Wrap-Up - Letture di aprile 2020
In questo mese sono
stata leggermente più produttiva -dal punto di vista del numero di libri letti-
rispetto ai precedenti, riuscendo anche a mantenere una buona media per quanto
riguarda i voti assegnati.
Come promesso in un
post di qualche mese fa, ho voluto dare un'ultima chance a Jeanne Kalogridis con uno dei suoi titoli più apprezzati: "Alla corte dei Borgia", che ci
racconta una versione romanzata della vita di Sancia d'Aragona. Pur rimanendo
determinata a non leggere altro di suo, questo libro ha meritato tre stelline per avermi intrattenuto e
(involontariamente) divertito; andate QUI per leggere la recensione completa.
Con la seconda
lettura ho continuato la serie Il quarto elemento, lasciata in sospeso ormai da
diversi mesi. "Blood of the Prophet"
è il secondo capitolo della trilogia fantasy scritta da Kat Ross ed ambientata nell'antica Persia, tra figure storiche come
Alessandro Magno e creature soprannaturali come i dæva.
La trama di questo
libro è abbastanza limitata, perché si focalizza soprattutto sulla missione dei
protagonisti (nonché del negromante Balthazar) per trovare il Profeta, da
secoli ormai prigioniero dei magi a Karnopolis -la capitale d'inverno- mentre
l'intero impero lo crede morto e lo venera come un santo. Il ritmo è parecchio
lento senza però risultare fastidioso, almeno fino alla parte conclusiva del
volume in cui ci ha invece una brusca accelerazione che cerca di chiudere la
maggior parte delle vicende in poche pagine; la differenza è davvero netta e
crea un senso di smarrimento nel lettore, fino a quel punto cullato da una
narrazione più descrittiva.
I personaggi si
riconfermano l'aspetto migliore di questa serie, e ho molto apprezzato la
scelta di seguire da vicino anche i POV degli antagonisti Araxa e Balthazar
(seppur in terza persona), dei quali tra l'altro ho adorato il confronto
diretto in cui ognuno riconosce la crudeltà dell'altro. In generale trovo ben
strutturate e credibili tutte le relazioni interpersonali in questa trilogia, e
confermo la mia approvazione per la scelta dell'autrice di sfruttare i suoi
personaggi senza remore o con il timore di sconvolgere i lettori.
Molta cura è stata
riservata anche all'ambientazione, che si fa sempre più ricca e dettagliata; a
mio parere, con un mondo tanto complesso a disposizione l'autrice poteva ambire
a scrivere delle storie più lunghe e dense di avvenimenti. Per restare in tema,
un plauso alla Dunwich per aver inserito un glossario dettagliato a fine
volume: con tanti luoghi e creature, spesso ci si può sentire effettivamente persi.
Il mio voto è di quattro stelline.
Ho completato poi la
lettura di un libro in inglese, etichettato come retelling femminista di
Biancaneve, e posso dire che questa definizione calza a pennello a "Girls Made of Snow and Glass" di Melissa Bashardoust. Sotto ogni punto
di vista l'ho trovata un'ottima lettura, consigliata soprattutto a chi vuole
una storia autoconclusiva con un livello di inglese non troppo alto. Potete
trovare QUI il mio
commento dettagliato per questo libro che si è guadagnato ben cinque stelline.
Dopo aver quasi
plagiato "Notre-Dame de Paris" in "Chocolat" (ne parlo QUI),
la cara Joanne Harris ci delizia
ancora con le avventure di Vianne Rocher nel seguito "Le scarpe rosse" che va invece a scomodare il povero Stendhal,
soprattutto per la presenza del più inutile e tedioso triangolo amoroso degli
ultimi anni.
La storia si sposta
per l'occasione in un quartiere alla periferia di Parigi, luogo molto influenzato
dalla quotidianità moderna e quindi quanto mai inadatto per un romanzo di
realismo magico; sono passati quattro anni e Vianne, dopo aver cambiato
identità, tiene un profilo il più possibile discreto ed ha rinunciato alle
vecchie magie. A sconvolgere la sua precaria tranquillità è Zozie de l'Alba,
un'altra strega decisamente più estroversa e ambiziosa che si insinuerà pian
piano nella vita sua, delle figlie e della piccola cerchia di clienti ed amici.
A differenza del
primo volume, qui seguiamo anche il POV di Anouk (per l'occasione ribattezzata
Annie), oltre a quelli di Vianne e Zozie, e in tutti e tre i casi i personaggi
tengono un registro narrativo a dir poco creativo, alternando momenti in cui
sembrano scrivere un diario, altri in cui si rivolgono direttamente al lettore
ed altri ancora in cui parlano tra di loro. Nella parte di Anouk l'autrice
tenta di immedesimarsi nella mentalità di una ragazzina, sfruttando unicamente
degli stereotipi collaudati ed usando ogni due per tre la parola
"okay", che secondo lei dovrebbe dare l'idea del lessico giovanile.
Zozie sarebbe il personaggio più interessante, peccato che le sue motivazioni
rimangano poco chiare e prive di credibilità fino alla fine. Vianne poi non
capisco davvero come possa ambire al ruolo di protagonista, vista la sua
inattività per buona parte del volume, senza dimenticare i suoi piagnistei per
il sacrificio di dover sposare un uomo che non ama... senza pensare però alla
crudeltà con cui sta ingannando lui!
In generale, la morale
in questo romanzo è alquanto aleatoria; lo si vede nel rapimento di Vianne da
bambina o nella sua decisione monolaterale di crescere da sola Rosette. Tutto
questo contrasta direttamente con gli avvenimenti di "Chocolat", dove
lei non sembrava per nulla innamorata di Roux, che anzi era evidentemente
interessato a Josephine (tra l'altro, che fine ha fatto Josephine?).
Nemmeno l'edizione
Garzanti ha migliorato la situazione: vista la presenza di molti termini e
frasi francesi nel testo, a mio parere avrebbero dovuto includere delle note
esplicative, perché così il volume non risulta del tutto comprensibile.
Il mio voto è di due stelline e mezzo.
Questo mese ho anche
terminato una serie che mi portavo dietro da ben quattro anni, ovvero la
pentalogia Magisterium scritta in collaborazione da Holly Black e Cassandra
Clare. "La torre d'oro"
ha avuto una conclusione abbastanza degna e si è mantenuto grosso modo in linea
con quanto già raccontato nel resto dei volumi.
Dal momento che non
pubblicherò una Lettura d'Insieme, volevo riepilogare brevemente qui gli
aspetti -sia in positivo, sia in negativo- a serie conclusa. Mi è piaciuto lo
spunto iniziale (ossia, ciò che mi ha spinto ad intraprendere questo luuungo
viaggio) e i molti plot twist ben inseriti; ho adorato il personaggio di Jasper
-che tra l'altro andata sfruttato maggiormente- come anche la naturalezza con
cui vengono accettate le diversità di ogni tipo. Ho trovato interessanti alcuni
aspetti del sistema magico, in particolare i Divorati, ma credo che potesse
essere spiegato molto meglio, nonché mantenersi più coerente nel corso della
serie. Non ho gradito neppure l'eccessiva frettolosità con cui si sviluppa la
trama ed il tono troppo infantile dei dialoghi: capisco che il target di
riferimento è il middle grade, ma come autore devi adeguare i comportamenti dei
protagonisti se li fai diventare dei diciassettenni. In generale, ho avuto
l'impressione che le autrici avessero delle buone idee in partenza, ma si siano
stancate della storia e dei personaggi con l'andare avanti dei volumi.
Per quanto riguarda
questo volume, la storia si focalizza sulla risoluzione delle due questioni
generate dal finale di "La maschera d'argento" (ne parlo QUI), quindi
la lotta contro il redivivo Alex e la ricerca di un corpo per l'anima di Aaron,
oltre alle varie sottotrame -in prevalenza a sfondo romantico. Si tratta del
capitolo più breve della serie, ma sono comunque presenti delle scene dalla
dubbissima utilità che sarebbero potute essere sostituite da un maggiore
sviluppo delle relazioni tra i personaggi.
Il romanzo giunge
presto a conclusione grazie a dei convenientissimi deus ex machina (in primis,
il povero Alistair) e alle abilità che dimostrano i protagonisti, senza però
averle mai apprese o esercitate. Diciamo che il target ti suggerisce di passare
sopra alle molte incongruenze, ma se si cerca una buona serie per ragazzi ci
sono opzioni ben più appetibili.
Il mio voto è di tre stelline e mezzo.
La successiva lettura
è stata una novella in lingua inglese, purtroppo ancora inedita in Italia,
"Keturah and Lord Death"
della canadese Martine Leavitt.
Presentata come una fiaba d'altri tempi, quest'opera si propone di riscrivere
il mito greco di Ade e Persefone, ossia il rapimento della dea della primavera
da parte del dio degli inferi, e il successivo innamoramento tra i due.
A conti fatti, la
novella si ispira anche alla storia di base della raccolta Le mille e una notte
dal momento che, all'inizio della storia, vediamo la sedicenne Keturah Reeves
perdersi nel bosco -per aver voluto seguire un cervo fatato- e qui incontrare
la Morte personificata in un avvenente uomo a cavallo; per ottenere un altro
giorno di vita, la protagonista inizia a narrare una storia che interrompe sul
più bello per poi promettere di continuarla la notte seguente. Con questo
espediente, che già aveva salvato la vita di Sherazad, Keturah riesce a
guadagnare diversi giorni durante i quali è determinata a trovare il suo Vero
Amore nonché ad impedire che un'epidemia colpisca il suo amato villaggio.
La natura stessa
della novella impone di sospendere del tutto l'incredulità ed accettare gli
elementi tipici delle fiabe, improponibili in un contesto più realistico, come
i non-nomi dei personaggi secondari, la ripetizione di diverse scene o la
presenza di tanti caratteri stereotipati. Se ci si sofferma su questi dettagli
fiabeschi, si rischia di perdere di vista i temi principali della storia:
l'accettazione della morte come parte imprescindibile dell'esistenza umana e la
ricerca di una relazione genuina tra tante artefatte o basate su impressioni
sbagliate. Molto interessante il collegamento che unisce Keturah e la Morte,
tanto da permettere alla ragazza di vedere e conversare con questa entità
ultraterrena nel momento in cui una persona sta morendo.
Il formato del volume
invece non mi ha soddisfatto, perché avrei preferito una graphic novel data la
brevità della storia; in alternativa, la buona idea di partenza poteva essere
meglio sfruttata per scrivere un romanzo ben più lungo.
Il mio voto è di quattro stelline.
Come classico per
questo mese ho letto un nuovo pilastro del genere distopico, in particolare
quello più recente (la pubblicazione risale infatti al relativamente vicino
1954): "Il Signore delle Mosche"
di William Golding. Ho assegnato cinque stelline a questo romanzo e, per
una recensione più dettagliata sul contenuto e le tematiche vi rimando QUI, al
post dedicato.
L'ultimo libro letto
ad aprile è stato "Il nemico di
Cesare" di Andrea Frediani,
secondo capitolo nella trilogia Dictator incentrata sull'ascesa al potere di
Giulio Cesare, anche se questo volume in particolare non concede troppo spazio
al conquistatore romano, preferendo focalizzarsi sulle storyline dei personaggi
secondari e -in alcuni casi- fittizi.
La trama segue i
primi anni della guerra civile, che vede combattersi principalmente Cesare e
Pompeo sui territori dell'Italia e della penisola balcanica, mentre i loro
alleati si fronteggiavano nelle altre regioni conquistate da Roma. La
descrizione delle scene di battaglia rimane l'unico aspetto positivo di questa
serie, assieme alla fedeltà storica agli eventi; purtroppo questi due elementi
non bastano certo per creare un romanzo soddisfacente.
Come anticipato, nel
romanzo viene dato ben poco spazio ai POV di Cesare, come pure a quelli di
Labieno (che dovrebbe essere il coprotagonista, basandosi sui titoli dei libri)
e di Servilia, anche se in quest'ultimo caso trovo sia stata una scelta
corretta. Lasciando da parte le battaglie, il grosso del volume si concentra su
Quinto, Veleda e Ortwin, ossia uno dei triangoli amorosi più disturbanti di
sempre; a onor del vero anche Aulo Irzio ottiene un po' di spazio a metà volume,
ma le ripercussioni per il suo personaggio sono praticamente nulle nei capitoli
successivi, quindi non capisco a cosa sia servito seguire il suo POV.
Mentre Ortwin ancora
si dimostra un personaggio grosso modo apprezzabile, Quinto qui diventa ancora
più detestabile: leggere i suoi pensieri è disgustoso e trovo assurdo come
l'autore -per essere fedele alla figura storica- gli permetta sempre di
cavarsela. Per Veleda volevo sinceramente provare simpatia, ma rispetto a
"L'ombra di Cesare" (ne parlo QUI) sfodera una presunta
determinazione che sfocia però nella totale stupidità e non si riesce proprio a
giustificare le sue azioni.
Lo stile è un'altra
nota dolente: sono presenti molte espressioni colloquiali come
"D'accordo,... Del resto,... Ad ogni modo,..." inserite come fossero
pensieri dei personaggi nella narrazione in terza persona; un altro aspetto
migliorabile riguarda i dialoghi, che spesso risultano artificiosi e zeppi di
infodump. Inoltre, tutti parlano con lo stesso tono e lessico a prescindere
dallo status sociale o dal grado di istruzione, e ci sono termini come bluff o
raid che stonano nettamente con l'ambientazione perché acquisiti dall'inglese
ed entrati nel lessico italiano solo negli ultimi decenni.
Il mio voto è di due stelline.
DOVE COMPRARE QUESTI LIBRI
- "Blood of the Prophet" di Kat Ross
- "Le scarpe rosse" di Joanne Harris
- "La torre d'oro" di Holly Black e Cassandra Clare
- "Keturah and Lord Death" di Martine Leavitt
- "Il nemico di Cesare" di Andrea Frediani