sabato 31 ottobre 2020

Wrap-Up - Letture di ottobre 2020

Wrap-Up - Letture di ottobre 2020


Per il mese di Halloween mi sono ovviamente dedicata a letture a tema horror, o meglio a quelle che speravo sarebbero state tali. In realtà reputo quasi tutti i titoli presenti in questo wrap-up adatti per il periodo (con la sola eccezione di "Stepsiter"), se non per le scene splatter, almeno per l'atmosfera creata e le sensazioni trasmesse.

Il primo libro del mese mi ha portato in una versione fantastica della Russia stalinista: "Il Maestro e Margherita" di Michail Bulgakov si è dimostrato il classico perfetto per il periodo, con la giusta dose di gore. Potete trovare QUI la mia recensione di questo romanzo fantastico -valutato ovviamente con cinque stelline- che per molti versi porta alla mente anche le atmosfere del "Dracula" di Bram Stoker, con un gruppo di creature soprannaturali giunte a stravolgere la placida vita dei letterati moscoviti.

Il secondo romanzo si è rivelato poco in tema con il mese di Halloween, nonostante cover e sinossi urlino "sangue" a pieni polmoni, e anche abbastanza problematico; a dispetto di tutto ho comunque apprezzato la lettura di "Stepsister", sequel ideale della fiaba di Cenerentola scritta un paio d'anni fa da Jennifer Donnelly.
La trama segue diversi personaggi, ma la protagonista è indubbiamente Isabelle, la sorellastra più giovane della meravigliosa Ella: la storia si apre sul finale della fiaba con la matrigna Maman che spinge le figlie a tagliarsi i piedi per poter calzare la famosa scarpetta di cristallo, senza successo perché ovviamente Ella riuscirà a liberarsi e a riunirsi con l'amato principe. La storia di Isabelle dovrebbe finire qui, ma questo libro immagina cosa possa essere successo a lei, a Maman e alla sorella maggiore Octavia "Tavi", intrecciando alle loro vicende il contrasto tra Chance e Fate -ossia le personificazioni della Possibilità e del Destino- che si contendono la mappa rappresentante la vita di Isabelle stessa; Chance
vuole concederle di scegliere per se stessa mentre Fate è determinata a riprendersi la mappa in modo che non venga alterata.
A queste due storyline si aggiunge un'ulteriore trama simil-storica, dal momento che il romanzo è ambientato in una versione fittizia della Francia del 1700, con il regno minacciato da un nobile tedesco (?) in vena di invasione. La presenza di diverse storie non confonde troppo le idee dal momento che lo sviluppo è molto prevedibile e lineare, ma le ho trovate tutte abbastanza noiose ad eccezione (per fortuna!) di quella sulla crescita del personaggio di Isabelle. Sia lei, sia i personaggi che le ruotano attorno, sono abbastanza interessanti e caratterizzati con cura: in particolare, ho adorato Tavi ed il rapporto tra lei, Isabelle ed Ella. Mi hanno lasciato invece abbastanza perplessa i comportamenti di Chance e Fate; il primo contraddice il suo scopo quando tenta di portare la protagonista sulla strada di Volkmar per fermarlo, la seconda si accanisce su Isabelle ma non considera di striscio le modifiche al destino apportate da Volkmar stesso e da Tanaquill.
Proprio la fairy queen ci pone di fronte ad un'altra problematica, ossia il sistema magico per nulla chiaro, anche se questo aspetto potrebbe essere scusato dalla natura "fiabesca" del romanzo. Non posso invece soprassedere sui continui tentativi dell'autrice di dare enfasi alle scene interrompendo la narrazione ogni tre pagine con dei colpi di scena che non stupiscono nessuno. Sull'ambientazione non voglio neanche esprimermi: è un gran miscuglio casuale di elementi fiabesci, storici e mitologici che mi hanno lasciato letteralmente basita.
E comunque consiglierei la lettura di questo libro, soprattutto ad un pubblico giovane; perché? Perché la storia di Isabelle, pur con i suoi difetti e la totale mancanza di realismo, può essere d'ispirazione. Perché le frasi che vengono rivolte a lei e agli altri personaggi sono state dette a tutti noi almeno una volta. Perché questo romanzo insegna a seguire la propria indole a prescindere dalle convenzioni sociali e dalle aspettative della famiglia.
Perché sono una debole e non riesco ad essere troppo severa con un libro capace di farmi emozionare così tanto.
Il mio voto è di tre stelline.

Con la terza lettura abbiamo avuto il secondo libro letto quest'anno per uno dei miei autori preferiti, Stephen King; e questa ennesima lettura ha cementato il mio affetto per questo scrittore, perché "Il gioco di Gerald" unisce l'analisi di tematiche delicate ed attuali -pur avendo superato da molto la ventina- ad un thriller psicologico che non ha bisogno di estrarre vermoni spaziali dal cappello per spaventare il lettore. Ogni riferimento a "Le notti di Salem" (QUI la recensione) è puramente volontario.
Lo spunto della trama è parecchio conosciuto, anche perché qualche anno fa ne fu tratto un film per Netflix: Gerald e Jessica "Jessie" Gurlingame sono una coppia sulla quarantina abbastanza affiatati, almeno ad un occhio esterno perché in realtà la loro relazione si è andata pian piano deteriorando al punto che lei acconsente passivamente e controvoglia alle pratiche bondage tanto apprezzate dal marito. Un giorno d'autunno, i due si concedono una breve vacanza nella casa sul lago; Gerald ammanetta la moglie al letto ed insiste nel voler consumare un rapporto nonostante lei gli chieda ripetutamente di liberarla e lasciar perdere: la situazione degenera tanto che un calcio di Jessie causa un infarto mortale a Gerald, e la donna si ritrova bloccata in una situazione surreale che la porterà pian piano verso la follia.
L'elemento più rilevante in questo romanzo è il personaggio di Jessie, perché l'intera narrazione poggia quasi esclusivamente sulle sue spalle: ad eccezione di un paio di capitoli, per tutto il volume lei è sola in scena e, a dispetto del mio iniziale scetticismo, posso dire che questo espediente funziona egregiamente. La sua psicologia è analizzata in modo estremamente dettagliato, e si parla molto di disturbo dissociativo dell'identità, in particolare di una serie di personalità (chiamate voci da ufo nel testo) che albergano nella mente di Jessie e colgono questa occasione al limite per palesarsi e darle dei consigli o farle rivivere dei momenti del suo passato.
Pur essendo pochi e alquanto marginali rispetto alla protagonista, ho trovato ben caratterizzati anche gli altri personaggi del romanzo, in particolare Tom Mahout ha saputo trasmettermi una repulsione per il suo ruolo di padre che non provavo dai tempi di "Nei luoghi oscuri" di Gillian Flynn (QUI la recensione). Ci sarebbe un altro personaggio degno di menzione, soprattutto per come riesce a rendere una storia già inquietante di suo ancor più morbosa, ma non vi voglio rovinare la lettura; dirò soltanto che nel testo è presente una rappresentazione fisica della morte molto originale.
Il volume affronta un gran numero di temi, spingendo il lettore a vederne le diverse sfaccettature, come diverse sono le posizioni dei personaggi: si parla di matrimonio e consenso come non necessariamente due facce della stessa medaglia, violenza fisica e pressioni psicologiche che spesso sfociano nel victim blaming.
In definitiva ho apprezzato praticamente tutto, anche l'idea di inserire lo sporadico POV dell'ex-Prince, che altrimenti sarebbe risultato solo un espediente narrativo. Quello che però non digerisco è l'ennesima traduzione ad opera di Dobner, piena di modi di dire sconclusionati e del tutto priva di note.
Il mio voto è di cinque stelline.

La lettura successiva prometteva una storia davvero halloweeniana in cui un villaggio sperduto stringe addirittura un patto con il diavolo! Mentre leggevo "Strange Grace" di Tessa Gratton le mie aspettative si sono dovute decisamente ridimensionare, soprattutto per l'eccessivo surrealismo della trama e delle scelte fatte dai personaggi. E mi sento quasi in colpa ad aver dato solo due stelline e mezza ad un libro che mi ha ricordato titoli molto validi come "Cuore oscuro" di Naomi Novik (ne parlo QUI) e "Il circo della notte" di Erin Morgenster (QUI la recensione). Trovate già QUI il mio commento, in cui parlo più in dettaglio di questo romanzo.

Ho optato poi per una lettura rivolta ad un pubblico giovane (in base allo stile ed alla casa editrice) con una storia comunque inquietante, ossia "Thornhill" di Pam Smy, illustratrice britannica che con questo titolo si è cimentata con il suo primo romanzo.

Il volume è decisamente particolare: abbiamo due trame che si sviluppano parallele, una in forma scritta e l'altra attraverso i soli disegni. Da un lato apprendiamo la storia di Mary Baines attraverso le pagine del suo diario datato 1982; la ragazzina è un'orfana ospitata nella struttura di Thornhill, dov'è vittima di pesanti atti di bullismo da parte delle sue compagne -in particolare di un'altra giovane orfana di cui non fa mai il nome- mentre gli adulti che dovrebbero occuparsi di lei si dimostrano incapaci di rompere il muro creato dal suo mutismo selettivo. Dall'altro lato abbiamo la vicenda di Ella Clarke, ambientata ai giorni nostri, che si è appena trasferita con il padre in una casa di fronte a Thornhill; Ella è molto incuriosita dal giardino dell'istituto abbandonato ed inizierà ad esplorarlo, spinta anche dalla necessità di colmare il vuoto dell'assenza del padre -sempre lontano per lavoro- e della madre, che possiamo intuire sia deceduta da poco.
Credo che la Smy sia riuscita a trasmettere molto bene il disagio di entrambe le ragazzine: Mary con la sua incapacità di comunicare associata al forte desiderio di instaurare comunque delle relazioni amicali, e la frustrazione di Ella quando troviamo assieme a lei i biglietti distratti del padre. Sicuramente positiva anche la scelta delle tematiche affrontate, in particolare il bullismo e il rifiuto da parte delle figure genitoriali di riferimento.
Ho apprezzato i riferimenti ad alcuni classici, tra i quali spicca indubbiamente "Il giardino segreto" di Frances Hodgson Burnett dal momento che Mary si identifica fortemente con la protagonista del romanzo. Degna di menzione anche la cura dell'edizione fin nei piccoli dettagli, come l'adattamento delle parole nelle illustrazioni o la scelta di non giustificare il diario di Mary per renderlo più simile ad un testo scritto manualmente.
Questo titolo ha però un grave difetto, dato dal target al quale si rivolge; il messaggio finale è malinconico e sembra indicare un esito inevitabile, che addirittura continuerà in futuro. Parlando a dei ragazzi giovani e -di conseguenza- facilmente influenzabili, avrei preferito si lasciasse aperto un spiraglio di speranza, soprattutto in relazione al ruolo di genitori ed educatori, per i quali questo romanzo è sicuramente più consigliato rispetto ai bambini.
Il mio voto è di quattro stelline.

Il romanzo successivo mi ha fatto capire che devo smetterla di acquistare libri blurbati da Stephanie Garber: come già accaduto con "Everless" di Sara Holland (ne parlo QUI) e del suo seguito, la celebre autrice di "Caraval" (che a questo punto non intendo leggere neanche sotto tortura!) elogia l'operato di Kiersten White in "The Dark Descent of Elizabeth Frankenstein". Trovate QUI la mia recensione, ovviamente in netto contrasto con quanto detto dalla cara Stephanie, tant'è che ho assegnato soltanto due stelline ad un titolo sul quale avevo delle ottime sensazioni. Un'occasione sprecata, a mio parere.

L'ultima lettura mi ha portato da un altro dei miei autori preferiti che, anche questa volta, non mi ha deluso per nulla. Con "Il figlio del cimitero", Neil Gaiman si cimenta in un romanzo di formazione mascherato da avventura fantastica, e quasi horror; e devo dire che si possono notare diverse analogie con "Coraline" (ne parlo QUI), altro suo titolo rivolto ad un pubblico giovane.
La narrazione ci permette di seguire l'infanzia e l'adolescenza di Nobody "Bod" Owens, un ragazzino che vive nel vecchio cimitero da quando, poco più che neonato, è sc
ampato allo sterminio della sua famiglia ad opera di un misterioso assassino determinato a portare a termine il lavoro prima o poi. Bod viene adottato da una coppia di fantasmi -i signori Owens, per l'appunto- e, più in generale, da tutti gli spiriti che popolano il cimitero e diventano in breve la sua famiglia.
In una storia ispirata da "Il libro della giungla" di Rudyard Kipling -a detta dell'autore- ma che ricorda una versione molto ridotta della saga potteriana, un luogo angosciante come il cimitero si trasforma nell'unico posto sicuro per il piccolo Bod; questa sorta di rovesciamento dei ruoli colpisce anche i personaggi, infatti troviamo un gruppo di mostri iconici determinati a difendere il bambino, mentre la parte degli antagonisti viene associata agli uomini.
Per l'ennesima volta, Gaiman ci trasporta in un mondo fantastico e ricco di folklore; il lettore lo scopre pian piano attraverso gli occhi di Bod, che all'inizio ne è altrettanto estraneo. Questa intrigante ambientazione non è il solo punto a favore della lettura: abbiamo un protagonista sfaccettato nella sua caratterizzazione -capace di azioni coraggiose, ma dotato anche di un lato oscuro-, parecchi momenti genuinamente toccanti (in particolare, ho adorato la scena in cui viene realizzata la lapide per Liza) e un umorismo un po' noir che, tra epitaffi inusuali e battute su funerali e affini, strappa più di una risata.

Secondo me, ci sono state purtroppo un paio di scelte infelici nella stesura della trama. Visto il legame che li unisce, avrei trovato opportuno inserire più scene di interazione tra Bod e i signori Owens, mentre è chiaro fin da subito che la sua figura di riferimento sia rappresentata da Silas; non mi ha convinto il modo in cui viene narrata la lotta tra la Guardia d'Onore e la Confraternita, perché da un lato è troppo frammentaria se si vuole seguire con attenzione tutti gli avvenimenti, e dall'altro poteva quasi essere sostituita dal solo resoconto di Silas a fine volume. Discutibile anche il sistema magico, che sembra funzionare in base all'allenamento, ma è privo di regole chiare.

Nonostante queste piccole critiche, devo ammettere che Gaiman è riuscito ancora una volta a trasportarmi in un mondo quasi magico, e a stupirmi con una trama semplice ma capace di svolte inaspettate.

Il mio voto è di quattro stelline e mezza.
 
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