa del Calderone ha ottenuto una risoluzione anticlimatica e prevedibile (almeno quanto l'effettiva utilità del tanto atteso rituale di Merlino), sia per la generale mancanza di linearità. Non solo diverse sottotrame vengono lasciate aperte in modo sibillino, ma la conclusione stessa risulta davvero deludente e sottotono. Sono sicura che Cornwell non lascerà quesiti irrisolti, perché finora si è dimostrato attento a fornire risposte puntuali e perfino ridondanti, ma ammetto che non si tratta del mio epilogo preferito: più che un cliffhanger intrigante fa pensare ai banali "to be continued" alla fine degli episodi di Dragon Ball. Tanto sapevamo tutti che avrebbe vinto Goku!

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mercoledì 23 aprile 2025

"Ogni strada porta da te" di Mariana Zapata

Ogni strada porta da te (Italian Edition)Ogni strada porta da te by Mariana Zapata
My rating: 3 of 5 stars

"Avevo impostato il pilota automatico per così tanti anni che era diventato facile... non seppellire il mio lutto... ma tenerlo sulle spalle e andare avanti ... Fino a che non decisi di prendere in mano la situazione e concentrarmi su tutto ciò che avevo sepolto per così tanto tempo"


BENVENUTI A PAGOSA SPRINGS! (POPOLAZIONE: 8)

Non posso negare di sentirmi bloccata in un periodo poco felice per quanto riguarda le letture: pochi libri letti, ma soprattutto pochi libri belli letti. Da qui è nata la mia decisione di apportare della variatio alla TBR, ad esempio dando spazio a generi dai quali solitamente mi tengo ben alla larga. E visto che Zapata mi è stata spesso consigliata come autrice romance adatta anche a chi non bazzica nel romance, ho deciso di darle un'occasione con uno dei suoi titoli più apprezzati, "Ogni strada porta da te"; una scelta da rimpiangere, ma soltanto in parte.

La premessa narrativa è molto semplice: la protagonista Aurora "Ora" De La Torre è reduce da una relazione tanto lunga quanto disfunzionale, pertanto decide di ricominciare da capo nella città di Pagosa Springs, dove viveva da bambina. Arrivata nell'appartamento preso in affitto, la donna scopre che il padrone di casa Thobias Rhodes non sa nulla del loro contratto, perché lei finora ha interagito con figlio adolescente Amos "Am". L'iniziale ritrosia dell'uomo ad averla come vicina di casa fornisce la base su cui si sviluppa pian piano la loro relazione.

Uno sviluppo emotivo particolarmente lento, nonché apprezzato dalla sottoscritta. Come mi aspettavo, si comincia con una sorta di insta-attraction che però non svilisce l'evoluzione del rapporto tra i due, anzi a conti fatti contribuisce a renderlo più credibile. E trattandosi principalmente di una storia sentimentale, il buon funzionamento della dinamica di coppia mi sembra il punto fondamentale; inoltre, Ora e Rhodes fondando la loro romance non solo su una buona intesa, ma anche su un crescendo costruttivo e maturo che ho trovato davvero ben riuscito.

Con questi elementi, la cara Mariana si è portata a casa la sufficienza, eppure non si è fermata qui! I due protagonisti non vengono indagati solo nel contesto della relazione: l'introspezione personale dei personaggi ricopre un ruolo chiave ed arriva a comporre l'intero intreccio, in pratica. Infatti, anche i comprimari risultano essere solidi ed indipendenti, sintomo della valida capacità di caratterizzazione dell'autrice. Nel corso del romanzo, si toccano poi diversi argomenti seri ed attuali, come l'elaborazione di un lutto o la gestione dei traumi passati; il tutto viene alleggerito notevolmente dal tono scelto, ma arricchisce nondimeno la narrazione.

Una narrazione che purtroppo ha disperatamente bisogno di qualcosa che le dia forza: tra pretesti estremamente forzati per far avvicinare i due protagonisti e conflitti risolti con troppa facilità viste le premesse, l'intreccio risulta debole e lacunoso, e questo temo che mi porterà a dimenticarlo nel giro di poco tempo. Molte scene anche rilevati vengono poi riassunte in poche righe o lasciare alla fantasia di chi legge; un espediente insensato, soprattutto se si pensa che parecchi momenti del tutto inutili vengono invece descritti fin nei più inutili dettagli.

Tra i demeriti del volume troviamo inoltre lo stile troppo informale (tanto che spesso e volentieri la protagonista, e narratrice, si risolve al lettore con domande dirette), l'incomprensibile scelta registica che fa sembrare Ora ancor più sciocca ed infantile di quanto non sia già, e la morale ballerina della prima parte. Infatti, se da un lato l'autrice biasima giustamente i personaggi maschili che fissano senza vergogna il seno della protagonista, dall'altro non inserisce mezzo commento sulla decisione di quest'ultima di acquistare un binocolo per spiare il suo aitante patrone di casa. Ho dovuto sopportare anche la presenza di non poche incongruenze logiche e di un'ennesima traduzione a dir poco atroce targata Newton Compton, specie nella coniugazione dei tempi verbali.

Analizzando però l'esperienza di lettura da una prospettiva prettamente soggettiva, mi sento di poter affermare che la cara Mariana sia capace di far scaturire delle emozioni genuine con le sue parole: seppur filtrare attraverso lo sguardo affatto brillante della protagonista. Sul piatto opposto della bilancia non posso purtroppo esimermi dal menzionare la presenza di descrizioni ripetute in modo ossessivo (ho perso il conto di quante volte gli occhi grigi di Rhodes vengano citati), di inutili dettagli circa l'abbigliamento dei personaggi e di una protagonista troppo sopra le righe: gli eccessivi tentativi di farla risultare adorkable, con me hanno avuto l'effetto opposto!

Voto effettivo: tre stelline e mezza

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martedì 15 aprile 2025

"La torre in fiamme" di Bernard Cornwell

La torre in fiammeLa torre in fiamme by Bernard Cornwell
My rating: 4 of 5 stars

"Nell'Isola di Cristallo, nell'ora della nostra vittoria, il fulmine aveva incendiato la torre di legno e le fiamme si erano alzate, guizzando e crepitando nella notte; al mattino ... fra le ceneri, solo un vuoto nel cuore bruciato della Dumnonia"


ESIGO UNO SPIN-OFF SU CULHWYCH!

A quanto pare sono più portata per gli estremi di quanto mi faccia piacere ammettere, infatti dopo mesi nei quali ho snobbato (o al più recuperato con gran fatica) le narrazioni seriali ora mi trovo ad aver letto ben quattro libri all'interno di varie serie uno di seguito all'altro. Forte di questa ritrovata passione per saghe ed affini ho pensato di capitalizzare, dedicando il mese di aprile al completamento di The Warlord Chronicles a partire da "La torre in fiamme", per poi continuare con gli ultimi due volumi di questa fasulla pentalogia e vera trilogia.

Come ormai dovemmo sapere bene, i tre volumi di partenza sono stati smembrati senza compassione dall'editore italiano, pertanto questo terzo capitolo corrisponde alla parte centrale dell'originale "Enemy of God", appellativo affibbiato ad Artù. A fare da collante tra le diverse vicende troviamo appunto il crescente fanatismo dei cristiani ed il loro desiderio di epurare la Britannia dai pagani prima del ritorno di Cristo, fissato per l'anno 500. Sul piano politico, gli eventi principali riguardano l'antagonismo verso i sassoni guidati dai sovrani Aelle e Cerdic, gli anni della pseudo-reggenza di Artù e la seconda incoronazione del giovane Mordred, che sembra essere il peggior futuro sovrano possibile dai tempi di Joffrey Baratheon. Ovviamente ognuno di questi eventi viene filtrato attraverso la prospettiva di un Derfel anziano e disilluso, ma non per questo privo di sagacia.

E ancora una volta io mi sono trovata ad amare la sua voce: l'ironia con cui parla della sua vita nel convento e lo sguardo consapevole sulle diverse sfaccettature dell'animo umano lo rendono un narratore estremamente piacevole nonché caratteristico. Anche nel passato lo vediamo protagonista di un'importante crescita personale e, seppur sperassi di leggere da parte sua un atteggiamento più improntato verso l'iniziativa e meno sull'accondiscendenza, ho apprezzato moltissimo il suo confronto con Artù sul tema della giustizia. La scena in cui i due amici danno voce ai rispettivi ideali -il buon cuore di Derfel da un lato ed il rispetto dei giuramenti di Artù dall'altro- è forse la migliore del romanzo.

Tra i punti di forza troviamo inoltre i brillanti dialoghi, le stoccate più o meno palesi (soprattutto nell'ambito religioso) ed il ritmo, che rimane buono nonostante sia presente una corposa ellissi temporale nella parte centrale. E seppur io continui a trovare abbastanza prevedibile l'intreccio nel suo insieme, devo ammettere che in questo caso Cornwell ha saputo giocarsi un paio di colpi di scena niente male, specialmente in relazione alle diverse profezie enunciate da druidi e sacerdoti, sintomo di un'attenta pianificazione della storia.

Come sempre in questa serie, la cura messa dall'autore si va purtroppo a scontrare con la natura divisiva dell'edizione nostrana. A questo si unisce la scelta dell'autore di coprire un periodo di tempo molto lungo, ed il tutto rende disomogenea la struttura: la prima parte ha una conclusione abbastanza buona ma sottotono, la seconda è fin troppo riassuntiva e condensata (specie tenendo conto delle tante difficoltà per arrivare a quel punto della vicenda) e la terza conclude in modo affrettato e semplicistico diverse sottotrame. In generale, molti traguardi raggiunti da Derfel e dagli altri personaggi sembrano privi di ostacoli adeguati, che avrebbero reso invece più soddisfacente il risultato finale.

Un altro difetto che desidero evidenziare è invece di natura soggettiva. Per non scivolare in zona spoiler dirò solo che nella prima parte un avvenimento rende del tutto inutile la seconda metà de "Il cuore di Derfel". Mi aspetto di essere smentita con brutalità in uno dei capitoli successivi, ma per ora ho trovato un po' frustrante vedere accantonata così sbrigativamente una linea di trama sulla carta molto rilevante. Mi toccherà dare ancora fiducia alla visione d'insieme del caro Bernard.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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lunedì 7 aprile 2025

"Il re malvagio" di Holly Black

Il re malvagio (Il Popolo dell'Aria, #2)Il re malvagio by Holly Black
My rating: 2 of 5 stars

"Detesto che lui sappia cosa sta facendo e io no. Detesto essere vulnerabile. Detesto inclinare la testa all'indietro, arrendermi ... di tutto ciò che mi ha fatto, farmi innamorare così di lui è in assoluto la peggiore"


...ANCHE SE QUESTA SERIE UN SENSO NON CE L'HA

Sembra proprio che quest'anno io sia destinata ad incasellare una lettura spiacevole dopo l'altra. E molto spesso questa situazione riguarda i libri che fanno parte di una serie, perché se il primo non mi è andato a genio come posso aspettarmi che con i seguiti vada meglio? Quindi ecco un altro secondo volume deludente, soprattutto considerato quanto venga elogiato dai fan della trilogia. Eppure "Il re malvagio" è riuscito a collocarsi un mezzo gradino sopra "Le tombe di Atuan", e questo per la totale assenza di noia che ha caratterizzato la mia esperienza di lettura! La cara Holly getta in faccia al lettore una serie apparentemente infinita di scene tra l'ottuso e l'incomprensibile, con le quali annoiarsi non è un'opzione considerabile.

Dopo un rapido flashback, il libro ci porta cinque mesi dopo la conclusione de"Il principe crudele". L'umana Jude Duarte è ora impegnata come siniscalco per il Sommo Re Cardan, ed in quanto tale si trova a dover gestire una quantità di problematiche più o meno gravi: da una minaccia di tradimento interna al pericolo rappresentato dalla regina degli Abissi Orlagh, passando per le mire alla corona del fratello di Cardan Balekin e per l'imminente matrimonio di sua sorella gemella Taryn. Sullo sfondo rimane la missione della ragazza per predisporre l'ascesa al trono del fratellino adottivo Farnia, come anche la sua ambigua storia d'amore con lo stesso Cardan.

In modo devo dire sorprendente, quest'ultimo si piazza tra gli scarsi punti a favore del romanzo: lo reputo un personaggio ben scritto e con un grande potenziale, soprattutto quando l'autrice non si sforza in maniera tanto evidente di renderlo una mera vittima. Jude ovviamente è ben lontana da questa categoria (come gran parte del cast, del resto!), ma devo ammettere di essere contenta che entrambi si siano lasciati alle spalle l'inutile parentesi scolastica. Tra gli aspetti che ho apprezzato rientrano l'ampliamento del world building ed il buon ritmo, che potrebbe ambire ad essere perfino ottimo non fosse per i troppi refusi, a causa dei quali la lettura subisce un inevitabile rallentamento.

A rendere tanto apprezzata e distintiva questa trilogia è ovviamente la componente psicologica dei personaggi, dei quali la cara Holly racconta i traumi per farci capire cosa li spinga ad agire spesso sconsideratamente nel presente. Anche a mio avviso è uno dei pregi maggiori -specie per la presenta di reazioni differenti ad un'analoga situazione problematica- e l'ho trovato interessante soprattutto nel finale. Peccato che, al netto dei vari traumi subiti, i personaggi palesino una stupidità innata e non giustificabile (solo) con le loro passate disgrazie, comunque inserite nel testo con ben poca sottigliezza e buon gusto. Ad aggiudicarsi l'ambito primo premio per l'imbecillità è senza dubbio la nostra Jude, della quale siamo condannati ad ascoltare gli insensati ragionamenti ed i continui ripensamenti.

Per quanto riguarda l'intreccio, avrei poi gradito la presenza di qualche elemento magico in più (sui chiarimenti invece ho alzato bandiera bianca) perché a volte ci si dimentica quasi che i personaggi sono dotati di poteri paranormali. Sarebbe inoltre carino se gli sviluppi di trama non fossero tanto fortuiti: si potrebbe far procedere la storia senza personaggi ed informazioni che cadono tra le braccia della protagonista, soprattutto se quest'ultima attivasse i suoi neuroni. Come già accennato, a rendere questa narrazione ancor più respingente contribuisce l'abominevole traduzione! onestamente non saprei dire cosa risulti più fastidioso tra i tempi verbali sbagliati ed i refusi di digitazione.

Tutto questo finisce per distrarre notevolmente il lettore, già impegnato in una narrazione parecchio contorta per il gusto di esserlo. Io ormai mi sono messa il cuore in pace: tra me e Black non sboccerà mai l'amore. E a tal proposito chiamo in causa le sue scene descritte in modo tanto aulico da risultare incomprensibili, la mancanza di logica tra un'azione e la sua reazione, nonché le descrizioni di abiti ed accessori inserite in modo casuale ed inopportuno durante i dialoghi. In un volume relativamente breve, la protagonista -sulla carta poco o niente interessata alla moda- è impegnata in più cambi d'abito di Solange Kardinaly!

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venerdì 4 aprile 2025

"Le tombe di Atuan" di Ursula K. Le Guin

Le tombe di AtuanLe tombe di Atuan by Ursula K. Le Guin
My rating: 1 of 5 stars

"Si diceva che si trovassero lì fin dal tempo dei primi uomini, fin da quando il Terramare era stato creato ... Erano le tombe di coloro che regnavano prima che nascesse il mondo degli uomini, coloro che non avevano nome, e per questo colei che veniva a loro consacrata, colei che era al loro servizio non aveva nome"


TANTE MAIUSCOLE DA FAR INVIDIA AD UN TEDESCO

A gennaio, mentre in piena influenza arrancavo tra le pagine de "Il mago", percependo come ostico ed interminabile un libretto per bambini, mi sono sentita un mezzo fallimento come lettrice. Ad oggi, più o meno in buona forma fisica, devo dire che la me stessa del passato era una vera eroina senza neppure saperlo; questo perché "Le tombe di Atuan" mi ha confermato che il problema non ero (solo) io, bensì la prosa soporifera della cara Ursula.

C'è da dire che almeno nelle prime pagine la mia attenzione l'ha saputa catturare, introducendo una protagonista ed un contesto del tutto nuovi. Siamo sull'isola desertica di Atuan, dove si erge il Posto delle Tombe, ossia nove monoliti mistici custoditi dalla Prima Sacerdotessa; appena nata la piccola Tenar viene individuata proprio come la reincarnazione di questa figura, e per questo allontanata dalla sua famiglia e costretta ad adottare il non-nome di Arha. La prima parte del libro è interamente dedicata al suo addestramento religioso -ed in particolare all'esplorazione dei tunnel che si snodano sotto i templi-, mentre nella seconda il ritorno di una nostra vecchia conoscenza porta una parvenza di trama in una narrazione fino a quel punto poco corposa.

L'intenzione di Le Guin non era chiaramente quella di strutturare un'avventura fantasy simile a quella del primo capitolo, quanto piuttosto di raccontare l'emancipazione di Tenar, da burattino delle Sacerdotesse più anziane a persona capace di autodeterminarsi. Personalmente non credo che questo concetto sia stato sviscerato al meglio, ma rimane comunque uno spunto positivo sul quale lavorare magari nei seguiti. Tra gli aspetti che sono riuscita ad apprezzare, troviamo le relazioni interpersonali (più credibili e meglio sviluppate), le nuove ambientazioni ed i nuovi elementi di world building, legati soprattutto alle isole dei Kargad ed al loro approccio nei confronti del sovrannaturale.

Terminati i modesti elogi, passiamo agli elementi che meno funzionano in questa narrazione, a partire dai personaggi. Per quanto riguarda i comprimari, si tratta di caratteri fin troppo stereotipati (Manan è il servitore fedele, Kossil l'insegnante carogna, Penthe l'amica gentile, e così via), ma la situazione peggiora quando si arriva ai protagonisti: la caratterizzazione di Tenar è a dir poco banale, mentre quella del suo coprotagonista risulta del tutto stravolta rispetto al libro precedente. Non ho ben capito inoltre la scelta di puntare in modo tanto netto l'attenzione su personaggi -come Penthe, la madre di Tenar o Thar- che alla fine dei conti risultano davvero marginali.

Come accennato, il volume pecca di una solida e chiara strutturazione: la trama risulta quasi inesistente e, quando finalmente sembrano comparire degli spunti validi, questi sono motivati da informazioni del tutto estranee non solo a questo libro ma perfino al primo! Il tutto viene poi veicolato al lettore attraverso un ritmo fin troppo lento ed una tensione praticamente non pervenuta. Sul finale ci sono dei tentativi di smuovere gli eventi, ma anche qui il risultato è ben poco emozionante sia perché non c'è stato il tempo di conoscere davvero i personaggi sia per l'apparente mancanza di conseguenze (in positivo o in negativo) per le loro azioni.

Per concludere, qualche pet peeve che ha contribuito a rendere più tediosa la mia esperienza di lettura. Ad esempio abbiamo un fastidioso ricorso al name dropping per tutto il volume; sono anche presenti parecchi spiegoni di lunghezza terrificante, che non sempre risultano essere indispensabili e si presentano al lettore nel modo più forzato e respingente possibile. Volendo poi sorvolare sul fatto che quel poco di trama presente è concentrato sul ritrovamento di un chiarissimo MacGuffin, non ho potuto fare a meno di notare alcune contraddizioni all'interno del sistema magico: a differenza di quanto detto in precedenza, qui abbiamo un nome vero assegnato dai genitori e delle entità senza nome che sono influenzabili dalla magia. Potrei citare altre incoerenze, ma non voglio demolire del tutto uno dei pochi punti di forza della serie. Per ora.

Voto effettivo: una stellina e mezza

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venerdì 28 marzo 2025

"Un piccolo odio" di Joe Abercrombie

Un piccolo odio (The Age of Madness, #1)Un piccolo odio by Joe Abercrombie
My rating: 4 of 5 stars

"Valbeck restava nascosta dietro le colline a nord mentre lei saltò giù, nel fango segnato dai solchi, tuttavia poteva vedere il fumo dei suoi mille camini che si allargava al vento disegnando una grande chiazza scura nel cielo. Forse riusciva perfino a fiutarlo"


AVESSI VOLUTO UN ROMANCE, MI SAREI LETTA UN ROMANCE

Più di un mese. Ecco quanto mi ci è voluto per venire a capo di "Un piccolo odio", con mia somma vergogna. Non tanto per l'incredibile lentezza con cui ho affrontato la lettura, quanto perché ho desiderato per anni recuperare questa serie (che sembrava scomparsa in Italia) della quale ho sempre sentito parlare in modo molto positivo; e quanto finalmente la posso iniziare, mi passa la voglia!?! Potremmo definirla crudele ironia, ma ci sono anche delle ragioni concrete, che andrò ad analizzare in questa recensione.

La narrazione si colloca vent'otto anni dopo la conclusione della trilogia originale e quindici dopo gli eventi di "Red Country" -l'ultimo dei sequel autoconclusivi-, infatti il cast è composto per una buona fetta dai figli dei personaggi protagonisti nei volumi precedenti. Oltre ai soliti POV occasionali, seguiamo ben sette prospettive divise tra due continenti. Al nord è scoppiata una nuova guerra tra gli alleati dell'Unione ed i Nordici che, sotto il vessillo del futuro sovrano Crepuscolo il Possente, hanno invaso il protettorato di Mastino. Nel frattempo il Midderland è scosso dalle rivolte degli Spezzatori e degli Incendiari, sobillati dal misterioso Tessitore contro lo strapotere di nobili ed imprenditori, che sfruttano le nuove tecnologie per aumentare i profitti a discapito delle classi più umili.

Quello dell'ingiustizia sociale è uno dei temi centrali del romanzo, e devo dire di averlo apprezzato parecchio: posso immaginarlo più rilevante nei seguiti, ma già qui ci sono delle solide basi di malcontento sulle quali costruire i conflitti futuri. Al fianco delle tematiche di maggiore attualità, l'autore continua a dare spazio alle sfaccettature dell'animo umano, parlando di dipendenze (emotive e da sostanze), conflitti familiari e generazionali, elaborazione dei propri traumi e relazioni tossiche. Ovviamente questo viene trattato in modo più o meno approfondito in base alla rilevanza del POV di turno, alcuni dei quali hanno un enorme potenziale (e penso in particolare all'ambigua Teufel) in parte mortificato dal poco spazio a loro disposizione.

Come sempre, la prosa del caro Joe mi ha convinto per merito del suo piglio caustico e pungente, che riesce sempre a mettere a nudo le contraddizioni dei personaggi. Ciò viene reso in modo particolarmente brillante nelle frasi e nelle scene speculari, adottando delle anafore oppure mostrando la medesima interazione attraverso due diverse prospettive. Ritornano anche le scene in multi-POV, tra le quali la mia preferita: il racconto della sommossa a Valbeck, con un intreccio magistrale di caratteri ed esperienze, spesso in netto contrasto a discapito di quanto appare.

Ma allora cosa mi ha reso tanto ostico proseguire in questa storia? a parte il peso fisico del volume, da non sottovalutazione comunque! Per l'ennesima volta mi devo lamentare dell'edizione italiana, che sarà anche impeccabile dal punto di vista estetico ma lascia parecchio a desiderare nei contenuti: tra refusi di battitura, calchi dall'inglese e sviste grammaticali, la traduzione frena inevitabilmente la lettura perché risulta impossibile ignorate tutti questi errori. Sono poi presenti alcuni termini decisamente fuori posto nel contesto in cui è ambientato il libro, come il carnevale o il sabba, che non saprei onestamente se siano da imputare all'eccessiva creatività dell'autore o alla sciatteria del traduttore.

In ogni caso, Abercrombie deve sicuramente rispondere per la propensione a copiare i suoi stessi caratteri (Grosso è un novello Logen tanto quanto Leo ricorda Jezal, giusto per citarne un paio) e per la prevedibilità dei colpi di scena -specialmente dal punto di vista di una lettrice affezionata come la sottoscritta- che si possono azzeccare con capitoli e capitoli di anticipo senza troppa difficoltà. Passando ai difetti più soggettivi, seppur li abbia apprezzati tutti i qualche modo avrei preferito un numero più limitato di POV, mi sarebbe inoltre piaciuto capire meglio come le modernità introdotte abbiano cambiato il modo di vivere dei personaggi, e ho mal tollerato tutte le parentesi romantiche, che in più momenti mi hanno ricordato delle soap opera, sconfinando nel cringe. Dopo il risultato discutibile di "Mezzo mondo", sul lato romance il caro Joe dimostra di avere ancora molto su cui lavorare.

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martedì 25 marzo 2025

"Final Girls. Le sopravvissute" di Riley Sager

Final girls. Le sopravvissuteFinal girls. Le sopravvissute by Riley Sager
My rating: 2 of 5 stars

"Insieme al dolore arriva un ricordo. No, non un ricordo, una certezza. Ed è così terribile che deve per forza essere reale. È rimasta solo lei. Gli altri sono tutti morti. Lei è l'unica sopravvissuta"


DUE PAGINE E QUINCY È DIVENTATA KING C (GILLETTE)

Nella mia constante lotta contro la stupidità dei personaggi, ho fatto appena in tempo a gioire dell'acume e della risolutezza dimostrati da Agatha Raisin, che già la lettura successiva mi ha fatto ripiombare mio malgrado nel baratro delle protagoniste sceme. Nel caso di "Final Girls. Le sopravvissute", il problema non è tanto la dabbenaggine dell'eroina di turno, quanto il fatto che la trama venga mossa quasi esclusivamente dalle sue decisioni idiote: se lei avesse attivato i neuroni giusto due o tre volte in tutto il libro, nulla di tutto questo sarebbe stato scritto.

La mentecatta in questione risponde all'impronunciabile nome di Quincy "Quinn" Carpenter, a vent'anni è sopravvissuta alla strage nota come il massacro di Pine Cottage (non certo per la sua prontezza di pensiero!) e da allora convive con questo trauma e con la dipendenza dallo Xanax. Il romanzo alterna dei flashback in terza persona -nei quali si cerca principalmente di ricostruire gli eventi che Quinn ha dimenticato- alla narrazione al presente, affidata al POV della protagonista, ahinoi! A dare il via alla narrazione sono il misterioso suicidio di Lisa Milner e l'imprevista ricomparsa di Samantha "Sam" Boyd, sopravvissute ad altri due eccidi che i media avevano accostato a Quinn sotto l'etichetta di Final Girls, appunto.

Una premessa che onestamente reputo interessante, specie perché punta l'attenzione sull'elemento della sopravvivenza, da me molto apprezzato in tante storie. Purtroppo questo spunto rimane ai margini perché, quando l'autore deve raccontare come le varie personagge siano riuscite a scappare o addirittura a reagire contro i loro carnefici, lo fa in modo frettoloso ed approssimativo, riassumendo a grandi linee quanto accaduto. Questa superficialità investe anche la caratterizzazione dell'intero cast, con dei personaggi poco più che abbozzati e tragicamente dimenticabili. Con ogni probabilità ricorderò soltanto la protagonista, non per il carisma bensì per la sua impressionante imbecillità.

In modo analogo, la prosa elementare e semplicistica di Sager non è riuscita ad entusiasmarmi, con una quantità di dialoghi macchinosi e metafore insensate. Inspiegabilmente neppure il ritmo si salva, con una narrazione abbastanza lenta soprattutto nella prima metà; e dire che un intreccio incalzante dovrebbe essere il marchio di fabbrica di questo genere letterario. A tenere il lettore incollato alle pagine dovrebbero poi contribuire i colpi di scena, peccato che questa trama sia fin troppo prevedibile, e quando vuole stupire a tutti i costi ricorre a forzature parecchio evidenti, come il già citato comportamento bizzarro della protagonista.

Devo ammettere che questa è una di quelle recensioni difficili, perché al netto dei momenti più tediosi il romanzo ha svolto il suo lavoro, intrattenendomi e regalandomi alcune scene divertenti, seppur involontarie. Ho apprezzato anche i chiari tentativi di andare oltre il mero thriller, trattando argomenti più impegnativi, eppure a lettura ultimata riesco a concentrarmi unicamente sugli aspetti negativi. Ciò non esclude che io possa dare un'occasione ad altri titoli del caro Riley, specie considerando quanto sono diverse le valutazioni dei suoi romanzi: magari il prossimo potrebbe diventare un nuovo preferito, chissà...

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venerdì 14 marzo 2025

"La quiche letale" di M.C. Beaton

Agatha Raisin e la quiche letale (Agatha Raisin, #1)Agatha Raisin e la quiche letale by M.C. Beaton
My rating: 4 of 5 stars

"Ho bisogno di uno scopo nella vita, pensò - di un obiettivo. Non sarebbe stato magnifico se si fosse scoperto che dopotutto quello di Cummings-Browne era stato un assassinio? E se lei, Agatha Raisin, avesse risolto il caso?"


COZY MYSTERY ANTE LITTERAM

A quanto pare il mio proposito di dare spazio alle serie è sopravvissuto giusto un filino in più delle diete iniziate il 2 gennaio. Infatti, dopo aver letto solo titoli autoconclusivi in febbraio, al momento di scegliere con che libro iniziare marzo ho ignorato la mia tanto agognata copia di "Un piccolo odio" (in lettura da settimane!) per il più rilassante "La quiche letale", primo capitolo nella lunga serie di avventure della detective dilettante Agatha Raisin.

L'ambientazione principale del romanzo è il villaggio fittizio di Carsely, nel Gloucestershire. Dopo aver venduto la sua ditta di PR, la neo pensionata Agatha "Aggie" Raisin decide di trasferirsi qui per coronare un sogno d'infanzia dopo anni trascorsi nel caos della metropoli londinese. La donna fatica però ad integrarsi, in parte per la freddezza dei compaesani ed in parte per la sua indole prepotente; un concorso culinario le sembra quindi una buona idea per aumentare la propria popolarità. Peccato che il giudice muoia dopo aver mangiato la quiche presentata da Agatha alla competizione, portando alla sua porta le forze dell'ordine anziché l'affetto dei vicini.

Potrete facilmente intuire come i rimandi al classico giallo deduttivo non manchino ed in alcuni casi siano incredibilmente palesi, ad esempio la protagonista stessa legge con passione i romanzi della sua omonima Christie. Beaton dà però un tocco di novità al solito murder mystery, grazie ad una prosa fresca ed irriverente -a tratti quasi informale-, che risulta efficacie nelle scene comiche in cui si sfocia in una specie di commedia degli equivoci, senza per questo scadere nel ridicolo: ho trovato l'umorismo valido e ben amalgamato alla storia.

La cara Marion ci regala poi una protagonista che, pur dimostrandosi intraprendente e dotata di intuito, è molto lontana dallo stilema del detective inglese vecchia scuola. Agatha è una donna risoluta e con ben pochi scrupoli quando ha un obiettivo in mente, ma non manca di mostrare anche il suo lato più sensibile e generoso verso gli amici. Nel complesso sono contenta di essermi imbattuta in una personaggia sveglia dopo aver sopportato non pochi protagonisti rintronati nelle mie ultime letture, ed il resto del cast non si dimostra da meno: in particolare, ho apprezzato l'ambiguità di diversi comprimari che rendono più affascinante l'intreccio.

Tra i punti a favore non può che rientrare anche l'ambientazione, perché l'autrice infonde un grande impregno nel descrivere le cittadine, i paesaggi e le abitazioni stesse delle Cotswolds. Un luogo che trasmette serenità, ed influenza così anche il ritmo narrativo, rendendolo allo stesso modo placido. Decisamente un libro da evitare se si cerca una storia maggiormente indirizzata verso il brivido del thriller, ma del tutto adeguato alla sottoscritta che desiderava invece una lettura rilassante sotto ogni punto di vista.

Qualche critica però la devo fare, per correttezza. Innanzitutto, il testo è macchiato qui e là da alcuni stereotipi un po' datati, probabilmente perché negli anni Novanta era normale dipingere i personaggi gay nel modo più effeminato possibile per poi trasformarli in seriosi uomini d'affari non appena trovavano una fidanzata compiacente. Un altro aspetto che avrei cambiato è la risoluzione finale, per i miei gusti fin troppo semplice e priva di complicazioni sul piano pratico: l'arresto e la confessione dell'assassino si risolvono come per magia fuori pagina.

Mi rendo poi conto che questo è solo il primo capitolo in una serie, nel corso della quale immagino una crescita ed un approfondimento per i vari personaggi, ma ho trovato a dir poco inutili alcuni caratteri e linee di trama. Perché mai l'autrice dà tanta importanza a Sheila Barr, scontrosa vicina di Agatha, ed al suo trasferimento? perché introdurre un potenziale interesse amoroso ad oltre metà volume solo per rubare spazio all'intreccio vero e proprio? perché non chiarire mai la sottotrama delle premiazioni ai concorsi? Ma soprattutto perché mettere la parola fine facendoci sapere quale sarà il nome del cottage, ma non quello del gatto? Da brava gattofila ci sono rimasta malissimo!

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mercoledì 12 marzo 2025

"Tutti i nostri oggi sbagliati" di Elan Mastai

Tutti i nostri oggi sbagliatiTutti i nostri oggi sbagliati by Elan Mastai
My rating: 2 of 5 stars

"Perfino nel mondo da cui provengo i viaggi nel tempo sono considerati praticamente impossibili. Non a causa del tempo, in realtà, bensì dello spazio. È questo il motivo per cui tutti i film sui viaggi temporali che avete visto sono stronzate colossali: la Terra si muove"


GENI IMBECILLI NE ABBIAMO?

Più leggo storie che si concentrano sui viaggi nel tempo, più rimango delusa dal modo in cui un trope così intrigante viene sprecato in drammi strappalacrime e polpettoni sentimentali. Eppure io so per certo di aver adorato diversi titoli rientranti in questa categoria, quindi posso solo ipotizzare che a farmi innamorare non sia stato tanto il concetto in sé quanto la sua esecuzione in determinate narrazioni. Di certo il colpo di fulmine non è scattato con "Tutti i nostri oggi sbagliati", romanzo d'esordio di Mastai che già ad un anno dall'uscita sarebbe dovuto diventare un film, e poi una serie TV; il fatto che ad oggi non sia diventato ancora un bel niente penso sia significativo.

La storia inizia in una versione utopica del nostro mondo, dove l'accensione di un macchinario in grado di generare energia illimitata -noto come Motore di Goettreider- nel luglio del 1965 ha reso possibili incredibili sviluppi tecnologici. Si è arrivati perfino ad un passo dal viaggio temporale, per merito dello scienziato Victor Barren, il padre del protagonista Tom; quest'ultimo non condivide il genio paterno e si sente da sempre in difetto nei suoi confronti. L'improvvisa morte della moglie convince Victor ad assegnare al figlio un posto nella sua squadra, e questo sarà il primo passo di Tom verso un salto nel passato dai risvolti inaspettati.

Pur avendo parecchie critiche da muovere al romanzo, non nego mi abbia anche colpito in positivo in più punti. Ad esempio, ho appezzato il tono volutamente umoristico della prosa e la scelta di un protagonista a dir poco imperfetto: in un cast composto per la maggior parte da geni inarrivabili, Tom è un uomo semplice, che commette tanti errori e cerca di porvi rimedio con i suoi limitati mezzi. La sua voce dà poi un taglio decisamente divertente alle vicende, includendo perfino dei riepiloghi che mettono in prospettiva le sue azioni e contribuiscono a renderlo simpatetico al lettore.

A parte alcuni scambi ironici, i passaggi che ho trovato più validi sono quelli in cui si affronta il tema del lutto, perché ritengo che le riflessioni del protagonista siano genuine ed emozionanti al punto giusto. Forse per questo i numerosi dialoghi preghi di retorica hanno fatto schizzare i miei occhi al soffitto! infatti, capita spesso che i personaggi (e specialmente il protagonista) attacchino con degli pseudo-monologhi del tutto fuori luoghi e per nulla verosimili. Tra i difetti secondari potremmo includere anche la scarsa logica dietro diversi dettagli fantascientifici, la presenza di un sottotesto pro-life non di mio gusto e l'estetica scelta: non si tratta di un problema esclusivo dell'edizione italiana, ma comunque ritengo si potesse presentare meglio questo genere di storia.

Ma perché parlo di difetti secondari? perché i veri problemi di questo titolo sono altrove. Abbiamo infatti una componente romance parecchio prepotente, che a più riprese sembra rivendicare il focus della narrazione; il tutto per regalarci scene di disagio (causate da instalove anacronistici) e di inquietudine, dove l'ossessione viene spesso scambiata per amore e dove ogni comportamento del partner può essere scusato. Neanche a dirlo, nessuna delle dinamiche di coppia presentate mi ha convinto, e questo è dovuto in buona parte alla caratterizzazione superficiale dei coprotagonisti.

La trama banale e artificiosa rappresenta l'altra grande mancanza del romanzo. Innanzitutto, lo spunto è poco motivato: tutto comincia perché Victor inventa una macchina in grado di viaggiare nel tempo, ma perché lo fa? a quanto pare, un po' per vanagloria e un po' per creare un nuovo ramo del turismo per ricconi. Accettato questo pretesto sciapo, ci troviamo di fronte ad un intreccio privo di conflitto, nonostante i buoni spunti non manchino: Tom potrebbe voler salvare la madre, o cambiare il suo rapporto con il padre, oppure ancora avere successo nella vita. Ovviamente, non farà nulla di tutto ciò, eppure il libro si conclude con il più zuccheroso ed immeritato degli epiloghi! Con buona pace di tutti quelli che ci hanno rimesso nel mentre.

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mercoledì 5 marzo 2025

"Perché non l'hanno chiesto a Evans?" di Agatha Christie

Perché non l'hanno chiesto a Evans?Perché non l'hanno chiesto a Evans? by Agatha Christie
My rating: 4 of 5 stars

"La palla rotolò via e scomparve nel vuoto ... I due uomini si calarono, e Bobby diede una mano al dottore. Finalmente raggiunsero il sinistro fagotto. Era veramente un uomo, uno sconosciuto sui quarant'anni, e respirava ancora, ma era privo di sensi"


QUI C'È UN THOMAS DI TROPPO (O FORSE TRE)

Tutti i romanzi nascondono dei difetti, anche quelli che reputiamo dei capolavori della letteratura: buchi di trama, prose raffazzonate o messaggi discutibili. In questo caso ci troviamo però di fronte ad un difetto insolito, infatti il problema maggiore di "Perché non l'hanno chiesto a Evans?" è l'esistenza di "Dieci piccoli indiani"; se il titolo più celebre di Christie non avesse mai visto la luce, questo sarebbe diventato il suo migliore lavoro dove non compare nessuno dei soliti risolutori, come Poirot o Miss Marple. O almeno questa è la mia modesta impressione ad oggi, con ancora più di dieci titoli rientranti nella stessa categoria da leggere e valutare.

La storia ci porta in diversi angoli della Gran Bretagna, ma comincia nella cittadina gallese di Marchbolt, durante una partita a golf tra il medico della zona e Robert "Bobby" Jones, quartogenito del vicario. Inseguendo una pallina finita in un dirupo, i due scoprono un uomo in fin di vita dopo essere precipitato nel vuoto; prima di spirare, lo sconosciuto pronuncia la frase che non solo dà il titolo al romanzo ma diventerà motivo di mistero per tutto il volume. La vicenda viene archiviata come incidente, ma Lady Frances "Frankie" Derwent, figlia di Lord Marchington ed amica di Bobby, nota diverse stranezze ed insiste per proseguire le indagini.

Indagini che sono portate avanti alla luce del sole: a differenza di quanto succede con altri investigatori -Poirot su tutti- indizi e sospetti non vengono mai nascosti al lettore, che si sente coinvolto in prima persona in ogni fase dell'investigazione. Inoltre il duo di detective dilettanti ricorda sempre di porsi le domande più logiche e di sviscerare a fondo ogni pista; l'autrice riesce così a dimostrare la loro intelligenza, senza per questo renderli dei geni inarrivabili. Oltre ad essere illustrato in modo chiaro ma non banale, l'intreccio dimostra una struttura attenta e ben congegnata, supportata da un ritmo solido per l'intera lunghezza del volume. Nel complesso ho trovato poi una giusta commistione tra mystery deduttivo e romanzo d'avventura, con una spolverata di romance verso la quale (una volta tanto!) non ho alcuna critica da muovere: si amalgama bene alla storia e non è mai invadente.

L'altro elemento che più ho apprezzato in questa lettura sono stati i suoi personaggi. Mettendo da parte i vari comprimari -comunque interessanti e non troppo stereotipati-, la storia si fà forza di due protagonisti davvero ricchi di personalità. La mia preferenza và senza dubbio all'intraprendente Frankie, che dimostra risolutezza ed inventiva da far invidia a tante personaggie create negli ultimi anni, oltre ad essere una donna indipendente e per nulla schiava delle convenzioni. Inizialmente presentato come personaggio principale, Bobby diventa pian piano un onesto coprotagonista, discreto ed abbastanza spiritoso; nel complesso, penso che i due formino un'ottima coppia di investigatori "sul campo", e per questo mi dispiace non siano stati sfruttati in più narrazioni.

Da appassionata di romanzi gialli, penso che la trama ideata dalla cara Agatha in questo caso svolga egregiamente il suo compito di intrattenere e far ragionare il lettore. I limiti della lettura sono gli stessi di tanti titoli simili: poca introspezione dei personaggi, alcune piccole forzature logiche per far proseguire la vicenda, ed un pizzico di stagionatura nei contenuti. Per quanto riguarda la mia edizione nello specifico, ho individuato alcuni (immancabili, pare!) refusi e non ho apprezzato troppo l'introduzione, più focalizzata sul genere nel suo insieme che sulla specifica storia, nonché ricca di frasi in cui le subordinate causano uno stato di apnea prima di poter ritornare alla principale. Un altro piccolo difetto è la poca efficacia dei cliffhanger, perché l'inizio del nuovo capitolo risolve subito il momento di tensione creato dal finale del precedente: un metodo che potrebbe funzionare bene in una pubblicazione ad episodi, ma del tutto inadeguato per un volume unico.

Voto effettivo: quattro stelline e mezza

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venerdì 28 febbraio 2025

"Incubi e deliri" di Stephen King

Incubi e deliriIncubi e deliri by Stephen King
My rating: 3 of 5 stars

"Quando la mente si rivolge al terrificante e all'irrazionale, come una persona costretta a girarsi a guardare in faccia la Medusa, allora dimentica. Non può fare altro che dimenticare. E, Dio del cielo, a parte uscire da questo inferno, dimenticare è l'unica cosa che voglio al mondo"


LA RIVINCITA DI WILE E. COYOTE E ALTRE STORIE

Dopo aver letto una sola raccolta in dodici mesi per ben quattro anni, in questo 2025 ho scelto di includere come buon proposito libroso di dare maggior priorità alle antologie kinghiane. Non punto certo a mettermi in pari, ma mi piacerebbe almeno recuperare un po' di terreno, e sono ovviamente partita da "Incubi e deliri", compendio formato da ben 24 testi: ventuno racconti classici, una cronaca sportiva, una poesia (sportiva anche quella!) ed una riscrittura di una parabola induista. Le narrazioni ricadono quasi tutte nel genere horror e presentano molti riferimenti ed omaggi, indicati dall'autore stesso nelle note finali, da affrontare esclusivamente a fine lettura se non si desidera incappare in qualche spoiler. Andiamo quindi a scoprire le mie impressioni e le valutazioni individuali che ho dato ogni singola storia.


"La Cadillac di Dolan" - quattro stelline e mezza
Il primo racconto si presenta come una classica storia di vendetta personale: l'insegnante Robinson è rimasto vedovo dopo che il malavitoso Dolan ha fatto giustiziare sua moglie Elizabeth -testimone di un suo crimine-, e per questo medita per anni di rivalersi fino a quando gli si presenta la situazione ottimale. Ammetto che lo spunto è proprio di mio gusto, infatti mi ha appassionato seguire il piano di Robinson ed il crescendo nella tensione narrativa; sono promossi anche l'introspezione psicologica del protagonista ed il modo in cui si relaziona agli altri. Le miei uniche critiche sono puramente soggettive e riguardano l'espediente narrativo del fridging (per il quale non vado pazza) e l'associazione di idee tra questa narrazione ed un noto personaggio dei Looney Tunes, che mi ha reso difficile prenderlo sul serio all'inizio.

"La fine del gran casino" - quattro stelline
A differenza del primo, questo secondo racconto parte da una premessa che trovo deprimente a livello concettuale, ovvero quella di un contesto post-apocalittico causato da una precisa azione umana. La narrazione è affidata alla penna di Howard "Bow-Wow" Fornoy, scrittore e fratello dello scienziato Robert "Bobby" detto il Messia, colui che ha trovato il modo di porre fine alle guerre; dal momento che Howard esordisce informandoci di aver appena ucciso Bobby e di essere a sua volta in fin di vita, si può intuire come l'utopia sia ancora lontana. Questo intreccio tanto prevedibile è forse il principale difetto, assieme ad una generica superficialità nel chiarire i dettagli; il tutto trova comunque giustificazione nella premessa stessa, va detto. Ho apprezzato la caratterizzazione dei due protagonisti e la narrativa del loro legame, nonché la forma scelta per veicolarla.

"Bambinate" - tre stelline e mezza
Poche risposte anche per il racconto a tema scolastico sulla maestra Emily Sidley, una donna molto severa e precisa sul lavoro, che comincia ad essere spaventata dal comportamento del piccolo Robert, uno dei suoi studenti. Penso che lo scoglio maggiore qui sia lo spazio: qualche pagina in più avrebbe permesso a questa storia di dare il suo meglio, seppur la fine lasciata volutamente in sospeso sia valida ed in linea con il tipo di narrazione. In generale, ho trovato positivi anche il declino psicologico della protagonista e l'elemento horror, ma entrambi non sono esplorati a sufficienza per risultare convincenti.

"Il Volatore Notturno" - due stelline e mezza
Rispetto ai precedenti, questo racconto ha un taglio più divertente ed ironico, che mal si coniuga con la sua conclusione teoricamente spaventosa. Al centro della vicenda c'è la caccia intrapresa dall'appassionato di aviazione Richard Dees ai danni del cosiddetto Volatore Notturno; quest'ultimo è un serial killer che colpisce nottetempo in piccoli aeroporti locali, e Dees è determinato a documentare con delle fotografie il suo operato. Assieme al tono umoristico, la scrittura del protagonista è il solo aspetto gradevole della narrazione che, oltre a lasciare il lettore con una quantità di quesiti insoluti, presenta una struttura poco lineare negli avvenimenti e delle scene d'azione descritte in modo caotico.

"Popsy" - tre stelline
Diametralmente opposta alla storia che la precede, troviamo qui una narrazione cupa ed angosciante fino alle ultime righe, in cui compare un po' fuori posto un guizzo comico. La vicenda ruota attorno al sequestro di un bambino ad opera del protagonista Sheridan che, sommerso dai debiti del gioco d'azzardo, è arrivato a commettere questi rapimenti per recuperare il denaro con cui finanzia la sua dipendenza. Il racconto crea una buona tensione, delinea un protagonista spregevole ma non banale e risulta gradevole, seppur parecchio scontato a livello di trama. Come accennato, il finale rovina in parte l'atmosfera e mi convince una volta in più che il caro Stephen non dovrebbe tirare in ballo il paranormale a caso come fattore risolutivo.

"Ti prende a poco a poco" - tre stelline e mezza
Cinquantadue anni e non sentirli troppo per il racconto più vecchio dell'antologia. King ci riporta nella sua Castle Rock per parlare della casa costruita da Joe Newall sulla Bend; un edificio tanto antiestetico quanto sfortunato, che agli occhi degli avventori del locale Brownie di Harley McKissick conserva un suo fascino morboso. Questa storia aveva del potenziale -soprattutto per il trope del luogo legato al male- ma purtroppo ha finito per puntare in un'altra direzione, lasciando intendere che la fonte della malvagità non fosse tanto la casa in sé. Ho trovato comunque interessante il modo in cui è stato raccontato il passato dell'abitazione, così come il contesto da cittadina di provincia, dove gli abitanti si spalleggiano ma al contempo nascondono molti segreti.

"Denti Chiacchierini" - quattro stelline e mezza
Sulla falsariga di "Christine. La macchina infernale", questo racconto prende un elemento insolito per il genere horror e riesce a renderlo terrificante. In questo caso l'oggetto in questione è una buffa dentiera a molla che il protagonista, il rappresentante Bill Hogan, trova ad una stazione di servizio; nel medesimo luogo, l'uomo decide di caricare un autostoppista, e queste sue decisioni finiscono ben presto per collidere. Ammetto di aver avuto delle riserve sulla resa dell'idea, soprattutto dopo la lettura di "Campo di battaglia" (dalla raccolta "A volte ritornano"), che trattava un tema simile; in questo caso però non c'è proprio nulla di ridicolo: la tensione creata è ottima e non si scivola in momenti di scarsa credibilità. Approvo anche i personaggi -soprattutto i coniugi Scotter, bislacchi gestori della stazione di servizio-, mentre sui momenti più d'azione ho qualche riserva, avendoli trovati caotici e ricchi di svenimenti tattici.

"Dedica" - tre stelline e mezza
Forse il racconto che più rimanda alla seconda metà del titolo: la storia di Martha "Marty" Rosewall, capocameriera presso La Palais a New York, presenta infatti i contorni di un sogno ad occhi aperti. Alla metà degli anni Ottanta, la donna riceve una copia in anteprima del primo libro scritto dal figlio Peter "Pete", e la dedica la spinge a ricordare le insolite circostanze della sua nascita. Emotivamente, mi sono sentita coinvolta da Martha come personaggia, dalle sue difficoltà e dalla tenacia con cui persevera; il mio gradimento non si è purtroppo esteso al tipo di elemento soprannaturale scelto da King, che ho trovato alquanto stereotipato e grottesco tanto per.

"Il dito" - quattro stelline
Altro caso di racconto intrigante e ricco di tensione sciupato da una conclusione incompleta. La storia parte da un'idea molto semplice, quasi sciocca: il ragioniere Howard "Howie" Mitla scopre un dito che sbuca inspiegabilmente dallo scarico del lavello; tra ipotesi di allucinazioni o di malattie, per la sua mente razionale è l'inizio della fine. Una discesa oscura un po' affrettata ma molto avvincente e disturbante, che rende interessante capire le decisioni di Howard su un piano mentale e concreto. Dopo tanto buildup, il finale mi ha lasciato con l'amaro in bocca, ma si tratta di un'osservazione soggettiva.

"Scarpe da tennis" - quattro stelline e mezza
Rimaniamo in zona bagno con la storia di John "Johnny" Tell, riservato appassionato di musica, che nota una persona con le scarpe da tennis nel gabinetto del suo posto di lavoro; la stranezza è che le stesse scarpe rimangono ferme lì, con l'inquietante aggiunta di mosche morte. Un racconto in cui horror e mystery si mescolano bene, con un buon bilanciamento a livello di tensione ed un finale convincente, capace di incanalare al meglio l'indole del protagonista. Le mie uniche critiche riguardano la non troppo velata omofobia e l'eccessiva presenza di riferimenti musicali.

"E hanno una band dell'altro mondo" - quattro stelline
Acnora un collegamento alla storia precedente, perché si continua a parlare di musica (purtroppo per me!) nel racconto che vede protagonisti i coniugi Willinghan. Durante una gita on the road, Clark e Mary "Mariuccia" finiscono in una misteriosa città chiamata Rock and Roll Paradise, nell'Oregon; una premessa che mi ha riportato alla mente "I figli del grano", ma con dei risolvi un po' meno inquietanti. In generale, ho avuto l'impressione che non ci fosse il tempo necessario per assimilare tutto e percepirne la pericolosità, e l'ennesimo finale da interpretare non aiuta. Di questa storia ho però apprezzato lo spunto di base, il rapporto tra i protagonisti ed alcuni validi dettagli horror.

"Parto in casa" - due stelline
Secondo post-apocalittico, questo racconto è partito doppiamente svantaggiato perché combina due tropes SFF per nulla di mio gusto; e lo fa pure molto male, in un'accozzaglia di elementi in teoria paurosi e sensazionali, ma risultano solo ridicoli. In teoria, la storia segue la gravidanza Maddie Sullivan, incinta del primo figlio su Gennesault "Jenny" Island, quando un'epidemia zombie ed un'invasione aliena portano la fine del mondo. Nei fatti però l'attenzione è posta sulla crescita di Maddie -da insicura cronica a persona abbastanza stoica-, fino a quando King non decide di raccontarci come gli isolani si organizzino per sventare la minaccia dei non-morti. L'idea non sarebbe male, ma la confusione e l'eccesso di sottotrame la sviliscono.

"La stagione delle piogge" - quattro stelline e mezza
Si ritorna sulla terraferma con questo racconto all'apparenza piccolibrividoso, ma in realtà inquietante, oscuro e denso: in una manciata di pagine l'horror passa da zero a cento. I rotagonisti sono John ed Elise Graham, giovane coppia appena arrivata a Willow, villaggio del Maine; qui alcuni abitanti li mettono in guardia contro un bizzarro evento, noto appunto come stagione delle piogge, non riuscendo però a convincerli del pericolo. La narrazione è breve e procede speditamente; oltre al ritmo ho apprezzato gli elementi soprannaturali -soprattutto per come vengono illustrati nel finale- e l'atmosfera che permea il paesino. Per contro, avrei voluto qualche dettaglio in più di background ed un maggiore approfondimento dei (pochi!) personaggi.

"Il mio bel cavallino" - quattro stelline
Il caro Stephen cambia tono con la storia dell'ultimo confronto tra Clive "Clivey" Banning ed il nonno George che, sentendo la fine vicina, decide di donare al nipote un orologio ed una lezione sul tempo. Questo racconto non ha una vera trama, pur comprendendo flashback sull'intera famiglia; di conseguenza mancano anche degli elementi spaventosi o fantastici, eppure la narrazione trasmetta un senso di cupezza. La scelta di includerlo in questa raccolta mi ha impedito di apprezzarlo del tutto, perché in effetti si tratta di un racconto valido: i due protagonisti sono ottimamente tratteggiati, il legame tra loro è convincente, la prosa risulta curata e la disamina sul concetto del tempo (seppur non sorprendente) è significativa.

"Spiacente, è il numero giusto" - cinque stelline
Primo inedito della raccolta e prima storia ad avermi convinto appieno, per merito di un certo trope soprattutto. Il racconto comincia da una strana telefonata ricevuta da Katie Weiderman, moglie del popolare autore horror Bill; al telefono si sente una voce femminile terrorizzata, che la donna riconosce come familiare, senza però riuscire a comprendere il messaggio. La sola critica che posso rivolgere a questa narrazione è l'eccessiva rapidità di alcuni passaggi, ma per il resto è ineccepibile! in particolare ho apprezzato lo spunto di base, il sottotesto quasi gotico, ed ovviamente la particolare scelta formale: la vicenda è raccontata come fosse la sceneggiatura di un film, riuscendo comunque a trasmettere sensazioni credibili.

"La Gente delle Dieci" - tre stelline e mezza
Il secondo raccolto inedito ci trasporta a Boston per parlare ancora di vampiri, o comunque di creature analoghe. Il fumatore Brandon "Brand" Pearson scopre infatti l'esistenza di persone con la testa da pipistrello; si tratta di individui potenti, che stanno prendendo il controllo della società, ma solo chi fuma con moderazione li sa riconoscere, come gli spiega il collega Dudley "Duke" Rhinemann. In breve la vita di Pearson viene stravolta, eppure il ritmo incalzante rende la vicenda credibile; mi sono piaciute molto anche la scena d'apertura in medias res e il crescendo di tensione durante la riunione della Gente delle Dieci, ossia i lavoratori che escono a quell'ora per una pausa-sigaretta. Meno convincenti l'improvvisa amicizia tra Pearson e Duke, i particolari dell'elemento fantastico ed il comportamento poco verosimile del leader.

"Crouch End" - quattro stelline
Per una volta lasciamo gli U.S.A. ed atteriamo a Londra, dove gli agenti Robert "Bob" Farnham e Ted Vetter ascoltano la denuncia presentata dalla turista americana Doris Freeman; la donna ha perso il marito Leonard "Lonnie" nel quartiere di Crouch End, o meglio in una sua distorta versione. Il racconto è ricco di rimandi e citazioni, in particolare sembra che i coniugi Freeman abbiano attraversato una sottilità, come quelle presenti in The Dark Tower; da lettrice kinghiana di lunga data, ho apprezzato molto questi collegamenti, così come ho trovato gradevoli l'inquietante ambientazione e la scelta di alternare le prospettive di Farnham e Doris. Purtroppo anche qui si sente la mancanza di qualche pagina in più -durante l'esplorazione della Crouch End alternativa- e di una caratterizzazione più solida del cast.

"La casa di Maple Street" - quattro stelline
Inedito anche il testo incentrato sui fratelli Bradbury, impauriti dal violento patrigno Lewis "Lew" Evans e preoccupati dai mutamenti che sta subendo casa loro. L'abuso domestico non è un tema nuovo per il caro Stephen, ma approvo la sua decisione di raccontarlo dalla prospettiva dei bambini, che non ne risentono fisicamente ma sono comunque vittime. Sono promossi anche il rapporto affettuoso tra i bambini e la scrittura di tutti i personaggi; sul risvolto fantascientifico invece ho qualche riserva, perché mi è sembrato fin troppo funzionale. Perplessità aggiuntive per i malori della madre: sono dovuti solo agli abusi o dovrebbero rappresentare altro?

"Il quinto quarto" - tre stelline
Forse il racconto più smaccatamente bachmaniano, e proprio per questo taglio lontano dai miei gusti. La storia è narrata da un criminale ribattezzatosi Jerry Tarkanian che mette in atto una vendetta verso gli assassini dell'amico Barney; non si tratta però di un elogio ai buoni sentimenti, infatti il vero obiettivo sono i pezzi di una mappa per trovare il bottino di una rapina. Come accennato il tono noir non mi ha fatto impazzire, così come la superficialità generale e la presenza di molti stereotipi. Raggiunge la sufficienza per merito dello stile incalzante e della narrazione davvero intrattenente: sembra di vedere un film, in senso buono.

"Il caso del dottore" - tre stelline e mezza
In questo caso andiamo oltre l'omaggio ed approdiamo direttamente ad una fanfiction su Sherlock Holmes e John Watson, con un pizzico di ispettore Lestrade. In una giornata come tante al 221b di Baker Street, l'uomo di legge raggiunge il celebre duo per sottoporre un enigma della camera chiusa, con il (per nulla) amabile Lord Albert Hull trovato senza vita dentro lo studio. La voce narrante del quasi centenario Watson mi ha convinto, ed il taglio moderno risulta incisivo seppur un po' straniante. Meno bene il lato mystery, perché al lettore non vengono dati gli elementi necessari per giungere alla risoluzione, inoltre la spiegazione del delitto risulta fin troppo prolissa.

"L'ultimo caso di Umney" - quattro stelline e mezza
L'ultimo racconto inedito mi ha fatto ripensare a "La metà oscura" per il marcato piglio metaletterario. L'azione si apre nella Los Angeles degli anni Trenta, dove l'investigatore privato Clyde Umney conduce un'esistenza stereotipata finché non inizia a notare dei cambiamenti inspiegabili. L'incipit mi aveva un po' frenata, ma devo dire che l'idea di base si è rivelata ottima, oltre che eseguita in modo per nulla banale. Reputo ben pensato anche l'epilogo, mentre da brava completista avrei gradito più verosimiglianza nell'elemento sci-fi, magari ambientando la vicenda nel futuro.

"A testa bassa" - due stelline
Una lettura per me faticosa. Si tratta della cronaca di un campionato di baseball della Little League; e qual è il legame con King? ma la presenza del figlio Owen nella squadra di Bangor West! Accantonando l'imbarazzo che possono aver provato sia il pargolo sia i suoi compagni, reputo questa lettura fuori luogo per il tono della raccolta oltre che soporifera per chiunque non sia appassionato di questo sport. La narrativa dello scontro tra Davide e Golia -qui rappresentati da Bangor West e York- è piacevole, inoltre il messaggio di fondo non è malvagio seppur zuccheroso, ma non giustificano comunque 40 pagine di noia.

"Agosto a Brooklyn" - una stellina
Premessa: evito le composizioni poetiche, non nutro alcun interesse verso il baseball e penso che nelle traduzioni si perda sempre qualcosa. Questa è una poesia sul baseball tradotta.

"Il mendicante e il diamante"- n.c.
A fine volume troviamo questo raccontino dove le divinità indù Śiva e Pārvatī sono sostituite da Dio e dall'arcangelo Uriel. La morale ovviamente è positiva, ma davvero non so come valutare questa lettura -a prescindere dalla brevità- perché temo che il caro Stephen si sia limitato a biblicizzare i personaggi. Niente voto quindi, e gli va bene perché c'era il rischio che abbassasse la media generale.


Voto effettivo: tre stelline e mezza

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