domenica 31 maggio 2020

Wrap-Up - Letture di maggio 2020

Wrap-Up - Letture di maggio 2020


Un'altro mese fiacco sul fronte delle letture: ero partita con i migliori propositi, ma alla fine sono riuscita a terminare soltanto i cinque libri compresi nella TBR iniziale. Spero sempre di accelerare un po' nei mesi estivi.

Il mese è iniziato ottimamente con "L'occhio del Golem", ossia il secondo volume della tetralogia Bartimeus di Jonathan Stroud, che dovevo continuare da diversi mesi (sto cercando di diminuire il numero delle serie che leggo in contemporanea, così da non dimenticare tutto tra un volume e il successivo, giuro). La storia riprende quasi tre anni dopo la fine di "L'amuleto di Samarcanda" (ne parlo QUI), con la città di Londra colpita da una serie di attacchi terroristici devastanti contro alcuni luoghi simbolo; l'indagine viene affidata a Nathaniel, che già aveva l'incarico di sgominare la cosiddetta Resistenza, ritenuta ora la mente dietro queste devastazioni.
Ai punti di vista di Nathaniel e di Bartimeus viene aggiunto quello di Kitty Jones, già presentata nel primo capitolo della serie; oltre al suo passato e agli eventi che l'hanno portata a far parte della Resistenza, i capitoli dedicati a lei ci permettono di ampliare la trama collegata alla lotta a tre tra maghi, spiriti e comuni, tutti intrappolati in un ciclo perpetuo che sembra ripetersi da millenni. Rispetto al primo libro, questo aspetto della storia acquista molta rilevanza, tanto da spartirsi a metà lo spazio con la trama orizzontale del mistero sulla creatura distruttrice: da un lato apprezzo questa svolta più matura, ma dall'altro avrei preferito che il finale non lasciasse irrisolti così tanti quesiti.
Ovviamente continuo ad amare Bartimeus, e ho apprezzato parecchio anche l'aggiunta del POV di Kitty - con la quale tra l'altro il jinn ha un'ottima chimica- mentre diventa sempre più difficile digerire i capitoli che seguono Nathaniel, un po' per il suo ruolo in quanto mago (ossia l'oppressore sia degli spiriti, sia dei comuni) un po' perché il suo carattere diventa sempre più fastidioso, seppur nel complesso risulti credibile vista la sua giovane età. Proprio questo dettaglio è l'unica cosa che ho trovato fuori luogo: risulta a dir poco assurdo come compiti tanto importanti vengano affidati ad un quattordicenne, che tra l'altro viene pesantemente redarguito dagli adulti quando non risolve tutto e subito; è come se io affidassi la sicurezza della mia abitazione ad un pesce rosso, per poi cucinarlo in pentola quando vengo rapinata.
Il mio voto è di quattro stelline e mezza.

Come seconda lettura ho affrontato "The Rest of Us Just Live Here" di Patrick Ness, un romanzo all'apparenza leggero, ma capace di dare spazio a riflessioni per nulla scontate sulle difficoltà dei giovani d'oggi. Potete leggere QUI la mia recensione completa per questo libro, che vi consiglio pur avendogli assegnato tre stelline e mezza.

Successivamente ho terminato la Trilogia dei sogni di Kerstin Gier con il terzo volume "L'ultimo segreto", così sono riuscita anche a postare una Lettura d'Insieme dove parlo dell'intera serie e che potete trovare QUI. Concentrandomi ora solo sul capitolo conclusivo, che mi ha donato grasse risate (in senso buono, però) ed un lieto fine forse un po' troppo melenso.
Dopo le avventure natalizie di "La porta di Liv" (ne parlo QUI), seguiamo la protagonista durante i mesi primaverili dove il suo problema maggiore è rappresentato dallo spietato Arthur, che già aveva minacciato lei e la sorella minore Mia; ad aggiungere problemi in un quadro già denso di eventi sono il ritorno della folle Anabel, il prossimo matrimonio tra la madre di Liv Ann e il suo compagno Ernest, nonché una bugia che potrebbe incrinare la storia della nostra eroina con Henry. A mio avviso le sottotrame potevano essere ridotte (tenete conto che ho nominato solo le principali) perché alcune vanno solo ad inserire dei passaggi inconcludenti ai fini della trama e purtroppo dimenticabili; il tono sempre ironico dell'autrice salva la narrazione impendendo al lettore di cedere alla noia, ma ciò non toglie che alcune scene sembrino repliche di se stesse e la trama principale tardi molto a prendere l'avvio.
Pur fornendo una riposta a tutti i misteri sparsi nella serie, il finale pecca di scontatezza e anche di ingenuità (cosa ci garantisce che Arthur non tenterà vie ben più concrete per scappare dalla sua prigione onirica?), oltre a mostrarci un improvviso rincretinimento della stessa Liv, atto a dare lustro alla rivalsa di altri personaggi.
Come negli altri capitoli, continuo ad apprezzare l'inventiva dell'autrice nell'ampliare sempre più il mondo dei sogni ed i poteri che rende possibile usare; allo stesso modo, premio la buona evoluzione nei rapporti interpersonali, soprattutto nelle amicizie femminili di Liv che danno un messaggio positivo per il target di riferimento.
Il mio voto è di quattro stelline.

Per il classico di questo mese ho fatto una specie di rilettura con "I tre moschettieri" di Alexandre Dumas padre, che avevo letto ai lontani tempi delle scuole medie in un'edizione ridotta per ragazzi. Pur faticando parecchio a completare questa lettura (sembra snello, ma è un tomo!) ho assegnato quattro stelline e mezza nella recensione completa che potete leggere QUI.

La mia ultima lettura è stata il meraviglioso "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut, che credo troveremo tra qualche decennio inserito nella sezione dei classici della letteratura. Le cinque stelline sono d'obbligo e non si discute, ma QUI trovate la mia recensione dove spiego nel dettaglio perché ho amato un libro che mi ha costretto a piangere dalla prima fino all'ultima pagina.


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venerdì 29 maggio 2020

Insegnare la pace, raccontando la guerra - Recensione a "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut

«Avevo dimenticato che a fare la guerra sono i ragazzini ... questa è la Crociata dei Bambini»

Insegnare la pace, raccontando la guerra

Recensione a "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut


LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini
AUTORE: Kurt Vonnegut
TITOLO ORIGINALE: Slaughterhouse-five
TRADUTTORE: Luigi Brioschi
EDITORE: Feltrinelli
COLLANA: Universale Economica
PAGINE: 190
VOTO: 5 stelline

IL COMMENTO

  "Mattatoio n. 5" è un romanzo di fantascienza scritto con un intento dichiaratamente pacifista, come si può notare già dal sottotitolo dell'opera, ovvero "La crociata dei Bambini". L'autore ha vissuto in prima persona l'esperienza della guerra, durante il secondo conflitto mondiale, e nei suoi libri tenta di elaborare questo trauma pur tra molte difficoltà.

«Ma allora non mi venivano molte parole da dire su Dresda, o almeno non abbastanza da cavarne un libro. E non me ne vengono molte neanche ora, [...].»

Da qui la decisione di creare delle storie allegoriche ed estremamente satiriche, che sfruttano spesso il genere sci-fi per educare i lettori alla pace; la particolarità di questo titolo è quella di raggiungere l'obiettivo narrando in modo diretto e spesso grottesco delle scene di guerra, anziché rimarcare soltanto il valore della non-belligeranza.
  Questo fine viene perseguito anche con l'inserimento di parecchie battute da parte di personaggi che invece di apprezzare la pace in cui vivono, si professano nostalgici della guerra ormai finita e ne auspicano di nuove ancor più violente, come il vecchio ufficiale che tiene banco al Lions Club (doppia ironia!):

«Lui era per aumentare i bombardamenti, per bombardare il Nord Vietnam fino a farlo tornare all'età della pietra, se non voleva sentire ragioni.»

  Il romanzo inizia con un capitolo introduttivo in cui autore e narratore si fondo tra loro e vanno a spiegare come si è giunti alla stesura di questo volume sulla peculiare vita di Billy Pilgrim. La voce narrante fa diverse altre comparsate nel corso della narrazione, per darci ad intendere che il protagonista è stato un suo commilitone del quale lui racconta (o immagina?) la storia, da prima della partenza per la guerra fino alla sua morte. Una vita tutto sommato ordinaria -almeno per l'epoca- che l'autore rende unica dando a Billy la capacità di viaggiare nel tempo: in alcuni momenti il protagonista si addormenta oppure entra in trance e riprende coscienza in un altro momento della sua vita, avendo così la possibilità di conoscere gli eventi futuri o rivivere dettagliatamente il passato. A ciò si aggiunge niente meno che un rapimento da parte degli alieni di Tralfamadore, pianeta dall'atmosfera letale in cui Billy viene portato per essere esibito come un animale nello zoo.
  Billy fa proprio il modo di pensare dei tralfamadoriani: per loro ogni evento è privo di significato perché -capaci di vedere la quarta dimensione del tempo- conoscono il destino dell'intero universo e ne capiscono l'ineluttabilità.

«È solo una nostra illusione di terrestri credere che a un momento ne segue un altro, come nodi su una corda, e che quando un istante è passato sia passato per sempre.»

Anche Vonnegut mette in pratica questa filosofia quando, parlando di un personaggio, ci racconta subito quale sarà la sua fine, sottintendendo l'unitarietà nel tempo dell'esistenza umana, oppure quando fa seguire ad ogni decesso l'espressione "Così va la vita", tipica di Tralfamadore.

«"Oggi anch'io, quando sento dire che è morto qualcuno, alzo le spalle e dico ciò che i tralfamadoriani dicono dei morti, e cioè: Così va la vita."»

Cover turca
  Pur concentrandosi sulla vita di Billy, il libro vede come secondo protagonista il bombardamento alleato ai danni della città di Dresda; un attacco del quale non si parlava molto negli anni in cui Vonnegut pubblicò questo romanzo,

«A quell'epoca non era ancora diventato famoso, in America, quel bombardamento. [...] Non c'era stata molta pubblicità.»

e che ancor oggi non è troppo conosciuto, probabilmente perché non era atto a colpire delle strutture militari strategiche, bensì ha raso al suolo una città abitata quasi esclusivamente da civili impreparati. Si arriva al paradosso se si pensa che, per questo romanzo antimilitarista, l'autore fu praticamente etichettato come filo-nazista; di sicuro sarebbe stato per lui più comodo raccontare una versione unilaterale della Storia, con gli alleati dipintici come i salvatori incapaci di azioni negative.
  A me invece Vonnegut piace proprio per le narrazioni sopra le righe ed anticonformiste, seppur con uno stile sempre immediato e semplice che a tratti diventa minimale, ma non perde un grammo della sua forza suggestiva. Come esempio tra i tanti vi riporto un breve estratto della scena in cui Billy, fatto prigioniero dai tedeschi, è rinchiuso sul treno che lo porterà in un campo di sterminio:

«Per le guardie che là fuori andavano su e giù, ogni vagone divenne un singolo organismo che mangiava e beveva ed evacuava attraverso le prese d'aria.»

  Molto particolari sono anche le continue ripetizioni che creano dei collegamenti tra le diverse linee temporali, sia a livello emozionale che sensoriale: quando Billy è catturato dai tedeschi e portato dal Lussemburgo in Germania abbiamo questa descrizione,

«C'era un mucchio di cose da vedere: denti di drago, macchine letali, cadaveri coi piedi nudi blu e avorio.»

che si riverbera molte volte, come durante la notte delle nozze di sua figlia Barbara.

«Billy scese dal letto nella luce lunare. Si sentiva spettrale e luminoso, [...]. Si guardò i piedi nudi. Erano blu e avorio.»

  È d'obbligo far presente anche che, pur essendo limitato e grosso modo di contorno, il cast vede la presenza di alcuni volti noti, almeno per coloro che hanno già affrontato la bibliografia di Vonnegut, come il veterano Eliot Rosewater da "Perle ai porci" e lo scrittore di fantascienza Kilgore Trout da "La colazione dei campioni". Il riferimento che ho più apprezzato è però la comparsa di Howard W. Campbell junior,

«[...] lo aveva scritto un ex americano che aveva fatto carriera nel ministero della Propaganda tedesco. Si chiamava Howard W. Campbell junior.»

che, oltre ad essere il protagonista di "Madre notte" (QUI la recensione), è un eccellente seguace del fatalismo tralfamadoriano.

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mercoledì 27 maggio 2020

Post Chiacchiericcio - Trend nella letteratura YA

Post Chiacchiericcio

Trend nella letteratura YA



Oggi andiamo a parlare di una tematica partita dal mondo della letteratura ma che è andata poi ad interessare altri settori, in particolare l'industria cinematografica: dai primi libri che andrò a citare sono state tratte le sceneggiature per dei film molto famosi, e di conseguenza questo argomento potrebbe essere stimolante anche per chi, pur non considerandosi un lettore, ha dai trent'anni in giù e non ha vissuto sotto un sasso.
Negli ultimi vent'anni infatti, la letteratura per ragazzi ha conosciuto un'incredibile crescita, sia in termini di volumi pubblicati sia di apprezzamento tra il pubblico, non necessariamente parte del target YA. Essendo appunto un target (e non un genere, come molti pensano erroneamente), nelle pubblicazioni per "giovani adulti" rientrano libri di ogni tipologia, ma un occhio attento avrà notato l'avvicendarsi di diversi trend nel corso di questi anni.
Cosa intendo con trend? mi riferisco ad un insieme di cliché che, comparsi in un libro famoso, si sono estesi a macchia d'olio in moltissimi altri titoli usciti nel periodo successivo.
Il primo esempio che viene in mente è senza dubbio la saga Harry Potter di J.K. Rowling; diventato ormai un fenomeno generazionale (ed economico), questa serie è stata la capostipite di una parata di romanzi comprendenti orfani che si scoprono maghi e scuole di stregoneria. Di questo filone fa parte sicuramente "La Corporazione dei maghi" di Trudi Canavan (QUI la recensione) e i suoi seguiti.
Sono stati poi gli anni dello hurban fantasy, per merito della tetralogia Twilight di Stephenie Meyer, che io incolpo per aver portato tra noi una parata infinita di ragazze sciape capaci di far innamorare ogni sorta di creatura sopranaturale, dai classici vampiri agli angeli, passando per zombie, licantropi e demoni. Tra questi titoli rientra (purtroppo?) la trilogia di Laini Taylor iniziata con "La chimera di Praga" (QUI la recensione).
Nella letteratura per ragazzi è arrivato anche un sotto-genere fino a qualche decennio fa appannaggio dei romanzi per adulti: la distopia. Sicuramente ci sono dei precedenti famosi (come per gli altri trend di cui parlo), in particolare "Battle Royale" di Koushun Takami, ma solo dopo il successo della trilogia The Hunger Games di Suzanne Collins la distopia-teen ha invaso le librerie. L'osceno "Forever" di Amy Engel e il suo altrettanto immondo sequel (analizzo l'intera serie QUI) tentano di cavalcare proprio questo fenomeno, precipitando però negli abissi del romance melenso.
Più recente è il filone delle storie ad ambientazione contemporanea con protagonisti malati. Che si tratti di tumori incurabili o di patologie psichiatriche, l'origine di tutto ciò si può individuare in "Colpa delle stelle" di John Green. Quest'ultimo trend riscuote ancora un buon successo, ma quali sono le categorie più gettonate oggi, nella narrativa per ragazzi?
Un trend molto in voga nonostante gli anni è quello dei retelling: ne trovate almeno uno nuovo ogni mese nell'editoria inglese. Può trattarsi di fiabe, miti o  romanzi classici, il retelling risulta sempre appetibile e parte avvantaggiato avendo già un pubblico non suo a cui rivolgersi. Uno degli esempi più famosi è la tetralogia Cronache Lunari di Marissa Meyer (analizzo l'intera serie QUI).
Abbiamo molte uscite anche per la cosiddetta RomCom (spesso chiamata anche Contemporary, creando così confusione con la letteratura contemporane) e, sebbene io trovi questi titoli noiosi di default e me ne tenga alla larga, ho sentito molto parlare della trilogia di Stephanie Perkins iniziata con "Il primo bacio a Parigi".
Un cliché fruttato spesso male -ma non per questo meno abusato- è quello degli antieroi, in particolare nelle storie di genere fantasy o fantascientifico. Proprio quest'anno ho letto uno dei primi romanzi di questo trend, ovvero "The Young Elites" di Marie Lu (ne parlo QUI), dove l'autrice sceglie di seguire la storia dal punto di vista di personaggi etichettabili come "i cattivi".
Ed infine come non parlare delle location esotiche, dal Medioriente (gettonatissimo) alla Cina, fino all'Africa subsahariana; un filone un po' sottotono, ma capace di dare vita a delle storie originali. Cronologicamente, tra i primi titoli troviamo "La moglie del califfo" di Renée Ahdieh, ma non avendolo letto vi consiglio di dare un'occhiata alla trilogia Il quarto elemento di Kat Ross, incominciata con "The Midnight Sea" (ne parlo QUI).
E ora non ci resta che attendere e vedere quale sarà il trend del domani.

E voi? Quale credete sia il trend YA corrente? e quale detterà legge nei prossimi anni?
Se vi va, rispondetemi con un commento sotto questo post.

lunedì 25 maggio 2020

Un classico al mese - "I tre moschettieri" di Alexandre Dumas padre

«I quattro amici ripeterono a una voce sola la formula di d'Artagnan: "Tutti per uno, uno per tutti"»

 

Un classico al mese

  "I tre moschettieri" di Alexandre Dumas padre



LA SCHEDA TECNICA

TITOLO: I tre moschettieri
AUTORE: Alexandre Dumas padre
TITOLO ORIGINALE: Les Trois Mousquetaires
TRADUTTORE: Giuseppe Aventi
EDITORE: Rizzoli
COLLANA: Grandi classici BUR
PAGINE: 690
VOTO: 4 stelline e mezza

IL COMMENTO

  "I tre moschettieri" è uno dei primi esempi di feuilleton, ossia di quello che da questo lato delle Alpi è conosciuto come il romanzo d'appendice; si tratta di storie caratterizzate da un netta contrapposizione tra buoni e cattivi, pubblicate ad episodi su alcuni quotidiani, anziché in un unico volume. Questo aspetto fa sì che la vicenda non risulti del tutto omogenea, ma si percepisca la volontà dell'autore di raccontare diverse avventure, collegate dalla presenta degli stessi personaggi che di volta in volta si trovano a dover svolgere una nuova missione o affrontare un determinato antagonista.
  In piena corrente letteraria romantica, Dumas scrive una storia contenente molti dei capisaldi del filone, come la marcata nostalgia nei confronti del mondo cavalleresco medioevale

«"Sfortunatamente non siamo più ai tempi del grande imperatore [Carlomagno, NdR]. Viviamo nel tempo di monsignor cardinale [...]."»

dove tutto si poteva risolvere con un onesto duello, o anche il leggero alone del misticismo che si palesa -ad esempio- nella scena in cui la regina Anna e il duca di Buckingham confessano di aver fatto lo stesso sogno. In questa ambientazione storica, seppur arricchita (o impoverita, a mio modesto parere) da diversi rumours dell'epoca ai quali Dumas da ciecamente credito,

«"Sì, il signor cardinale, a quanto sembra, la perseguita e la tormenta [la regina Anna] più che mai. Non può perdonarle la storia della sarabanda. Sapete la storia della sarabanda?"»

comincia la storia dell'aspirante moschettiere D'Artagnan, giovane guascone che negli anni Venti del Seicento lascia la casa paterna per raggiungere Parigi ed inseguire il suo sogno; fin dalle prime pagine vediamo delinearsi il suo rapporto di amicizia con i tre moschettieri del titolo, così come l'antagonismo marcato con il "misterioso" uomo di Meung e Milady.
  Per presentare il suo romanzo, Dumas sfrutta un escamotage caro -tra gli altri- a Hawthorne ne "La lettera scarlatta" (QUI la recensione), fingendo di aver ritrovato una sorta di memoriale del nostro D'Artagnan. Purtroppo l'incredulità del lettore rimane sospesa decisamente per poco, dal momento che parecchie scene non possono proprio essere descritte dal punto di vista del protagonista, e neppure raccontate a lui da terzi.
  Un problema che affligge la ricchissima trama è il voler proseguire in una determinata direzione a prescindere da tutto: ciò va spesso a sacrificare il realismo del romanzo, sia in termini di balzi temporali e spaziali inspiegabili sia di personaggi stravolti nella loro caratterizzazione. Ed è un peccato, visto che proprio i personaggi sono uno degli aspetti più rilevanti e positivi del titolo.
  Ho apprezzato l'evoluzione genuina del rapporto tra D'Artagnan e i moschettieri, come pure con i loro valletti, seppur in un primo momento si abbia una sensazione di forzatura. In particolare la relazione con il fido Planquet risulta bilanciata e molto divertente.

«"Hai paura, Planquet?"
"No, soltanto faccio osservare al signore che la notte sarà freddissima, che il freddo dà i reumatismi, e che un valletto reumatizzato diventa un buono a nulla [...]."»

Si nota anche come Dumas non dipinga i suoi eroi come perfetti: pur essendo dalla parte del "bene", ci vengono spesso rimarcati i lati peggiori dei loro caratteri, come la strafottenza nel caso di Buckingham:

«Così, sicuro di se stesso, convinto del suo potere, certo che le leggi che reggono il comune degli uomini non potevano valere per lui, egli andava diritto allo scopo che si era prefisso, [...].»

  La mia preferenza va però agli antagonisti, per la loro maggior sfaccettatura, con la sola eccezione del conte di Rochefort. Il cardinale si dimostra estremamente abile nell'influenzare l'opinione altrui, soprattutto quando si tratta di convincere re Luigi XIII della propria ritrosia nel fare ciò che si era ripromesso fin dal primo momento:

«"Veramente", disse il cardinale "per quanto mi ripugni fermare il pensiero sopra un tradimento simile, la Maestà Vostra mi ci fa pensare [...]."»

E cosa dire di Milady? non mi aspettavo avrebbe ottenuto così tanto spazio nella narrazione, diventando quasi una seconda protagonista. Ho ammirato moltissimo la sua determinazione ed il suo coraggio,

«"Il mio Dio", disse. "Fanatico insensato che sei. Sono io stessa il mio Dio, io e colui che mi aiuterà a vendicarmi."»

che mi hanno ricordato la mia adorata Magdalen da "Senza nome" di Wilkie Collins (QUI la recensione), soltanto con degli obiettivi meno condivisibili.
  Lo stile di Dumas è generalmente semplice e godibile, in larga parte per merito dell'umorismo che permea l'intera storia con le sue battute pungenti,

«Planchet, due ore prima, era venuto a chieder da mangiare al suo padrone, il quale gli aveva risposto col proverbio: "Chi dome pranza". E Planquet pranzava dormendo.
Un uomo entrò, d'aspetto sempliciotto e che sembrava un borghese. Planchet avrebbe sì voluto sentire la conversazione, che sarebbe stata come la frutta del suo pranzo,[...].»

volte in alcuni casi a criticare la società, sia essa accostata al potere temporale del sovrano o a quello (per nulla) spirituale della Chiesa.
  Aspetto meno gradevole è la netta separazione tra narrazione e dialoghi, che quasi sempre sono dei blocchi continui privi di indicazioni sui personaggi o l'intonazione; credo che questo potrebbe essere collegato all'attività di Dumas come drammaturgo, ma ciò non toglie sia fastidioso e crei confusione.
  Ciò che più mi ha deluso è però l'edizione della Rizzoli, casa editrice generalmente valida per quanto riguarda le sue edizioni dei classici; in questo caso mi sono trovata con un volume privo di revisione -lo si nota per i tantissimi errori di battitura come segni grafici assenti o parole storpiate- e con una traduzione decisamente aggiornabile, specie quando il povero Patrick, uomo di fiducia di Buckingham, viene italianizzato senza alcun motivo

«"Chi devo annunciare a milord?", domandò PATRIZIO.[...]»

seppur per una sola volta. E pensare che avevo snobbato la mia vecchia edizione Newton Compton e comprato questa nuova di proposito!


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