mercoledì 31 ottobre 2018

BookTag Time - Dolcetto o Scherzetto? BookTag

BookTag Time

Dolcetto o Scherzetto? BookTag


Per il mese di Halloween non potevo esimermi dal cercare un BookTag collegato a questa festa che, dalla mia infanzia ad oggi, ho visto diventare sempre più apprezzata specialmente dai bambini.
Questo BookTag dal titolo evocativo Dolcetto o Scherzetto? è stato avvistato nel blog Amore per i libri e non solo, e QUI potete trovare il post originale.

1. LA ZUCCA - Un libro dalla copertina arancione che avete nella vostra libreria.
Devo ammettere di non avere moltissimi libri con la cover arancione in libreria, quindi mi sono ritrovata a spulciare tra i cari, vecchi Piccoli e Super Brividi che da ragazzina leggevo sempre volentieri. “Monster” di Christopher Pike ha un copertina decisamente paurosa e tendente all’arancio; il romanzo ha per protagonista una ragazza impegnata a contrastare l’attacco di alcuni vampiri alieni.
2. IL FANTASMINO - Il libro più spaventoso che avete letto.
Forse non sarà il più pauroso di tutti quelli che ho letto ma “Il condominio” di J.G. Ballard (QUI la recensione) ha una storia decisamente angosciante e ricca di scene spaventose, anche se mai in modo totalmente esplicito o splatter. Senza spoilerare nulla mi limiterò alla prima scena: uno dei protagonisti è seduto nella terrazza e sta tranquillamente pasteggiando con la carne di un cane.
3. IL PIPISTRELLO - Il primo thriller-horror che avete letto.
Per questa domanda sono tornata ancora tra i libri della mia giovinezza è ho scovato “La casa stregata” di P.P. Strello, un romanzo su una specie di Famiglia Addams in versione vampiri. Il libro era parte di una serie di storie su mostri assortiti per ragazzi con delle illustrazioni davvero azzeccate.
4. LA CASA STREGATA - Il libro più misterioso.
Come non rispondere con “Abbiamo sempre vissuto nel castello” di Shirley Jackson (QUI la recensione)? Per l’intero romanzo il lettore si chiede chi ci sia dietro la strage della famiglia Blackwood e, in generale, l’opera è permeata da un’atmosfera cupa ed ansiogena.
5. LA STREGA - Un libro la cui copertina ti ha stregato.
Questo è l’unico libro del BookTag ha non essere collegato in alcun modo al tema, ma non potevo che scegliere la nuova edizione de “La fattoria degli animali” di George Orwell (QUI la recensione). E a ben vedere lo spietato Napoleone in copertina fa decisamente paura!
6. IL CIMITERO - Un libro dalla copertina nera presente nella vostra libreria.
Tra i tanti libri con cover nere ho optato per uno dei miei ultimi acquisti, ossia “Thornhill” di Pam Smy, un romanzo composto da testo ed illustrazioni che non ho ancora letto ma già dalla copertina mi sembra abbastanza pauroso.
7. IL LUPO MANNARO - Un libro che consigli di leggere ad Halloween.
La tentazione di optare per un libro di Stephen King è stata forte, ma ho resistito e nomino invece “Tinder” di Sally Gardner (QUI la recensione). Innanzitutto è un romanzo breve, che si potrebbe leggere tutto nella giornata di Halloween, poi la storia è spaventosa al punto giusto, e il tutto è contornato dalle splendide -e davvero creepy- illustrazioni di David Roberts.

sabato 27 ottobre 2018

Sarah è una mamma pancina? - Recensione a “La gemella silenziosa” di S.K. Tremayne

Sarah è una mamma pancina?

Recensione a "La gemella silenziosa" di Sean K. Tremayne


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: La gemella silenziosa
AUTORE: Sean K. Tremayne
TITOLO ORIGINALE: The Ice Twins
TRADUTTORE: Claudia Marseguerra
EDITORE: Garzanti
COLLANA: Like
PAGINE: 300

IL COMMENTO

  È credibile che un autore di romance non conosca “Le pagine della nostra vita” di Sparks? oppure uno di romanzi fantasy non abbia mai letto la trilogia de Il Signore degli Anelli di Tolkien? Certo, non ci si può aspettare dagli scrittori una conoscenza enciclopedica del proprio genere letterario di riferimento, ma dovrebbero avere almeno un’infarinatura generale sugli autori e sulle opere più note.
  E invece no! Perché il caro Tremayne (nulla da partire con la matrigna di cenerentola, tranquilli) sembra non aver mail sentito parlate de “La cruna dell’ago” di Ken Follett (QUI la recensione), romanzo pluripremiato, inserito tra i cento volumi più venduti della Storia nella classifica stilata dal sito ranker.com e diventato anche un film di successo. La versione dell’ignoranza è quindi quella a cui scelgo di credere, perché l’alternativa sarebbe il plagio più sfacciato.
  Sin dai primi capitoli si notano delle evidenti analogia nelle trame dei due volumi: in seguito ad un tragico incidente la famiglia protagonista de “La gemella silenziosa”, i londinesi Moorcroft, decide di cominciare una nuova vita trasferendosi in un piccola isola scozzese ccon tanto di faro, il cui nome significa “isola del tuono”; qui la vita non è affatto facile e i due coniugi anziché riavvicinarsi vedono logorarsi ulteriormente il loro rapporto, per giungere infine ad una fortuita tempesta che impedisce di raggiungere la terraferma e prepara lo scenario ideale per delle sconvolgenti rivelazioni.
  Notate qualche somiglianza? Ne “La cruna dell’ago”, tra i protagonisti c’era una coppia dalla storia analoga, che viveva appunto su un’isoletta farodotata chiamata “isola della tempesta”. Per fortuna, lo spunto di base si sviluppa poi in un’altra direzione.
  Ma iniziamo dal principio: Angus e Sarah, marito e moglie, sono reduci dalla morte di Lydia, una delle loro figliolette gemelle, caduta da una terrazza nella casa dei nonni; poco tempo dopo Gus perde anche il posto di lavoro perché lo porta a picchiare selvaggiamente un suo superiore, così la coppia decide di vendere la bella casa londinese e di trasferirsi in un cottage malmesso sull’isola di Torran, lasciate loro in eredità dalla nonna di Angus. Ad essere più turbata dalla tragedia è però la gemella superstite, Kirstie, che già alla sua prima apparizione manifesta dei comportamenti molto strani. La bambina afferma di essere in realtà Lydia, scambiata per la gemella perché perfettamente identiche e abbigliate allo stesso modo il giorno dell’incidente; in un secondo momento la si vede parlare e giovare con la “sorella”, oltre a riferirsi spesso a se stessa usando il plurale o confondendo la propria identità con quella della piccola defunta.
  E già qui iniziano i problemi, perché ogni persona normale avrebbe come minimo portato la bambina da un bravo psichiatra infantile; se non i genitori, per lo meno i nonni, gli amici o la scuola si dovrebbero attivare in una situazione di questo tipo: non siamo in un romanzo di fantascienza! O forse sì, dal momento che la segretaria della scuola (dove siano preside ed insegnanti non è dato sapere) come risposta agli assurdi comportamenti di Kirstie/Lydia decide di lasciarla a casa per una settimana, e “poi si vedrà”.
  Sarah ed Angus si trovano in una situazione delicata anche nel loro rapporto come coppia, e la trama ha in serbo parecchi colpi di scena, conditi da tradimenti e sensi di colpa a volontà. Si capisce ben presto che la loro relazione è sempre stata borderline, tra passione e violenza, anche a causa dei rispettivi trascorsi familiari.
  Proprio i padri aggressivi ed alcolizzati sono uno dei cliché che affollano il romanzo, elementi già visti ma sempre validi nei thriller; l’idea di sviluppare il mistero principale sullo scambio tra due gemelle monozigote ha già parecchi precedenti, come pure la distruzione del mito riguardo l’innocenza nei bambini e la presenza di due voci narranti in contraddizione -tipo “L’amore bugiardo” di Gillian Flynn (QUI la recensione).
  L’aspetto che più mi ha infastidito durante la lettura è stato proprio l’alternarsi dei POV di Angus e Sarah. Nulla di sbagliato nelll’idea in se quanto nel passare dalla prima persona al presente (lei) alla terza persona al passato (lui). Sinceramente, preferisco una maggiore uniformità, inoltre nei capitoli POV di Sarah ci sono inspiegabilmente dei pensieri virgolettati nel testo: perché inserire tra virgolette questo tipo di narrazione che è per antonomasia la trascrizione di un flusso di coscienza rimane un mistero.
  I protagonisti sono nel complesso ben sviluppati e l’autore analizza con attenzione le loro emozioni, soprattutto nel personaggio di Sarah. La brevità del romanzo penalizza invece i comprimari che sembrano spesso dimenticati tra i vari capitoli: Josh e Molly, amici dei Moorcroft, e i genitori di Sarah compaiono solo quando la trama lo richiede, in modo tutt’altro che naturale.
  Ma qualcosa di positivo nel libro c’è. Personalmente ho apprezzato molto le dettagliate descrizioni del suggestivo paesaggio scozzese, diviso tra il mare impetuoso e le stoiche montagne. Ottime anche l’alternanza tra dei momenti carichi di tensione e scene di calma quasi placida, mix che riesce a mantenere viva l’attenzione del lettore, nonché la sua curiosità per scoprire i segreti celati da ogni personaggio.

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  Veramente voleva solo sistemare la barca...

venerdì 19 ottobre 2018

Stand-alone mancato - Recensione a “Il segreto dei maghi” di Trudi Canavan

Stand-alone mancato

Recensione a "Il segreto dei maghi" di Trudi Canavan


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Il segreto dei maghi
AUTORE: Trudi Canavan
TITOLO ORIGINALE: The High Lord
TRADUTTORE: Adria Tissoni
EDITORE: TEA
COLLANA: Teadue
PAGINE: 530

IL COMMENTO

  Mi sento divisa sul giudizio da dare a questo romanzo: se lo si considera come un volume a se stante, la valutazione potrebbe risultare abbastanza positiva, in special modo per il ritmo incalzante della narrazione; d’altro canto, questo è il terzo capitolo della trilogia del Mago Nero e, almeno nelle intenzioni dell’autrice, parte integrante della serie. Sotto quest’ottiva, l’impressione positiva sul romanzo viene abbondantemente svalutata perché esso va in netta contraddizione con quanto spiegato nei primi capitoli.
  La Canavan punta molto sui plot twist nella parte iniziale del volume, ed è proprio questo a spazzar via quasi un migliaio di pagine nelle quali veniva detto e ridetto quanto la magia nera fosse cruenta, nonché difficilissima da apprendere, e quanto Akkarin fosse il male in terra. E qui cosa si scopre? che la magia nera si può imparare in due secondi, e non prevede necessariamente pratiche sadiche, e il Sommo Lord è il salvatore di Kyralia, dal passato tragico e tormentato ovviamente (mancavano solo le cicatrici sulla schiena e poi era perfetto anche per un Harmony).
  Con Akkarin diventato un Orsetto del Cuore, la trama aveva bisogno di un nuovo antagonista, quindi ecco profilarsi all’orizzonte gli Ichani, maghi neri reietti che vogliono vendetta per una guerra di 200 anni prima tra le Terre Alleate (aka la Corporazione) e Sachaka. È evidente che le motivazioni dei nemici non sono particolarmente efficaci neppure in questo capitolo, ma ancor più ridicola è la loro -tardiva- entrata in scena: sembrano un branco di teppistelli giunti a vandalizzare la capitale, ignorando totalmente il resto del regno.
  L’inizio della storia ci proietta diversi mesi dopo al fine de “La scuola dei maghi” (QUI la recensione). Sonea è sempre ostaggio di Akkarin, ma dopo qualche lettura sulla magia nera e un paio di commenti su quanto il mago sia affascinante ed è pronta ad implorarlo di insegnare anche a lei la magia superiore; insegnamento che occupa giusto una paginetta e non risulta affatto difficoltoso. Inoltre, la magia antica (sì, è sempre la stessa) non è collegata per forza a pratiche malvagie, mentre quella curativa si rivela ben più letale, se necessario.
  Parallelamente, si continuano a seguire le vicende di Dannyl, Lorlen, Rothen e Cery. Il primo ottiene una storyline abbastanza slegata dalla storia principale, ma incentrata soprattutto sull’evoluzione caratteriale; gli altri maghi non hanno funzioni eccessivamente incisive, mentre il giovane Ladro torna in scena con un ruolo ben più importante, sia per la trama orizzontale sia per la sua crescita. Come nei volumi precedenti, la storia si divide in due parti, con la prima occupata da lunghi spiegoni sulla figura del Sommo Lord e sulla minaccia degli Ichani e la seconda che vede finalmente l’arrivo di questi maghi neri e la battaglia per salvare Imardin.
  Ancora una volta, la Canavan si perde spesso in dettagli davvero superflui, procedendo a velocità ridotta, salvo poi ingranare la quinta in scene che avrebbero meritato maggiore attenzione, come il racconto della prigionia di Akkarin a Sachaka. L’autrice sembra incapace di adottare un ritmo narrativo intermedio.
  Colpa ben più grave è l’inserimento di personaggi inutili: ne sono un esempio abbastanza evidente Savara, il cui ruolo sarebbe potuto essere ricoperto da altri, e i vecchi nemici di Sonea, Lord Fergun e Regin, con il primo che torna in scena dalla fine de “La Corporazione dei maghi” (QUI la recensione) solo (e sottolineo, SOLO) per essere ucciso. Sul serio, non gli hanno concesso neanche una battuta. Inutile è un aggettivo che si adatta bene anche all’esilio di Sonea ed Akkarin, visto che non serve per convincere la Corporazione della minaccia rappresentata dagli Ichani; per non parlare della “missione” di spionaggio di Rothen e delle apparizioni fugaci del sovrano, da me tanto atteso nei primi due libri a che si rivela nulla più di una debole macchietta.
  Il ruolo giocato dai Ladri mi ha invece stupito perché, seppur il loro aiuto risulti fondamentale per salvare la città, rimangono pur sempre l’equivalente kylariano della mafia nostrana (ci sono chiarissimi riferimenti al pizzo e alla loro influenza in ogni attività criminale) e su questo aspetto l’autrice sorvola con scioccante tranquillità.
  E se ritengo inammissibile trasformare con leggerezza criminali in eroi, provate ad immaginare quali siano i sentimenti riguardo al feroce maschilismo che permea l’intera trilogia. Come già accennato nei precedenti commenti, escludendo la protagonista, i personaggi femminili -quelli con almeno una battuta di dialogo, non semplici comparse- si possono letteralmente contare sulle dita di una mano. Nei panni dell’eroina poi, Sonea non brilla per acume o fermezza e la sua sola decisione individuale è di rimanere vicino ad Akkarin: e c’è chi l’ha inserita tra le più forti protagoniste nella letteratura fantasy!
  Arrivata infine al termine di questa trilogia, vorrei segnalare a chi fosse interessato che esistono un volume prequel ed una seconda trilogia sequel. Per quanto mi riguards, cito la Vanoni: io mi fermo qui.

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  No Martini, No Party!

domenica 14 ottobre 2018

In un futuro, non così lontano... - Recensione a “Solo per sempre tua” di Louise O’Neill

In un futuro, non così lontano...

Recensione a "Solo per sempre tua" di Louise O'Neill


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Solo per sempre tua
AUTORE: Louise O'Neill
TITOLO ORIGINALE: Only Ever Yours
TRADUTTORE: Anna Carbone
EDITORE: Il Castoro
COLLANA: HotSpot
PAGINE: 360

IL COMMENTO

  Ho letto parecchie critiche negative a questo romanzo, alle quali mi sento di dover in qualche modo rispondere perché personalmente l’ho adorato, e lo consiglio come valida lettura a prescindere dai gusti o dal target.
  Innanzitutto, è stato etichettato come la versione per ragazzi de “Il racconto dell’ancella” della Atwood; purtroppo non ho ancora letto quest’ultimo, quindi procrastino un’eventuale analisi delle somiglianze, ma già da ora posso affermare che in alcuni casi una “copia” può risultare gradevole come e più dell’originale: rimanendo nel genere distopico, cito come esempio la trilogia di Hunger Games della Collins, molto apprezzata e di grandissimo successo pur essendo in buona parte copia del meno noto “Battle Royale” di Takami (altro romanzo validissimo, prendete nota!).
  Un’altra critica frequente è il presunto elogio del maschilismo, nella sua forma peggiore. Non nego che in questo libro ci siano moltissime situazioni -sia mostrate direttamente, sia raccontate indirettamente- a dir poco disturbanti, ma l’intento non era certo quello di elevarle a modello; come altri autori di questo genere prima di lei, la O’Neill voleva invece smuovere le coscienze dei suoi lettori e mostrar loro in cosa si potrebbero evolvere i peggiori aspetti della società contemporanea. Infatti, l’ambientazione futuristica di “Solo per sempre tua” riprende molti elementi della nostra realtà, in particolare legati al culto dell’estetica e ai reality show, e li congiunge ad un ipotetico mondo post-apocalittico, da sempre terreno fertile per le distopie.
  La storia inizia parecchi secoli dopo un disastro ambientale che ha quasi sterminato la razza umana; i pochi superstiti hanno dato vita ad una società di stampo fortemente patriarcale, lasciandosi alle spalle ogni diatriba legata all’etnia o alla religione in nome della sopravvivenza. In pochi anni, la volontà di tenere in vita solo i figli maschi porta alla cancellazione del genere femminile e, per salvarsi una seconda volta, gli ingegneri genetici ricreano la vita in laboratorio, creando una nuova stirpe di donne.
  Costantemente perfezionate ed educate fino ai diciassette anni in apposite scuole, le cosiddette eva hanno il solo fine di svolgere il ruolo assegnato loro dagli uomini, nelle vesti di compagna, concubina o casta (a metà tra monache ed insegnati). Le donne sono il più possibile spersonalizzate: vengono identificate con un numero ed i loro nomi propri sono sempre scritti con l’iniziale minuscola, inoltre viene loro continuamente ricordato che il solo scopo nella vita è ubbidire agli uomini e, se necessario, subire in silenzio ogni punizione da loro commutata.
  Seppur molto interessante e ben ideato, il mondo concepito dalla O’Neill non spicca per l’originalità, riprendendo diversi elementi sia da “Noi” di Zamjatin (QUI la recensione), sia de “Il mondo nuovo” di Huxley (QUI la recensione). Il primo è evocato dalla figura del Padre che governa sul mondo a propria discrezione come faceva il Benefattore, ma anche dai numeri che identificano le eva, dalla popolazione ridotta a poche migliaia di individui e dalla presenza di cibi sintetici; il secondo viene in mente soprattutto nel processo di programmazione delle donne, prima con la composizione del DNA nei laboratori e poi con il condizionamento indotto durante il sonno, e la larga diffusione -quasi imposizione- di medicine dai nomi pittoreschi che ricordano la soma distribuita dallo Stato a tutti i cittadini per lavorare senza fatica ed annullare ogni sentimento negativo.
  Il mondo in cui è ambientata la storia è solo l’ombra di quello che noi conosciamo con tre Zone, ossia ciò che resta di Europa, Nord America ed Asia, dove vivono soltanto qualche migliaio di persone e dove imperano delle regole molto rigide, tutte ben illustrate nel volume. Gli unici punti poco chiari a mio avviso riguardano l’istruzione: non ha senso che sia generica a prescindere dal terzo in cui un’eva finirà e venga affidata proprio alle caste, ovvero le donne “scartate” al momento della cerimonia per scegliere compagne e concubine.
  La storia segue l’ultimo anno nella scuola per un gruppo di eva, tra le quali spicca -ma non troppo- la protagonista, freida. Il romanzo si incentra principalmente sulle difficoltà della ragazza a farsi ben volere dalle compagne una volta persa l’amicizia della popolare isabel.
  freida tenta di tutto per riallacciare i rapporti con l’amica, ma al tempo stesso è combattutta tra l’affetto che le lega e l’innato desiderio di ogni eva di essere perfetta sotto ogni aspetto così che uno degli Eredi -i ragazzi per cui sono state create- la scelta.
  Ritengo sia stata un’ottima scelta optare per una protagonista quasi anonima, e delegare il ruolo dell’eroina della storia ad isabel: è sempre bello leggere di qualcuno vicinmo alla nostra fragilità umana.
  Per quanto riguarda il finale, era dai tempi non tanto lontani del “Bunker Diary” di Kevin Brooks (QUI la recensione) che non ne leggevo uno tanto sconvolgente. Tranquilli, non ho intenzione di elargire spoiler gratuiti, semplicemente le sensazioni provate una volta terminate queste due letture sono state quasi identiche: come se non ci fosse modo di riparare ad un errore fatale, ed ad un iniziale senso di disperazione ne subentri lentamente un secondo, di comporta accettazione.

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  Mi manca Evangelion... anche se non ci capivo nulla!